ISTRUZIONE III
LA MORTE E VARIE CATEGORIE DI OPERE
[30] Nella meditazione di ieri sul peccato noi abbiamo notato che esso è il vero male dell'anima nostra perché ci allontana dal fine: il Paradiso, e ci impedisce quell'aumento di grazia e di meriti che noi desideriamo raccogliere nella nostra vita.
Il peccato ha pure delle conseguenze nella vita presente. Il Signore è largo di benedizioni e di grazie verso i suoi figli. Quando perciò ci accade qualcosa di avverso, consideriamo anzitutto se ne siamo stati noi la causa, attirandoci quella avversità coi nostri peccati, poiché per i peccati di ognuno vengono dei mali ad ognuno e per i peccati delle comunità vengono i mali alle comunità. Però non bisogna credere che tutti i | [31] mali siano castigo di qualche peccato. Spesso sono permessi da Dio per aumento di meriti in ordine alla vita eterna: sono come prove con cui l'anima si purifica, cresce nell'amore e aumenta i suoi meriti per l'eternità.
Tra i mali causati dal peccato, il più grave è certamente la morte. Ma noi oggi consideriamo la morte come la porta che ci introduce in Paradiso. La morte è la fine di quel tempo che il Signore, per somma bontà, ci ha dato onde guadagnarci il Paradiso.
La morte è la chiamata di Dio al premio o al castigo. È la fine del tempo che è quanto di più prezioso noi abbiamo in questa vita. Tutte le grazie le abbiamo nel tempo. Finita la vita non vi è più la possibilità di meritare. Quando sopraggiunge la morte, l'anima rimane tale qual è in quel punto senza poter acquistare neanche il più piccolo merito. Neanche in Purgatorio, per quanto soffra, non può meritare nulla da sé né può ottenere l'abbreviazione delle sue pene. Per l'anima che va all'Inferno, poi, «nulla est redemptio»1.
La morte è pure la fine del tempo in cui si può offendere il Signore. Finché siamo su questa terra, per quanto l'anima sia buona e fervorosa, non è mai sicura della salvezza eterna perché è in continuo pericolo di peccare; per questo è sempre più felice della nostra la sorte delle anime | [32] purganti che sono ormai sicure della salvezza perché non hanno più la possibilità di peccare.
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Conseguenze: «Dum tempus habemus, operemur bonum: facciamo il bene mentre abbiamo tempo»2. «Labor vester non est inanis: questo lavoro che si compie non è vano»3, ma sarà ben pagato da Dio. Vi sono persone diligentissime nel guadagnar meriti e ve ne sono altre invece che cercano solo di far passare il tempo.
Il primo modo di perder tempo è quello di passarlo peccando; chi pecca inganna se stesso e quando verrà la morte vorrà avere ancora un po' di tempo, ma non gli sarà più dato.
Altro modo di perder tempo è consumarlo a far nulla. Vi sono persone che non concludono niente nella vita: incominciano un lavoro e poi lo interrompono; accettano un ufficio e poi, alla prima difficoltà, lo abbandonano, si scoraggiano e lasciano ogni cosa. E vi sono magari di quelli che vanno, vengono, ma non fanno nulla di positivo e consumano il tempo in cose sterili, inutili. L'eternità dipende dall'uso che si fa ora del tempo. Vi era una persona che si lamentava di essere molto occupata ed intanto tutti vedevano che andava in giro chiacchierando, perdendo il tempo lei e facendolo perdere agli altri. Vi sono poi ancora persone che perdono il tempo operando sì, ma meritando poco perché operano extra via : fuori della via. Compiono magari opere importanti e tutto il giorno sono occupate, ma | [33] vivono disunite da Dio, hanno intenzioni di vanità, desiderano e cercano la lode e la stima delle persone che stanno sopra o accanto; non pensano all'anima propria: sono occupatissime facendo niente: «Occupatissimae in nihil agendo».
Il bene bisogna farlo bene, con retta intenzione. Non sempre ciò che è vistoso davanti agli uomini è grande davanti a Dio.
È quindi molto importante che noi ci esaminiamo non solo se operiamo, ma se operiamo per Dio, con retta intenzione, perché le opere che noi facciamo per meritare la vita eterna devono esser fatte in grazia di Dio, con retta intenzione, compiutamente.
Nell'apostolato potete fare molte cose, ma - dice S. Paolo - al giorno del giudizio di Dio si vedrà quali siano state le opere di ciascuno (notate che S. Paolo parla dei predicatori, di coloro che compiono l'apostolato). Così egli si esprime: «Nessuno può porre altro fondamento che... Gesù Cristo: badi però ognuno come egli vi costruisce sopra... E secondo che altri su questo fondamento
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costruisce con oro, argento, pietre preziose, legno, fieno, stoppia, l'opera di ciascuno si farà manifesta... il fuoco proverà le qualità del lavoro di ciascuno. Colui il cui lavoro di sovraedificazione resiste, riceverà la mercede; colui invece il cui lavoro sarà bruciato, ne soffrirà danno; quanto a lui però si salverà, ma come attraverso al fuoco4.
[34] Al giudizio di Dio, dunque, il fuoco della divina giustizia proverà se le opere di ognuno si potranno paragonare all'oro o all'argento o alle pietre preziose o al legno o al fieno o alla stoppia. Notate che S. Paolo anche quando dice stoppia parla ancora di opere buone, di apostolato: quindi uno anche facendo l'apostolato può guadagnare solo della paglia.
Quali opere si possono catalogare sotto il titolo oro, cioè tra le opere in cui si guadagna di più per il cielo? Sono quelle che non solo si compiono in grazia di Dio, nel modo indicato dai superiori e con retta intenzione, ma che si fanno ancora con spirito sacerdotale, in unione cioè al sacerdozio, alla Pia Società S. Paolo. Questo è un privilegio che non ha nessun altro Istituto. Le vostre opere diventano oro quando voi vi unite in spirito, al sacerdozio, che per voi è rappresentato dalla Società S. Paolo.
Quando una, credendosi sapiente, si disgrega da questa unione, danneggia tutte le sorelle, poiché fa sì che le loro opere non possano più annoverarsi nel titolo oro. Se si avrà la grazia di capire questo (e per capire questo bisogna capire bene il Corpo mistico) si aumenteranno tanto i meriti. Questo spirito sacerdotale è unione e dipendenza nell'apostolato: dipendenza non nella direzione o amministrazione, ma nello spirito, nell'apostolato5.
La seconda categoria di opere, cioè quelle dal titolo argento comprende quelle opere | [35] compiute con le intenzioni degli ascritti all'Apostolato della preghiera6 e con le intenzioni del cuore di Gesù che s'immola sui nostri altari.
Chi, per ignoranza, non arrivasse alla prima categoria di opere, arrivi almeno a questa che è propria di tutti i cristiani.
Alla terza categoria appartengono le opere che si possono paragonare alle pietre preziose e sono quelle in cui non si mettono
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le intenzioni delle opere precedenti. Si compiono ancora in grazia di Dio, con retta intenzione, bene, ma valgono meno dell'oro e dell'argento. Hanno ancora molto merito, ma meno delle precedenti, perché compiute isolatamente.
La quarta categoria di opere elencate da S. Paolo è quella delle opere paragonate al legno. Queste sono ancor buone, ma difettano già di qualche cosa. Quella persona fa il bene, ma se ne compiace o lo fa grossolanamente, non si preoccupa dei peccati veniali; per l'apostolato trascura la preghiera, prega distrattamente, ecc.: opere di legno, queste! E sono molte le suore che fanno solo del legno! Bisogna vigilare per non perdere dei meriti facendo solo opere paragonabili al legno.
La quinta categoria è quella delle opere paragonabili al fieno. L'erba secca, il fieno non è del tutto inutile (adesso il fieno si paga L. 150 al quintale!), ma è assai meno prezioso del legno, dell'argento, dell'oro. Opere fieno sono quelle che non sono | [36] dirette a Dio, che si fanno per invidia, per non star dietro alle altre, che hanno una segreta malattia, cioè una vanità profonda. Vi sono persone che perfino nel confessionale raccolgono solo del fieno: vogliono apparire spirituali, mentre è assai meglio essere semplici. La vana compiacenza, il fine vano può guastare tutta l'opera, se esclude ogni buona intenzione, se no la guasta in buona parte a seconda dell'intenzione vana.
La sesta categoria è quella delle opere paragonabili alla stoppia. E sono quelle che non guadagnano più quasi nulla. Vengono così ridotti i meriti, che il bene è inutile per la vita eterna. Queste opere appena appena non sono peccato. Le persone che le compiono si possono salvare perché in punto di morte possono fare una buona confessione, ma non hanno alcun merito. Sono quelle opere che o furono compiute in peccato mortale o furono fatte così malamente, così grossolanamente da non meritare proprio nulla.
Proviamo ad esaminarci e a catalogare le nostre opere e facciamo in modo che, al giorno del giudizio, alla luce divina che il Signore farà sfolgorare sulla nostra anima, non si veda poi una vita vuota, ma si vedano opere tali da potersi paragonare almeno alle pietre preziose, o meglio ancora, all'argento e all'oro.
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1 «Non vi è redenzione».
2 Gal 6,10.
3 1Cor 15,58.
4 Cf 1Cor 3,10-15.
5 Questa visione della donna che opera in dipendenza dal sacerdote è una costante del pensiero di don Alberione, già espressa in : La donna associata allo zelo sacerdotale (1915).
6 Cf nota 1, p. 234.