Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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8. FINE DELL'UOMO *

Siamo già al secondo ritiro, quello di febbraio. Ecco come passano veloci i giorni, è trascorso un mese del nuovo anno e non sappiamo quasi come. I giorni passano, ma restano, eccome! Sì, passano e si succedono ore, giorni, mesi ed anni, ma tutto resta, tutto ciò che facciamo rimane come scritto in un libro, come fotografato su una lastra, dipinto su una tela. Noi stesse ci facciamo l'ignominia o la gloria per tutta l'eternità. Tutto rimane. Quella fanciulla che dai sette anni in avanti fu sempre buona, ubbidiente, docile, sempre ha scritto 'bella' la sua vita che leggeremo per tutta l'eternità. Ma anche la vita di quella cattiva, disobbediente, è pure scritta e la leggeremo eternamente. Ma la confessione non cancella tutto? Sì, ciò dimostra e dimostrerà che Gesù lava tutto col suo preziosissimo sangue, tuttavia lo scritto rimane. Vi fu una serie di buone azioni, sante preghiere, Comunioni, ecc.; ebbene tutto è scritto là e molto ben scritto, perché sono notati tutti i pensieri, i sentimenti, gli affetti, le parole, anche le cose più intime ed occulte. Siamo noi che ci facciamo la vita. Passano i giorni, e sono imputati. Ecco, ci sarà detto: Tu in quel giorno hai compiuto la tal azione, fatto la tal mancanza, in quella notte hai avuto quel desiderio, in quel momento hai avuto il tal pensiero, ecc. Tutto rimarrà in eterno; e anche presentemente ci passa davanti quella tela su cui noi scriviamo, o meglio che il nostro angelo custode scrive. Questo è il pensiero che ci fa tremare se cattivi, gioire se buoni. Non si dica mai: Nessuno mi vede, nessuno ha visto, ha sentito, ecc. Non facciamoci questa illusione, perché tutto è notato e al giudizio lo sapranno tutti. Tutto il mondo vedrà, i nostri atti ci staranno davanti.
Guardiamo sempre avanti, al fine dell'uomo, perché non vi è sicurezza che sia troppa quando si tratta di eternità. E consideriamo:

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[I. Perché sono creato]

[1.] Perché sono creato? Cerchiamo di penetrare la domanda. Ecco io cento anni fa non c'ero e tutto andava bene senza di me, nessuno mi sospirava né desiderava. Non si parlava di me. In cielo erano tutti ugualmente beati. Sulla terra le cose procedevano bene senza bisogno di me. Ma ecco che per un tratto particolare di bontà e misericordia il Signore posò lo sguardo sul mio nulla e mi creò. Ed ora ci sono, ma ci starò tanto poco. Se osserviamo un orologio, quanto impiega la lancetta a girare sul quadrante? Un minutino. E che è, di fronte alle ventiquattro ore della giornata? È nulla. Così è la nostra vita di fronte all'eternità, anzi ancor meno perché l'eternità è immensa, infinita. Dunque io vivo poco, fra un po' non ci sarò più. È la nave che passa e lascia un piccolo segno nel mare che in breve scompare. Passo nel cortile e lascio l'impronta di una pedata, ma ecco si corre, si gioca, passano altri e la pedata scompare. Si passa, fra poco scomparirò, sarò nell'eternità. Ma perché il Signore mi ha messo in questo poco di tempo? Che devo fare? Oh, anima! Dio non aveva bisogno di te, ma ti ha messa qui per un po' di tempo affinché tu pensassi a conoscerlo, amarlo e servirlo, salvarti e andare a goderlo per sempre. Ecco tutto: dare gloria a Dio sulla terra per glorificarlo eternamente in cielo. Solo per questo io sono sulla terra.

2. Il Signore è padre amorosissimo, ed egli vuole avere attorno alla sua mensa celeste in paradiso tanti che partecipino alla sua gioia.
Quando un padre vuole fare una bella festa, scrive una lettera a tutti i figli lontani e dice: Venite a casa che voglio passare un giorno bello in vostra compagnia, stare un po' di tempo seduto con voi; venite presto.
Così il Padre celeste ha chiamato i figli, che non sono [presenti], affinché vadano a sedere con lui alla mensa. Siamo chiamati per quello. Anche noi abbiamo ricevuto l'invito, la lettera, quando dal parroco imparammo quella domanda di catechismo: Perché Dio ci ha creati? Per conoscerlo, amarlo, e servirlo sulla terra e goderlo in paradiso. Io sono qui per questo. Questo è il mio fine. Figliuola, sei chiamata lassù, sei qui per conoscere, amare Dio e servirlo, non per godere, non per scapricciarti, per
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far soldi, essere ammirata, onorata, ecc., non sei neppure qui per istruirti, per farti buona, sei qui solo per amare il Signore e goderlo nell'eternità. Ecco il tuo fine. Perché dunque tante vanità, e seguire il mondo bugiardo e mendace? Guardiamo lassù, volgiamo gli occhi al cielo, là c'invita Gesù. Non a divertimenti, mollezze, onori, sentimentalità, simpatie, ecc., ma al cielo, al cielo. Desideriamo e aspiriamo al cielo e cantiamo con cuore: Al ciel, al ciel...1
Siamo in prova. Anche Adamo fu messo nel paradiso terrestre in prova, ma non fu fedele. Avrebbe meritato tanto bene, la conferma in grazia, invece cadde e si rovinò. Gli angeli pure furono sottoposti alla prova, potevano essere fedeli ed entrare in cielo per sempre. Alcuni con S. Michele lo furono, altri con Lucifero caddero e furono precipitati nell'inferno.
Così siamo noi. Siamone certe, ci saranno sempre dieci vergini, cinque prudenti e cinque stolte. Passeranno un'infinità di giovani, ma osserviamo e vigiliamo perché ci saranno sempre le cinque stolte che daranno cattivi esempi e dormiranno e le cinque prudenti che faranno bene e ameranno tanto il Signore. Ci saranno quelli che seguiranno Lucifero, ma ne troveremo anche di quelli che entreranno in cielo. Non guardiamoci attorno, ma facciamo bene.
«Fecisti nos, Domine, ad te: O Signore ci hai fatto per te»2. Osserviamo S. Francesco d'Assisi3 che in punto di morte va esclamando: Mi aspettano i giusti in cielo e lassù Gesù mi ricompenserà. Siamo per il cielo e quindi concludiamo: Nessuna previdenza è troppa per l'eternità. Pensiamo che lassù dovremo stare per sempre. Speriamo fortemente e sinceramente perché sulla terra siamo solo per salvarci; e se invece ci danniamo?

3. È facile salvarsi? È facile perdersi? Se ne salvano molti o pochi? Ecco, sulla terra vi è un numero immenso di pericoli, chi si mette dentro è facile che si danni. Sulla terra vi è un numero immenso di mezzi di salvezza e chi vi si attacca con forza è
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facile che si salvi.
Attacchiamoci bene ai mezzi e non diciamo mai basta. Allontaniamo i pericoli e temiamoli. Così temendo i pericoli e prendendo i mezzi ci salveremo.
Sono tanti i pericoli? Sì.
a) Anzitutto siamo noi stessi che portiamo con noi un esercito di passioni: lussuria, avarizia, superbia, vanità, ecc., che continuamente ci molestano e ci stancano. Questo è il più grande pericolo e lo portiamo sempre con noi. Se Adamo stesso con tanta grazia, luce e aiuto è caduto, figuriamoci come è facile per noi il cadere, mentre siamo così deboli ed aggravati dal peccato originale! Basta un solo pensiero.
b) Inoltre abbiamo un pericolo nel mondo, e cioè nelle persone e nelle massime del mondo. Le persone: talvolta sono gli stessi parenti, sono amici, conoscenti, e sono tutti quelli che con le loro vanità, atteggiamenti, parole, ecc., attirano gli altri mettendoli nel male.
Le massime: quante massime mondane! Se ne sentono da tutti, e spesso anche nella nostra parentela: parole vane di mondo, di terra, interessi, ecc. Cose tutte che rendono indifferenti, freddi, buttano nella tiepidezza, tolgono la speranza del cielo e creano una specie di teologia propria, arbitraria, di nessuna approvazione e adottata da tanti. Dal mondo si porta mondanità.
Si ha un pericolo grande negli ambienti, nei libri, discorsi, parole, atti, modi di trattare, relazioni con gli uomini, modi di vestire, inviti, esempi, ecc.
c) E ancora abbiamo un pericolo nel «demonio che circola continuamente cercando anime da divorare»4, come ci dice S. Pietro. State attenti perché il demonio giorno e notte desta fantasie sciocche e disturba il cuore, mette tentazioni, ed è in sostanza il nemico giurato di Dio e delle anime. Il demonio, che non risparmiò neppure Gesù, il mondo e noi stessi, sono i grandi pericoli. «Chi si butta nel pericolo perirà»5. È dunque facile perdersi? Chi si butta nel pericolo perirà.
Ma anche i mezzi di salvezza sono tanti: i mesi, i giorni, le ore che sono dati per il servizio di Dio, la salute, l'intelligenza, il cuore, la volontà, ecc. Anche questi sono doni: i genitori, predicatori, parroco, confessore che ci hanno fatto del bene.
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I sacramenti: Battesimo, Cresima, il perdono dei peccati nella Confessione, l'Eucarestia, Gesù in chiesa continuamente, la santa Madonna, l'angelo custode, il Crocifisso, ecc., sono tutti mezzi di salvezza, e soprattutto abbiamo la preghiera, e chi prega si salva. È facile salvarsi? Se si evitano i pericoli e si abbracciano con forza i mezzi, è facile. Mettiamoci dunque bene.
Un giovane diceva: Costi quel che vuole, voglio salvarmi. Gli si rispondeva: Ma l'obbedienza è dura, il ritiro lungo, la preghiera intensa e molta, il riposo è corto, il cibo scarso, ecc. Egli a tutto replicava: Costi quel che vuole, voglio salvarmi. Ecco, adesso siamo qui tutti adunati, fra non molto saremo tutti nell'eternità, ci troveremo tutti assieme nel paradiso!
Sei creata per conoscere, amare e servire Dio e goderlo nell'eternità.

[II. Salvezza: affare eterno, unico, irreparabile]

Noi sappiamo che il nostro Padre celeste ci ha creati per il paradiso. Egli ha chiamati i figli che non sono, traendoli dal nulla, come un padre comune raduna i suoi figli per una festa.
Ma perché gli uomini si sono smarriti, venne il Figliuolo di Dio a salvarli. [Venne a] morire per noi affinché ci salvassimo. E lo Spirito Santo compie continuamente l'incarnazione di Gesù in noi. Per farlo venire in noi, egli ci dà le ispirazioni, ci fa pregare. Non siamo noi che operiamo. Dipende da6 noi se abbiamo la forza di pregare, se abbiamo questa bella vocazione, i voti? Nulla noi possiamo: come non potremmo darci gli occhi, [così non dipende da noi] se li abbiamo. Ma è lo Spirito Santo che opera. Preghiamo per avere lo Spirito Santo.
In questo momento, come ad Antiochia ordinò che fossero segregati Paolo e Barnaba7, pare dica: Mettetemi da parte queste figliuole, toglietele dal mondo, voglio formarle per l'apostolato santo a cui le ho elette affinché santificando se stesse e gli altri giungano alla gloria eterna dove loderanno Dio, la santissima Trinità e saranno liete e beate in eterno.
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Lassù volgiamo i nostri occhi, là è la nostra patria. Pensiamo che eterno, irreparabile, unico è l'affare della salute eterna che dobbiamo compiere sulla terra.

1. Affare eterno. Sulla terra si hanno affari da poco: si ha da fare la scuola, il noviziato, il probandato, il tal abito, il tal lavoro ecc., sono tutti affari temporanei che finiscono, ma sopra questi ce n'è uno eterno. Si ha un comando da compiere, doveri da soddisfare, interessi da amare, figli da educare, malattie da curare, si hanno imprese gravi e delicate, ma son tutti affari temporanei. La salvezza dell'anima è affare eterno, perché si opera nella vita, ma dura tutta l'eternità. Consideriamo pure la vita più lunga, per esempio cento anni, scriviamo pure vicino a questa cifra cento miliardi di secoli ed avremo un secolo davanti a cento miliardi. Quando saranno trascorsi cento miliardi di secoli, l'eternità sarà finita? Sarà come da principio. Aggiungiamo altri cento miliardi di secoli, quanti vogliamo, e l'eternità sarà finita? Sarà come da capo. È affare eterno.
Se si fa bene tutto, nell'eternità si godrà per sempre la gloria dei meriti fatti, del fervore avuto.
Ci sono lampade da una candela, da dieci, da venticinque, da cinquanta, da cento e fino da cinquemila, tutte quante si aprono con una chiavetta, e supponiamo che rimangano accese in eterno, ognuna rimarrà nel proprio grado di luce. Così ci sono anime che fanno la Comunione con un grado di fervore, altre con cinquemila come la santa Madonna e la imitano; ebbene saranno così per tutta l'eternità. L'affare della salute eterna è eterno.
Resta eternamente la gloria delle piccole e passeggere croci, [dei] dispiaceri e di tutte le opere. Il Signore ci illumini su questo. Abbiamo da fare un lavoro eterno. In tutte le azione ci fabbrichiamo per l'eternità. La santa Madonna, Maria, mentre puliva la casa di Nazaret, preparava il cibo e gli abiti a Gesù, ecc., quali meriti per il cielo! Quale gloria dava a Dio!
Il lavoro che abbiamo da fare è eterno. Il Cottolengo chiamato per la ripartizione dell'eredità disse: Tenete, tenete tutto, lasciate che io lavori la mia eternità. Pare proprio di sentire il divin Maestro dire: «Lasciate che i morti seppelliscano i loro morti...»8.
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Se lo meditassimo bene come scomparirebbero le nostre sciocchezze, e si troverebbero suore e figlie serie, robuste. Dobbiamo essere soprannaturali con tutti e sempre, e non fermarci alla terra.
Tutto passa e fra non molto dovremo dire: Ormai è finito, ciò che è fatto è fatto, e resta. Oh, se un dannato potesse avere almeno un'ora! Ma la chiederà in eterno ed inutilmente. Se un'anima beata potesse piangere, piangerebbe solo il tempo perduto e ne chiederebbe altro per spenderlo tutto per Dio.
Giungerà il momento dell'ultima nostra ora e ciò che è fatto è fatto.
Il ricco Epulone dall'inferno pregava Abramo a sollevarlo, ma questi rispose: «Un abisso immenso vi è tra noi e te e non ci può essere aiuto»9. Quel che è fatto è fatto. Facciamo presto, presto. Il nostro lavoro è eterno, troppo importante; camminiamo quindi con serietà. Portiamo il nostro cuore in cielo, preghiamo lo Spirito Santo che ci metta pensieri eterni e soprannaturali.
Ricordiamo quelle mancanze, quelle leggerezze! Staranno in eterno. Ma non è tutto pagato nella Confessione? Sì, tutto sarà pagato, ma lo scritto rimarrà a testimoniare che Gesù ha usato infinita misericordia.

2. Affare unico. È il solo. Come, abbiamo solo quello da fare? Dobbiamo preparare i cibi, vestiti, fare lo studio, l'apostolato, farci buone, ecc. Sì, ma tutto per l'unico fine di salvarci. Non importa essere in una occupazione o in un'altra, purché ci salviamo. È un affare unico e necessario. Non importa un ufficio, un luogo, un abito, ecc., purché si faccia sempre la volontà di Dio. Non è neppure necessario avere molta salute, avere molto ingegno, anzi ci sono delle suorine semplici, ignoranti che compiono tutto bene, e altre che invece si insuperbiscono perché sanno qualcosa, e nulla valgono perché sono piene di alterigia. Bisogna essere semplici: non è necessario essere mandate in un luogo o in un altro, essere di una famiglia nobile o povera, essere nate in un paese o in altro, ciò non importa, ma l'unica cosa necessaria per tutti è il salvarsi, perché giunti alla morte si dovrà entrare o in paradiso o nell'inferno. Che importerà se entrando in cielo e volgendoci alla terra vedremo di essere vissuti poveri,
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contadini, in una stalla? Viceversa, entrando nell'inferno che importerà essere state sulla terra regine, onorate e stimate? Non vi è condizione che importa, purché si sia al nostro posto e nella volontà di Dio. Tutto sulla terra può servire a salvarci, è indifferente prendere una cosa o l'altra, purché si ami il Signore e si compia la sua volontà.
Il divin Maestro entrò un giorno nella casa di Lazzaro. Marta e Maria uscirono subito felici ad incontrarlo, liete della sua compagnia. Maria poi lo introdusse nella sala, lo fece sedere al posto d'onore e, postasi su uno sgabello, stava ai suoi piedi ad ascoltar le parole di vita eterna. E quali parole sapeva dire Gesù, che era venuto dal cielo stesso! Maria intanto piangeva i suoi peccati e faceva atti d'amore, faceva fermi propositi. E Marta? Marta era tutta in moto, aveva dato ordini alla servitù ed era molto occupata perché si trattava di fare onore al divin Maestro ed anche ai suoi discepoli, e quindi il lavoro era molto. Ad un tratto, vedendosi sempre sola, tra mille occupazioni, corse alla sala e, lasciando trasparire l'interno affanno, rivolse a Gesù queste parole quasi di rimprovero: «E non t'importa che Maria mi lasci sola in tanto lavoro?»10. E il divin Maestro osservandola profondamente disse: «Marta, Marta, tu ti affanni per troppe cose, una sola è necessaria. Maria ha eletto la parte migliore e non le sarà tolta in eterno»11. La cosa di cui parliamo adesso è l'unica cosa eterna, il resto passa.
Se noi parliamo con i parenti, con i conoscenti, con i mondani, ecc., non sentiamo che parole d'interesse, affari, ragionamenti, occupazioni, commercio, ecc.: tutta mondanità! E l'eternità? Ma non abbiamo ancora imparato che siamo qui solo per l'eternità? Perché questa vocazione? Diciamo con S. Bernardo: «Bernarde, ad quid venisti?»12. O anima, che sei venuta a fare qui? A tutelare il tuo amor proprio, a nascondere difetti? A vivere come ti piace? A scansare sacrifici, doveri, orari? Ecco, quella [sorella] che non ti parla mai dei suoi difetti, non è mai seria.
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Ma le suore non si salvano mica tutte! L'inferno è pieno di suore, il pavimento dell'inferno è coperto di veli di suore. Ma che peccati si fanno? Che c'è? Come? Il non corrispondere alle grazie è cosa grave. E le perdite di tempo non è cosa grave? E il fare le cose a metà cuore, anche avendo salute ed energia, non è grave? Ma lasciamo che «i morti seppelliscano i loro morti» e mettiamoci a servire bene e davvero il Signore nella vita.
In punto di morte come ci sarà stato caro l'essere state povere, aver pregato e meditato molto. Il re Filippo II13, comparendo dopo morte, disse che era salvo con il suo portinaio, ma che questo si trovava tanto più in su quanto più giù era rimasto sulla terra. La santa Madonna che aveva uno sgabello povero e misero, e fuori dell'uscio una grossa pietra ove si sedeva a preparare la roba a Gesù, una pietra su cui anche Gesù sedeva per mangiare la povera zuppa in una ciottolina di legno, com'è felice e gloriosa adesso nel suo alto seggio di gloria e di onore! Perché noi cerchiamo le vanità e miserie della terra? Non mettiamo dubbi alla nostra speranza, non diciamo: Chissà se mi salvo ancora... chissà se mi rimetterò a posto, ecc. Via, via questo! Sono bugie del demonio invidioso della nostra sorte.
Corrispondiamo alle ispirazioni, facciamo tutte le azioni buone che si presentano. Se non si farà questo atto buono, quella mortificazione, quella preghiera, ecc., tutto sarà scritto e Dio dirà: Ho dato il tempo, la salute, le ispirazioni per farlo e non l'ha fatto.

3. Affare irreparabile: non si potrà rimediare. Sulla terra a tutto vi è riparo: si strappa un vestito, si rovescia l'inchiostro, non si sa la lezione, si è rimandati all'esame, ecc., a tutto si può riparare. Si prende la tosse, una malattia, e vi può essere il rimedio. Si prenderà anche una malattia mortale, il corpo si disfa, ma c'è riparo: un giorno risusciterà glorioso. Tutto può essere riparato, ma [quando] suona l'ora della morte non c'è più riparo.
Se si è perso del tempo, commesso dei peccati, si può riparare con tanto amore e intensità, ma se si lascia trascorrere tutto il tempo, non ci sarà rimedio. Se i dannati potessero sperare di essere soddisfatti, domanderebbero solo un po' di vita, ed anche
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i beati se potessero desiderare qualche cosa non bramerebbero altro che un po' di tempo. Quel santo apparendo diceva: Sarei disposto a venire in questo mondo e soffrire i dolori della mia ultima malattia fino al giorno del giudizio, pur di guadagnare il merito di un'Ave Maria.
Ma quello che è fatto è fatto, e rimane in eterno, irreparabilmente. Per tutta l'eternità. Non guadagneremo più un merito. Per sempre avremo il premio di una più piccola azione [compiuta]: raccogliere un carattere14, un foglio, non dire una parola, fare bene un atto, mettersi bene il velo, piegare il foglio, ecc., ma mai in eterno potremo accrescere i meriti e la gloria. Tutto dura eternamente, e ciò che si fa male non ha più riparo in eterno.
Mettiamoci su un ponte e osserviamo. L'acqua corre, passa e più non ritorna. I minuti corrono e si susseguono senza posa ed il tempo passa, e passato, per sempre non l'avremo più.
Se ci danniamo saremo dannati per sempre, se ci salviamo saremo salvi per sempre. È irreparabile. Pensiamoci seriamente.
Conclusione: l'affare nostro è eterno.
Vedendo i fanciulli a fare i venditori, a divertirsi con pietruzze, mattone pesto, a fare i droghieri, ecc., gli adulti dicono: Sono bambini! e ridono. Ma questi uomini che acquistano palazzi, campi, ville, che trattano tanti commerci, queste signore che portano con tanta prosopopea le loro grandi pellicce fanno proprio ridere gli angeli. Tutte queste ricchezze, queste cose, saranno messe negli stracci, tutto passerà ad altri. Gli angeli ridono e dicono: O anime che avete cose eterne da compiere, perché vi perdete in sciocchezze, a raccogliere pietruzze e mattone pesto mentre avete da guadagnare cose eterne?
O eternità, eternità! Questa è la cosa unica e irreparabile.
S. Paolo dice: «Ci sono anime che corrono con mezza volontà, altre con gran forza. Tutti corrono nello stadio, ma solo uno prende il premio, correte in modo da essere premiati»15.
Le anime che corrono verso l'eternità si possono suddividere in tre categorie: quelle di buona volontà, quelle di volontà tiepida, quelle di cattiva volontà.
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[Le anime] di cattiva volontà sono quelle che rasentano il peccato mortale, specialmente nei voti. Quelle di volontà tiepida sono le anime tiepide che fanno poco, sono indifferenti dicendo: Purché mi salvi. Sono poi di buona volontà quelle che si danno tutte a Gesù ed in loro regna sovrano il proposito di salvarsi.
Il sangue di Gesù Cristo e i doni dello Spirito Santo ci ottengano la grazia di metterci seriamente. S. Agostino dice: «Sono creato per l'eternità, per farmi dei meriti, e non per curare delle sciocchezze»16.

[III. La salvezza, pensiero dominante della vita]

Quando si tratta di salvezza eterna non c'è mai da essere abbastanza sicuri, non si può mai dire: Ora non ho timore, non importa che mi sforzi tanto, quel che faccio è abbastanza. Mai, mai dire: Quel che ho fatto è già molto, non faccio più mancanze grosse. Chi si ferma va indietro, e in fondo si trova la perdizione.
Nessuna sicurezza è sufficiente, fuggiamo quindi ogni pericolo.
Oh, ma queste cose mi fanno solo cadere in venialità, si sta così bene con quella compagna, si sta allegre, è simpatica! Continua pure con quella ed alla fine si vedrà, ciò che sarà scritto. Le sciocchezze, gofferie, discorsi, atti incomposti, ecc., si vedranno scritti nell'eternità. Quante azioni umane, quanti anni belli perduti! Che gioventù sprecata!
Anche nel mondo se ne salvano tanti. Sì, ma quelli si salvano se prendono i mezzi dati; chi è chiamato allo stato religioso fugga, fugga dai pericoli. Ma è poi necessario essere tanto pie, attente, divote? Sì, perché nessuna sicurezza è sufficiente quando si tratta di eternità.
Che gioia provo io, quando andando nelle varie case, noto anime che sempre temono, tremano, si sentono sempre indietro, piangono per non fare ancora abbastanza, perché non hanno ancora preso tutti e bene i mezzi. Fortunate, esse sono sulla via della salvezza! Beate le anime che sono sempre timorose, ma quelle che sono sempre sicure di sé e se la tengono perché sanno
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qualche cosa, come fanno temere! La nostra sicurezza sta nel Signore e nella divozione della Madonna. Ci sono figlie ignoranti che fanno tanto bene e sono scelte dal Signore per opere maggiori, per essere luce del mondo. Temo di chi non teme, mi fido di chi teme.
La nostra sola sicurezza è in Gesù, nella santa Madonna, nel Crocifisso, nell'esame di coscienza, ecc.; quando entra la sicurezza in noi siamo come il vapore sospeso che investito dal sole sembra dorato, ma in breve scompare e si dilegua. Gli uomini aiuteranno e Dio aiuterà immensamente chi trema ed è timoroso. Ma chi si fida di sé può paragonarsi al Griso di cui parla il Manzoni17. Trattandosi di una grande impresa, il Griso si presentò al padrone e disse: Signore, lasci fare a me, e vedrà che tutto riuscirà bene. Ma l'impresa andò fallita, egli si lasciò vincere da una donna, e giunto a casa tutto mortificato il padrone lo chiamò a sé dicendogli: Ebbene, signor lasci-fare-a-me, come è riuscita l'impresa?18. Così potrebbe chiamarsi chi si fida tanto di sé.
Domini dunque nella nostra mente: Io sono qui per salvarmi; nel nostro cuore il proposito: Voglio salvarmi. E questo regoli tutta la nostra vita. Per riuscire bene dovremo avere quindi questo pensiero nella mente, cuore e vita.

1. Nella mente, come lume della mente. Noi abbiamo tanti pensieri e tanti progetti e su tutti deve dominare questo: Mi salverò? Questo mi serve per il cielo? Io voglio salvarmi e perciò prendo ciò che mi serve meglio.
«Che gioverebbe guadagnare tutto il mondo, se poi si perde l'anima?»19. E ciò significa: che mi servirà essere ricca, vestita bene, dominare sulle altre, fare il proprio capriccio, nascondere le mancanze al confessore, difendere e lisciare le mie passioni, dar sfogo all'ira, superbia, avarizia, pigrizia, ecc., e andare nell'inferno? Si credono talvolta più furbe quelle che si fanno temere, rispettare, riverire, ecc., ma che gioverebbe ottenere anche
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tutte le soddisfazioni ed avere poi un piccolo danno all'anima? Ossia che gioverebbe tutto, se poi perderò anche un merito minimo e perciò un grado di gloria? Tutte le cose della terra non valgono un grado minimo di gloria.
Ecco, devo scegliere uno stato [o un altro], un libro [o un altro], quelle compagne o altre, il tal confessore o l'altro, ma che cosa mi gioverà di più per il paradiso? Ho da scegliere se devo studiare o no, fare o no il noviziato, il probandato, ecc., ebbene che cosa mi servirà meglio per il cielo? Quello voglio scegliere.
Vi erano a Parigi due studenti: Francesco Saverio e Ignazio. Il primo, giovane intelligentissimo, aveva fatto rapidi progressi, e già occupava cariche onorevoli ed aspirava con gran cuore, certo dell'esito, ad altre e maggiori, fino a diventare preside nella più alta università del mondo.
Ignazio invece, più anziano, prendeva come fedele discepolo lezione da Francesco che sempre e con piacere gli riferiva i suoi trionfali successi, non nascondendogli la brama di altri. Ignazio, profondo e serio, dopo le lezioni si atteggiava a sapiente maestro e diceva al suo insegnante: Che ti gioverà guadagnare tutto il mondo, se poi perdi l'anima?. E Saverio rifuggiva da questo, non voleva sentire, tuttavia Ignazio sempre glielo ripeteva. E Francesco, che era molto riflessivo, ci pensò bene e decise di salvarsi ad ogni costo. Lasciò la cattedra, si ritirò nella preghiera e penitenze diventando un gran santo. Quali penitenze in Svizzera, in Francia, in Italia, a Roma e nelle Indie! Egli divenne sacerdote, missionario, e battezzò milioni e milioni di anime. A Roma si conserva quel braccio20 che tante volte si alzò per battezzare, quel braccio che fu più volte sostenuto da qualche indigeno o compagno di Francesco quando per giornate intere battezzava.
Egli aveva pensato al gran fine. E così a sua volta successe a S. Ignazio che aspirava a diventare un capitano valentissimo, ma il Signore l'aspettava in quel letto per renderlo capitano sì, ma capitano di un esercito di anime generose e sante. Posiamo la leggerezza, il capriccio, le massime mondane che apprendiamo anche nella parentela e diciamo piuttosto: Voglio salvarmi, e quindi mi attacco a tutte le pratiche di pietà, consigli e voti, unirmi fortemente a Dio.
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Diciamo con S. Agnese21 al suo tiranno: Tiranno, fa' come vuoi, alla fine con tutti i tuoi sforzi e crudeltà non avrai fatto altro che ottenermi due palme. Invece di una ne avrò due e sarò sicura. Non arrischiamoci a voler giocare con il paradiso. Il gatto che va al lardo ci lascia la zampa22, il topo che troppo sicuramente si avanza nella trappola perirà. Tutti i dannati volevano salvarsi ed intanto si sono dannati. Ricordiamolo sempre, cinque vergini furono prudenti ed assicurarono l'olio, rimasero sveglie e pronte, ma cinque furono stolte e si perdettero in vane chiacchiere, e giunto lo sposo furono lasciate fuori.
Nessuna sicurezza basta. Vi è niente di troppo.
Temo di chi non teme, mi fido di chi teme. Se non piangi tu, piango io per te e tremo perché mi fai pena. Ma il confessore mi ha detto di stare tranquilla, di non temere. Non bisogna avere un timore disperato, ma temere di offendere Dio, di poter perdere i meriti, quello ci vuole!
S. Filippo Neri23 al mattino, appena alzato, andava davanti alla santa Madonna e diceva: O Maria, tenetemi la mano sul capo, perché quest'oggi ne farò forse delle grosse e chissà come verrò questa sera a riposare.
Beate le anime che temono di perdere i meriti.

2. Nel cuore. Ossia questo pensiero del fine dev'essere tutto e sopra tutti i sentimenti del cuore. Deve essere un sentimento messo dallo Spirito Santo a base, perché il primo dono dello Spirito Santo, il primo gradino è il timore, come dice il Salmo: «Initium sapientiae timor Domini»24.
Avere sempre il timore di non essere abbastanza avanti, sentire la necessità di consigli, avere gran desiderio di prendere tutti i mezzi, di seguire in tutto ciò che vien detto, ciò deve essere il sentimento della volontà. Il divin Maestro ci dice: «Non temete chi può dare la morte al corpo, ma temete chi può mandare in
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perdizione l'anima e il corpo»25. Il re dei timori sia la paura di disgustare Gesù, la paura di non salvarci. Non temiamo nulla, neppure la morte. Maggior timore sia quello di perdere l'anima. Non importano le maldicenze, calunnie, parole, temiamo il Signore. Non importano le derisioni delle compagne, del mondo che ci schernisce vedendoci a lui così crocifisse, ma temiamo solo di non amare abbastanza Gesù, di poterlo offendere e perderci. Temere di perderci, e volerci salvare.
Proposito positivo. Voglio ad ogni costo salvarmi. Mi costa, è doloroso, ma non importa.
Quando sono indisposta mi costa prendere le medicine, ma sono necessarie. Mi avviene un'infezione, il medico taglia anche un dito, una mano, ma bisogna salvare tutto il corpo. Ebbene, costi qualunque cosa, non importa, si tratta di salvare tutto, anima e corpo eternamente.
E Gesù l'ha detto: «Se un occhio ti è di scandalo toglilo, se una mano o un piede ti è di scandalo, troncalo e buttalo lontano da te»26. E cioè se una cosa ti è di impedimento al bene, una cosa cara come un occhio, un piede, una mano, ecc., via, via, toglilo, buttalo lontano e risolvi con forza: Voglio salvarmi.
Si tratterà forse di rompere affetti serenissimi, vincere l'amor proprio, lasciare anche la salute, la stessa vita. Non si deve dare al Signore tutta la vita? Fare in tutto e sempre la sua volontà? Si tratterà di essere quasi crudeli, di fare soffrire persone che ci amano, ma che importa? Devo salvarmi, e le parole di Gesù non dicono proprio niente? Non dice il divin Maestro: «Chi perde la sua vita per Dio la troverà. Chi salva la sua vita per amor proprio la perderà e rovinerà in eterno»?27.
Il re dei propositi sia questo: Voglio salvarmi. E la base, il re dei sentimenti del cuore sia il timor di Dio.
Temiamo sempre e molto: della superbia che ci circonda e guasta tutto, dell'impurità che ci assale dovunque, accompagnate e sole, della pigrizia che tenta vincerci, dei giudizi che non vogliono adattarsi a quelli delle Maestre e del Confessore, ecc. Temiamo sempre di affondare nel fango.
Beato l'uomo sempre timoroso
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3. Nella vita. Infine questo pensiero, questa volontà risoluta di salvarci deve regolare tutta la nostra vita, i nostri atti, e ciò significa che non dobbiamo scegliere uffici, occupazioni, luogo, ecc., secondo l'inclinazione, ma prendere ciò che ci serve di più per salvarci.
Non importa stare bene o essere malate, fare il noviziato o no, studiare o no, fare un lavoro o un altro, un libro o un altro, fare una pratica di pietà o l'altra, ecc., ma importa scegliere sempre ciò che serve di più a salvarci.
Purché mi salvi, non importa una cosa o un'altra, ma quella che mi salva di più. Quando sarò giunto in porto, non m'importerà d'aver sofferto o no, di essere passato in un posto o nell'altro, purché non naufraghi in questa tempesta.
Com'è consolante vedere un'anima disposta a tutto! Che vuoi fare? Ciò che mi dice. Vai volentieri in quel luogo? Sì. Hai preferenze? No. Con chi vuoi andare? Con chi mi darà, purché non facciamo del male. Prendi questi mezzi e riuscirai bene. Sì, subito. Facendo così mi salverò? Sì, va' pure avanti tranquilla, risponderò io per te. Ebbene se è così, subito.
Quel santo, al re che gli domandava: Che vuoi da me? Cosa posso fare per te?. Dopo aver pregato alquanto disse: Una cosa voglio da te, Maestà, che tu ti salvi perché la morte è prossima.
Alle volte si salva solo l'amor proprio, l'onore, la pigrizia, le passioni; salviamo noi dalle preoccupazioni e dai disturbi, ma non ci salviamo l'anima.
Il Signore ci dia tanta grazia, tanta luce per salvarci. Spesso abbiamo pensieri e progetti, sentimenti vani e sciocchi; togliamo tutto e mettiamo nel cuore pensieri forti e sostanziali: le anime e il paradiso.
Diciamo coi santi: Lavoriamo, lavoriamo, ci riposeremo in paradiso, non guardiamo la terra ma il cielo. Brutta terra, bel paradiso! Paradiso, paradiso!
Presto, presto che c'è poco tempo per farci dei meriti. Raccogliamo tutte le monete e gemme preziose, quante ne possiamo, ed alla fine ci troveremo cariche. Altre trascureranno queste cose e raccolgono fazzoletti di seta, sciocchezzuole, astuzie goffe, fantasie stupide, raccolgono polvere, pietre, mosche e vermi.
Ma invece dice Gesù: «Fate così. Il regno dei cieli è simile ad una persona che andò in cerca di gemme e vedendone una preziosissima che valeva tutte le altre, vendette tutto ciò che aveva
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per comperare e possedere quell'unica gemma preziosa: l'anima»28. La gemma preziosa è il paradiso; lasciamo pur tutto per questa e, quando la possederemo, sarà così grande la dolcezza, così bella, così infinita la durata che vedremo e comprenderemo realmente quanto superi ogni bene della terra. Noi forse ci rattristiamo per i dolori e le mortificazioni, ed intanto altre nostre compagne nel mondo godranno, ma facciamoci coraggio: «La nostra tristezza sarà mutata in letizia»29.
Raccogliete perle, sollecite, perché la vita passa, siate prudenti!

Cerchiamo di fare anche la confessione con molto dolore e bene perché c'è bisogno che il divin Maestro ci ottenga per intercessione di Maria santissima e di S. Paolo la grazia di fare un passo avanti nella conoscenza dello spirito del nostro apostolato, onde seguire meglio la divina chiamata perché: «Guai a me, se non avrò evangelizzato!»30.
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* Ritiro mensile, alle Figlie di San Paolo, in ciclostilato, fogli 8 (22,5x35), tenuto dal Primo Maestro [ad Alba]; la data è manoscritta e sembra sia stata aggiunta in seguito: 2.2.1933. Il ciclostilato originale è presso l'Archivio Storico della Società San Paolo, Roma.

1 Lode popolare mariana: Andrò a vederla un dì.

2 Cf S. Agostino, Le Confessioni, I, 1. Agostino (354-430), nato a Tagaste (Tunisia). Dopo la conversione diviene monaco, sacerdote, vescovo di Ippona. Padre e Dottore della Chiesa. Suoi capolavori: Le Confessioni, La Città di Dio, La Trinità.

3 Francesco (1181-1226). Visse e predicò la povertà evangelica. Diede inizio al movimento francescano articolato in: frati, clarisse, laici.

4 Cf 1Pt 5,8.

5 Cf Sir 3,25.

6 Originale: Che ne possiamo.

7 Cf At 13,2.

8 Cf Lc 9,60.

9 Cf Lc 16,26.

10 Cf Lc 10,40.

11 Cf Lc 10,42.

12 «Bernardo, per quale scopo sei venuto?». Cf Mt 26,50 (Volgata): parole rivolte da Gesù a Giuda. Bernardo utilizza questa espressione per richiamare le motivazioni di fondo della propria vocazione. Cf Sermoni sul Cantico dei Cantici, Ser. 76,10, in SBO, II, 260.

13 Probabilmente si allude a Filippo II re di Spagna (1527-1598). Cf Diario spirituale, o. c., p. 142.

14 Liguaggio tipografico per indicare le singole lettere di piombo che nella composizione a mano si adoperano per stampare.

15 Cf 1Cor 9,24.

16 Cf S. Agostino, La Trinità 4,1,2.

17 Manzoni Alessandro (1785-1873), milanese. Dopo una crisi spirituale diviene cattolico fervente. Scrive I Promessi Sposi, gli Inni sacri e le Tragedie.

18 Cf Manzoni Alessandro, I Promessi Sposi, cap. XI.

19 Cf Lc 9,25.

20 Nella chiesa del Gesù, officiata dai Padri Gesuiti.

21 Agnese, romana, appena tredicenne fu decapitata probabilmente a metà del III secolo durante una persecuzione.

22 Proverbio italiano inteso ad avvertire del rischio che si corre ripetendo troppe volte con leggerezza imprese azzardate.

23 Filippo Neri (1515-1595), nato a Firenze, apostolo di Roma. Fondò la Congregazione dell'Oratorio.

24 Cf Sal 111,10: «Principio della saggezza è il timore del Signore».

25 Cf Mt 10,28.

26 Cf Mt 5,29-30.

27 Cf Mt 10,39.

28 Cf Mt 13,45-46.

29 Cf Gv 16,20.

30 Cf 1Cor 9,16.