50. L’UNICA CARITÀ: AMARE DIO E IL PROSSIMO
Più si ama il Signore, più l’apostolato è fecondo
Domenica XVII dopo Pentecoste, Meditazione, Torino (SAIE), 7 ottobre 19621
Il Vangelo di quest’oggi ci parla della carità, la doppia carità, cioè la carità verso Dio e la carità verso il prossimo, che poi, tuttavia, in fondo sono un’unica carità, perché Dio lo si ama per se stesso e il prossimo si ama per amore a Dio. Dice il Vangelo:
«I farisei si accostarono a Gesù, e uno di essi, dottore in legge, volle metterlo alla prova: Maestro, qual è il comandamento più importante della legge? Gesù gli rispose: Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua mente. Questo è il primo e il massimo comandamento. Ma ce n’è un altro, il quale è simile a questo: amerai il prossimo tuo come te stesso. Questi due comandamenti riassumono tutta la legge e i profeti. Poi Gesù approfittò dell’occasione per interrogare i farisei: Che vi pare del Cristo? di chi è figlio? Gli rispondono: Di Davide. Ed egli: Come mai Davide, ispirato da Dio, lo chiama Signore, dicendo: Il Signore ha detto al mio Signore: Siedi alla mia destra fino a che non metto i nemici tuoi come sgabello ai piedi? Se dunque Davide lo chiama Signore, come può essere il suo figlio? Nessuno seppe rispondergli, e da quel giorno non osarono più interrogarlo»2.
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E cioè i nemici di Gesù, i nemici della sua predicazione cercavano di confondere Gesù, confutare Gesù, e furono essi confusi. Perché uno domanda, uno di loro, farisei dottori in legge, cioè quelli che conoscevano di più la legge di Dio, la legge mosaica: Qual è il massimo comandamento?. E Gesù risponde: Il primo e massimo comandamento è l’amore a Dio. Amerai il Signore Dio tuo con tutta la tua anima, con tutta la tua mente, con tutto il tuo cuore; e poi aggiunse, Gesù, quello che non domandavano e non aveva domandato il dottore della legge: quale era il secondo comandamento, allora. Ma Gesù lo ricordò: Vi è un altro comandamento, il quale è simile al primo: Amerai il prossimo tuo come te stesso. Oh, ecco, Gesù aggiunse che tutta la legge, tutti i comandamenti che abbiamo, tutte le cose che dobbiamo fare, che sono prescritte, si riassumono in quei due comandamenti: amerai il Signore Dio tuo con tutta la mente, con tutto il cuore, con tutte le forze, e il prossimo tuo come te stesso.
Molte anime si affaticano… e fan consistere l’amore a Dio e al prossimo in tante cosette: magari amor di Dio con certe dolcezze che sentono in certi momenti; l’amore al prossimo quando vogliono bene a qualcheduno ma non pensano a tutti gli altri, e non amano quelli che non son simpatici, ad esempio. Amerai il prossimo tuo come te stesso. Dunque, l’amore a Dio. L’amore a Dio consiste nella piena conformità al suo volere. Conformità al volere di Dio che si mostra con il continuato ed esatto compimento dei doveri di stato3. Poi, il prossimo tuo come te stesso: cioè quello che desideri per te, desideralo anche al prossimo; quello che chiedi per te al Signore, chiedilo anche per il4 prossimo; e non fare al prossimo ciò che non vorresti fatto a te stesso, ecco.
Allora qui c’è l’amor di Dio e l’amore al prossimo. L’amore a Dio per noi: se amiamo Dio davvero; l’amore al prossimo che deriva dall’amore a Dio… l’amore al prossimo specialmente si mostra nell’apostolato.
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L’amore a Dio, e cioè seguire il Signore. L’amore a Dio: le pratiche di pietà, le meditazioni, la preghiera del mattino, la preghiera dell’adorazione, la preghiera della sera; specialmente poi, dopo la meditazione, fare quel che il Signore vuole. Amore a Dio, cioè il paradiso: essere totalmente di Dio, per essere totalmente di Dio in paradiso e beati. Ciò che vuole il Signore: perché ci ha creati proprio per la felicità eterna, e vuole che la meritiamo, ma ci ha creati per la felicità eterna… l’amore a Dio.
Allora lì ci sarebbe la vita contemplativa. Come? Anime che si consacrano a Dio e spendono le loro giornate in meditazioni, in preghiera, nella recita dell’Ufficio o canto dell’Ufficio, e le altre orazioni che fanno; e poi i sacrifici: quindi la vita penitenziale. Oh, la vita contemplativa così è buona, santa, e per sé avrebbe una superiorità. Ma vi è un secondo comandamento: il prossimo tuo come te stesso. E allora, se si ama il Signore, se si meditano le cose divine, se si prega, se si tiene il cuore unito a Dio: questo è santo… ma se si ama davvero il Signore, si desidera che il Signore sia conosciuto da tutti e sia amato da tutti, e che gli uomini lo lodino e che non facciano i peccati, non offendano il Signore.
Perciò Gesù, interrogato sulla preghiera, rispose: Pregate così: Padre nostro che sei nei cieli… non ha detto: Padre mio che sei nei cieli ma Padre nostro, cioè pensare agli altri; e sia santificato il tuo nome: sì, sia lode a Dio; ma poi subito venga il tuo regno, cioè che le anime siano sulla via della salvezza, che le anime si santifichino: venga il tuo regno; e che gli uomini facciano la volontà di Dio, quindi la salvezza; e poi che tutti abbiano il pane quotidiano… sempre si domanda in numero plurale [cf Mt 6,9-11; Lc 11,1-3]. Vuol dire che Gesù vuole che preghiamo, ma preghiamo per tutti, e cioè che domandiamo a Dio gli stessi beni per il prossimo, gli stessi beni che chiediamo per noi. C’è questo cuore? Dall’amore a Dio viene l’amore al prossimo, quindi l’apostolato, che può esser di riparazione, può esser di preghiera, può esser di buon esempio, può esser l’apostolato della sofferenza, la parola buona che si dice, l’apostolato delle edizioni, l’apostolato vario nelle
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forme che si presentano, ad esempio il catechismo, e poi il soccorrere il prossimo, per esempio gli ammalati, eccetera.
Oh! Allora come si fa e da che cosa si parte per arrivare all’apostolato? Dall’amore a Dio.
Si vorrebbe che non fosse offeso e si riparano le offese da buoni figlioli, le offese fatte al Padre celeste, e da buoni figlioli cerchiamo di consolare Gesù, consolare la Chiesa, consolare il Signore Padre celeste per i grandi e innumerevoli peccati che si commettono. E poi cercare che il Signore sia amato, sia conosciuto, amato e servito, e che così gli uomini arrivino a salvezza.
Così l’apostolato deve nascere dall’amore a Gesù, a Dio. Quando si ama il Signore, si ama veramente il Signore, allora viene l’apostolato… viene l’apostolato che deriva dall’amor di Dio: e più un’anima ama il Signore e più è feconda, attiva, producente nell’apostolato. Gente che è tiepida, gente che non ha neppur cura dell’anima propria, come pensate che voglia provvedere, aiutare il prossimo? È egoista anzi, non cerca che l’amor proprio, che la propria soddisfazione.
Oh, poi bisogna sempre che noi prima facciamo la preghiera, cioè l’amore a Dio. E se uno si dona, dona, dona… largamente, e dimentica l’esame di coscienza suo e la meditazione e la preghiera e l’unione con Dio e il compier la volontà di Dio e la dolcezza e l’obbedienza e il distacco dalle cose della terra, eccetera, e amare con tutto il cuore come anime consecrate a Dio…, allora, ecco, se prima si fa questo, cioè si pensa all’anima nostra, allora viene l’apostolato: pensare alle anime altrui. Ma prima dobbiamo essere nutriti noi! Se invece si lascia da parte la cura di noi stessi: falso apostolato, il quale poi non è efficace.
Perché quando è che l’apostolato è efficace? Il correre, il venire, il fare, il muoversi, eccetera… così come una passione di agitarsi, di muoversi, allora, poco o niente produce; e se produce qualche frutto lì immediato che è esterno, poi non dura. Noi dobbiamo portare Gesù Cristo quando l’abbiamo noi, nel cuore, e sentiamo di far piacere a Gesù se gli portiamo le anime: vogliamo cioè illuminarle, portarle all’amore
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a Gesù, al servizio a Dio, alla salvezza eterna! Allora vi è la vita contemplativa e attiva insieme, mista; e questa, san Tommaso dice, è più perfetta5. Quindi se preferite una vita non solo di contemplazione, come clausura, ma insieme di attività apostolica, allora è più completo, il merito è più grande. Quindi Gesù dice: Ama il prossimo tuo come te stesso.
Però, se si vuole avere una carità perfetta verso gli altri anche, un amore perfetto, bisogna ricordare ciò che Gesù ha detto. Lì, nel Vangelo di oggi ricorda la legge antica - il prossimo tuo come te stesso -, ma nella legge nuova Gesù aggiunge qualcosa di più: «Ut diligatis invicem, sicut ego dilexi vos» [cf Gv 15,12], affinché vi amiate come io vi ho amato; come io vi amo, amare vicendevolmente, amarsi vicendevolmente. Solo come prossimo? Più del prossimo. Non solo come noi stessi. Gesù ci ha amato solo come se stesso? E non sarebbe andato a morire per noi! Vedete che amore ha portato Gesù a noi: si è offerto vittima… e vi sono anime che si offrono vittime sinceramente, amano cioè piuttosto patire purché [altre] anime non pecchino e non si perdano, purché Gesù sia consolato e non sia più offeso: anime vittime e vittime per la salvezza dei peccatori, vittime per gli atei, vittime per coloro che non credono, per certe categorie di persone che hanno bisogno speciale di preghiera… vittime. Oh, più di noi stessi!
Amare il prossimo più di noi, cioè come ci ha amati Gesù, nelle cose piccole: e tu dai la precedenza al fratello, alla sorella, e gli dai la destra, sì, quello è già un segno… ma se lo fai per amor di Dio, non solamente come una gentilezza umana.
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E se siete a tavola, si ha riguardo anche per l’altro che ha da servirsi, anzi lo si preferisce, l’altro! Così, se c’è da prendersi un torto, prendercelo piuttosto noi. Così anche proprio fare qualche sacrificio per aiutare le anime; non solamente pensare alla nostra, ma proprio, dopo magari che siam già stanchi, avere ancora delle forze per gli altri; e anche se siamo malati e gravi, ecco, diamo al prossimo ciò che possiamo portare, cioè la nostra sofferenza.
Amare più di noi stessi, notando che Gesù non ci ha amato perché noi lo amavamo… ma ci ha amato prima lui! Persone che amano solamente se l’altro dimostra affetto, stima, eccetera… se dall’altro si aspetta qualche beneficio o ci piace perché è simpatico. Eh, la peste della simpatia è proprio quella che si oppone di più alla carità, come l’altra peste è l’antipatia. Amare per il Signore, non per noi stessi!
Dobbiamo ricordarci di questo, se vogliamo che l’amore sia amor di Dio, ecco: dobbiamo veramente amare il prossimo per Dio, per la salvezza delle anime, cioè perché lodino Dio e perché non si offenda Dio.
Oh! Quest’oggi dunque chiedere soprattutto la carità verso Dio e insieme la carità verso il prossimo. Consecrare l’apostolato al Signore, fare l’apostolato perché non si offenda più Dio, perché Dio sia amato, conosciuto, servito bene, e perché tutte le anime vadano in paradiso. È fare qualche privazione, qualche sacrificio, qualche immolazione del nostro amor proprio… E invece che cosa sono quelle invidie, quelle maldicenze? Non è amor di Dio! È amore a che cosa? Amore [di] egoismo e, in sostanza, è offendere ancora Dio! Anime che non solo non amano, ma offendono ancora Dio, e con i cattivi esempi portano ancora altri a commettere i peccati. Esempi buoni, parole buone, saper soffrire, saper pregare, sapere tacere qualche parola, sapere aiutare, consolare… tutte le opere di carità spirituale e carità corporale.
Chiedere quest’oggi il vero amore a Dio e lo spirito vero dell’apostolato.
Sia lodato Gesù Cristo.
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1 Nastro originale 139/62 (Nastro archivio 128b. Cassetta 128, lato 2. File audio AP 128b). Titolo Cassetta: “I due comandamenti della carità”. Dal tono del discorso, sembra che la meditazione sia rivolta anche alle ragazze. Effettivamente, quel giorno il PM predicò il ritiro alle ragazze.
2 Vangelo: Mt 22,34-46. Il PM lo cita e lo commenta all’interno della meditazione.
3 Vedi pp. 201, nota 3; 268, nota 6.
4 Il PM dice: anche al.
5 Secondo san Tommaso, «si deve notare che le opere della vita attiva sono di due generi. Le une derivano dalla pienezza della contemplazione, come l‘insegnamento e la predicazione. Per cui anche san Gregorio affermava (nell’Omelia 5, su Ezechiele), che “le parole della Scrittura: Diffondono il ricordo della tua bontà immensa [Sal 145,7], si riferiscono ai perfetti che tornano dalla contemplazione”. E ciò è da preferirsi alla semplice contemplazione. Come infatti illuminare è più che risplendere soltanto, così comunicare agli altri le verità contemplate è più che contemplare soltanto. […] Così dunque il primo posto fra gli istituti religiosi spetta a quelli che sono ordinati all’insegnamento e alla predicazione. […] Il secondo posto spetta invece agli ordini consacrati alla contemplazione. Il terzo infine a quelli che si dedicano alle occupazioni esteriori» (TOMMASO D’AQUINO, Summa Theologiae, II, II, q. 188, a. 6, c. Cf anche II, II, q. 182).