Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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Perfezione e carità

Ora veniamo alla lezione, siamo all'articolo 163. Nella giornata si dovrebbe leggere e meditare bene fino all'articolo 175 compreso. Sono pochi gli articoli da leggersi e considerare, ma hanno tanta importanza per cui c'è materia abbondante di riflessione.
Il capitolo quarto ha per titolo: «Obbligo di tendere alla perfezione. Osservanza religiosa».

Art. 163. Tutte e singole le religiose, le Superiore anche per obbligo di precedere con l'esempio, devono non soltanto osservare fedelmente e integralmente i voti che hanno professato, ma anche conformare la loro vita alle presenti Costituzioni, e così tendere alla perfezione del loro stato.

«Tutte e singole le religiose», anche se sono ammalate, anche se sono anziane. Le anziane e le superiore [hanno] anche l'obbligo di precedere con l'esempio sia nella osservanza della povertà, castità e obbedienza, come nel condurre avanti bene la vita comune. Precedere nella pietà e nel disimpegno, per quanto è possibile, degli uffici che ci sono.
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In che cosa consiste la perfezione? La perfezione, come principio, consiste nella carità2. Lo spirito di fede ci mostra Dio; Dio sommo bene, somma felicità, viene desiderato e lo si spera: nasce la speranza; e l'unione con Dio ci renderà felici. Questa unione dobbiamo contrarla sulla terra mediante l'amore a Dio, e poi gli saremo uniti per tutta l'eternità in cielo, beatamente. [La perfezione] quindi consiste nella carità. Carità nel suo duplice impegno: amare il Signore con tutta la mente, con tutto il cuore, con tutte le forze, e amare il prossimo come noi stessi. Il valore sta specialmente in quell'aggettivo: tutta la mente, tutto il cuore, tutte le forze. Tutto, non una parte, in maniera che pensiamo secondo la fede, e il cuore sia orientato verso Dio e verso la nostra eterna felicità, verso il prossimo; e poi tutte le forze [siano concentrate] nell'osservanza. Di che cosa? Come si dimostra l'amore? Essenzialmente con l'osservanza dei comandamenti e in secondo luogo dei consigli evangelici. Sempre quindi l'esame di coscienza sui comandamenti. I voti sono ordinati alla virtù, sono un mezzo per praticare meglio la povertà e la castità e l'obbedienza; come quando, ad esempio, si vuole ottenere una grazia, e si fa voto di andare a visitare il tal santuario. Il voto è per contrarre un impegno maggiore e mostrare poi la riconoscenza se la grazia si è ottenuta adempiendo quel voto.
[Le suore devono osservare perciò] «fedelmente e integralmente i voti che hanno professato e anche conformare la vita alle presenti Costituzioni», come si esprime nella professione.
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Vi è obbligo di tendere alla perfezione? Vi è obbligo per tutti i cristiani, ma soprattutto per i religiosi, per le religiose. Per tutti i cristiani in generale, perché tutti sono invitati ad amare Iddio con tutto il cuore, con tutte le forze, con tutta la mente, e il prossimo come se stessi3.
Nel battesimo si riceve la grazia, si mette nella nostra anima il germe della santità, ma tutti i giorni deve svilupparsi, crescere in albero e poi portare frutti di virtù sulla terra, frutti di beatitudine e di felicità in cielo. Il nostro spirito è paragonato ad un albero che è piantato lungo la corrente delle acque: «Secus decursus aquarum» (Sal 1,3), il quale si sviluppa e porterà un giorno foglie, fiori e frutti. Allora che cosa deve fare il cristiano e specialmente il religioso? Sviluppare quella grazia che è in noi, fino ad arrivare al perfetto amor di Dio: con tutta la mente, tutto il cuore, tutte le forze. [Ci sono] invece anime che lasciano dormire la grazia o anche la perdono; questo è lavoro contrario alla perfezione.
Quanto poi ai sacerdoti, essi hanno un obbligo più stretto di attendere alla perfezione, anche per l'esempio; e quanto ai religiosi un obbligo più stretto ancora di perfezionarsi. Perché? Perché è la loro professione.
Che cos'è la professione? È la professione dell'amore, l'amore intiero, che dà tutto a Dio, amandolo con tutte le forze, con tutto il cuore e con tutta la mente. È proprio il lavoro che ha da compiere sulla terra la religiosa, il religioso; diciamo, il loro mestiere.
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È obbligo di consiglio o obbligo grave? È obbligo grave, non di consiglio, non di semplice impegno solo in qualche cosa: è un impegno generale. Perfezionarsi in tutte le parti della persona e in tutte le parti della propria attività. In tutta la persona, in maniera che mente, cuore e volontà siano in Dio e Gesù Cristo viva in noi. Se la religiosa lavora a perfezionarsi, compie la sua missione, risponde alla sua vocazione. Se invece non porta a compimento la sua perfezione, cioè non risponde alla sua vocazione, al termine della vita avrà corrisposto? No, se non ha atteso alla propria perfezione.
Non c'è da ritenere quel concetto che si va diffondendo: [fare] più o meno, [accontentarsi di] qualche cosa, mantenersi su, evitare il peccato mortale e anche i veniali più grossi, e assecondare le piccole passioncelle, le piccole comodità. Allora puoi rimanere in convento, hai l'abito, ma esso è una maschera. Non sei religiosa, non sei religioso. Le mascherate si possono fare davanti agli uomini, ma Dio vede sotto, egli guarda i cuori, guarda la vita, guarda l'interno; [vede] come uno giorno dopo giorno si immola, cioè immola i suoi desideri, i suoi voleri, i suoi pensieri, i suoi attaccamenti; e come giorno dopo giorno si innesta in Cristo: «Essendo tu un olivastro selvatico, sei stato innestato in Cristo» (cf Rm 11,24). Allora che cosa bisogna ritenere? «Tutte e singole le religiose, le superiore anche per obbligo di precedere con l'esempio, devono non soltanto osservare fedelmente e integralmente i voti che hanno professato, ma anche conformare la loro vita alle presenti Costituzioni». Perciò lotta senza quartiere, cioè senza limiti al male, sia pure soltanto imperfezione; e, d'altra parte, la conquista del bene cioè della virtù sino in fondo, fin che l'essere è arrivato veramente a essere innestato in Cristo, la quale espressione è uguale all'altra: «Vivo ego, sed non ego, vivit vero in me Christus: Vive in me Gesù Cristo» (Gal 2,20).
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Il desiderio della santità

Qual è il mezzo essenziale per arrivare alla perfezione? Il mezzo essenziale è il desiderio vero, vivo4. Questo è il principale mezzo: volere la perfezione e volerla costantemente. Il desiderio della perfezione che si concepisce, è sempre sotto l'influsso della grazia, ed è già sete di santità, di santità vera; e questa sete di santità viene da Dio: quindi è un desiderio soprannaturale. Questo desiderio terminerà solo con la santità raggiunta. Ma la santità piena non si raggiungerà mai, in quanto avremo sempre delle imperfezioni, ma [occorre] diminuirle, ridurle di intensità man mano che riusciamo, così che in noi più niente ostacoli l'opera dello Spirito Santo, l'opera di Gesù. Quante volte fermiamo lo Spirito Santo che lavora nell'intimo nostro, quante volte cediamo a delle piccole cose che servono a noi di soddisfazione, ma disgustano, trattengono, allontanano l'opera dello Spirito Santo in noi! Quando saremo passati all'eternità, vedremo questa storia intima di lavoro di Dio per santificarci e se si è corrisposto o meno: storia intima o, come qualche volta diciamo, la continua azione dello Spirito Santo e la nostra corrispondenza o incorrispondenza, la nostra sordità spirituale.
La santità è il supremo bene della vita. Non vi è altro bene, per nessuno. Tutte le altre cose sono mezzo. Per la religiosa poi è non solamente il supremo e unico bene, ma è anche il bene che si è risolutamente accettato di fare, di compiere. Perciò nella professione sentiamo sempre meglio questo impegno, e non solamente sentirlo, ma coltivarlo; rendere sempre più forte in noi il desiderio della santità. È il bene supremo della vita. Che cosa puoi ancora cercare sulla terra tu che ti sei donata a Dio? Qui è il tutto: la santità. E allora, nelle persone, man mano che passano gli anni, si vedrà un progresso continuo.
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Qualità del desiderio

Come deve essere questo desiderio? Questo desiderio di santità dobbiamo chiederlo al Signore, è dono dello Spirito Santo. Allora, la nostra preghiera continuata: sempre ogni giorno domandare al Signore di sentire maggior desiderio, sete di santità. Che cosa faccio io nella giornata? Qual è il bene che devo procurarmi? Solo questo: maggior merito, maggior santità, maggior virtù, maggior amore a Dio e maggior amore al prossimo.
Questo desiderio è dono di Dio, ma dev'essere fiducioso, perché se il Signore ce lo dà, non è per tormentarci, come [sarebbe] il desiderio di una cosa che non si può raggiungere; la santità si può conseguire da tutti. Noi poi abbiamo la vocazione, che è vocazione alla santità, cioè all'amore di Dio intiero, e all'amore del prossimo.
Questo dev'essere il pensiero predominante su tutti. C'è chi desidera questo e chi desidera quello; ci sono, alle volte, preferenze per una cosa o per un'altra, per un ufficio o un altro; per qualcosa che la nostra passione desidera. Magari è per evitare pene e guardare di comporre la nostra vita in maniera da soffrire meno, di lavorare meno ed evitare le osservazioni, condurre una vita in pace; quella pace però non viene dal Signore, ma dalla soddisfazione della carne, dalla parte inferiore.
Tutta la giornata sia tesa alla santità. Si farà la cucina o la propaganda, ci sarà [l'agenzia del] cinema o la libreria, vi saranno o meno condizioni di salute, ufficio che piace o che non piace. Non ci possono stare attaccamenti neanche al bene, cioè il bene come lo vogliamo noi e quello che vogliamo noi. L'attaccamento va solo a Dio, con tutto il cuore, tutta la volontà, tutta la mente. [Il desiderio della santità] dev'essere proprio predominante su tutto, su tutte quelle preoccupazioni che alle volte andiamo creandoci, oppure che provengono da cose esterne o dal nostro stesso lavoro. Ma vi è questo e vi è quello da fare...: soprattutto vi è da santificarsi. Non si può dire: quando non avrò questo incomodo di salute, quando mi avranno cambiata d'ufficio, quando cesserà quella tentazione, quando sarà allontanata da me quella persona che mi fa soffrire, quando mi troverò un po' più riposata, quando avrò fatto di nuovo gli Esercizi..., allora mi metterò. Sono tentazioni. La passione predominante [sia] la santità, il pensiero predominante la santità. Che si ami la santità con passione, sopra tutto! Santità, desiderio di santità, che vuol dire desiderio di amare il Signore con tutta la mente, con tutte le forze, con tutto il cuore.
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Questo desiderio occorre che sia anche progressivo, non soltanto costante e non a sbalzi. Quando si va a confessarsi, si sta buoni per tre, quattro giorni e poi di nuovo si ricade; quando si fa il ritiro, si passano alcuni giorni, una settimana, quindici giorni bene, e poi si ricasca. E così dopo gli Esercizi spirituali, si sta buoni per un mese, poi vengono circostanze nuove, il fervore va diminuendo e il progresso non c'è più.
Dev'essere un desiderio pratico che deve portarci a essere disposti a soffrire qualunque cosa, a combattere proprio quello che impedisce [la santità]. Se è l'orgoglio, la sentimentalità, se è un po' di egoismo interno, un po' di idolatria del proprio corpo: mangiare, dormire e riposare e libertà fino all'estremo limite; forse si è ancora solo sul terreno del veniale; ma può anche essere che si abbia messo il piede in fallo e si sia andati sul terreno del mortale. E le invidie si nutrono, e si continuano a nutrire i rancori... Allora, praticamente, non c'è il desiderio della santità, non c'è, perché cede ogni volta che c'è da mortificarsi, mentre: «Chi vuol venire dietro di me, rinneghi se stesso» (Mt 16,24). Non c'è altra legge nel Vangelo, non c'è un'altra via per la santità. Ci sono due vie nella vita: una comoda e l'altra invece ripida (cf Mt 7,13), disseminata di spine e anche di sassi, via che sale, ma mette capo al paradiso.
Quell'attribuire sempre le responsabilità agli altri e non a noi stessi; quel pensare: E se facessimo invece così… E perché han disposto in quel modo… E perché ci troviamo in queste circostanze…; queste sono tutte scuse per coprire la nostra infedeltà oppure per illuderci di volerci fare santi e pestare sempre su quell'espressione: Fatemi santa, mentre nel fondo dell'anima non c'è [questa volontà]. Allora a che cosa serve?
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Bisogna che questo desiderio di santità sia efficace. Efficace a qualunque costo, senza dar pace al nostro io, e nello stesso tempo compiere il sacrificio che la giornata richiede e mostrare [così] il nostro amore a Dio. Efficace, fino a che punto? La Teologia della perfezione dice: «anche a costo della salute e di morire»5; bisogna amare Dio più di noi stessi, bisogna amare la nostra anima, cioè la nostra santificazione più della vita. Se l'anima nostra ha da soffrire qualche detrimento perché accontentiamo un po' noi medesimi, il nostro egoismo, bisogna che ci rinneghiamo. Bisogna mortificarsi: «Rinneghi se stesso, prenda la sua croce». Ognuno di noi ha la propria croce, ma [occorre] prenderla e portarla costantemente.
Sia efficace, questo desiderio. Alcuni vorrebbero mettere insieme santità e soddisfazione; parlare molto di santità, di amor di Dio; indicare tante vie, tante spiritualità.... Ma la via è quella di Gesù: «Chi vuol venire dietro di me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua».
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Unica via di santità: il Vangelo

Qualche volta, qua e là, sorgono anche dei pensieri, delle tendenze a una spiritualità [particolare]. Quello è restringere il cuore, è restringere lo spirito. Non c'è questa o quell'altra spiritualità, c'è la spiritualità cristiana, quella di Gesù Cristo: «Rinneghi se stesso, prenda la sua croce, mi segua» (Mt 16,24). Tre punti, e fuori di questi non c'è altra via che possa portarci alla santità. È un'illusione fare diversamente. Discutere molto di spiritualità vuol dire non capire il Maestro divino, non capire che cos'è la perfezione. Che cosa sono tutte queste distinzioni che infine non portano al «vivit vero in me Christus»? Ogni spiritualità sottolinea un aspetto della santità, ma noi la vogliamo intiera6. Ha un aspetto del Vangelo come ad esempio: «Beati i poveri» (Mt 5,3), e san Francesco d'Assisi7 pone più l'accento su questo punto, altri su altri punti. Prendiamo il Vangelo intiero come è, quello che ci ha dato Gesù Cristo, quello che ha predicato Gesù Cristo. Nutrirsi quindi di Vangelo8 e poi con costanza seguire l'insegnamento.
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Mezzi

I mezzi per fomentare, rafforzare il desiderio della santità9:
1) Chiederlo al Signore, con la preghiera di ogni giorno. E quando si dice la coroncina: Vergine Maria, Madre di Gesù: fateci santi10, s'intende chiedere questo desiderio di santità.
2) Fortificare questo desiderio, pensando che è obbligo grave, è il lavoro della vita ed è il segreto della felicità eterna.
3) Lavorare contro la tiepidezza che si camuffa in tante maniere e si scusa con tanti pretesti.
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Allora, che cosa è necessario che noi facciamo? Bisogna che ci esaminiamo costantemente. Vogliamo tendere o non vogliamo tendere alla santità? Perché ci siamo fatti religiosi?

Art. 164. La diligente osservanza delle Costituzioni, la fedeltà agli atti comuni, la puntualità agli orari, offrono tante occasioni di esercitare la virtù, specialmente la carità, l'umiltà, la mortificazione. Nessuna quindi si esima facilmente dal compiere gli atti comuni, dimostrando poi sollecitudine per le cose singolari.

Non abbiamo bisogno di creare molte altre cose. [Alcuni] quando hanno il desiderio di una cosa, allora sono solleciti e si industriano e ricorrono a tanti mezzi, magari privandosi di qualche ora di riposo di cui avrebbero bisogno, ma quando si tratta degli atti comuni, arrivano tardi, oppure li tralasciano.

Art. 165. Le suore siano profondamente convinte che l'osservanza religiosa è necessaria sia per il progresso nella perfezione, sia per l'incremento della Congregazione a cui ogni suora deve contribuire specialmente con l'orazione, con l'esempio nella pratica della vita religiosa, con lo zelo industrioso per le vocazioni e per le opere di apostolato. Le suore si esaminino con diligenza sopra queste obbligazioni.
Art. 166. Nelle mortificazioni o penitenze private, le suore si regolano secondo il consiglio del confessore. Per le penitenze che, sebbene private, potrebbero tuttavia influire sull'osservanza religiosa, sull'esercizio dell'apostolato e sulla salute fisica, si richiede anche il permesso della Superiora. Sempre poi si procuri di stare allo spirito proprio della Congregazione.

Si facciano le cose comuni, ma si facciano bene. E ce ne sono tante cose da perfezionare!
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Le penitenze delle Figlie di San Paolo

Art. 167. Alle Figlie di San Paolo non sono imposte dalle Costituzioni penitenze particolari. Accettino però con animo lieto le mortificazioni richieste dalla vita comune e dall'osservanza religiosa; evitino i discorsi vani; si applichino con diligenza alle proprie occupazioni, nella obbedienza e sotto la guida delle Superiore, in spirito di vera cooperazione fraterna, da cui le opere di apostolato acquistano impulso ed efficacia. Tengano per regola che prime loro penitenze devono essere la carità vicendevole, la vita comune, l'intensa applicazione all'apostolato.

Queste sono le tre penitenze che la Congregazione impone secondo le Costituzioni: carità vicendevole, vita comune e osservanza, applicazione costante all'apostolato.

Art. 168. Le suore ricordino che al lavoro, manuale o intellettuale, tutti siamo obbligati, non solo per legge naturale, ma anche per un dovere di penitenza e di soddisfazione. Il lavoro poi è il mezzo comune con cui l'anima è preservata dai pericoli e si eleva a cose più alte; il mezzo con cui noi, come è nostro dovere, prestiamo la nostra opera alla Divina Provvidenza, tanto nell'ordine naturale che nell'ordine soprannaturale. Le suore assumano quindi le diverse occupazioni e i vari uffici di studio e di apostolato con santa intenzione, li compiano alla presenza di Dio, li prendano nell'obbedienza e li congiungano con la volontaria rinunzia di se stesse. Il lavoro compiuto in questo modo sarà un potente e costante esercizio di tutte le virtù, pegno di una soave ed efficace unione della vita interiore con l'apostolato esterno, sull'esempio del Divino Maestro e di San Paolo Apostolo.

I lavori possono essere di tre specie: intellettuale, morale come la formazione, e manuale che può essere vario; tuttavia ogni lavoro si compia sempre con retta intenzione.

Art. 169. Soprattutto le suore vivano nella carità verso Dio e verso il prossimo, legge suprema della vita cristiana e della vita religiosa. Dalla carità nasce ogni buona e generosa disposizione dell'anima; la carità rende l'osservanza religiosa facile e grandemente meritoria. Perciò le suore promuovano le opere di apostolato e adempiano gli uffici loro affidati, animate da vero amore di Dio e delle anime, non cercando ricompensa umana, ma unicamente quel premio che il Signore ha promesso ad ogni opera buona, anche minima, fatta per Lui, o al prossimo per suo amore. Le suore ripensino spesso che, in forza della loro professione, devono imitare Gesù Cristo in modo più perfetto del semplice cristiano. Gesù scelse per sé la povertà, il lavoro, l'obbedienza, l'amore a Dio e agli uomini. La religiosa si studi di seguirlo nella tendenza a ciò che è più povero, più umile, più perfetto.

Per questo ci vuole il vivo desiderio, e il desiderio costante, e predominante su tutti gli altri desideri: voglio farmi santa. Sia talmente predominante che le altre preoccupazioni abbiano un posto molto remoto e cioè, dobbiamo sì attendere alle occupazioni e farle bene, ma solo e sempre per la santificazione. Quindi, questo è il fine, questo è predominante sopra tutto.
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2 Cf A. Royo Marin, op. cit., n. 109.

3 Cf A. Royo Marin, op. cit., nn. 118-119.

4 Cf A. Royo Marin, op. cit., nn. 486-488.

5 Cf A. Royo Marin, op. cit., n. 487. L'autore riprende il pensiero di santa Teresa d'Avila (cf Cammino di perfezione, 21,2).

6 Cf AD 159 - 160, dove il Fondatore sintetizza il nucleo della spiritualità paolina.

7 Francesco d'Assisi (1181-1226). Visse e predicò la povertà evangelica. Da lui ha origine il grande movimento francescano. Pio XII nel 1939 lo proclamò patrono d'Italia insieme a S. Caterina da Siena.

8 È costante in don Alberione l'invito a nutrirsi del Vangelo: cf AS, p. 22; FSP42, p. 397; AD 95: «Sia sempre chiaro il pensiero di […] pensare e nutrirsi di ogni frase del Vangelo, secondo lo spirito di san Paolo»; cf anche Istruzione 2, nota 3.

9 Cf A. Royo Marin, op. cit., n. 489.

10 Coroncina che Don Alberione apprende nella Casa fondata da san Giuseppe Benedetto Cottolengo e che nelle nostre comunità si recitava al mattino e alla sera.