Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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6. AMORE A DIO - AMORE AL PROSSIMO
(Domenica di Quinquagesima)

Meditazione alla Comunità delle Pie Discepole del Divin Maestro.
Roma, Via A. Severo 56, 9 febbraio 19641

Il Vangelo tratto da san Luca, capitolo XVIII.
Gesù prese in disparte gli Apostoli e disse: «Ecco, noi andiamo a Gerusalemme e là si adempirà tutto quello che i profeti hanno predetto riguardo al Figlio dell'uomo; egli sarà consegnato ai gentili, sarà deriso, maltrattato, coperto di sputi, flagellato e condannato a morte; ma al terzo giorno risorgerà». Gli Apostoli non compresero nulla di queste parole, per loro era un linguaggio troppo oscuro e non ne afferrarono il senso. Arrivati a Gerico incontrarono un cieco che domandava l'elemosina sul ciglio della strada. Sentendo passare la folla, domandò che cosa accadesse. Gli risposero che passava Gesù. Allora si mise a gridare: «Gesù, figlio di Davide, abbi pietà di me». La gente in testa cercava di farlo tacere. Ma egli gridava ancora più forte: «Figlio di Davide, abbi pietà di me». Gesù si fermò, lo fece venire vicino a sé e gli domandò: «Che cosa vuoi che io ti faccia?». «Signore, fa che io veda». Gesù replicò: «Va bene, vedi, la tua fede ti ha salvato». Sull'istante il cieco ricuperò la vista e seguiva Gesù glorificando Iddio. Alla vista di quel miracolo, tutto il popolo si mise a proclamare le lodi di Dio2.
Quindi abbiamo due parti del Vangelo. La prima parte è Gesù che annunzia la sua prossima passione, morte e glorificazione: il terzo giorno risorgerà. E gli Apostoli allora capirono ben poco o niente.
La seconda parte del Vangelo è la narrazione del miracolo compiuto da Gesù ridonando la vista al cieco: Respice, fides tua te salvum fecit3: guarda, la tua fede ti ha salvato, e vedi. E così acquistò immediatamente la vista e poi seguiva Gesù glorificando, ringraziando il Signore.
Anche il Vangelo, in questa domenica, ci invita alla fede in Gesù Cristo.
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Però abbiamo anche da ricordare quello che c'è nell'Epistola della Messa odierna, e cioè: la necessità della carità, la necessità assoluta per arrivare alla salvezza eterna. La carità assoluta, e cioè, l'amore a Dio: essere in grazia. L'amore a Dio e l'amore al prossimo, poi si aggiunge. Quindi, nel riassunto, questo: vi è la fede, vi è la speranza, vi è la carità. Ma tra le tre virtù, la maggiore è la carità1.
La carità verso Dio comincia dallo stato di grazia. Quando l'anima è in grazia di Dio, allora è unita a Dio. E l'uomo diviene figlio di Dio per la grazia; così nel battesimo; e così nella vita, chi muore al peccato, chi vive in grazia di Dio, ecco, allora c'è la sostanziale unione con Dio.
Chi non capisce la necessità della grazia, di vivere l'unione con Dio, chi non capisce questo, non sa nulla del cristianesimo. Il cristianesimo incomincia dal momento in cui l'anima è unita a Dio per grazia. Questa è la sostanza del cristianesimo: essere figli di Dio, cioè in grazia.
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E questa grazia, di dove viene? Da quello che Gesù dice nel Vangelo: «Ecco, noi andiamo a Gerusalemme e là si adempirà tutto quello che i profeti hanno predetto riguardo al Figlio dell'Uomo». E cioè, la sua passione e morte e risurrezione per cui ottenne la grazia per noi. E tutta la grazia viene solo da lui, è l'unica fonte.
«E sarà consegnato ai gentili, sarà deriso, maltrattato, coperto di sputi, flagellato e condannato a morte, ma il terzo giorno risorgerà». La grazia ha un'unica fonte, è Gesù Cristo. E come la otteniamo? E perché? Perché Gesù Cristo ha fatto un duplice ordine di meriti: dall'incarnazione, presepio, tutta la vita privata, la vita pubblica, la passione e morte, tutto egli ha fatto: meriti per sé, per ricevere grazie, e meriti per noi, la grazia. Cioè, egli ha acquistato in noi, e a noi ha acquistato la grazia per cui diventiamo figli di Dio.
Gesù Cristo è l'unica fonte della grazia e della santità, e se noi vogliamo crescere in santità, dobbiamo andare alla fonte: Gesù Cristo.
Gesù Cristo è la fonte. E la grazia ci vien comunicata, in primo luogo, coi sacramenti; in secondo luogo, per la preghiera; in terzo luogo, per la vita buona, facendo buone opere, cioè vivendo da buoni cristiani e da buoni religiosi. Queste tre maniere ottengono l'aumento delle grazie quotidianamente, momento per momento.
Quindi noi abbiamo da credere che Gesù Cristo è l'autore della grazia, ed è l'unica fonte della grazia, ma nello stesso tempo, dobbiamo ricordare che questa grazia ci viene comunicata in tante maniere. Oh, fede!
E allora questa fede ci deve portar la speranza.
Se Gesù Cristo è il Salvatore e ha meritato per noi, ecco fiducia o speranza che ci vengono applicati i meriti di Gesù Cristo, cioè la grazia guadagnata da Gesù Cristo per i suoi meriti, per la sua passione.
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Ma fino lì crediamo a Gesù Cristo, crediamo la redenzione, ma ciò che importa è poi vivere, cioè la carità. L'unione con Dio, essere figli di Dio, questo è il cristianesimo; ed esser figli di Dio più completi, più perfetti se noi siamo religiosi veramente osservanti e ci distacchiamo da tutto quello che è mondo per attaccarci unicamente a Dio. Non dobbiamo seguire il mondo. Cercar Dio solo, il suo paradiso, cercare la gloria di Dio e la nostra santificazione, allora c'è l'unione con Dio, si vive in grazia di Dio.
Ma sarebbe anche inutile la fede e inutile la speranza se noi poi non acquistassimo la carità, cioè la grazia e il continuo aumento della grazia. Perché, «ci fosse anche la fede che trasporta i monti e non so amare, sono niente; inoltre, se distribuissi tutti i miei beni ai poveri e mi lasciassi bruciare vivo e non so amare, non mi giova nulla. La carità è paziente, è premurosa. E così, se uno sapesse tutta la scienza e tutte le scienze, anche uno sapesse tutta la teologia e uno avesse fatto cento volte i voti e non avesse la carità nihil mihi prodest: niente giova»1. È questa unione con Dio che conta, e l'unione è appunto la grazia, l'amore, la carità, in sostanza.
E vi sono persone che arrivano alla fede ragionando, e persone che ammirano la redenzione operata da Gesù Cristo, e poi dopo, magari, vivono in peccato. Nulla vale all'esterno se non c'è l'interno, cioè l'unione intima, la grazia di Gesù Cristo, la grazia di Dio. Abbiamo da crescere in grazia.
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Ma quali sono i segni se in noi è cresciuta la grazia, se noi veramente siamo santi? Lo si deduce da questo: se abbiamo amore agli altri, al prossimo, cercare la loro salvezza, vivere nella pazienza. «La carità è paziente, è premurosa, non è invidiosa, non offende, anzi è umile, non è ambiziosa, non cerca il suo interesse, non si irrita, non pensa male, non gode dell'ingiustizia, ma del trionfo della verità. Colui che ama, tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta. La carità non finirà mai, cioè quando moriremo cessa la fede e cessa la speranza e rimane in eterno la carità, cioè l'amore a Dio, l'unione con Dio, in eterno»1.
Oh, dalla carità verso il prossimo giudichiamo della carità che noi abbiamo verso Dio. Dall'amore. Se uno non ama il prossimo, certo non ama Dio2. E se uno ama il prossimo, ama Dio; e se lo si ama bene il prossimo, come è descritto da san Paolo, allora si ama veramente, e sempre di più, intimamente Dio.
Quindi quel libro d'oro di sant'Alfonso: La pratica di amare Gesù Cristo. E come si mostra l'amore a Gesù Cristo? Spiega in tanti capitoli le qualità che ha e i segni che sono dell'amor di Dio. In che maniera? Come noi trattiamo il prossimo: «la carità è paziente, è benigna, è premurosa, non invidia, non offende, anzi è umile, non è ambiziosa, non cerca il suo interesse, non si irrita, non pensa in male, non gode dell'ingiustizia, ma del trionfo della verità. E colui che ama, tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta»3. Sono tutti i segni della vera carità verso il prossimo, e sono insieme i segni dell'amore a Dio. Perché noi ci comportiamo degnamente coi figli di Dio, che è il prossimo, e allora il nostro amore ai figli di Dio indica l'amore al Padre celeste, al Padre di tutti questi figli di Dio, cioè delle creature. Quanto ai figli di Dio poi c'è sempre la gradazione. E cioè, vi sono le anime che vivono in grazia, sono figli di Dio in modo particolare; e poi tutti gli uomini perché in un senso sono anche figli di Dio in quanto sono creati dal Padre celeste.
Allora vedere di arrivare poco a poco, non solo alla fede, ma neppure soltanto alla speranza, ma arrivare alla carità, perché questa carità dura in eterno, l'unione con Dio, e questa unione con Dio, nell'altra vita, è felicità, è felicità.
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E allora, cosa dobbiamo conchiudere? Conchiudere che noi dobbiamo tutti i giorni domandare al Signore questa grazia: «Mio Dio, vi amo con tutto il cuore sopra ogni cosa, voi bene infinito, eterna felicità». Sopra ogni cosa, l'amore a Dio, sopra noi stessi. E poi l'altra parte dell'Atto di carità: amare il prossimo come noi stessi e perdonare i disgusti, le offese che fossero state fatte e comportarsi come si è comportato Gesù. Appena l'han crocifisso egli pregava per i crocifissori: «Padre, perdona loro, non sanno quel che essi facciano»1. Perché loro, i crocifissori, non conoscevano chi fosse Gesù, e loro eseguivano la condanna e ignoravano che crocifiggevano il Figlio di Dio incarnato.
Oh, allora, che conclusione? Quanto amiamo Dio? È sempre un po' un'incertezza quando c'è l'amor di Dio in noi; ma un segno chiaro se c'è l'amor di Dio è se amiamo il prossimo, lo amiamo non per un utile, ma lo amiamo proprio per Dio, perché è figlio di Dio. Amare il prossimo quando ci è di vantaggio, ma quello è anche amor proprio: perché ci tratta bene, perché è simpatico, ecc.; quello non è amor di Dio, ma è amor proprio, per vantaggio proprio. E anche se fanno beneficenze noi dobbiamo pensare che non è per la beneficenza stessa, ma è perché onorano Dio e perché fanno opere di carità, ecco.
Vedere sempre e distinguere quando c'è l'amor di Dio e quando c'è, invece, l'amor proprio. Amore a Dio, Dio! Maior autem horum, caritas2: la maggiore delle virtù è questa carità: verso Dio, verso il prossimo. Quando il cuore è un po' turbato recitare l'Atto di carità.
Sia lodato Gesù Cristo.
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1 Nastro 118/c (= cassetta 152/a.2). Per la datazione, in PM nessun accenno cronologico (cf PM e nostra nota in c57). - dAS, 9/2/1964 (domenica): «m.s. (= celebra in cappella e tiene meditazione alle PD)».

2 Lc 18,31-43.

3 Ib v. 42.

1 Cf 1Cor 13,13.

1 Cf 1Cor 13,1-13.

1 Cf 1Cor 13,1-13.

2 Cf 1Gv 4,20.

3 Cf 1Cor 13,1-13.

1 Lc 23,34.

2 1Cor 13,13.