Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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V
CARITÀ CON IL PROSSIMO

Il Signore ama colui che ama il prossimo. Gli ebrei disprezzavano i samaritani. Il Signore volle correggere i loro sentimenti ponendo proprio un samaritano come esempio e modello di amore verso il prossimo. Consideriamo la parabola del buon samaritano1. Il sacerdote e il levita non hanno alcun sentimento di carità verso quell'infelice incappato nei ladroni; il samaritano invece ne ha grande cura, lo porta all'albergo e dà un acconto perché venga curato. Chi, fra i tre, amò il prossimo? Chi ebbe misericordia del fratello ferito. Ebbene va' e fa' tu pure lo stesso.
Vi sono ignoranti da istruire, fanciulli da educare, pericolanti da sostenere... La comunità religiosa dev'essere una fabbrica di santi. Bisogna però che vi regni grande carità. Quando un istituto è composto in benevolenza e carità, le vocazioni saranno molto più numerose e scelte. È carità tutto ciò che si fa in famiglia: la cuoca fa carità a tutte, così chi lava, chi fa pulizia, chi soffre, chi prega, chi opera nell'apostolato diretto. Ognuna contribuisce al bene della comunità. «Va' e fa' tu pure lo stesso»2: tutto è carità o meglio tutto si può trasformare in carità, operando per amor di Dio e del prossimo. In un solo atto sono racchiusi tre meriti: di ubbidienza, di religione e di carità.
Pensare bene di tutte. Passa accanto alla tua sorella con rispetto, più che quando passi accanto al Crocifisso il quale è di legno, mentre la tua sorella è creata ad immagine di Dio, ha intelligenza, vuole e ama il bene, come Dio. Abbi per lei grande riverenza, e ciò anche se la tua sorella non ha fatto bene. Un crocifisso caduto nel fango tu lo ripulisci e lo baci: così per le sorelle.
La disistima, la tendenza a scoprire sempre i difetti delle altre, è una brutta cosa. Abbiamo il sacco dei difetti nostri dietro
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le spalle e quello delle sorelle davanti agli occhi. Ci vuole decisa tendenza a pensare sempre bene di tutte. Tutte hanno delle belle qualità. Un sacerdote che veramente aveva tanta carità fraterna, parlava a malincuore dei difetti altrui anche se interrogato e il più delle volte diceva che la colpa era sua. Così faceva pure
S. Caterina da Siena e diceva che tutto il male che c'era allora nelmondo era per colpa sua. «Il giusto incolpa anzitutto se stesso»3, dice la Scrittura. Gli altri non hanno avuto la nostra istruzione e le grazie che abbiamo avuto noi. La falsa pietà delle beatelle può essere molto dannosa, perché poi mormorano di tutti con la massima facilità. Faceva la Comunione tutti i giorni una di queste e non finiva più di mormorare contro il sacerdote, le suore e un po' di tutti. Una volta le dissi: Oh, io non metterei più la Comunione su quella lingua! Va' prima a lavartela.
Pensare bene di tutte: evitare i sospetti e i giudizi temerari: «Non giudicate e non sarete giudicati»4, non condannate e non sarete condannati. I giudizi sono temerari quando non sono oggettivi, fondati, e anche se ci fosse il fatto, possiamo sempre pensare che non fu fatto apposta. Evitiamo poi di portare gli occhiali verdi e di vedere tutto scuro, se non altro si perde tempo e si manca al primo comandamento di amare Dio con tutto il cuore.
Vigiliamo bene, perché Dio è carità e se questa carità non è in noi, Dio è lontano da noi. Considerare il bene e volere il bene a tutte: quando si scrive una sul libro nero, anche se questa facesse miracoli, fa sempre male; ma quella sorella ha diritto per giustizia alla stima altrui. Pensare bene! Pensiamo che un giorno saranno svelati anche i nostri pensieri intimi e interni.
Desiderare il bene a tutte: che tutte progrediscano, che siano istruite, stimate, felici; compiacersi del bene che si vede negli altri, che siano più buone, abbiano più grazia, siano più capaci, ecc. Stare volentieri in comunità, insieme alle altre; non appartarsi, non essere misantrope. Ma io sono triste oggi!. E fai pesare la tua tristezza sulle altre? Ma io sono fatta così!. E devi correggerti! Chi è troppo vivace deve vigilare sulle parole, ma chi è indifferente si scuota, chieda l'amore del Cuore di Gesù.
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Peccati contro la carità: irascibilità, malevolenza, critiche, egoismo, gelosie, invidie, amor proprio, per cui si vorrebbe che tutto e solo ridondasse a nostro bene. Eh, no! Dobbiamo amare e non volere che tutti badino a noi. Si ama quando si prega molto per tutte. Preghiamo quanto più è possibile al plurale. Le ore di adorazione, come la Messa, devono essere sociali. Essere un cuore solo con Gesù. Alla consacrazione il sacerdote invita tutti: cielo, terra, purgatorio, intorno all'altare... La redenzione è per tutti gli uomini, non solo per noi. Quando la Visita è fatta per i bisogni di tutta la Chiesa e dell'umanità, allora prende carattere sociale.
Dire bene di tutti, piuttosto non parliamo affatto, anziché diffondere i difetti altrui e spargerli nella comunità. È vile chi mormora di un assente: piuttosto diglielo in faccia! La mormorazione poi diventa più grave quando si aumentano o si inventano addirittura le cose. La mormorazione fa male anche a chi la sente. Che brutta cosa quando si deve dire di uno: è un mormoratore. Chi mormora non si accorge che rileva i propri difetti? Noi vediamo sempre negli altri ciò che abbiamo anche noi e spesso mormoriamo per giustificare i nostri difetti. A riguardo della mormorazione si sia molto fermi, sia chi guida, sia chi ascolta. Si turi la bocca al mormoratore: «Chi è senza peccato, scagli la prima pietra»5, gli si dica.
Far del bene a tutti: con l'esempio. Se c'è osservanza religiosa in casa, si fa già un gran bene, perché gli altri apprendono. Esempi di silenziosità, di lavoro, di pietà: Io voglio mettermi vicina a quella sorella a pregare, è tanto raccolta che prego bene anch'io. Se la casa si compone di raccoglimento, è più facile pregare. Esempi di povertà, di ubbidienza e soprattutto di carità. Ci sarà da istruire, assistere, sopportare, dare una mano, tutto è carità: «Io sono stato occhio per il cieco, piede per lo zoppo»6, dice la Scrittura. Ho visto al Cottolengo7avanzarsi alla balaustra un uomo grande e grosso, ma cieco,
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che portava sulle spalle un giovane infermo di gambe, ma che ci vedeva e indicava all'altro ove bisognava andare. Ecco la carità: aiutarsi!
Fare almeno la carità della sofferenza, se non possiamo fare altro. Solo una cosa non dobbiamo fare per gli altri: il peccato, perché allora danneggeremmo la nostra anima. Amare il prossimo come noi stessi.
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1 Cf Lc 10, 29.

2 Cf Lc 10, 37.

3 Cf Pr 18, 17 (Volgata).

4 Cf Mt 7, 1.

5 Cf Gv 8, 7.

6 Cf Gb 29, 15.

7 Piccola Casa della Divina Provvidenza (Torino), chiamata così dal nome del Fondatore: S. Giuseppe Benedetto Cottolengo (1786-1842).