19. IL SACRAMENTO DELLA RICONCILIAZIONE.
IL DONO DELLA PIETÀ*
Articoli: 176 - 190
Gradi dell'obbedienza
L'obbedienza ha vari gradi. Ci sono persone le quali arrivano al più alto grado che è la conformazione abituale al beneplacito di Dio; persone invece, che subiscono il loro stato, subiscono le disposizioni quasi forzatamente, non hanno sufficiente abbandono in Dio. Altre arrivano a rassegnarsi, ma la rassegnazione è un'obbedienza minima: rassegnarsi a quello che è disposto da Dio o che è disposto da chi rappresenta Dio.
L'obbedienza invece, riguarda i comandamenti e riguarda i consigli evangelici e anche le disposizioni che vengono date, e quando sono accettate per il Signore, allora siamo già a un grado buono: non c'è soltanto la rassegnazione, ma c'è già l'obbedienza per la vita eterna, in ordine al cielo.
Ottimo poi è seguir la volontà di Dio di beneplacito, cioè essere disposti interiormente a tutto quello che vorrà il Signore permettere o disporre a nostro riguardo: quell'abbandono sereno, quando non si hanno più preferenze per una cosa o per un'altra, e cioè per un posto o per un altro, per la salute o la non salute, per una maggiore o minore comodità, per essere o non essere stimati, ecc.
Questo è il grado più elevato riguardo all'obbedienza, e tuttavia può essere fatto con maggiore o minore intensità, quando noi ci priviamo della nostra volontà1.
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LA CONFESSIONE
Questa sera dovremmo considerare la pietà, e quindi dall'articolo 176 all'articolo 206. Prima la confessione e la comunione, poi le varie pratiche di pietà, quindi il modo di fare queste pratiche di pietà. Nella serata si dovrebbe leggere ogni articolo e ognuna servirsene come punti di esame di coscienza.
Abbiamo in primo luogo la confessione.
Art. 176. Le Superiore curino che tutte, tanto le professe che le novizie e postulanti, si confessino almeno una volta per settimana.
«Una volta almeno»; non è vietato che una si confessi per divozione due volte la settimana, ma regolarmente ci si uniforma e cioè una volta la settimana. In generale, seguendo questo uso di due volte la settimana, non [sia] per ragione di scrupoli, ma per ragione di pietà.
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Direzione spirituale e morale
Vi è da notare il principio: confessione e direzione morale. La direzione spirituale non è propria della suora, è propria dei sacerdoti. Invece, la direzione morale è propria delle suore, cioè delle superiore, delle maestre delle novizie e, in generale, delle maestre delle case o che curano le aspiranti, le postulanti, ecc. La direzione morale è un po' diversa dalla direzione spirituale; alla direzione morale devono aderire tutte, non è libera; questa direzione comprende anche la disciplina esterna.
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Libertà e disciplina riguardo alla confessione
Le regole elencate nelle Costituzioni2 corrispondono ai canoni del Diritto canonico. Dobbiamo dire: è da favorirsi più la libertà o la disciplina riguardo alla confessione, ai confessori? Quando nel 1910 fino al 1915, al 1917 è stato preparato il Diritto canonico si è sentito il bisogno, da parte di chi lo ha preparato, di tutelare di più la libertà nel confessarsi e nella scelta del confessore, perché in molti conventi c'era un eccesso, una disciplina troppo rigida; una scarsa libertà nella scelta del confessore.
Oggi, invece, vi è un eccesso di libertà e, in generale, occorrerebbe un po' più disciplina. Non parlo di voi, ma così in generale. Allora era necessario insistere per una maggior libertà, come si è tanto insistito allora sulla comunione frequente, perché c'era poca frequenza alla comunione. Oggi, riguardo al confessore, vi è una certa libertà che, alle volte, va a finire nella indisciplinatezza. Tenendo presente che non dobbiamo eccedere nella libertà e neppure nella disciplina, noi ci troveremo bene, troveremo la via giusta.
Il secondo articolo sulla confessione dice:
Art. 177. Ogni casa della Congregazione abbia il suo confessore ordinario. Che se il numero delle religiose od altra giusta causa lo richiedesse, potranno essere due o anche più secondo lo giudicherà opportuno l'Ordinario del luogo.
Quest'ultima parte si applica alle case di formazione, alle case più numerose.
Art. 178. Se una suora, per la pace dell'anima sua, o per maggior profitto nella via del Signore, chiede qualche particolare confessore o direttore spirituale, la Superiora lo richieda all'Ordinario del luogo, al quale appartiene concederlo e vigilare affinché da questa concessione non nascano degli abusi, e vengano tolti qualora ne sorgessero.
Quindi se, abitualmente, una vuole andare da un confessore [particolare], occorre che l'Ordinario le dia la facoltà di ascoltare la suora. Questo, quando si facesse abitualmente, perché casualmente si può sempre approfittare delle occasioni per accostarsi al sacramento.
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Leggete [gli articoli] 179, 180, 181: sono tutti articoli che già mettete in pratica. A ogni modo, [come dice l'articolo 182], la confessione fatta a qualsiasi confessore approvato per le donne dall'Ordinario del luogo, e nelle diocesi generalmente i confessori sono approvati tanto per gli uomini che per le donne, «in qualunque chiesa od oratorio anche semipubblico, od in altro luogo legittimamente approvato per ascoltare le confessioni delle donne o delle religiose, è valida e lecita».
Quindi la suora può approfittare delle occasioni e la superiora non può ostacolare e neppure la suora è obbligata a rendere conto. Tuttavia l'uso di un confessore occasionale non può diventare abituale; bisogna allora che lo si notifichi all'Ordinario, il quale, se crede, darà la facoltà.
Art. 183. Le religiose non abusino della libertà concessa per il loro bene spirituale […].
Il bene spirituale è veramente lo scopo di questi canoni del Diritto canonico. Può essere invece, che si venga a inciampare proprio là dove si doveva ricavare un vantaggio, inciampare, perché il demonio è astuto, tanto astuto.
Riguardo alla confessione: non parlare del confessore.
Art. 184. A tutte le religiose è severamente proibito parlare tra loro del confessore e delle confessioni delle sorelle; né le suore si permettano giudizi di biasimo su quelle che, a norma degli articoli precedenti, si presentassero ad un confessore diverso da quello designato, oppure insinuazioni sulla durata o sulla frequenza della confessione […].
Su questo punto bisogna certamente richiamare tutte: «è proibito parlare tra loro».
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La confessione deve portare i frutti, e portare frutto dipende dalle disposizioni della persona che va a confessarsi. Quindi non sono le lungaggini al confessionale quelle che santificano. Se qualche volta si ha bisogno di un chiarimento, di una istruzione particolare, lo si farà negli Esercizi, oppure si possono consultare i libri di ascetica. Quando si parla spesso di confessioni e di confessore alla fine si perde un po' la stima. E allora vi sono confessori che non vogliono più accettare l'ufficio di ascoltare le suore, perché dicono: Quelle poi pronunciano, e magari con leggerezza, dei giudizi anche in tempo di ricreazione.
Altra avvertenza delle Costituzioni è al numero 186.
Art. 186. Le suore tengano presente che il confessore non può ingerirsi in alcuna maniera nel governo interno ed esterno della comunità. Perciò non trattino col confessore di cose che non riguardano la loro coscienza.
Col confessore parlino delle cose riguardanti la [loro] coscienza e non delle altre. In generale è meglio che il confessore, quando arriva, vada in chiesa, ascolti [le confessioni]. Lo si potrà servire di qualche rinfresco o del caffè, ma poi basta. Non trattenersi in discorsi che riguardino l'andamento interno o l'andamento esterno, anche per non suscitare in qualche sorella, il sospetto che il confessore si serva di quello che ha sentito.
Qualche volta è utile che la superiora sia la prima a confessarsi, altre volte invece è meglio che sia l'ultima: questo dipenderà dalla prudenza della superiora.
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Certamente nessuna suora può essere indotta a manifestare la sua coscienza alla superiora. Questo sarebbe cosa grave; tuttavia quanto più si ha confidenza, tanto meglio, si avrà più vantaggio. Le superiore conservino rigoroso segreto su quanto le suore hanno loro confidato. Rigoroso segreto! Alle volte [le suore] pretendono un segreto che non è ragionevole, perché se nella meditazione, nella istruzione, o nella conferenza si accenna a qualche difetto o abuso, qualcuna può sospettare: Ecco, è quello che ho confidato io. Ma se sono abusi o difetti ordinari in cui possono cadere tutte le persone, si possono trattare nelle conferenze. Se si parla della carità, avesse anche una suora confidato che commette mancanze di carità, non vuol dire che chi fa la conferenza, sia necessario che non tratti della carità o di mancanze ordinarie contro la carità. Non siano troppo esigenti. Ma la prudenza vuole che si dissimulino tante cose e molte cose si correggono coi principi generali, senza applicazioni particolari.
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Quale confessione? Generale, annuale, settimanale? Vi sono casi in cui la confessione generale è necessaria; altri in cui la confessione generale è di consiglio; altri ancora in cui la confessione generale è nociva, non conviene farla.
E la confessione annuale? Negli Esercizi giova quasi sempre [farla], eccetto [il caso di qualche persona] che vada soggetta a scrupoli; allora la confessione sarà anche soltanto settimanale. Ma in generale la confessione annuale va bene durante il corso degli Esercizi.
Quanto alla confessione settimanale già è stato detto; d'altra parte devono ridursi alla confessione settimanale tutte le persone che vanno soggette a disturbi continui, preoccupazioni per la vita passata.
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Il confessore
Il confessore, certamente, va scelto bene; il frutto però non dipende tanto dalla persona del confessore, ma dalla volontà del penitente. Siamo noi che dobbiamo confessarci, siamo noi che dobbiamo emendarci, che dobbiamo progredire. Si pensa che le esortazioni un po' vive portino frutto, e qualche volta ne portano, ma siano, in generale, piuttosto brevi, e non pretenderle. Quante volte è meglio che si dica una parola sola o anche che si faccia soltanto una correzione minima o nessuna, piuttosto che nel penitente si formi la persuasione che è il confessore che debba fare, e che la buona volontà debba mettergliela lui. La buona volontà deve venire dalle riflessioni, dalle meditazioni e dalla grazia di Dio. Quindi pregare.
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Disposizioni per una buona confessione
In generale la prima cosa da dirsi [nella confessione] è se si è progredito o no. Il riassunto di un anno ci renderà coscienti se si è fatto un vero progresso o non si è fatto, o anzi se si è andati indietro. È sempre utile, quando si viene agli Esercizi spirituali, vedere il complesso, l'andamento generale dell'anno con un esame più abbondante; generale: non intendo dire di tutta la vita, ma delle varie virtù, dei vari doveri che si hanno, degli uffici che si dovevano adempiere, ecc.; cioè su tutti i punti. In questo senso l'esame di coscienza generale.
In secondo luogo fermarsi più a lungo sul dolore eccitandosi al pentimento. I motivi del dolore possono essere molti. Se si tratta di peccati gravi, dobbiamo considerare il peccato sotto due aspetti, in quanto è offesa di Dio e in quanto è danno per l'anima. In ordine a Dio: la disobbedienza grave, l'ingratitudine grave; e per quel che riguarda noi, la perdita di molte grazie, la incorrispondenza alla vocazione; e poi i motivi legati all'amore: disgustare il Signore. Poi il danno che si riceve: il peccato grave priva dei meriti della vita passata e mette l'anima in uno stato in cui, anche [facendo] il bene, non guadagna meriti per la vita eterna. Perciò [fermarsi sui] motivi che sono in ordine a Dio, e sui motivi che sono in ordine all'anima. Quando si tratta invece di venialità, sappiamo con più facilità e comprendiamo meglio quale sia il danno per l'anima, il danno che il peccato veniale porta all'anima.
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IL DONO DELLA PIETÀ
Ora bisognerà che pensiamo a domandare al Signore il dono della pietà. Lo Spirito Santo comunica alle anime fra i suoi doni anche la pietà3. Che cosa intendiamo qui per pietà? Intendiamo quel dono di Dio per cui l'anima è sensibile al bene e al male; per cui gode di una comunicazione filiale con Dio, si eleva sempre di più nell'unione col Signore. Il dono della pietà ci fa considerare Dio non soltanto come creatore, ma come Padre, Padre che dobbiamo amare. Ci fa considerare Gesù Cristo non tanto come giudice, ma come il Salvatore, il Maestro. Ci fa considerare la Chiesa come madre, come società perfetta, di cui siamo membri. Il dono della pietà ci porta a vedere nelle persone che ci dirigono delle madri, persone mandate dal Signore per la nostra santificazione e per guidarci verso il cielo; e fa vedere nelle sorelle delle compagne di viaggio verso l'eternità, quindi [avere] una benevolenza continuata. Il dono della pietà ci porta all'amore di Maria; ci rende sensibili alle pene delle anime purganti; ci eccita all'amore, alla divozione a san Paolo, nostro maestro e padre. Il dono della pietà ci rende anche sensibili verso tutti quelli che soffrono, specialmente verso i peccatori, verso gli eretici, gli scismatici, verso le vocazioni, verso i bambini che sono in pericolo di cadere nel male, verso gli ammalati nel corpo e verso coloro che non vogliono ricevere i sacramenti, che non accettano il volere di Dio e non si preparano al passo ultimo. Il dono della pietà ci fa considerare l'Angelo custode come l'amico fedele che ci sta sempre vicino; quasi ci pare di vedere l'Angelo custode daccanto a noi, e ci viene spontaneo voltare la faccia verso destra per incontrare il suo volto. La conoscenza dell'Angelo custode, che fedelmente ci ha accompagnati giorno per giorno nella nostra vita, la faremo sulle porte del cielo.
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Intima comunicazione con Gesù
Venire a questa pietà saporosa, intima, affinché nelle adorazioni stabiliamo un colloquio con Gesù. Stupenda familiarità, un dolce parlare con Gesù, oppure secondo il libretto di sant'Alfonso: Del parlare familiare con Dio4. Anime che divengono tenere in amore verso il Bambino Gesù; che sentono le pene di Gesù, del suo cuore in mezzo a tanti mali, a tanti peccati, a tante offese che si fanno a Dio. Anime che, considerando le piaghe del Salvatore crocifisso, si commuovono, e quando vanno in Chiesa a parlare con Gesù si commuovono, si aprono e sentono Gesù.
Vi sono anime invece, che hanno una pietà sterile, fatta di formule, senza [avvertire] un sentimento, un'impressione utile e, possiamo dire, senza quell'impressione profonda, che stando in chiesa un'ora, bisogna pure che finiamo col sentirla in noi, almeno in qualche maniera, in qualche misura.
Chiedere il dono della pietà che è più che le pratiche [di pietà]. La pietà, come dono, accompagna poi sempre la persona nella giornata: di tanto in tanto la persona si volge a Gesù. Se c'è un quadro, se c'è il crocifisso, se c'è una piccola immagine sul tavolino, se c'è una statua, se si vede una chiesa di lontano, se si sente la campana della chiesa che dà qualche segnale, l'anima si eleva, sente che al di là della vita presente ci sono quei beati, quei santi, quegli angeli che ci attendono, ci guardano, ci incoraggiano e pregano per noi.
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Avere il dono della pietà, un cuore conformato all'amore a Gesù. A che punto siamo? Se si è troppo assorbite dalle occupazioni esterne, difficilmente si acquista il dono della pietà. Si reciteranno forse le formule, si faranno le pratiche di pietà con una certa esteriorità. Occorre allora che progrediamo in questo. E non è sempre la preoccupazione, che tante volte è ancora il minor male, a renderci così un po' sterili nella nostra pietà; alle volte è il dominio di qualche passione che abbiamo dentro: l'orgoglio, l'invidia, la indocilità alle disposizioni. Quando c'è un attaccamento a qualche cosa, anche se non si sa se sia tale da poter dire che l'animo sia distaccato da Dio, forse il vincolo con Dio si è rallentato, forse la professione non si sente più come si sentiva il giorno in cui si è emessa. Questo è peggio! Lo stato di indifferenza o di orgoglio, di invidia, di attaccamenti, di insubordinazioni, di schiavitù del corpo, dell'egoismo, questi stati sono molto peggiori che non lo stato di una persona che eccede un po' nelle preoccupazioni. Questa persona intanto è preoccupata per qualcosa di buono, mentre l'altra è preoccupata per cose che non sono buone, neanche in sé.
Vediamo allora a che punto di comunicazione con Dio, [siamo]; vediamo se approfittiamo delle occasioni per rinvigorire la pietà come il Natale, la Settimana santa, il mese di maggio, la Pentecoste, l'Assunzione di Maria al cielo, l'Immacolata, la Quaresima; poi le feste dell'Istituto: Divin Maestro, la conversione di san Paolo, i santi Apostoli Pietro e Paolo, e la Regina Apostolorum; il mese di ottobre col rosario; il mese di novembre per i defunti, ecc.
Prendiamo occasione [da tutto] per rinvigorire la nostra pietà, per chiedere il dono della pietà, per eccitarlo in noi: «Donum gratiae et precum: dono della grazia e della preghiera». Allora la vita spirituale migliorerà, perché questa segue lo spirito di orazione. La vera pietà porta alla vita di perfezione. Sia lodato Gesù Cristo.
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* 19. Ariccia, 24 maggio 1961. Reg.: A6/an 116a = ac 185b. Stampato in SdC, pp. 178-186. Il titolo della registrazione è: “La confessione”.
1 Nella descrizione dei gradi dell'obbedienza si sente la risonanza della dottrina di san Francesco di Sales, Trattato dell'amore di Dio, Libro VIII, IX.
2 La voce dice: «Le regole che vi sono qui».
3 Cf A. Tanquerey, Compendio di teologia ascetica e mistica, ed. cit., nn. 1325-1327.
4 Cf Sant'Alfonso M. de' Liguori, Modo di conversare continuamente alla familiare con Dio (1754), stampato in Le opere spirituali, PSSP, Alba-Roma 1934, pp. 345-383.