Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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35-FESTA DI MARIA SANTISSIMA ADDOLORATA1*
Celebriamo quest'oggi la festa ad onore di Maria Adolarata. E nella Messa si è letto la sequenza in cui specialmente sono ricordati i dolori di Maria ai piedi della croce. Allora fu il massimo dolore per la Vergine. Ma in questa festa si ricordano anche le pene, le sofferenze di Maria nel rimanente della sua vita, quando ella sentì dirsi, ad esempio che suo Figlio sarebbe stato un segno di contraddizione: «et tuam ipsius animam pertransibit gladius»2: e anche la tua anima, il tuo cuore sarà trapassato da una spada di dolore. Quando smarrì il Figlio e ritrovandolo Maria confessò che aveva sofferto: «ecce ego et pater tuus dolentes quaerebamus te»3: con pena stavamo in cerca di te.
Del resto sono spesso ricordate le sette spade che trafissero il cuore di Maria e ricordano i sette principali dolori della Vergine. Ma la Vergine non ebbe minori pene quando la Chiesa, subito al suo primo muovere, al suo inizio veniva perseguitata e gli Apostoli, perché predicavano Gesù Cristo, erano flagellati a sangue.
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Ecco, innanzi a Maria Addolorata, ringraziamola, questa nostra madre perché allora contribuì, condivise la redenzione, perché condivise i dolori di Gesù Cristo e mentre che Gesù soffriva sull'altare della croce, ella soffriva nella sua anima. Se il Figlio era confitto da chiodi, la spada del dolore trapassava il suo cuore di madre.
Ringraziarla, quindi, perché ella contribuì alla redenzione e alla remissione dei nostri peccati che vengono appunto assolti per le pene del nostro Salvatore Gesù a cui partecipò Maria.
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D'altra parte imparare quanto dobbiam detestare i nostri peccati che tanto hanno fatto soffrire Gesù e Maria, poiché tutta la passione, tutte le sofferenze di Maria [sono] per il peccato.
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E più di tutto impariamo la pazienza da Maria. «Patientia vobis necessaria est ut [voluntatem Dei facientes] reportetis repromissionem»1: è necessaria la pazienza, se volete andare in paradiso. La pazienza si può anche chiamare, sotto un certo aspetto, mortificazione, e la mortificazione è sempre necessaria, sempre, sia per star buoni, fare il bene e sia per evitare il male e non far peccati.
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Il peccato è sempre una immortificazione; il bene, sempre una mortificazione, anche quando ci si è fatto l'abitudine al bene e si fa con letizia, anche allora il bene richiede sforzo e fatica; sforzo e fatica a cui ci siamo abituati, ma continua ad essere sforzo e fatica.
Nulla di bene senza la mortificazione e nulla di male si può evitare senza la mortificazione. Le soddisfazioni son sempre un piacere che la persona si procura e cioè, un accontentamento della passione; e il dovere, fosse, per esempio, lo studio, è sempre una mortificazione, cioè uno sforzo che dobbiamo fare per raccogliere i nostri pensieri, per fissare l'attenzione sopra quello che è insegnato e su quello che dobbiamo apprendere, per allontanare gli altri pensieri, le fantasie che non sono secondo il raccoglimento e non servono al raccoglimento, all'approfondimento delle cose.
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Tutto richiede mortificazione: l'alzarsi e l'andare a riposo, andare a riposo nella maniera dovuta, con sentimenti di raccoglimento e con pensieri santi per il giorno seguente, per la comunione del giorno dopo, e tutta l'osservanza dell'orario richiede una continua mortificazione della volontà. E il tenere a posto il cuore richiede mortificazione del cuore, poiché facilmente il cuore o va a simpatie o va a antipatie; il cuore si abbandona alla tiepidezza o all'orgoglio, superbia di cuore, come Gesù quando parlò di umiltà disse «l'umiltà del cuore» ; la superbia è un sentimento del cuore, il quale viene dall'orgoglio della mente, quando cioè ci crediamo di più di quel che siamo o vediamo i torti dove non ci sono, ecc. Ecco è mortificazione della lingua per osservar la carità; è mortificazione di tutto il tatto per lavorare, per la fatica che abbiam da fare.
Allora, qualunque bene che vogliamo procurarci o temporale od eterno, richiede mortificazione; o mortificazione nell'astenersi da qualche cosa, per esempio, dall'ozio, dalla golosità, dall'ira; o mortificazione nel fare il bene come è il raccoglimento interno, la meditazione profonda e poi dopo, tutto quello che è necessario per la santificazione: l'osservanza dei propositi, la detestazione dei nostri peccati, il desiderio di correggere i difetti, lo sforzo a vincere noi stessi e entrare nell'intimità con Dio. Mortificazione continua. E a queste mortificazioni si aggiungono le altre che vengono dalle pene esterne, dalle persone che ci sono attorno perché: «ut discamus alter alterius onera portare»1, perché impariamo la pazienza.
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E in comunità sempre si richiede tanta pazienza, tanta pazienza, per farsi santi: «in patientia vestra possidebitis animas vestras»1.
Vi sono persone che hanno certi caratteri e la convivenza con loro riesce tanto pesante. E vi sono persone le quali, alle volte per difetti, altri difetti divengono come un continuato esercizio di pazienza, quando sono incorreggibili, ad esempio.
Oh, certamente nella convivenza, siccome si è in società, ogni Istituto religioso è una società per la santificazione e per un apostolato, i caratteri che non sono socievoli non sono adatti, ma alle volte ci si introducono ugualmente, un po' sforzatamente e un po' perché han saputo abbastanza coprire i loro difetti. E allora poi, con l'andar degli anni i difetti crescono, tante volte, se non si combattono e quindi, le difficoltà a sopportare.
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Poi vi sono le pene che vengono dalla fatica; vi sono le sofferenze interne, le più intime, le spirituali. Soprattutto la pazienza si richiede a sopportar noi stessi. Con gli altri ci troviamo più o meno frequentemente e vi sono persone con cui ci troviamo quasi mai, ancorché abbiano dei difetti; ma portiamo sempre con noi il nostro corpo, le nostre passioni, le nostre tendenze non buone da reprimere, da dominare, un po' è la superbia, un po' è l'ira, un po' è l'invidia, un po' è qualche attaccamento, un po' è la golosità, un po' è la tiepidezza, un po' è un sentimento di lussuria.
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E quando vi è questo da una parte, vi è sempre dall'altra mancanza di carità e le mancanze di carità vengono molto spesso da questo facile accondiscendere ai sentimenti del proprio cuore; e si sa già che persone così isolate, così singolari hanno più tentazioni sulla bella virtù. La letizia è già una mezza virtù. L'accondiscendenza, la urbanità, il buon tratto, la buona educazione, formano già una virtù naturale sulla quale si può costruire la virtù soprannaturale, la vita religiosa, la santità. Ma i tristi è difficile che siano santi e sarebbero tristi santi, i santi tristi.
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Allora vediamo che la mortificazione è legge che abbiam da osservare in tutta la vita. La pazienza. E la vita si conchiuderà con un atto grande di pazienza: la morte, i dolori che la precedono e che l'accompagnano.
Quando si farà l'offerta della vita sopra il letto di morte stringendo al petto colui che è morto per noi, e allora offrire la nostra morte per lui.
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Ho notato diverse volte nella mia vita, che le persone impazienti o singolari o non socievoli hanno sempre al fin della vita delle umiliazioni e delle sofferenze maggiori. E allora, anche per amor proprio, abbiamo pazienza, sopportiamo, mortifichiamoci; non voglio mica dire che portiate il cilicio, ma l'orario è un cilicio, il sopportare tutti è un cilicio, il negare al cuore e alla fantasia certe cose è un cilicio continuo.
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E allora guardiamo alla nostra Madre Addolorata. Se di Gesù Cristo fu scritto: «tota vita Christi fuit crux et martyrium»1: tutta la vita di Gesù Cristo fu crocifissa e fu un martirio, ugualmente si deve dire di Maria, finché la vita si risolse in un gaudio eterno nella felicità. Maria assunta al cielo, lassù nella gloria del paradiso.
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La via della felicità passa attraverso ed è segnata da tante croci. E non ce n'è solamente nella vita religiosa, no, ma vi è in ogni vita, e chi schiva un dolore ne incontra due. Occorre che noi affrontiamo il dolore in santa pazienza.
Sia lodato Gesù Cristo.
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1 Meditazione alla comunità delle Pie Discepole del Divin Maestro Roma, Via Portuense 739, 15 settembre 1956 *
* (1) Nastro 8/a (= cassetta 18/a). Per la datazione, cfr. PM: «Celebriamo quest'oggi la festa ad onore di Maria Addolorata» [15/9/'56]. - (In dAS non si trova nulla perché don Speciale era in vacanze. Però questa meditazione si trova registrata sul medesimo nastro delle meditazioni: 36, 37, 38, 39 che sono del 1956. Vedi dAS nelle note corrispondenti).

2 Lc 2,35.

3 Lc 2,48.

1 Eb 10,36.

1 Gal 6,2.

1 Lc 21,19.

1 Imitazione di Cristo, libro II, XII,7.