Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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44. MEZZI DI SANTIFICAZIONE *

[Recitare:] Gesù Maestro...1, Atto di dolore, Atto di speranza.
Indirizziamo l'ora di adorazione per ottenere la grazia di usare bene tutti i mezzi di santificazione: usare bene del corpo che il Signore ci ha dato; usare bene del tempo che ci rimane; usare bene specialmente dei mezzi spirituali quali sono l'istruzione religiosa, la preghiera, le opere buone.
Verrà un giorno in cui noi guarderemo indietro alla dovizia veramente grandiosa di beni che il Signore ha posto a nostra disposizione perché riuscissimo a farci santi. Allora poco gioverebbe piangere sopra la nostra negligenza. L'uomo prudente provvede per tempo alle sue necessità. S. Roberto Bellarmino2 scrisse un libro intitolato: De arte bene moriendi, dell'arte di ben morire, e nella prima parte egli espone sedici mezzi per prepararci a santamente morire.

1. Lettura della Bibbia. «L'anima mia è stanca della vita, vo' dare libero corso al mio lamento, vo' parlare nell'amarezza del mio cuore, e dire a Dio: Non mi condannare, fammi sapere perché mi giudichi in questa maniera. Ti par giusto calunniarmi, ed opprimere me, opera delle tue mani, e favorire i disegni degli empi? Hai tu forse occhi di carne, e vedi come vede l'uomo? Son forse i tuoi giorni come quelli del mortale, e gli anni tuoi come gli umani, ché tu ricerchi la mia colpa e scruti il mio peccato? Per sapere che io nulla ho fatto d'empio, mentre nessuno può liberarmi dalle tue mani? Le tue mani mi han fatto e plasmato tutto quanto, e così all'impensata mi distruggi? Ricordati, te ne prego, che m'hai formato come creta, e mi ridurrai in polvere. Non mi hai colato come il latte e fatto rapprendere
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come il cacio? Tu mi hai rivestito di pelle e di carne, m'hai tessuto d'ossa e di nervi»3.
Nel primo punto chiediamo la grazia di usare bene del corpo.
Il corpo è il compagno dell'anima nel cammino della vita: anima ragionevole e corpo organico formano l'uomo. L'uomo è destinato a vivere in eterno, ma la morte separerà temporaneamente il corpo dall'anima: la morte è la temporanea separazione dell'anima dal corpo. L'anima per essere contenuta dal corpo ha bisogno che il corpo si trovi in certe condizioni. Orbene, se per una malattia, se per un incontro o per un'altra causa il corpo cessa di essere nelle disposizioni sufficienti per contenere l'anima, l'anima ne esce; come il liquore si spanderebbe, se la bottiglia contenente un preziosissimo liquore venisse spezzata. Morirà il corpo e discenderà nel sepolcro a purificarsi. Il Signore non ci ha creati puri spiriti come gli angeli, ma ci ha dato il corpo perché esso serva all'anima e l'anima serva a Dio, ed entrambi giungano così al premio eterno. Il corpo è dotato di sensi: l'udito, la vista, l'odorato, il gusto, il tatto, la lingua, il cuore, la fantasia sensitiva, ecc. L'anima è la parte superiore ed immortale perché spirituale; essa deve guidare perché ragionevole. Gli occhi possono meritare perché noi possiamo usarli per istruirci, osservare le cose che si devono conoscere, mortificarli nelle cose che non si devono guardare. L'anima usa bene dell'udito ascoltando la parola di Dio, le voci dei bisognosi, le istruzioni nella scuola, mortificando la curiosità, astenendosi dal sentire certi discorsi e certe voci le quali non piacciono a Dio. L'anima deve usare bene della lingua, essa è destinata alla preghiera, alla predicazione, a dire tante cose sante, a insegnare nella scuola, ad esprimere i pensieri, a mantenere le relazioni sociali, a lodare il Signore. Ma l'anima può anche abusare della lingua e tante volte la lingua è causa di così grandi mali che S. Giacomo la chiama una fiamma che tutto incendia4. L'anima deve usare convenientemente delle forze fisiche, e vi sono di quelli che sanno regolare così bene i sentimenti del cuore che amano il Signore soltanto; e vi sono di quelli che sanno regolare bene la loro fantasia, riprodurre solamente tante immagini buone, sante. Vi sono di quelli che sanno regolare bene il riposo, il cibo, il lavoro, in ogni parte
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e regolano bene tutto il loro corpo e lo mortificano in tutti gli appetiti disordinati. Ah, fortunata quell'anima che è veramente guida del corpo, guida ragionevole! Con ordine, con opportunità sa convenientemente spingere il corpo alla fatica e sa convenientemente mortificarlo anche nelle cose lecite.
Verrà quel momento in cui il nostro corpo si troverà affranto sul letto di morte: il nostro respiro si farà lento, finché l'anima nostra uscirà per sempre dalle labbra. Ma immaginate, come immagina il Monti5 nella sua poesia, che l'anima uscita dal corpo si volga indietro a salutare il cadavere che lascia sul letto. L'anima che ha regolato bene il corpo gli dirà: Va' a riposare nella tomba, io intanto salgo al cielo e vado a prepararti il posto che pure tu hai meritato; ritornerò a prenderti. Ma che saluto disperato darebbe al suo corpo quell'anima che l'avesse abbandonato ai suoi istinti sregolati! Direbbe: Per contentare te ho perduto me e te, vado ad aspettarti in quel luogo di tormenti che è l'inferno.
Recitiamo il primo mistero doloroso perché Gesù agonizzante ci liberi da una tanta disgrazia. Gesù agonizzante ci conceda, per il suo sangue sparso nell'orto, la grazia di potere in quel momento salutare il nostro corpo come compagno di meriti, di potere in quel momento dare un addio al nostro corpo che voglia significare: Ritornerò, ti prenderò, ti condurrò con me in paradiso, nella gloria. Canto del Vexilla Regis prodeunt6.

2. Lettura della Bibbia. «Mi sei stato largo di vita e di benevolenza, e la tua vigilanza custodì il mio spirito. Sebbene tu nasconda queste cose nel tuo cuore, so bene che le ricordi tutte. Se ho peccato, mi hai perdonato per un istante. Perché non permetti ch'io sia purificato dalla mia iniquità? Se son reo, guai a me! Se innocente, non potrò alzare il capo, saziato d'afflizioni e di miserie. A motivo della superbia mi prenderesti come una leonessa, mi tormenteresti di nuovo prodigiosamente, rinnovando le tue prove contro di me, raddoppiando contro di me il tuo sdegno; e le pene combattono dentro di me. Perché m'hai fatto uscire dal
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seno materno? Fossi morto, ed occhio non mi avesse mai visto. Sarei come non fossi mai esistito, portato dal seno della madre al sepolcro. Non deve finir presto il piccolo numero dei miei giorni? Lasciami adunque piangere un poco le mie sventure, prima ch'io vada, per non più ritornare, al luogo tenebroso coperto dalla caligine di morte, alla regione della miseria e delle tenebre, dove regna l'ombra di morte, il disordine, e l'orrore sempiterno»7.
La morte in secondo luogo è la fine del tempo.
L'uomo è destinato a vivere sempre. Incomincia la sua vita su questa terra, ma per brevi giorni, poi entra nella casa della sua eternità e là questa vita non avrà più fine. Ma il tempo, che è così breve di fronte all'eternità, è la chiave dell'eternità, una chiave che può aprire le porte del cielo e può aprire le porte dell'inferno. Chi usa la chiave secondo la divina volontà apre il cielo; chi usa del tempo invece malamente, apre le porte dell'inferno. Due giovani possono avere gli stessi giorni di vita; due compagni possono sempre andare avanti insieme e nella giovinezza e nella virilità e nella vecchiaia ed anche chiudere i loro giorni nello stesso giorno, ma lo stesso tempo può essere per l'uno la chiave del cielo e per l'altro la chiave dell'inferno. Non importa che siano stati vicini, non importa che abbiano avuto le stesse occupazioni, non importa che siano stati della medesima statura, non importa che abbiano avuto la stessa vocazione, gli stessi giorni di vita: «Unus assumetur, alius relinquetur»8. Fra di noi si possono contare quelli che hanno gli stessi anni di vita: uno può essere ricco di meriti e l'altro poverissimo, e un terzo potrebbe anche essere in peccato grave.
Il tempo è un tesoro, ma usato bene compra un altro tesoro, il tesoro del cielo. Invece se è usato male, è dissipato, ci rende responsabili davanti a Dio, il tempo diventa la nostra condanna: potevi e non hai fatto. E intanto: «Tempus non erit amplius»9, viene la morte, si chiude il tempo, è finito, ciò che è compiuto rimane in eterno. Se un giovane avesse ricevuto grandi tesori in eredità dal padre suo, trafficando potrebbe moltiplicarli, dissipandoli diverrebbe un disgraziato prodigo.
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La sera è immagine della morte. Orbene, ogni sera un'anima diligente può numerare le sue azioni, in esse ha messo impegno, ha fatto quanto le fu possibile con gran fervore, rettitudine d'intenzione, precisione. Un tesoro di meriti ha dunque raccolto nella giornata. L'anima negligente invece, riducendosi alla sera a dare uno sguardo alla sua giornata, troverà che vi sono state tante imperfezioni, tante debolezze. Quanto purgatorio ha accumulato! Può anche esservi un'anima cattiva che, giunta a sera, debba dire: Giornata nera, oggi, guai se mi raggiunge la morte! Giorno perduto, ho sprecato il mio tempo. Vi sono dei fanciulli morti in tenerissima età che usarono bene del poco tempo e sono santi. Vi sono giovani che hanno fatto similmente: S. Luigi, Savio Domenico10, S. Stanislao Kostka, S. Giovanni Berckmans, S. Agnese, ecc. Altri vissero a lungo, ma «Longa vita non semper emendat»11, dice l'Imitazione di Cristo.
Usiamo bene del tempo! Il tempo si può sprecare in quattro modi: commettendo dei peccati; perdendolo in cose inutili; facendo il bene malamente; facendo il bene, ma senza retta intenzione, cioè per vanità o fini umani. Per usare invece bene il tempo bisogna: spenderlo in opere buone; queste opere buone compierle santamente, cioè in grazia di Dio, con retta intenzione e con perfezione; avere sempre nelle nostre azioni un grande amore di Dio e con debita penitenza riparare il tempo perduto.
Ora reciteremo il secondo mistero doloroso per ottenere dal Signore la grazia di usare bene di questo immenso tesoro che è il tempo. Canto dello Stabat Mater12.

3. Lettura della Bibbia. «L'uomo nato di donna vive poco tempo e pieno di molte miserie. Come un fiore sboccia e secca, fugge qual ombra, senza mai fermarsi. E tu stimi degno aprire i tuoi occhi sopra un tal essere e chiamarlo al tuo tribunale? Chi può render puro colui che fu concepito d'immonda semenza? Non forse tu che sei l'unico? I giorni dell'uomo son brevi, il numero dei suoi mesi è presso di te. Gli hai fissato un termine
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che non può essere oltrepassato. Ritirati un poco da lui e lascialo in pace, finché non venga, come quello d'un mercenario, il suo giorno bramato. Per la pianta c'è una speranza: anche tagliata, rimette e ritorna ad avere i suoi rami; ed anche quando sarà invecchiata sotto terra la sua radice, quando il suo tronco sarà morto nella polvere, appena sente l'acqua rinverdisce e fa le fronde come pianta novella. Ma l'uomo morto che sia, non ha più nulla. È finito. Di grazia, che ne resta? Simile alle acque sparite del lago, al fiume che inaridisce e secca. L'uomo quando si sarà addormentato non risorgerà, finché non cada il cielo non si sveglierà, né si scuoterà dal suo sonno. Oh, potessi ottenere che tu mi seppellisca nell'Abisso e mi faccia star laggiù nascosto finché non passi il tuo furore, finché tu non abbia fissato il giorno in cui ti ricorderai di me! Pensi forse che l'uomo morto torni a vivere? Tutti i giorni del mio presente battagliare, aspetto che venga il mio cambiamento. Allora mi chiamerai ed io risponderò, e tu porgerai la destra all'opera delle tue mani. Tu hai certamente contati i miei passi; ma perdona i miei peccati»13.
In terzo luogo [con la morte] hanno fine i mezzi spirituali per salvarci.
Il Signore ci ha dato la luce della mente: la verità. Noi abbiamo a nostra disposizione la dottrina della Chiesa, il santo Vangelo, gli scritti dei santi Padri; abbiamo a nostra disposizione le prediche, i catechismi, le esortazioni; abbiamo a nostra disposizione i lumi interni, i libri, tutti coloro che ci insegnano le verità divine. Inoltre, possiamo praticare le virtù cristiane: la fede, la speranza, la carità; le virtù della mortificazione, dell'umiltà, della castità, ecc. Su questa terra noi possiamo esercitare una missione, corrispondere alla nostra vocazione: ognuno su questa terra deve fare qualche cosa, e cioè percorrere con coraggio e fedeltà la via, la missione assegnatagli dal Signore. Ognuno alla fine deve poter dire: «Cursum consummavi»14. Guai a chi dovesse confessare: Ho sbagliato la strada, l'ho percorsa male, non ho speso bene i talenti ricevuti dal Signore, ovvero li ho nascosti, li ho tenuti inoperosi. Abbiamo a nostra disposizione i mezzi di grazia, cioé il sacramento della confessione e della Comunione, la preghiera, la meditazione, l'esame di coscienza, il breviario, il
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messale, la Messa; abbiamo a nostra disposizione le divozioni alla santissima Eucaristia, alla santa Madonna, a S. Paolo, al Cuore di Gesù; abbiamo a nostra disposizione la divozione agli angeli custodi. Tanti adunque sono i mezzi che il Signore ci ha provveduto e che la Chiesa ci propone. Ma viene il giorno in cui l'uso di questi mezzi terminerà e, beato chi si arricchirà e disgraziato chi li userà malamente! Beato chi presentandosi al Signore potrà dire: «Signore, mi hai dato cinque talenti, ne ho guadagnati altri cinque»15. L'eternità ce la facciamo noi, buona o cattiva, come vogliamo: non possiamo incolpare altri. Anche nella peggiore delle ipotesi possiamo sempre avere il meglio: la rassegnazione, la pazienza, l'amor di Dio. E chi ha da soffrire, guadagna assai più di colui che opera soltanto.
Terzo mistero doloroso per usare bene i mezzi di santificazione. Canto delle Litanie di S. Giuseppe.
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* Ora di adorazione, alla Famiglia Paolina, in ciclostilato, fogli 3 (22,6x34), tenuta ad Alba il 22.10.1933. Anche se nell'originale non è indicato l'autore, è da attribuirsi a Don Alberione perchè è stata stampata con il titolo Come usare dei mezzi di santificazione in I Novissimi..., o. c., pp. 48-60. L'originale ciclostilato è presso l'archivio storico della Società San Paolo e ha come titolo: “Ora di adorazione”.

1 Cf Le Preghiere della Famiglia Paolina, ed. 1996, p. 193: Segreto di riuscita.

2 Roberto Bellarmino (1542-1621), toscano. Sacerdote gesuita, arcivescovo, cardinale, teologo di vasta erudizione, sapiente direttore spirituale, Dottore della Chiesa.

3 Cf Gb 10,1-11.

4 Cf Gc 3,5.

5 Monti Vincenzo (1754-1828), nativo di Ravenna, poeta e traduttore. Cf: Poema in morte di Ugo Bassville: «L'anima… la mortal prigione ond'era uscita/ subito indietro a riguardar si volse» in Poesie di Vincenzo Monti, Sansoni, Firenze 1929.

6 Dalla Liturgia, Inno dei Vespri della Settimana Santa: «Ecco il vessillo della croce».

7 Cf Gb 10,12-22.

8 Cf Lc 17,34: «L'uno verrà preso e l'altro rilasciato».

9 Cf Ap 10,6: «Non vi sarà più indugio».

10 S. Domenico Savio (1842-1857), piemontese. Dodicenne entrò a far parte dell'Oratorio di Don Bosco a Torino. Aveva come motto: “La morte ma non peccati”.

11 Cf Imitazione di Cristo I, XXIII, 1: «Non sempre una lunga vita corregge [i difetti]».

12 Lauda medievale mariana attribuita a Jacopone da Todi, francescano.

13 Cf Gb 14,1-16.

14 Cf 2Tm 4,7: «Ho terminato la mia corsa».

15 Cf Mt 25,20.