Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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41. GESÙ MODELLO DEI MORIBONDI *

Il Signore ha istituito la santissima Eucaristia non solo perché fosse sacrificio della nuova legge, ma anche perché fosse cibo dell'anima nostra, e perché fosse memoriale della sua passione e morte. Gesù è il compagno della nostra vita nel santo Tabernacolo, e sarà ancora nostro viatico sul letto di morte per il viaggio all'eternità.
È bene che in questa domenica e in qualche altra successiva veniamo qui davanti al santissimo Sacramento a chiedere la grazia di una santa morte. [Veniamo] a chiederla come grazia che deve coronare le altre grazie, a chiederla al crocifisso e moribondo nostro Salvatore Gesù, a chiederla in virtù dei meriti della sua passione ed agonia, a chiederla per noi e per tutte le persone che ci sono care. Più di tutto chiediamo la grazia di una preparazione santa alla morte perché avrà certamente una morte santa colui che fa una santa vita.
Quest'oggi ci fermiamo a considerare l'esempio di Gesù moribondo, agonizzante. Leggiamo il tratto del Vangelo concordato, diviso in tre punti.

[1.] La condanna a morte: «Pilato menò fuori Gesù...»1, ecc.
Ecco il nostro Maestro che davanti a Pilato china la fronte alla sentenza che lo condanna a morire. La volontà del Padre aveva disposto che questa morte dovesse essere la salute di tutti, la vita nostra, che questa morte dovesse dargli maggior gloria. E Gesù accetta la morte. Non si lagna davanti a Pilato che lo abbandona nelle mani dei suoi nemici, non si lagna quando gli viene presentata la croce, strumento del suo martirio e supplizio: prende la croce, l'abbraccia, la bacia, se la carica sulle spalle.
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Non fa difficoltà, ma il nostro Gesù si incammina come un agnello che senza lamenti si lascia condurre al macello: «Tamquam agnus qui ad occisionem ducitur»2, come un agnello. Gesù in questo modo diede la maggior gloria al Padre, perché Iddio è il padrone della nostra vita e della nostra morte. L'atto di maggior sottomissione, quindi l'atto che dà al Signore la maggior gloria, è l'accettazione della morte. Allorché noi, rassegnati, ci disponiamo alla sentenza che ci ha condannati a morire, ci rassegniamo alla separazione dell'anima dal corpo, alla distruzione, diciamo così, del nostro essere uomo, ci rassegniamo a discendere nel sepolcro, noi riconosciamo Iddio padrone assoluto della vita e della morte, ci sottomettiamo interamente a lui e gli diamo veramente la vita, la vita per Iddio: «Nessuno ama più di chi dà la vita»3. I martiri hanno dato questa vita accettando una morte violenta, ma tutti noi possiamo accettare la morte con tutte le oscurità che presenta, con tutte le incertezze che l'accompagneranno, con tutti i dolori che la prepareranno, con tutti i distacchi e con tutte le umiliazioni che subirà il nostro cadavere. Esso, abbandonato agli uomini, sarà messo sotto terra: umiliazione profonda e tuttavia meritata dai nostri peccati, perché il peccato, la ribellione a Dio ci ha portati ad innalzarci troppo, e la morte, la sottomissione a Dio, ci fa abbassare quanto è necessario.
E adesso recitiamo l'Atto di accettazione della morte:
Signore Dio mio, fin d'ora con pieno consenso e con animo volenteroso, accetto dalle vostre mani qualsiasi genere di morte, con cui a voi piaccia di chiamarmi o colpirmi, insieme con tutti i dolori, con tutte le pene e con tutti gli affanni che dovranno accompagnare il mio ultimo passaggio.
Ed ecco le indulgenze: chiunque, confessato e comunicato, come noi, recita questa o simile orazione e non la revocherà, acquisterà l'indulgenza plenaria, e non nel momento in cui verrà data la benedizione papale, ma nel momento in cui spirerà.
Cantiamo: So che ho da morir. Pronti alla divina volontà, ripetiamo nel nostro cuore: Sia fatta la tua volontà, o Signore, non la mia, tanto per la morte, come per il giudizio, come per l'eternità.
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[2.] «Erano condotti con Gesù due malfattori, per essere giustiziati»4, ecc.
Ecco il nostro divin Salvatore, modello dei moribondi. Gesù sta per morire. I suoi occhi devono mirare uno spettacolo che gli doveva fare tanta pena: la spartizione delle vesti, e [la vista] di tanti ingrati, tra quel popolo, che era stato saziato da lui con pani miracolosi, e più di tutto con la divina Parola. Ridono della sua morte e si associano ai suoi avversari. I suoi orecchi devono sentire bestemmie e sfide alla sua potenza, quali abbiamo letto nel Vangelo. La sua bocca, il suo gusto devono essere amareggiati di fiele e mirra, il suo tatto, cioè le sue mani e i suoi piedi, traforati dai chiodi. Insomma tutti i sensi di Gesù [sono] crocifissi, e crocifisso, diciamo così, il suo cuore, tanto addolorato; il suo spirito è immerso in un mare di dolore, la sua fantasia vede, nonostante il suo sangue e la sua morte, anime e anime precipitare ancora all'inferno.
Ecco la preparazione nostra alla morte. Moriranno i nostri occhi che perderanno a poco a poco la luce e non vedremo, non conosceremo più. Moriranno i nostri orecchi e ad un certo punto non capiremo più ciò che ci diranno, non percepiremo più. Morirà la nostra lingua e ad un certo punto ci interrogheranno, noi vorremmo ancora rispondere, ma non potremo più pronunziare sillaba. Le mani ed i piedi sono i primi a raffreddarsi, perché le estremità sono le prime membra a morire e la vita si raccoglierà attorno al cuore. La fantasia ci rappresenterà la vita trascorsa e forse molte cose ci faranno pena, specialmente il giudizio vicino, di cui vorremmo indovinare l'esito. Il nostro spirito sarà immerso in mortali tristezze, il nostro cuore tentato di disperazione o di presunzione, secondo che Dio permetterà.
Ecco la preparazione alla morte. Orbene, per i meriti e per la sete di Gesù crocifisso, per quelle piaghe delle mani e dei piedi, per quelle pene che Gesù soffrì nel suo cuore, nel suo spirito, chiediamo di disporci bene a quel momento, alla morte. Offriamo quindi adesso, per allora, la perdita di tutti i nostri sensi che ad uno ad uno cesseranno di essere per noi in uso: sarà questo il cammino inesorabile della morte.
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Domandiamo per quel momento la grazia di soffrire con pazienza, come Gesù. Il Crocifisso cristiano ci rappresenta sempre il divin Maestro calmo, sereno, pienamente cosciente, e pienamente rassegnato al divino volere: «Nelle tue mani, o Padre, raccomando l'anima mia»5.
Chiediamo la grazia di una santa morte; specialmente di vincere in quel momento le brutte tentazioni, le tentazioni supreme che ci muoverà il demonio: «Descendit ad vos habens iram magnam, sciens quod modicum tempus habet: Discenderà arrabbiato a noi, sapendo che gli rimane poco tempo»6 per guadagnare l'anima nostra. E noi chiediamo adesso di vincere allora, di vincere tutto. Venga in quel momento Gesù a consolare la nostra agonia. Io l'aspetto quel Crocifisso agonizzante, speranza e conforto dei moribondi, l'aspetto e l'invoco fin d'ora prima nel Viatico, poi con la sua immagine.
Cantiamo adesso: Crocifisso mio Signor, poi recitiamo il quarto mistero doloroso: Gesù è condannato a morte e porta la croce al Calvario.

[3.] «Uno dei ladroni crocifissi…»7, ecc.
Ecco, la grande visione che abbiamo dinanzi agli occhi: un monte, due ladroni crocifissi, in mezzo ad essi il nostro divin Salvatore. Si eclissa il sole, splendono le stelle in cielo. Innanzi al Crocifisso vi è una donna, Maria santissima impietrita dal dolore e Gesù crocifisso lascia per ultima eredità la madre. Gesù crocifisso prega e perdona gli stessi crocifissori; attesta di avere adempiuto la sua missione e cioè di aver predicato la parola della verità, istituito la Chiesa, i sacramenti, insegnato agli uomini la via del cielo. Ha una sete suprema, ma la sua sete si estende a tutti i secoli, ha sete di anime. Ecco Gesù che consegna il suo spirito nelle mani del Padre e poi abbassa il capo e spira. In virtù della morte del nostro salvatore Gesù Cristo, chiediamo la grazia di una santa vita per avere una santa morte. In quel momento non avremo nulla per far affidamento su di noi. Guardando indietro nella nostra vita, vedremo tante e tante mancanze; appena appena ci consoleranno alcuni atti di cui ora facciamo poco conto:
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sacrifici occulti, certe tentazioni vinte, certe cose consumate nel segreto, mentre le cose che adesso ci consolano, allora, nella maggior parte, non vorremmo neppure rammentarle. Tutta e sola la nostra speranza sarà il Crocifisso: Vulnera tua, fiducia mea8, Signore, non ho meriti, i meriti sono le tue piaghe. Belle le parole di S. Teresa del Bambino Gesù9 che esprime la teologia di S. Paolo: «Vedendo che non ho meriti, io prendo quelli di Gesù e di Gesù crocifisso»10. Ecco la sublime teologia della redenzione espressa nei termini più semplici di un'anima che vedeva nelle cose di Dio, più di tanti dotti della terra. Ecco, la nostra speranza: il Crocifisso! Ci copra allora il Crocifisso: la sua corona di spine sulla nostra testa, le sue mani sulle nostre mani, il suo cuore sul nostro cuore, i suoi piedi sui nostri piedi, così che l'eterno Padre guardandoci non veda più che il suo Figlio: «Respice in faciem christi tui»11. Ecco perché noi vorremmo scomparire e presentarci al tribunale di Dio solo con i meriti di Gesù. Ecco il valore, ecco la fortuna immensa della Messa, ecco perché questa Messa si ripete ogni mattina, ecco perché ognuna di noi deve mettersi dietro l'Ostia, e sia veduta solo l'Ostia santa, e i nostri peccati vengano coperti dalle piaghe, dal sangue, dall'ombra, dalla figura del Figliuolo di Dio, che piace sempre al Padre. Disponiamoci alla morte con grande diffidenza di noi e con grande confidenza nel Crocifisso. In punto di morte vorremmo scomparire noi con la nostra vita, perché il Padre veda impresso in noi Gesù, colui che è bello, colui che è santo: «in quo mihi bene complacui»12.
Recitiamo il 5° mistero doloroso e cantiamo l'Anima Christi nascondendoci dietro o immedesimandoci con Gesù.
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* Ora di adorazione, alla Famiglia Paolina, in ciclostilato, fogli 2 (22,6x34,1), tenuta ad Alba il 17.9.1933. Anche se nell'originale non è indicato l'autore, è da attribuirsi a Don Alberione perchè è stata stampata in I Novissimi..., o. c., pp. 22-34.

1 Cf Tintori Eusebio, Il Divin Maestro o i quattro Vangeli concordati, PSSP, Alba-Roma 1932, pp. 299-300.

2 Cf Is 53,7: «Era come un agnello condotto al macello».

3 Cf Gv 15,13.

4 Cf Tintori E., Il Divin Maestro, o. c., pp. 300-302.

5 Cf Lc 23,46.

6 Cf Ap 12,12.

7 Cf Tintori E., Il Divin Maestro, o. c., pp. 302-304.

8 “Le tue ferite sono la mia fiducia”.

9 Teresa di Gesù Bambino e del Volto Santo (1873-1897), francese, monaca carmelitana nel monastero di Lisieux. Nell'autobiografia Storia di un'anima descrive il proprio cammino nello spirito dell'infanzia spirituale. Fu canonizzata nel 1925; dichiarata dottore della Chiesa nel 1997. È patrona universale delle missioni cattoliche.

10 S. Teresa di Gesù Bambino, Opere complete, Libreria Editrice Vaticana-Edizioni OCD, Roma 1997, cf Pr 6, pp. 941-943.

11 Cf Sal 84,10: «Guarda il volto del tuo consacrato».

12 Cf Mt 3,17: «Nel quale mi sono compiaciuto».