Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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26. CRITERI PER L'ACCOMPAGNAMENTO VOCAZIONALE

Meditazione alla Comunità delle Pie Discepole del Divin Maestro.
Roma, Via Portuense 739, 1° agosto 1961 1
Questo ci porta a considerare i segni della vocazione o la mancanza dei segni di vocazione. Nello stesso tempo ricordare che la vocazione può esserci e mancare la corrispondenza, la quale può mostrarsi incorrispondenza o in principio o anche più tardi e anche molto più tardi. Come abbiamo sempre tutti insieme da diffidare di noi!
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E sempre pregare perché la grazia del Signore viene data a chi prega e chi prega con umiltà e fiducia e perseveranza. La grazia della perseveranza non è mai assicurata. Non vuol dire, cioè, che una persona, avesse fatto bene anche trent'anni e avesse già raggiunto un certo grado di santità, non vuol dire che sia sicura di perseverare e di salvarsi. E' sempre necessario che ogni giorno si chieda la perseveranza. E se ogni giorno si prega bene, si fan bene le pratiche di pietà in umiltà e fiducia, la perseveranza è data per quel giorno. E se all'indomani di nuovo si fan bene le pratiche con umiltà e fiducia, è data di nuovo per quel giorno, e così via avanti, e si ottiene la perseveranza perseverando a pregare in umiltà e fiducia.
Oh, può una persona sempre confidare, ma nello stesso tempo, diffidare di sé. Abbiamo qualche esempio nella storia, che fa ben pensare, anche di persone che hanno istituito Congregazioni e hanno finito male, dopo, essi stessi, dopo che le loro Congregazioni sono state stabilite, si sono sviluppate e vivono ancora. Ma la perseveranza è un dono di Dio che vien dato a chi continua a perseverare nella preghiera con le due disposizioni: diffidenza di noi, confidenza in Dio.
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Nelle Costituzioni, generalmente, si mette in rilievo, parlando delle vocazioni, si amette in rilievo, chi non può essere accettato dall'Istituto, chi non può essere accettato lecitamente e chi non può essere accettato validamente. Ma il Direttorio, che è un commento delle Costituzioni, deve dire anche la parte positiva, non soltanto chi è da escludersi, ma chi è, invece, da includersi, cioè chi possiede certe qualità richieste per la vita religiosa, deve venire accettato.
Le qualità richieste sono varie e cioè: intelligenza, almeno mediocre; capacità nel fare le opere, e attitudine, quindi, alle opere dell'Istituto. Poi si richiede docilità di carattere; poi si richiede la intenzione retta e cioè; quando si vuole veramente entrare per santificarsi: «Se vuoi essere perfetto»1, non per fini secondari. Questo della intenzione retta è essenziale. E tuttavia è sempre un po' difficile scoprirsi la rettitudine o la mancanza di rettitudine nel volere entrare nell'Istituto. E l'aspirante dovrebbe manifestarsi, e in mancanza del suo manifestarsi, cioè quando manca la volontà di farsi conoscere, allora tocca a chi guida scoprire, scrutando quello che passa nell'animo da ciò che risulta di esterno, poiché i superiori hanno grazie di illuminazione. Tuttavia, nonostante queste grazie di illuminazione, possono anche venire ingannati.
Oh, tra le disposizioni, dunque: quella della retta intenzione, capacità agli uffici e agli apostolati della Congregazione, la sufficiente salute, la sufficiente intelligenza, la bontà di cuore, ecc., è da notarsi e darsi rilievo molto al carattere. Certamente che gli Istituti devono, poco per volta, fare anche loro delle esperienze. Come le esperienze vengono fatte da ogni persona, da ogni persona fisica, così anche le persone morali che sono gli Istituti, le Associazioni. Oh!
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Tuttavia la bontà di carattere si manifesta: con la socievolezza, la docilità, l'affezione all'Istituto. Ecco tre cose necessarie.
[1.] Una grande docilità all'Istituto nell'obbedire, nel conformarsi anche nelle idee, nei sentimenti. L'obbedienza è una cosa necessaria, ma per entrare nell'Istituto è insufficiente, per sé, perché può sempre darsi che uno faccia ciò che è comandato, ma la docilità è cosa più profonda, è, cioè, quella disposizione di umiltà e di docilità che porta ad accettare, amare e accogliere con entusiasmo, anche se costa sacrificio, quello che è disposto. Tra obbedienza e docilità passa la diversità che passa tra fortezza, virtù cardinale, e fortezza, dono dello Spirito Santo.
Oh, allora, perché in seguito, nello svolgersi della vita, del tempo, l'Istituto sia sempre edificato dalla persona che entra e, la persona che entra si trovi sempre bene, è necessario che arrivi alla docilità, perché è vita di perfezione che è, quindi, quella docilità che supera l'obbedienza, perché, poco per volta, dopo l'obbedienza si porterebbe avanti con un po' di pena. E anche chi guida non sarebbe sempre libero di disporre delle persone e deve, tante volte, adattarsi alle voglie o anche ai capricci perché non venga disturbata la comunità stessa. Docilità profonda. Docilità di carattere.
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[2.] La socievolezza con le sorelle.
Quando in una Casa piccola vi è quell'accordo intimo, quella convivenza lieta, quella confidenza fra la Madre e le suore, allora la vita religiosa è resa lieta, e cioè si vive in letizia caritatevole. Ma quando da una parte o dall'altra viene a mancare qualche cosa a questo riguardo, e allora si strascina il peso. Non che tutte mettono le loro mani a portarlo, il peso, ma che qualcheduna lasci portare il peso dalle altre, oppure che qualcheduna semini un po' pareri, critiche, giudizi contrari, anche, qualche volta, opposizioni, così che nasce quello stato di disagio.
Oh, la vita religiosa non è una vita di piacere. E', la vita religiosa, un accompagnare il Maestro Divino. E come è vissuto? Quali sono state le sue pretese? Quali pretese? Nessuna. Si è contentato di una grotta per nascere, e si è contentato anche di esser subito perseguitato, ancora bambino, e finire sulla croce. Non c'è un'altra vita religiosa fuori di quella segnata dal Vangelo. La vita religiosa è un volere vivere meglio il Vangelo, cioè, essere un po' più buoni cristiani, ecco, cristiani migliori. Cioè, se si vuole esser perfetti, condurre avanti l'imitazione di Gesù Cristo fino alla povertà perfetta, fino alla castità perfetta, fino all'obbedienza perfetta che è docilità. Amare la povertà proprio. Amare Gesù così da non sentire o non lasciarsi mai trascinare da pensieri mondani e sentimenti troppo umani. E amare talmente la volontà di Dio da abbracciarla in letizia comunque si manifesti. Socievolezza.
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[3.] E l'altra cosa che ho ricordato, dipende dall'amore all'Istituto.
Amore all'Istituto, alle sue Costituzioni; amore alle persone che compongono l'Istituto; amore all'autorità che è rappresentata e rappresenta Dio. Poi l'interessamento per tutte le cose di apostolato, il vivere dell'Istituto, come una mamma la più retta, la più buona ama la sua famiglia. E quale è la famiglia di chi ha fatto Professione se non la famiglia religiosa? Quale intimità vi era fra Gesù, Giuseppe e Maria? Eppure là, perché la Provvidenza guidava tutti gli eventi, molte volte ci sono stati degli interrogativi, interrogativi da parte di san Giuseppe, interrogativi anche da parte di Maria. Non capirono, non lo compresero nelle risposte che aveva dato1. E come non venire qualche dubbio quando è annunziato il Figlio di Dio incarnato e questo non dà segni di distinguersi dagli altri, fa il falegname, tratta le cose umane come un altro del paese, della borgata, meglio.
Oh, si è, alle volte, molto inclinati ad accontentare, ed è più facile per i superiori contentare, alle volte. Ma se non si richiedon le prove, particolarmente all'inizio, non si scopre se la volontà è retta, se davvero vuol perfezionarsi, l'aspirante o se, invece, vuole una posizione, vuol risolvere la sua vita in qualunque maniera e nella maniera più semplice e magari più facile per evitare i fastidi della vita comune del cristiano. Oh, allora, guardare sempre i segni di vocazione.
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Altro punto è di corrispondere alla vocazione, perché la buona volontà, la stessa Professione è un proposito, la Professione, un proposito più solenne che impegna più gravemente, ma è sempre un proposito. Ora, i propositi li osserviam sempre tutti? Sì, si dirà, ma quello è un proposito più solenne e ci impegna meglio. E poi vi sono anche, per chi non vive secondo le Costituzioni, vi sono anche i peccati, chi non osserva certi punti delle Costituzioni, la massima parte dei punti delle Costituzioni. Occorre la corrispondenza, la quale - ho detto - si ottiene con la preghiera umile e fiduciosa, se fatti, emessi i santi voti si sente l'impegno di essere più legati, e legati al primo articolo: perfezionarsi, cioè non si considerano i voti, cioè la Professione, come un punto di arrivo, ma un punto di inizio. Inizia allora la vita religiosa. Anche se sono state novizie, non erano ancor religiose propriamente, canonicamente, ma comincia allora il lavoro. Ed è durante il tempo dei voti temporanei che più si ha da scrutare, constatare se l'impegno preso di perfezionarsi vien corrisposto o meno. E tuttavia, qualche volta, sfugge che, anche dopo avere dati buoni segni, arrivata alla professione perpetua: "Oh, io sono a posto nella mia vita, comunque sono a posto". Cioè non ho fastidi. E allora comincia il rilassamento. Perciò la perseveranza, sì. La perseveranza nella preghiera umile e nell'impegno di continuar bene.
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Allora, come frutto di questa constatazione che ho dovuto leggervi, primo: vedere se ci sono i veri segni di vocazione; secondo, se si mette a prova l'aspirante affinché si scopra l'intimo dei suoi desideri, delle sue intenzioni vere, reali, in fondo allo spirito: e terzo, constatazione particolarmente durante i voti temporanei.
E avete aggiunto come un secondo noviziato. Questa è cosa ottima. Il noviziato realmente, il noviziato primo, è un avviamento alla vita religiosa. Però la conferma e - diciamo - la penetrazione degli impegni religiosi avviene più nel secondo noviziato che nel primo. Sì. Perciò, o questo noviziato si prolunga due anni - e il secondo anno è molto più fruttuoso del primo - oppure si tramanda come preparazione alla professione perpetua. E questo ha anche dei grandi vantaggi e serve, sia per la suora, la quale ha fedelmente portato i pesi della vita religiosa, può giudicare se le sue spalle, cioè, se essa si sente di portare il peso, e ugualmente possono rilevare le Madri, possono rilevare se ha dimostrato di essere capace a portare il peso. E quindi si avrà una conclusione molto più illuminata, più sicura.
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E tuttavia il diavolo non rispetta mica nessuno e cioè voglio dire, non ha mica paura di nessuno. Se ha tentato Gesù... le tentazioni continueranno fino all'ultimo momento della vita e perciò diciamo: «prega per noi adesso e nell'ora della nostra morte».
Camminare sempre con quella diffidenza di noi, che è l'umiltà, e la confidenza in Dio che si mostra pregando. Quindi nessuno è mai sicuro di sé. La sicurezza si ha quando si entra in paradiso, prima no. E allora questa [non] sicurezza ci deve portare a turbarci, a disperarci? No. Ci deve portare ad assicurarci mediante la preghiera assidua e umile. E preghiere speciali, sì: ogni giorno le pratiche di pietà; ogni settimana le pratiche di pietà; ogni mese le pratiche di pietà; ogni anno le pratiche di pietà, secondo son stabilite dalle Costituzioni. Ma non solamente le pratiche, ma lo spirito da portarsi nella pratica. E' il dono della pietà perché non deve essere solo preghiera del buon cristiano. Il dono della pietà perfeziona la preghiera. E se perfeziona la preghiera, chi deve possedere questo dono della pietà se non la religiosa la quale è entrata per perfezionarsi? Mirare alla preghiera perfetta per quanto è possibile.
State serene. State umili. State liete. Ma sempre camminare mediante i due piedi e cioè: la diffidenza e la confidenza. E così, muovendo un piede dopo l'altro, noi facciamo del cammino che è il cammino della santità.
Sia lodato Gesù Cristo.
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1 Nastro 41/h (= cassetta 97/a). Per la datazione. in PM nessun indizio cronologico. - dAS (nessun accenno). - dAC, 1/8/1961: «Il PM tiene la meditazione e comunica la disposizione della Sacra Congregazione dei Religiosi».

1 Mt 19,21.

1 Cf Lc 2,50.