Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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9. DONAZIONE TOTALE A DIO

Meditazione al gruppo formazione delle Pie Discepole del Divin Maestro.
Roma, Via Portuense 739, 21 marzo 19621

State facendo passi decisivi nella vita. Entrare al noviziato, fare la prima Professione, emettere la Professione perpetua, sono passi decisivi. Entrare nella Congregazione, impegnarsi nell'apostolato, tutto questo piace al Signore. Tuttavia da notarsi che, non tanto l'azione, quanto le disposizioni interne; non tanto i vari passi che si stanno preparando o che già si sono fatti, e tutta quell'attività di apostolato; non tanto l'azione, quanto la disposizione del cuore dobbiamo curare, perché, tante cose si compiono, tuttavia a noi interessa soprattutto il merito che ricaviamo dalle cose e dai passi che facciamo.
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Penso di ricordare quello che è notato nel capo 9°, al versicolo 57 di san Luca1. Mentre che Gesù andava a Gerusalemme - nota il Vangelo - (perché era arrivato il tempo della sua ascensione e cioè, [è] vero [che] si passava per il calvario, ma il calvario era una tappa; il punto di arrivo: l'ascensione alla destra del Padre, la gloria eterna; quindi, ciò che importa è sempre quello che è eterno), mentre facevano questa strada avvenne che un tale - sembra uno ancora piuttosto giovane perché era dominato dall'entusiasmo - [dice:] Ti seguirò, o Signore, dovunque andrai (v. 57). E cioè, Gesù andava a Gerusalemme e quelli che non capivano la sua missione pensavano che là avesse un'accoglienza trionfale, e là stabilisse un nuovo regno, la libertà della nazione, quindi con coraggio entusiasta: sequar te quocumque ieris (v. 57): ti andrò accompagnando fino e quando e dove andrai. Gesù gli rispose: Le volpi hanno le tane e gli uccelli dell'aria, i nidi; il Figlio dell'uomo, invece, non ha una pietra propria su cui posare il capo (v. 58). Doveva essere una doccia fredda sul cuore dell'entusiasta giovanotto, questo; perché si cerca una cosa comoda, si pensa a una vita senza fastidi, preoccupazioni, si pensa ad una condizione onorata, condizione di vita, che tutto sia assicurato, che non manchi niente, e allora è facile fare il voto di povertà quando, non solo non manca niente, ma neppure si ha il fastidio di cercare, di amministrare, di preparare.
Bisogna sempre partire dalla povertà; è il primo voto in ordine, ma è il voto minore; tuttavia se non si parte dalla povertà, non si arriva a praticare, vivere gli altri due voti. La povertà è sempre quello che domanda Gesù, in primo luogo. E lui ha scelto la povertà: a Betlemme, una grotta, e là non era sua. «E non aveva una pietra su cui posare la testa». E il Bambino, quindi, ebbe in prestito, come prima dimora, la grotta e, come prima culla, la greppia scavata nel sasso.
Molto osservare quando vi è la preoccupazione terrena, sotto varie forme, poiché in quei casi c'è da temere, non solo che manchi la vocazione, ma che neppure in seguito si arrivi alla pratica dei voti. Sì, avere una casa, esser comodi, senza fastidi, senza pene e magari ancora cercare di aiutare gli altri, questa è la mancanza di vocazione. Una doccia fredda su quell'entusiasmo del giovane. Bisogna proprio che su questo ci si esamini.
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Allora Gesù si rivolse a un altro: Seguimi - gli disse -. Ma colui rispose: Permettimi, però, che io prima vada a casa a seppellire mio padre (v. 59). E allora Gesù rispose: Lascia che i morti seppelliscano i morti, tu invece va e predica il regno di Dio (v. 60). Questo non era solamente andare alla sepoltura che Gesù non permetteva di andare, ma nel contesto, almeno nei commenti che si sono letti anche stamattina, si voleva dire: assistere ancora i genitori finché se ne andassero in paradiso, finché venisse la morte.
Di nuovo qui l'interesse della casa, sì, interesse della famiglia. Lascia che i morti seppelliscano i morti (v. 60). E cioè, occorre pensare che si cambino le disposizioni di prima, che si prendano non più a cuore gli interessi né nostri né quelli della famiglia, e neppure che si pensi alla loro condizione, e neppure quando sono malati, e neppure fare quella riserva: "E finché la mamma è vecchia, finché il papà non sia passato all'eternità". E nelle lettere poi, anche quando sono già professe, più sovente parlano dei bisogni della famiglia che dei loro bisogni spirituali. Allora il cuore tuo è restato in famiglia o messo in Congregazione?
E' proprio un cambiamento che bisogna fare perché si sia degni della Professione e il cuore passi tutto a Gesù e alla Congregazione. Si dirà che sono genitori, ci sono dei doveri; si dirà che vi è anche il quarto comandamento. Tutto questo è giusto. Però, o c'è la vocazione o non c'è. Se c'è la vocazione è Dio che comanda e che ti prende. Ognuno di noi prima appartiene a Dio che non ai genitori. E' Dio che ha creato l'anima nostra, i genitori hanno contribuito alla nostra esistenza, ma l'anima è di Dio, e quando il bambino è nato è di Dio. E pretese dei genitori, ragioni dei genitori che accampano tanto sovente anche per impedir la vocazione, sono veramente in opposizione con una vocazione. Quando Dio chiama, noi diventiamo proprietà sua. Egli deve poter disporre di noi in tutto e della testa, cioè dei pensieri, e dei sentimenti del cuore, e delle attività. Delle preoccupazioni dell'Istituto [interessarsi e,] attraverso all'Istituto, delle cose di Dio. Questa penetrazione dello spirito religioso e del vero nostro dono a Dio.
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Sì, ci sono i genitori e magari sono preoccupati di noi anche, (parlo di voi), ma vedete la lezione. Quando Gesù a 12 anni, andato a Gerusalemme con Maria e Giuseppe, rimase nel tempio, Maria e Giuseppe credettero che egli si accompagnasse con la comitiva. Lo ricercarono allora per tre giorni. Ma dove l'han trovato? Nella casa del Padre. Qual è la casa del Padre? Il tempio. "Eh, sono a casa mia, casa di mio Padre". Quindi non era smarrito, era a casa sua. Oh, Maria gli fece una specie di rimprovero che gli usciva dall'animo addolorato perché aveva smarrito il Figliuolo. «Figliuolo, perché ci hai fatto così? Non sapevi che noi ti cercavamo?»1. E Gesù, con una risposta molto decisa di colei e di colui che ha una vocazione: «E perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi degli affari che riguardano mio Padre?»2.
Ecco, quella è la risposta a tutte le obiezioni che possono fare i genitori ad una figliuola che vuol consacrarsi a Dio. «Non sapete che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?». Io, chiamato, son sua proprietà, appartengo a voi in secondo luogo, ma appartengo a Dio in primo luogo, ed è lui che devo ascoltare, in primo luogo, e quindi in questo ho la mia libertà.
Perciò, un prendere bene il passo; dico di nuovo: comprenderlo bene, perché anche di nuovo qui si tratta di quello che viene di obiezione, di incertezza dalla famiglia E Gesù deve poter disporre di tutto il nostro essere - ho detto - : la testa, la volontà, il cuore, il sentimento e l'intelligenza. Tutto.
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Poi viene un terzo, il quale si presenta a Gesù: Maestro ti seguo, ti voglio seguire, ma permetti prima che io vada a salutare quelli di casa mia e accomiatarmi (v. 61). E Gesù rispose: nemo mittens manum (v. 62), nessuno mettendo mano all'aratro si può voltare indietro, e chi guarda indietro di nuovo non è degno, non è adatto al regno di Dio (v. 62).
Che cosa indica qui? Qui indica quel distaccarsi sì e no. Qui indica quel sentire una nostalgia ancora della famiglia, dei posti dove si è nati, si è cresciuti, e la mente, la fantasia corrono là, tante volte, e il cuore. Ora non c'è tanto da accomiatarsi, tanto da andare in giro a salutare e la zia e la nonna e i parenti, e anche meno prossimi. Gesù mi chiama, Gesù mi vuole. I morti seppelliscano i loro morti (v. 60). Quando vi è questo cuore che è ancora tanto sensibile, questa pietà sentimentale che è poi un po' vuota, quel sentire poco Gesù; e, qualche volta, sembra che ci sia un certo sentimento, un certo fervore tuttavia; ma quando, non solo si sente un entusiasmo qualche giorno, ma in continuità. "Ma qui ci son persone che sono austere; c'è l'obbedienza che viene comunicata senza tante carezze". E tanti adattamenti [bisogna fare] perché bisogna interrogare, bisogna scoprire se quello piace, non piace e come bisogna dirlo, e in sostanza: non est aptus regno Dei (v. 62): non è adatto al regno di Dio.
Vigilare che ci siano veramente buone vocazioni, anime totalmente di Dio, pronte a tutto quel che il Signore disporrà; la mente occupata in quello che riguarda la formazione intellettuale, spirituale, la mente che è impegnata nello studio, nell'apprender le cose che sono insegnate, e poi tanto quel che riguarda l'apotolato. E quindi la fantasia, la stessa memoria devono fermarsi lì, sopra quello che si ha da fare, sulla vita che si ha da vivere. Cuore un po' diviso non piace al Signore. Tutto, tutta la mente, tutto il cuore, tutte le forze, tutta l'anima, tutto. Se il primo comandamento1, che è anche il principale, si deve osservare, dai religiosi, almeno... Se si tende alla perfezione vuol dire che si tende al tutto: tutta la mente, tutte le forze, tutto il cuore, tutta l'anima non divisus est2, no, non divisioni, perché lì sta l'essenza della vocazione. Oh, ci saranno poi anche delle debolezze, ma queste debolezze, si possono chiamare veramente debolezze, ma la volontà, l'impegno, il desiderio efficace, devono essere così.
Oh, perciò, non tanto i passi fatti più presto, fatti un po' più tardi; non tanto dare soddisfazione esterna a chi ci vede, a chi ci sente, a chi ci segue, ma veramente le disposizioni interiori, poiché può guadagnare una suora i meriti mentre che fa il suo lavoro umile, tanti meriti, e un'altra può guadagnare meno meriti facendo un lavoro che viene più stimato e che magari contenta l'occhio e magari attira le approvazioni, le lodi. Vigilare sul nostro interno, le disposizioni del cuore, le disposizioni dell'anima: tutta la mente, tutto il cuore, tutte le forze. Di seguito poi viene come di riverbero e di conseguenza: «[ama] il prossimo tuo come te stesso»3.
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Allora, ecco, con generosità questi passi santi; sì, con generosità; ma l'esteriorità, dev'essere un frutto della interiorità; quindi non è che sia vietato, tutt'altro! Deve essere però un frutto che parte dall'intimo del cuore: "Signore, che siamo intieramente tuoi"; intieramente, tutto l'essere, neppure un pensiero, neppure un sospiro, neppure un'occhiata che non sia indirizzato a quello che piace a te.
Quanto è possibile, ridurre poi anche certe visite a persone, particolarmente a persone di famiglia, perché è vero che si danno delle vacanze, ma la ragione, però, per cui bisogna insistere su certi punti, sta qui: che si danno delle vacanze come di riposo, ma nell'Istituto. Non abbiamo ancora tutto ciò che è attrezzamento per dare alcuni giorni di riposo; la suora che va in famiglia non ne guadagna, eccetto una visita di un giorno, di un'ora. Quando si son passate due ore, cosa si fa ancora? L'uccello stia nel suo nido, in generale. Tuttavia vi è anche già la possibilità di fare il riposo giusto in qualche altra maniera.
Sì, il cuore lì, proprio le disposizioni; non sabotiamo la vita religiosa, viviamola intiera, come la intende la Chiesa, come la intende il Maestro Gesù. Non sabotarla, ma apprezzarla, crescerla, viverla. E allora sì, che ci rende contenti; allora sì, che non si danno più sguardi dalla finestra verso il mondo; allora si guarda il tabernacolo, si guarda Gesù e di là, l'ascensione al cielo, paradiso eterno.
Sia lodato Gesù Cristo.
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1 * Nastro 48/c (= cassetta 107/a). Per la datazione, cf PM: «Entrare in noviziato, fare la prima professione, emettere la professione perpetua sono passi decisivi». - dAS, 21/3/1962: «Alle ore 18,30 va [il PM] in via Portuense, Casa Generalizia delle PD».

1 Cf Lc 9,57-62.

1 Cf Lc 2,48.

2 Cf Lc 2,49.

1 Cf Lc 10,27.

2 Cf 1Cor 7,33.

3 Cf Mt 22,39.