VITA E OPERE
13.OBBEDIENZA E CASTITA'*
Articoli: 130 - 143
Le maestre che sono nominate a qualche ufficio, particolarmente all'ufficio di formazione delle aspiranti, postulanti, ecc., hanno le grazie di stato, di ufficio. Perciò non intervengano altre che non hanno incarichi particolari nel lavoro che le maestre compiono per la formazione. Nel caso che vi fossero motivi gravi per intervenire, si faccia sempre parlando con la Superiora maggiore, e non parlando direttamente con le persone in formazione. Si componga tutto in silenzio, e non si creino divisioni e piccole chiesuole di gruppi, che stanno qua e là quasi appartate e facendo in fondo un contro altare a chi è destinato a compiere l'ufficio delicato della formazione.
Siamo [arrivate a considerare] i voti e le virtù. La perfezione si raggiunge con la pratica dei voti, e con la conformità alle Costituzioni.
Col voto di obbedienza si consacra al Signore specialmente la volontà; col voto di castità si consacra il cuore; col voto di povertà si consacra tutto quel che è il complesso dei beni esterni al Signore. E tutti tre i voti suppongono la santificazione della mente, perché sono sempre i princìpi da cui poi procede la vita.
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L'OBBEDIENZA
Art. 130. Col voto di obbedienza le religiose consacrano a Dio la propria volontà, e si obbligano anche in forza della virtù della religione ad obbedire ai precetti formali dei legittimi superiori in tutto ciò che, direttamente o indirettamente, si riferisce all'osservanza dei voti e delle Costituzioni.
Quindi, praticando il voto si praticano due virtù, e cioè la virtù dell'obbedienza e la virtù della religione che è un legame con Dio.
Art. 131. Quanto alla materia del voto di obbedienza, e al modo con cui obbliga e alla sua efficacia, valgono i seguenti principi:
1. Materia del voto, cioè quello che può essere comandato in forza del voto, sono le Costituzioni e tutto ciò che si riferisce all'osservanza delle Costituzioni stesse, all'osservanza dei voti, alla vita e alle opere della Congregazione.
2. Tutto questo però obbliga in forza del voto, e il trasgredirlo costituisce peccato contro il voto stesso, solo dal momento che viene comandato con precetto formale in virtù di santa obbedienza.
Quand'è che uno è obbligato a obbedire per voto?
Non è che si trasgredisce ad ogni passo il voto, ma solo dal momento che viene comandato [qualcosa] con precetto formale in virtù di santa obbedienza. Quindi è rarissimo. Nella mia vita credo di aver comandato una volta sola in virtù di santa obbedienza e mi sono anche pentito. [Si usi] estrema delicatezza, [e si vada] molto adagio a comandare in virtù di santa obbedienza; e non [saranno] certamente le superiore locali [a dare questo comando], sarà, tutto al più, la superiora maggiore o la generale.
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3. I precetti ordinari obbligano solo in forza della virtù di obbedienza, e il trasgredirli costituisce mancanza contro la virtù dell'obbedienza stessa.
È quindi mancanza non contro il voto, ma contro [la virtù] dell'obbedienza. Non vi è doppio peccato. Si vuol dire che peccare contro la virtù della religione, riguardo all'obbedienza, è rarissimo; solo quando c'è il precetto formale in virtù di santa obbedienza.
4. La suora può sempre mettere come ragione e fine dell'obbedienza il nuovo vincolo o virtù della religione; anzi questa volontà si deve ritenere implicitamente compresa nell'atto stesso della professione religiosa. Perciò la speciale efficacia del voto di obbedienza o merito della virtù di religione, si estende non solo alle azioni a cui la suora viene obbligata in forza del voto con precetto formale, ma anche ai comandi ordinari e ad ogni azione conforme alle Costituzioni, che la religiosa compie nell'obbedienza.
Invece il guadagnare doppio merito è continuo. Se una intende: tutto quel che farò quest'anno, o nella mia vita…, meglio [ancora] se rinnova di tanto in tanto questo pensiero: Intendo che ciò sia [fatto] per obbedienza come virtù e assecondando il voto, allora il doppio merito ci potrà sempre essere.
L'osservanza degli orari, il fare il proprio ufficio e tutto ciò che riempie la giornata, se uniformato alle disposizioni che vengono date e alle Costituzioni, costituisce sempre doppio merito. È come se si vivesse due volte, cioè doppio tempo: è una grande grazia!
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Art. 132. I precetti in virtù di santa obbedienza si devono imporre raramente, con prudenza e cautela, quando ciò è richiesto, per causa veramente grave, dal bene comune, o anche privato ma di gravi conseguenze. Occorre quindi matura riflessione, e, in generale, conviene siano dati per iscritto o almeno davanti a due testimoni. Le Superiore delle piccole comunità non diano precetti formali in virtù di santa obbedienza, eccetto vi sia una causa non solo grave, ma urgente, informando poi subito la superiora maggiore, e indicando le ragioni e le circostanze del comando dato.
Perciò occorre molta riflessione. Come norma generale, le superiore locali non diano precetti in virtù di obbedienza.
La perfezione dell'obbedienza invece, [consiste nel] fare l'obbedienza bene ed eseguire quanto in comunità è prescritto, e quanto prescrivono le Costituzioni stesse. [Avere] retta intenzione, fare quel che è comandato con buon cuore, con docilità, anzi portando avanti sempre lo spirito dell'obbedienza più che l'azione esterna. Ho già detto che praticamente vi è grande differenza tra l'obbedire e la docilità.
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Vi sono poi persone in Congregazione che sono incaricate di alcuni uffici, per esempio chi è caporeparto; allora bisogna obbedire anche alle caporeparto, e a tutte quelle a cui compete qualche ufficio di autorità.
Accettare inoltre gli uffici e accettare le destinazioni. Vi sono persone [invece] che cercano di ottenere quello che vogliono, e circuiscono le superiore, oppure cercano di guadagnarsi il loro cuore, la loro simpatia per fare poi come vogliono, per far la propria volontà. Le superiore guardino con carità tutte, tutte siano guardate con lo stesso affetto, la stessa premura, la stessa cura, e se vi è qualcuna troppo inclinata ad attaccarsi alla superiora, la superiora faccia presto: dia [a questa] i comandi più duri, gli incarichi più difficili, allora più facilmente opererà per amore del Signore.
Può anche accadere che qualche superiora si sbagli. Ci sbagliamo un po' tutti. E nella vita di cose sbagliate ne facciamo sempre di più di quante ne indoviniamo. E in generale, commettiamo molti più sbagli che atti di virtù.
Occorre poi pensare che noi tante volte non sapremmo fare quei sacrifici che richiediamo. E come facciamo a pretenderli? Prima di mandare le persone a compiere qualche cosa che è pesante, ripugnante, [facciamolo] noi! Allora si potrà dire come il Maestro: «Vi ho dato l'esempio perché facciate anche voi come io ho fatto. Imitate me» (cf Gv 13,15). La superiora veda in questo di precedere. In che cosa saremmo superiori, se non saremo superiori nella virtù? C'è l'autorità, certo! [Le suore] devono guardare l'autorità che rappresenta il Signore, e se l'autorità è fatta valere in un certo modo, si concilia l'obbedienza; se in altro modo, suscita invece lo spirito di contraddizione.
La suddita può esporre qualche ragione perché pensa che la superiora abbia sbagliato? Sì, lo può quando crede che la ragione sia vera, sia seria; [lo faccia] però con l'animo disposto ad obbedire se viene confermata l'obbedienza.
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Spirito dell'obbedienza
Art. 136. L'obbedienza religiosa deve essere non soltanto effettiva, ma anche affettiva, ed estendersi a tutti i legittimi comandi; non si tenga tanto conto del proprio giudizio o della persona che comanda, ma si guardi a Dio solo al quale unicamente, nella persona di chi comanda, si obbedisce.
Art. 137. Perciò, ricordando la parola evangelica: «Non vogliate giudicare e non sarete giudicati» (Mt 7,1), le religiose si astengano con ogni cura dal giudicare e tanto più dal biasimare le azioni delle Superiore; anzi le aiutino con filiale sottomissione e continua preghiera, affinché possano santamente e ordinatamente governare, nel Signore, la famiglia ad esse affidata.
Art. 138. Le suore considerino che l'obbedienza è esercizio quotidiano di umiltà, è via semplice, sicura e breve per giungere alla perfezione, è il mezzo per dimostrare più sinceramente l'amore a Dio. Inoltre, apporta unità e pace nella Congregazione e favorisce lo sviluppo delle sue opere.
Nessuno è più sicuro del paradiso, del premio di chi obbedisce. Non è così di noi superiori, perché non siamo così sicuri di fare sempre la volontà di Dio quando diamo qualche disposizione; coloro invece che ricevono il comando compiono sicuramente il volere di Dio e sono sicuri del premio.
Guardare a Gesù «subditus illis» (Lc 2,51), soggetto a Maria e a Giuseppe. Che cosa è più da ammirarsi che due creature, Maria e Giuseppe, comandassero al Figlio di Dio, o che il Figlio di Dio obbedisse a due creature? Tra le due, qual è più meravigliosa? Obbediente fino alla croce: «Obediens usque ad mortem, mortem autem crucis»1 (Fil 2,8). In paradiso si starà tanto alti quanto si è stati umili e docili e obbedienti sulla terra. Quante suore docili, buone, umili, occuperanno i primi posti in paradiso! Quel re, comparso dopo la morte, diceva nel mostrarsi che era arrivato alla salvezza, ma che in paradiso il portinaio del palazzo reale era tanto più su nella gloria quanto era stato più giù rispetto a lui sulla terra. E quella è la gloria eterna! Cosa può essere la gloria di questo mondo?
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Ho già detto l'altro giorno che è veramente una disgrazia dover sempre comandare per tutta la vita, perché ci porta facilmente nella persuasione di essere capaci, di essere distinti. E perché uno siede a capotavola, che sia proprio veramente il migliore? Pensiamo che al giudizio di Dio verrà assegnato a ognuno il posto che ha meritato. Sulla terra gli uomini, per necessità, danno delle promozioni, incarichi che si devono fare anche per obbedienza. Ma il Signore nel giudizio darà il premio a chi sarà stato più umile, avrà avuto più fede e avrà amato più il Signore. Questo [solo] importa.
Premura invece e compatimento [si abbia] per le persone che devono obbedire. Pensiamo a quanto sacrificio forse fanno! Nella distribuzione degli incarichi ci vuole però giustizia. Si deve guardare non solo alla capacità della persona a cui si dà un incarico, ma a molte [altre] cose, la si deve accompagnare con la preghiera perché possa compiere bene il suo ufficio e possa, nello stesso tempo, conservarsi nell'umiltà, nella discrezione, nell'equilibrio, particolarmente aver sempre in animo il desiderio dell'ultimo posto2.
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LA CASTITA'
Dopo l'obbedienza viene il voto e la virtù della castità. È breve il capitolo, ma ognuno degli articoli è molto comprensivo.
Art. 139. Col voto di castità le religiose si obbligano in forza della virtù della religione ad osservare il celibato e ad evitare ogni atto, interno ed esterno, contrario al sesto e nono Comandamento.
Ci si può fare la domanda: Dopo la professione perpetua la suora può ancora ammettere questo dubbio: Ero chiamata? Posso continuare? Non sarebbe meglio che fossi una buona secolare?, ecc.. Questi pensieri, queste incertezze, queste tentazioni sono più pericolose di un pensiero cattivo contro la castità, perché il pensiero contro la vocazione tocca un po' tutta la vita, non solo una virtù, comprende tutti gli impegni che la suora ha. Sbagliare quindi nella vita è un errore molto più grave che commettere un errore occasionale, di alcuni minuti forse, o di alcuni giorni, perciò vi è l'obbligo di confessarsene. Bisogna troncare, chiudere la porta a questi ragionamenti e a queste tentazioni, perché aperta la porta, il diavolo fa come ha fatto con Eva... Aperta la porta a questi pensieri, il diavolo tenta di aprire la porta del convento alla suora.
Mezzi
Art. 140. Per la virtù della castità, alla cui conservazione e perfezione è ordinato il voto, le religiose non solo stimano e amano la castità perfetta, ma diligentemente evitano quanto può anche solo minimamente offenderla e adoperano i mezzi che possono concorrere a custodirla intatta.
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I mezzi sono sempre la fuga delle occasioni: «vigilate», e la preghiera: «et orate». «Vigilate et orate ne intretis in tentationem»3 (Mt 26,41). Vigilare quindi sulle occasioni che sono interne: pensieri, sentimenti, tendenze, parole; o esterne: persone, compagnie, amicizie. Sono occasioni gli occhi che possono vedere spettacoli non convenienti, che possono seguire libri, letture non convenienti; l'udito [che ascolta] discorsi non delicati; l'intrattenersi con persone pericolose, il contrarre amicizie particolari dove dapprima tutto sembra spirituale, poi... acqua santa e terra fanno fango. Le amicizie spirituali sono ammesse più facilmente tra semplici cristiani, fuori delle comunità. Nelle comunità san Francesco di Sales esclude le amicizie anche per lo spirito, sempre per il pericolo che si finisca in amicizie non sane, non sante4. Vigilare perché le suore non si trovino in condizioni, in circostanze e in occasioni pericolose. Vi è una responsabilità.
È sempre bene che ci sia una santa letizia in casa, in maniera che le suore stiano bene e in casa sfoghino un po' il loro buon umore, perché se in casa c'è tristezza, c'è atmosfera pesante, cercheranno fuori qualche cosa, con pericolo della loro salute spirituale. Rendere la casa lieta, anche con scherzi e con giuochi, con sollievi che siano ragionevoli, tanto più se si tratta di gioventù. Avere poi il cuore aperto e ascoltarle.
Molte cose si eviterebbero con sante industrie. Particolarmente la suora è assalita da tentazioni dopo la professione perpetua, fino ad una certa età; e allora [abbondino] gli aiuti esterni e gli aiuti interni, cioè la preghiera: «Vigilate et orate ne intretis in tentationem». Anche le speciali familiarità, i segni di affetto troppo naturale, evitarli. Se la superiora gode fiducia, quando le figliuole, le giovani specialmente, ritornano dalla propaganda si apriranno, esporranno le loro condizioni, le difficoltà che hanno incontrate.
Art. 142 Le suore siano specialmente prudenti nelle relazioni con persone dell'altro sesso, astenendosi da discorsi e relazioni non necessarie o tenute all'insaputa della Superiora. Sempre devono adoperare la vigilanza voluta dal Divino Maestro perché sia allontanato ogni pericolo, o anche il solo ragionevole sospetto di male.
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Art. 143. La purezza della mente, del cuore e del corpo, deve modellarsi ed elevarsi nell'amore e nell'imitazione del Divino Maestro, Gesù Cristo. Ciò si otterrà con l'allontanare le occasioni pericolose, con la pratica della mortificazione, la perseveranza nella preghiera, specialmente alla Vergine Santissima, e l'uso fervente dei Sacramenti.
Sì, che il cuore si incentri in Gesù. Che ci sia anche, se piacerà al Signore, un amore sensibile, che si onori Gesù anche nella sua umanità sacra. Poi la divozione a Maria è sempre la divozione che ci libera da tanti mali.
Istruire sul modo di allontanare le tentazioni; istruire cominciando dalle aspiranti. Certamente tutte vanno soggette a tentazioni e pericoli; per questo il Maestro divino dice: «Chi vuol venire dietro di me, rinneghi se stesso, e prenda la sua croce e mi segua» (Mt 16,24). Cioè tre passi per essere santi: rinnegarsi, custodire gli occhi, custodire l'udito, custodire la lingua, custodire il gusto, custodire il tatto. Governarsi, in sostanza. E la mortificazione. Certamente la curiosità costituisce uno dei pericoli maggiori, perciò mortificarsi. Non sarà necessario sottomettersi a delle privazioni o penitenze straordinarie, ma in primo luogo compiere bene il dovere quotidiano, compiere bene lo studio, l'apostolato, gli esercizi di pietà, ecc.: tutto ciò che deve riempire la giornata. Questa è una mortificazione continuata.
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L'uso dei sacramenti. In confessionale si può parlare anche più apertamente; fuori del confessionale non ci siano relazioni col confessore. Si evitino i biglietti, lo scambio di ricordini e di immagini, ecc. Se si vuol bene a qualche persona, si preghi per la sua santificazione. Gesù [ci dà l'esempio:] il suo cuore tutto per il Padre celeste e per gli uomini.
Chi ama molto l'apostolato in generale ha meno tentazioni; meno tentazioni, perché le forze sono già esaurite e la violenza delle passioni sarà sempre minore. Così chi ama lo studio, chi ama la pietà; quando vi è qualche cosa che occupa l'anima, il cuore, più difficilmente ci sono tentazioni.
Quando una persona si lascia andare, non sa dove arriverà, non sa fino a che punto potrà arrivare. Questa tentazione non è come le altre, supponiamo, contro la carità, in cui si può ragionare: Perché non voglio bene a quella persona? È immagine di Dio. Invece sulla castità non bisogna ragionare, bisogna scacciare immediatamente la tentazione. È la fuga che salva. Una invocazione alla Madonna e poi occupare la mente in altre cose. E siccome si sa che tutti, presto o tardi, van soggetti a delle crisi su questo punto cioè a delle tentazioni, non dico a delle cadute, allora ancorché non dicano niente, non ne parlino, si dia però l'istruzione. Si supponga che, o hanno già subito queste tentazioni, o stanno subendole, o le subiranno più tardi. D'altra parte la vita religiosa è la consecrazione di tutto il cuore al Signore: amare lui solo con tutto il cuore e il prossimo come noi stessi nell'apostolato. In generale si preghi sempre per questo. Nelle orazioni ci sono già le invocazioni e le domande che sono convenienti per ottenere questa grazia.
La redenzione è stata compiuta con tre gigli: Gesù, il giglio più bello, più profumato, Maria e Giuseppe. E così [siano] le case religiose, quando vi è il giglio, meglio una piantagione di gigli, certamente vi è più serenità, più santità perché con la virtù della castità si accompagnano sempre le altre virtù. Ma sono gli umili quelli che conservano il giglio intatto. L'orgoglioso viene umiliato dal Signore il quale lascia cadere magari nel fango chi è orgoglioso nella sua mente. La castità è sempre accompagnata dall'umiltà, o nasce dalla stessa umiltà.
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* 13. Ariccia, 21 maggio 1961. Reg.: A6/an 113a = ac 182a. Don Alberione tratta i due voti in una sola istruzione. L'edizione a stampa, invece, la divide in due capitoli. Il titolo della registrazione è: “Voto e virtù di obbedienza e castità”.
1 «… facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce».
2 Sul tema dell'obbedienza, il Fondatore ritorna all'inizio dell'istruzione n. 19 e ne presenta i gradi.
3 «Vegliate e pregate per non cadere in tentazione».
4 Cf San Francesco di Sales, Trattenimenti spirituali, IV, Ed. Paoline, Alba 1967, p. 1967.