Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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27. AMARE IL SIGNORE CON TUTTE LE FORZE *

Domandiamo stamattina al Signore la grazia di spendere tutte le nostre forze per lui. Abbiamo già meditato che bisogna amare il Signore con tutta la mente, ora meditiamo questo: «Amare il Signore con tutte le forze»1. E amare il Signore con tutte le forze significa fare quello che materialmente compie la lampada o la candela davanti al santissimo Sacramento: si consumano fino in fondo, adagio, adagio, insensibilmente, per il Signore. Fare così anche noi.
In questi giorni è passata all'eterno riposo una madre di famiglia che aveva in casa una quantità di figli, figlie e servitù. Mi hanno fatto leggere il suo libretto dell'esame di coscienza. Nei suoi propositi, al principio di un anno, si leggeva questa frase: Un bicchiere di scienza, un barile di pazienza e un mare di bontà. Un barile di pazienza, perché ce ne vuole proprio tanta. Noi sappiamo sempre di più di quello che facciamo; [ci vuole invece] un barile di pazienza e un barile grande! Un mare di bontà: ci vuole tanta bontà con tutti. Il mondo ha bisogno di bontà, anche nei films si desidera trovare insegnamenti di bontà. Bisogna che riempiamo il mondo di maggior bontà. Quella madre, nella sua famiglia costituiva un elemento di unione e nel paese era considerata come madre dei poveri, non tanto perché dispensasse molte ricchezze, perché non le aveva, quanto piuttosto perché sapeva dispensare molta bontà.
Questo esempio ci insegna che noi dobbiamo dare al Signore tutte le nostre forze. Le nostre forze sono: morali, intellettuali, fisiche. Spendere tutto per il Signore, come pure il nostro tempo, non in cose di margine, ma nelle cose del servizio di Dio. In qualunque momento ci sorprenda la morte, deve
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trovarci occupati nelle cose che riguardano il servizio di Dio. Non fare cose che non rientrino nel nostro ufficio, nel nostroprogramma: unire le forze nella Congregazione. È un impegno preso nella professione religiosa: dare tutte le forze a Dio. Quando si danno tutte le forze a Dio, anche se non si ha grande scienza, si riesce lo stesso a fare cose utili e anche a fare molto per Dio. Occuparsi di cose che interessano noi: se ci occupiamo di cose che non ci riguardano, di ciò che abbiamo lasciato, ecc., noi non amiamo il Signore con tutte le forze. Ardere nella silenziosità e ardere nel silenzio, tutte occupate nelle cose della Congregazione.
Che cosa ci importano le cose che abbiamo lasciato, quando abbiamo sentito da Gesù il: «Veni, sequere me»2?... Pietro guardava Giovanni che gli era vicino e domandava a Gesù: «E di lui che sarà?». Ma Gesù gli rispose: «E se io voglio che lui rimanga finché non ritorni, a te che importa? Tu intanto seguimi»3.
Raccogliere le forze nell'Istituto. Non sciupare nulla di quello che abbiamo, fuori del servizio di Dio. Quando si vive distratti, occupati in varie notizie, in ciò che interessa i parenti, ecc., allora a Dio arriva ben poco di noi, invece a Dio si deve dare tutto non solo una parte, non solo il tempo della preghiera. Chi non è abituato a dare tutto a Dio non gli dà neppure il tempo della preghiera, perché non fa lo sforzo della mente, non dice tutto a Gesù, non si sforza di copiare in sé Gesù, come il pittore copia un modello, e questo sarebbe proprio della preghiera.
È sempre un gran mistero il lavoro di Gesù a Nazaret, e questo mistero deve farci sempre una grande impressione, più di quello della sua passione e morte. «Non è questo il figlio del fabbro?»4, dicevano di lui. Il sudore di Gesù redimeva il mondo quanto il sudore di sangue nel Getsemani e il sudore sparso durante la salita al Calvario che fu asciugato dalla Veronica.
Il nostro lavoro è redentivo, è apostolico, il nostro lavoro è dare tutte le forze al Signore: nello studio, nella preghiera,
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nell'apostolato, e quando si danno tutte le forze al Signore, si vive la vita religiosa, si progredisce. La vita religiosa migliore, quella che pratica veramente la povertà, non è quella in cui si va alla questua, è quella che produce per il servizio di Dio, per il bene delle anime. La vita religiosa migliore è quella che imita meglio la vita di Gesù.
La vita religiosa paolina è quella che riproduce meglio la vita di Gesù, che è meglio innestata in lui, che è sempre il modello perfetto della vita religiosa. Beate quelle religiose che non vanno a zonzo, occupandosi di cose non necessarie, beate quelle che lavorano! Sono come le candele che si consumano per il Signore: quando avranno finito di ardere per lui su questa terra, incominceranno a risplendere in cielo della luce eterna.
Quando i religiosi vanno solo alla questua o si perdono in chiacchiere, non possono poi predicare al mondo perché il mondo li osserva. Specialmente oggi il mondo non si scandalizza nel vedere la suora che lavora e compie anche lavori faticosi, anzi aumenta la stima di essa poiché oggi si considera molto il lavoro. Il mondo si scandalizza dei religiosi che non lavorano. Temere l'ozio che è il padre dei vizi e temere la pigrizia che è la madre dei vizi. L'ozio è il far nulla, la pigrizia è il fare le cose soltanto a metà.
Ringraziare il Signore che ha stabilito la Famiglia Paolina nel lavoro5. È una vita religiosa misteriosa, ma i comunisti dicono: Noi stimiamo i religiosi che lavorano, i Paolini non sfruttano la società! Quando si può chiedere [la beneficenza] con fronte alta, si fa bene a chiederla per poter avere maggiori mezzi di lavoro, maggior numero di vocazioni; questo si può comprendere da tutti, ed è anche doveroso per noi il farlo.
Non stare a guardare ciò che fanno gli altri, guardare ciò che facciamo noi: è di questo che dobbiamo rendere conto, non di quello che fanno gli altri. Vi sono di quelli che si occupano solo degli altri, che sono disordinati nei loro libri, nella loro
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mente, nel loro lavoro spirituale. Vi sono di quelli che sono incostanti, fanno le cose a metà, incominciano molti libri e non ne finiscono uno. No, bisogna essere fermi, costanti nelle cose, nel proprio lavoro, e non lasciarsi neppure troppo consigliare, perché ciò significa prendere molte strade. Meglio prenderne una sola, ben scelta e proseguire in essa fino alla fine, allora le tentazioni si riducono almeno di un terzo e nella Congregazione si ha l'unione delle forze e si è forti, come è forte la fune composta di molti fili, mentre questi da soli si strappano facilmente. Talvolta le iniziative non riescono come dovrebbero, perché non si prende bene quello che si è detto di fare. Prendere bene le varie iniziative, mettere in esse le proprie forze: sia ordinata la redazione, ordinata la tecnica, ordinata la propaganda, si potrebbe così arrivare a tutte le anime.
Organizzare le forze dell'Istituto in generale, questo si ottiene quando si sta nell'obbedienza. Orientare tutte le forze a quanto viene detto, e farlo, come quando suona il segnale del pranzo e tutte si orientano verso il refettorio e si radunano in esso.
Temere la pigrizia, temere il disordine, temere di stare solo a guardare le altre, temere di non impiegare per il Signore nell'apostolato tutte le forze, temere di sprecarle in qualcosa che sia solo di margine, che sia fuori del dovere.
Attenzione anche a conservare le forze a servizio di Dio, quindi evitare il disordine che potrebbe impedirci di vivere quel determinato numero di anni, secondo il disegno che Dio ha su di noi.
E ora l'esame: Posso io dire sinceramente di osservare bene il primo comandamento: Amerai il Signore Dio tuo con tutte le forze? Quanto è diverso l'amare il Signore con tutte le forze, dall'amarlo solo con metà delle nostre forze!
Vi sono di quelle che anche con poca salute, sanno fare molto per il Signore. Essendo concentrate nel loro dovere, quante cose sanno fare! Begli esempi avete avuto e ne avete adesso.
Che la lingua non parli se non per dire ciò che è secondo la volontà di Dio, che gli occhi, le orecchie, la mente, il cuore non si interessino se non di ciò che riguarda il servizio di Dio, il proprio dovere, anche nei particolari, fosse anche solo di usar bene della forchetta.
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Le forze a Dio! Vi sono di quelli che fanno durare a lungo la loro vita al servizio di Dio, con attenzione, e vi sono di quelli che la sprecano per soverchia cura. Diciamo sempre al Signore: È mio desiderio spendere tutte le mie forze per te, secondo i tuoi disegni. Aiutami, affinché io sappia amarti con tutte le forze, sappia spenderle interamente per te, per le anime.
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* Meditazione, stampata in un trentaduesimo, pp. 22-26, insieme ad altre meditazioni dal titolo “L'Immacolata” (ritiro mensile), “Santificazione della mente”, una meditazione dubbia, una conferenza della Prima Maestra. È stata tenuta a [Roma] il 28.12.1953, dal Primo Maestro, citato in calce.

1 Cf Dt 6, 5; Mt 22, 37.

2 Cf Gv 21, 19: «Vieni, seguimi».

3 Cf Gv 21, 21-22.

4 Cf Mt 13, 55.

5 Per conoscere il pensiero di Don Alberione circa il lavoro, cf “Il lavoro nelle Famiglie Paoline”, in CISP, pp. 1075-1096. L'introduzione dell'articolo è un manoscritto del dicembre 1953; il testo successivo è del gennaio 1954-1955. Cf Alberione G., Anima e corpo per il Vangelo, o. c., pp. 163-199.