Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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15. SANTIFICARSI NELLA VITA QUOTIDIANA
(Domenica IV dopo Pasqua)

Meditazione alla Comunità delle Pie Discepole del Divin Maestro.
Roma, Via A. Severo 56, 20 maggio 19621

Il Vangelo torna, anche questa domenica, a ricordarci che era prossima l'ascensione di Gesù al cielo e, conseguentemente, la venuta dello Spirito Santo sugli Apostoli, su Maria Santissima
Gesù disse ai suoi discepoli: «Vado da colui che mi ha mandato e nessuno di voi mi domanda: "Dove vai?" Invece perché vi ho detto queste cose, la tristezza vi ha riempito il cuore. Io vi dico la verità: E' meglio per voi che me ne vada; perché se io non me ne vado, non verrà a voi il Consolatore, ma se me ne vado lo manderò a voi. Egli venendo convincerà il mondo riguardo al peccato, alla giustizia e al giudizio. Riguardo al peccato perché non credono in me e alla giustizia perché vado al Padre e non mi vedete più; al giudizio perché il principe di questo mondo è già giudicato. Molte cose avrei ancora da dirvi; ma per ora non ne siete capaci. Quando invece sarà venuto il Paraclito, lo Spirito di verità, egli vi farà conoscere tutta la verità perché [non] parlerà da sé stesso, ma dirà tutto quello che ascolta e vi farà conoscere l'avvenire. Egli mi glorificherà, perché riceverà del mio e lo annunzierà a voi»1.
Quindi le due parti del Vangelo: la vicina ascensione di Gesù: vado da colui che mi ha mandato, cioè ritorno al Padre; in secondo luogo: verrà lo Spirito Santo che vi manderò dal Padre. Egli vi farà conoscere tutto, vi suggerirà tutto quello che voi, per ora, non capite, ma lo Spirito di verità vi farà comprendere le cose.
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Noi sempre abbiam da considerare che non è la scienza umana quella che ci rende santi, è la scienza divina, è il capire le cose soprannaturali, le cose che riguardano la nostra salvezza eterna.
Vi sono anime che sono molto aperte, quanto a intelligenza, ma quanto a spirito ne capiscono ben poco. E invece vi sono persone che ignorano le scienze di questo mondo, hanno poche conoscenze, magari, non conoscono gli avvenimenti che vengono di qua e di là, non amano molto le notizie varie che non le interessano, ma quanto alle cose di Dio, hanno una sapienza profonda - come dice san Francesco di Sales -. Alle volte, buone donne, gente del popolo, che magari non sanno leggere né scrivere, eppure le cose di Dio, le cose che riguardano l'umiltà, la carità, la santificazione, in una parola, le capiscono e ne approfittano. E poi sono proprio loro che si fan santi.
Qualche volta siamo anche colpevoli perché ci occupiamo di quello che non ci appartiene e non ci occupiamo tanto dell'anima nostra, del progresso. Quello che dà gloria a Dio e quello che porta noi alla santità, questi son due argomenti che riguardano proprio noi. Perché, se c'è la mira della gloria di Dio, ogni opera buona acquista grande merito; se c'è l'impegno della santificazione, allora i momenti son tutti utili per l'eternità. Persone che, invece, perdono tanti momenti nella vita. Oh, allora ci vuole la sapienza celeste.
Bisogna invocare lo Spirito Santo di cui poi si farà la novena dopo l'ascensione di Gesù al cielo e da cui noi confidiamo tanto. Il Signore Gesù, che è Verità, ci faccia conoscere bene le cose divine, e lui che è Via, e cioè, l'esempio di santità, ci attiri nella sua via.
Che la nostra preoccupazione sia quella di piacere a Dio e di prepararci per l'ingresso in paradiso. E che Gesù aumenti in noi la forza, la grazia, perché una comunione basta a fare un santo, sì. Ma se ne possono far tante comunioni nella vita e noi, giorno per giorno, possiamo acquistare tanta santità in più col continuare le comunioni, purché vi siano quelle disposizioni di umiltà, di fede, di fiducia, di carità, di dolore dei peccati.
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Oh, in questi giorni nel Breviario leggiamo l'Epistola di san Giacomo, detta l'Epistola cattolica1. E' tutta piena d'insegnamenti pratici. San Giacomo non aveva grandi speculazioni di dottrina, ma tutto quel che scriveva era di vita pratica. E mentre che noi tutta la settimana leggiamo questa Epistola nel Breviario, qui ce n'è un saggio nell'Epistola della Messa.
Carissimi, ogni ottima cosa ricevuta, ogni dono perfetto, viene dall'alto e discende dal Padre dei lumi, cioè da Dio, nel quale non c'è variazione, né ombra di mutamenti. Egli ci ha generati di sua volontù con la parola di verità affinché noi siamo quali primizie delle sue creature. Voi lo sapete, o fratelli miei dilettissimi: ogni uomo deve essere pronto ad ascoltare, e lento a parlare, e lento all'ira, perché l'ira dell'uomo non fa adempiere la giustizia di Dio. Quindi, rigettando ogni immondezza e ogni resto di malizia, abbracciate con mansuetudine la parola innestata in voi, la quale può salvare le anime vostre. E va avanti.
Ecco, in primo luogo, quello che viene qui insegnato è questo, e che è anche ripetuto nell'Oremus: «In mezzo alle vicende di questo mondo, abbiate sempre l'occhio fisso verso le gioie del paradiso». Perché le cose che succedono in questo mondo son tanto varie. Ogni giorno vi sono notizie, ogni giorno vi sono vicende. E il mondo va come il tempo: un momento tutto bello sereno e, non si è ancora fatto un qualche cammino, un quarto d'ora... E ieri sera era così: partiti col tempo bello e, a metà strada, dopo un quarto d'ora, un temporale. Così. Ora le vicende del mondo son così. Ma i santi approfittano di tutto e del bello e del brutto; e santificano il bello ringraziando il Signore e amando sempre di più lui, datore di ogni bene, perché dice: «ogni ottima cosa, ogni dono perfetto viene dall'alto e discende dal Padre celeste». E santificare quel che è brutto accettando con rassegnazione e offrendo tutto in espiazione dei nostri peccati e dando sempre gloria a Dio. Persone, invece, che si impressionano di tutte le cose: si allietano tanto eh! se una cosa va bene. Ecco, pensa che, se al mattino il sole può levar bello, è limpido il cielo, alla sera può essere già una tempesta. Quindi sempre tenerci nell'equilibrio: non allietarci perché è bello e non scoraggiarci perché è brutto, ma tutto offrire al Signore sapendo che dobbiam santificare le cose belle e le cose brutte. Inter - dice l'Oremus - mundanas varietates ibi nostra fixa sint corda, ubi vera sunt gaudia.
Gente che, asseconda le circostanze, ecco. E, prima tutto entusiasta, quel tale, entusiaste quelle persone, fanno i voti, fanno una gran festa; dopo saranno sotto una persona, magari sotto una superiora la quale è un po' più esigente, allora si scoraggiano, vedono tutto brutto e fino a dire: "E io ho sbagliato ad abbracciare questa vita", e lasciar la vocazione. Mentre c'è da santificare il bello e il brutto. E non essere così schiave, così serve delle circostanze da mutare così facilmente l'umore interno, mutare così facilmente le impressioni, i pensieri, i propositi. I santi han santificato tutto.
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Noi non possiamo santificarci com'era cento anni fa, in cui si andava abbondantemente a piedi, in cui non vi erano tutti questi rimedi, queste comodità nelle case, ecc. non vi erano tutte queste trasmissioni di radio, non vi erano i telefoni. Ma adesso ci sono queste cose. E cento anni fa si facevano tanti santi.
Il Papa, parlando ai Torinesi, una decina di giorni fa, elogiava quei santi, che già son canonizzati a Torino, dicendo: "Non solamente quelli, ma quelli che ancora non sono canonizzati, ma hanno lasciato esempi di virtù e han lavorato tanto"1. E vi è un certo numero, difatti, che son proposti da Torino per la canonizzazione. E il cardinale stesso di Torino2 ha detto: "Son felice di presentare al Santo Padre un altro processo di canonizzazione perché tra le mie consolazioni ho visto questo nell'archidiocesi: tante anime di Dio. E non sono quelle che han fatto rumore, sono quelle che sono state sempre raccolte in sé, han vissuto il tempo come bisognava viverlo prendendo il buono e il cattivo e han santificato tutto". Questa è sapienza grande: inter mundanas varietates ibi nostra fixa sint corda. I cuori sempre rivolti al paradiso. Ubi vera sunt gaudia: dove vi sono i veri gaudi. Questo è insegnamento di san Giacomo.
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Poi insiste a dire: «Siate pronti ad ascoltare». E sentire, alle volte, anche persone noiose. Ma pronte a sentire le cose divine, l'istruzione, e fissarla nella mente. E bisognerebbe che ci fosse più volontà di meditarle, e di ricordarle per praticarle.
«Lenti a parlare». E vuol dire: prima di parlare riflettere ciò che si dice: se piace a Dio, se non piace a Dio.
«Lenti all'ira». E cioè, prima di irritarsi, dominare la nostra ira, i nostri risentimenti; e i risentimenti, quando vi è necessaria una certa sgridata, una certa osservazione, perché: irascimini et nolite peccare1 - dice san... san... Allora le osservazioni giuste e non occuparci delle cose che non ci spettano. L'ira dell'uomo non fa santi. L'ira dell'uomo non ci fa santi. E quello che si dice e si fa sotto l'impressione di dispetto, di risentimento, di rancore, di ira, non è quello che ci guadagna il paradiso, è un servire le passioni che sono specialmente l'orgoglio, l'avarizia, l'ira, la superbia, gli attaccamenti, ecc.
«Combattere ogni immondezza ed ogni resto di malizia» che tiene i cuori nostri, alle volte. Si dice, si fa, ma si hanno altri fini, non è propriamente la gloria di Dio, qualche volta. Ci sia sempre la gloria di Dio. Che l'anima non abbia più dei resti di malizia, cioè, che non segua più le passioni.
«Ma abbracciare con mansuetudine la parola di Dio la quale può salvare le anime vostre». La parola di Dio può salvare, santificare le anime nostre. E poi san Giacomo va avanti. Ma qui non è più riportato. Più avanti commenta il suo dire: «lenti a parlare» e fa una lunga ersortazione a dominare la lingua, san Giacomo, nella sua lettera.
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E il Papa, in un discorso che ha tenuto a noi sacerdoti, ha riportato e commentato quel tratto dell'Epistola della lettera cattolica di san Giacomo: l'ira, e specialmente la lingua1 (...). Dice san Giacomo che porta tanti mali la lingua, mentre che può portare tanto bene. E san Giacomo fa notare questo: con la medesima lingua dite le preghiere, cantate le lodi di Dio e poi con la medesima lingua offendete il prossimo. Offendere il prossimo o direttamente o perché si dà cattivo esempio, perché si parla fuori di tempo, perché si dicono delle cose che distraggono solo, perché ci occupiamo delle cose che non ci spettano.
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Oh, quand'è che tutte le nostre forze saranno indirizzate al Signore? E quand'è che tutti i momenti della vita e tutto ciò che succede, noi sappiamo sempre utilizzare per Dio, per la santità? Coraggio! Fiducia in Dio! Di là vien tutto il bene. E aspettiamocelo tutto dal... tutto. Dire degli Atti di speranza più di cuore. Fiducia in Dio «da cui discende ogni bene» mentre che dall'inferno viene ogni male, e dalla nostra natura decaduta anche così facile che venga il male. Allora, da Dio. Dire sempre dei begli Atti di speranza: speranza nella misericordia di Dio, speranza nei meriti di Gesù Cristo, speranza nell'intercessione di Maria, speranza in san Paolo che è il nostro padre e maestro. Speranza.
E quelle orazioni dirle bene bene, accompagnate da fiducia, ma da sicurezza che le cose spirituali il Signore ce le dà sicuramente. E il «fateci santi» allora, viene detto di cuore.
Sia lodato Gesù Cristo.
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1 * Nastro 112/d (= cassetta 110/a). Per la datazione, cf PM: «Il Papa, parlando ai Torinesi, una decina di giorni fa...» (cf numero marginale 121, in nota). dAS, 20/5/1962 (domenica): «m.s.» (cf dAS in c112). - In base a questo dato sicuro, la datazione delle altre meditazioni (nn. 4, 8, 14), registrate sullo stesso nastro, si è ritenuta come molto probabile.

1 Gv 16,5-14.

1 Breviarum Romanum, Pars Verna. Intra Hebdomadam IV post Octavam Paschae... Feria II-III-IV-V-VI Sabbato: De Epistola beati Iacobi Apostoli (Gc 1,17-21).

1 GIOVANNI XXIII, Discorso a un pellegrinaggio torinese, 8 maggio 1962, in Encicliche e Discorsi... vol IV (1962), Roma EP 1963, pp. 151-154.

2 E' il cardinale Maurilio Fossati, arcivescovo di Torino (1876-1965).

1 Ef 4,26.

1 Primo Sinodo Romano A.D. MCMLX. Tipografia Poliglotta Vaticana. - Seconda sessione del Sinodo nell'aula delle Benedizioni del Palazzo Apostolico 26 gennaio 1960. - L'Allocuzione del Santo Padre: Nel Sacerdote: la testa, il cuore, la lingua; pp. 315-327. - Il brano riportato dal Papa è Gc 3,1-18.