II
LE DUE ROTAIE SU CUI DEVE SCORRERE LA NOSTRA VITA
[33] Dice S. Paolo che nostro Signor Gesù Cristo è venuto su questa terra per salvare tutti i peccatori, anzi di questi egli si confessava il più grande1. Ecco il fondamento della nostra speranza: perché questa è parola di verità degna, degnissima di essere creduta. Una ferma speranza ci salverà, ci aprirà le porte del cielo e ci darà la salvezza eterna.
E il Crocifisso è la grande speranza, indefettibile speranza; quando saremo in punto di morte, allora sì che faremo gran conto dei meriti!... Lasciando da parte medici e medicine poiché ormai impotenti, l'oggetto più bramato, più caro al nostro cuore sarà il Crocifisso. Noi, chiudendo gli occhi a tutto, lo cercheremo per stampare ancora un bacio su quelle piaghe che sono | [34] il valore dei nostri meriti, su quella corona di spine che segna i dolori con cui egli ci ha redenti.
Ecco le due rotaie su cui deve scorrere la nostra vita: diffidenza di noi, timore dei nostri peccati e confidenza illimitata, che supera il timore, nelle piaghe e nei dolori di Gesù. Queste due disposizioni sono le migliori anche per la confessione.
Stamattina ci fermiamo qui sopra.
Il Signore Gesù nella sua vita, ha tante volte condannato la fiducia nella nostra giustizia e sempre ha raccomandato l'umiltà con la fiducia nei suoi meriti, anzi, dicono i commentatori di S. Paolo che in ciò consiste tutta la teologia paolina: diffidare di noi e confidare in Dio che è il nostro tutto. Andavano a Gesù i superbi farisei ed egli li rimproverava per i loro inganni dicendo: «Non fate le vostre opere buone alla presenza degli uomini per essere da loro veduti; quando pregate procurate di stare da soli e il Padre celeste che vede nel segreto vi ascolterà. Guardatevi dal fare il bene per essere stimati: agite dinanzi a Dio»2.
Chi è dunque che ottiene il perdono dei peccati? Consideriamo il Vangelo, il grande libro della verità.
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Si presentò a Gesù quella povera samaritana che aveva condotto una vita disordinatissima. Gesù le disse: «Conduci tuo marito». Ed essa: «Non ho marito». E Gesù: «Hai detto bene perché ne hai cinque»3. La poveretta arrossì fino alla radice dei capelli e si umiliò dinanzi a Gesù. Ella umiliandosi riconobbe Dio in Gesù Cristo, detestò la sua vita, divenne un'apostola | [35] di Gesù, ottenne la sua vera conversione. Ma perché? Perché si umiliò.
Prendiamo l'adultera: fu colta in fallo e i farisei ipocriti dissero a Gesù: «Mosé comanda che questa sorta di persone vengano lapidate e tu che dici?». La donna intanto, umiliata, stava a capo chino. Gesù non rispose ma scrisse in terra col dito. Gli altri allora replicarono e Gesù disse: «Chi di voi è senza peccato scagli la prima pietra». A queste parole, uno ad uno, gli accusatori si allontanarono.
Gesù allora, voltosi alla donna: «Qualcuno ti ha condannata?». Ed essa: «No». E Gesù: «Va' e non peccar più»4.
Ancora: Zaccheo era ricco, ma si era abusato del suo potere a danno dei poveri. Un giorno, sentendo che Gesù passava, volle vederlo e per riuscirvi s'arrampicò su di una pianta. Zaccheo era fra i rami quando Gesù guardò in su. Zaccheo si vide scoperto, ma il Signore gli disse subito: «Fa' presto, cala giù perché quest'oggi voglio venire a pranzo in casa tua».
Zaccheo discese in fretta tutto mortificato, accompagnò il Signore a casa sua e fece imbandire la mensa. Durante il pranzo Gesù gli diede qualche sguardo e l'altro comprese, finché, colpito dalla grazia, esclamò: «Signore, se ho rubato, voglio restituire il quadruplo. E di ciò che mi rimane voglio darne la metà ai poveri». Gesù allora non gli disse: Ne hai fatte troppe, non meriti perdono; no, ma bensì: «Oggi in questa casa è entrata la salute»5.
Zaccheo divenne un fervoroso discepolo di Gesù e menò una vita tutta diversa da quella che aveva condotto sino allora.
| [36] Vi fu ancora Matteo il pubblicano: i pubblicani erano peccatori. Egli era anche gabelliere, ossia di quelli che riscuotevano
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le imposte e succhiavano danaro a più non posso. Questa gente era odiata da tutti. Gesù, passando, lo vide nel suo "ciabot"6 di legno ove esigeva con prepotenza le tasse e gli disse: «Matteo, vieni e seguimi»7. L'altro abbassò il capo, chiese perdono dei peccati, si mise alla sequela del Salvatore e divenne apostolo ed evangelista. Ecco dunque che quando ci umiliamo e cominciamo a confidare otteniamo tutto.
È necessario aver fiducia nella misericordia di Dio!
Abbiamo ancora la parabola del fariseo e del pubblicano. Il fariseo, pieno di sé, andò davanti all'altare e pregò dicendo: «Signore, ti ringrazio che io non sono come gli altri: bugiardi, adulteri…» ecc. Poveretto, nella sua superbia si riportò a casa i suoi peccati. Invece il pubblicano, che dal fondo del tempio si batteva il petto dicendo: «Signore, abbiate pietà di me, povero peccatore!» uscì di chiesa giustificato. «Chi si umilia sarà esaltato»8. Vi era una donna che si vantava delle sue elemosine, delle sue lunghe preghiere e sentenziava sugli altri; e il vicino, da lei tanto criticato, ammalatosi, si umiliò parecchio, sebbene fosse sempre stato buono e morì con le più sante disposizioni.
Quante volte la nostra superbia c'impedisce di ricevere le grazie! Essere vestite da suore vuol forse dire di aver già la tessera del Paradiso?
Oh, non confidiamo tanto in noi! Essere venuti in religione vuol dire:
| [37] 1) Ricevere tante grazie, ma se non le prendiamo da Gesù egli non ce le darà. Quante volte una madre di famiglia prega poco perché non può, ma lo fa con tanto fervore e supplisce così alle lunghe preghiere.
2) Significa aver più obblighi fra cui, principali, le obbligazioni dei voti. Ora, amiamo noi questi nostri doveri?
3) Essere suore vuol anche dire avere un giudizio più severo e S. Gregorio9 avverte che chi ha ricevuto da Dio di più, dovrà rendere più conto. Bisogna dunque che vigiliamo perché i nostri doveri dinanzi a Dio sono tanti e poi noi non conosciamo
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bene il da farsi: è quindi necessario che togliendo la fiducia in noi stessi, la mettiamo tutta in Dio.
Veniamo ora alla parabola del figliuol prodigo. Volendo sfuggire la vigilanza paterna egli si fece dare la parte dei beni che gli aspettava e andò lontano. Abbandonatosi poi ai vizi, consumò in breve tempo quanto aveva portato con sé e per sfamarsi dovette mettersi al servizio di un povero contadino il quale avendo in campagna una mandra di porci lo mandò a custodirli. Egli, allora, trovandosi in tanta abiezione pensò: In casa del padre mio i servi hanno il pane ed io, che sono il figlio, muoio di fame e debbo saziarmi colle ghiande destinate agli animali? Ecco l'umiliazione. Si guardava gli abiti laceri che portava indosso, i piedi sporchi, le mani dimagrite che un giorno avevano portato tanti anelli e finì col decidere: «Andrò da mio padre, gli dirò che non sono più degno d'essere chiamato suo figlio...»10. Questa fiducia unita all'umiliazione fu la sua | [38] salvezza. Ritornò infatti a casa e il padre, senza muovergli dei rimbrotti, lo riammise alla sua mensa ed ordinò le vesti più belle, calzari ed anelli perché quel figliuolo si era perduto ed ora si era ritrovato. Che cosa notiamo in questa parabola? Noi vi notiamo l'umiliazione del figlio e la fiducia nel padre. Le medesime disposizioni sono necessarie a noi che abbiamo peccato: umiltà e molta fiducia nel cuore di Gesù.
S. Paolo diceva: «Io sono il più gran peccatore»11 e perciò divenne il primo apostolo e lavorò più di tutti. Più tardi lo riconobbe, ma subito soggiunse: «Non io, ma la grazia di Dio»12.
E così potremmo ricordare la Maddalena: oh, quanto pianse! Colle sue lacrime ella lavò i piedi del Salvatore. E Gesù ne prese le difese dinanzi a chi l'offendeva, la perdonò e la favorì con grazie particolarissime13.
Modello delle penitenti, ella divenne anche modello di molte religiose, perché fece una vita penitente.
Entriamo un momento in noi stessi ed abbiamo una grande paura della nostra superbia che sarebbe il confidare in noi;
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aggiungiamo una fiducia illimitata e irremovibile in Gesù Cristo.
La superbia: 1) è la nemica delle confessioni vere. Vogliono prepararsi alla confessione e poi pensano solo a ciò che han da dire: no, bisogna pregare. La superbia c'impedisce di conoscere noi stessi. A volte i nostri difetti sono così chiari che tutti ne parlano e a noi pare quasi quasi di essere persone degne di essere stimate da più degli altri.
Il superbo sa coprire bene | [39] le proprie mancanze e la superbia acceca prima la mente, poi il cuore. Tutto le sembra lecito; magari di vita religiosa ne fa ben poca, ma ha sempre mille ragioni per iscusarsi. Vigiliamo dunque per non arrivare ad avere il cuore indurito.
2) Impedisce il buon frutto dell'esame perché impedisce il dolore dei peccati. Il superbo, alle volte, rimane indifferente dinanzi a certe cose che persone delicate piangono come gravi mancanze. Che cosa pensiamo noi che talora sconfiniamo senz'altro dalla semplice venialità? Sentii una volta la frase: Io mi butto in mare!. Ma questo è peccato grave ed è di scandalo! Vedete? Chi è delicato scopre il male dove altri non trovano neppure l'imperfezione.
Il superbo non porta alle confessioni neppure il dolore sufficiente e ripete sempre le stesse cose, ma senza pentimento. La superbia impedisce anche l'accusa sincera. Si è fatto un peccato e si vorrebbe cambiar confessore. Ma è proprio il caso di tornare dal solito? Il superbo sfugge la vergogna di accusarsi; quando dice qualcosa fa attenzione a scusarsi e ad aggiustare. Se commette una mancanza ha da accusare sorelle e superiori. Ma perché gettare la colpa sui superiori? A me non l'hanno detto. Ma se nelle prediche l'hanno detto tante volte! Il superbo in confessione vuole fare una conversazione. Usciamo una volta dalle nostre illusioni! S. Pietro diceva: «Signore, non son degno di starti vicino»14. E noi non saremmo neppur degni di andare alla confessione!
| [40] Due sono dunque le rotaie su cui deve scorrere la nostra vita: la diffidenza di noi e la confidenza in Dio.
Ci siano scolpite in cuore le parole di S. Filippo: «Sono disperato di me, ma confido nel Signore». Speriamo più di quanto disperiamo!
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1 Cf 1Tm 1,15.
2 Cf Mt 6,1. 6.
3 Cf Gv 4,16-17.
4 Cf Gv 8,4-11.
5 Cf Lc 19,5.8-9.
6 Espressione piemontese, in questo caso corrisponde a “cabina”.
7 Cf Mt 9,9.
8 Cf Lc 18,11.13-14.
9 Gregorio Magno, (ca. 540-604) romano, papa dal 590. Padre e dottore della Chiesa. Regolò il canto liturgico e scrisse molti commenti alla Sacra Scrittura, la "Regola pastorale" e la vita di San Benedetto.
10 Cf Lc 15,18-39.
11 Cf 1 Tm 1,15.
12 Cf 1Cor 15,10.
13 Cf Lc 7,44-48.
14 Cf Lc 5,8.