Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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10-LA CARITA' VERSO DIO1*
Entriamo adesso nel tempo detto di Passione, tempo in cui la Chiesa ci fa considerare i dolori del Salvatore e il tempo in cui, in primo luogo, deve aumentare la nostra fede sul mistero della redenzione compiuta da Gesù Cristo, per l'umanità peccatrice.
Dal paradiso terrestre il Signore aveva promesso il Redentore e la corredentrice. Ed ecco che, in questi giorni la nostra fede si faccia più profonda. Riconosciamo meglio i nostri torti, la gravità del peccato e come questo non poteva venire soddisfatto per mezzo dei sacrifici antichi e neppure bastano i sacrifici nostri, da sé; fu necessario che il Salvatore desse la sua vita, il suo sangue, il quale ha valore infinito, per i nostri torti, le nostre iniquità: «Dolores nostros ipse tulit. Vulneratus est propter peccata nostra»2. Ci amò e andò a immolarsi per noi. «Dilexit nos et tradidit semetipsum pro nobis»3. Aumentare questa fede.
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E, in secondo luogo, cercare l'imitazione di Gesù. Imitare Gesù nelle sue sofferenze secondo il suo comando: «Chi vuole venire dietro di me, rinneghi se stesso e prenda la sua croce e mi segua»1. Prenda la sua croce e mi segua. Ed egli ci ha preceduto al calvario e c'invita a tener la stessa strada per giungere alla stessa sua gloria.
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In terzo luogo, crescere il nostro amore a Gesù. Ci amò E all'amore si corrisponde con l'amore. E «Nessuno ama di più di colui che dà la sua vita per l'amato»1. Ora, Gesù ha dato la sua vita per noi: «et ego vadam immolari pro vobis», dice l'antifona2. Questo dev'essere appunto il frutto che abbiam da considerare adesso, poiché dopo la virtù della fede e la virtù della speranza, è da considerarsi la carità: la carità verso Dio, la carità verso il prossimo.
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La carità verso Dio. Questa carità è il desiderio di posseder Dio e di vivere uniti a lui, in primo luogo, e, in secondo luogo, è questa vera unione di tutto il nostro essere con Gesù Cristo. E il punto di arrivo è quello indicato da san Paolo ed è altissimo: «vivit vero in me Christus»1.
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San Paolo è il dottore della carità; in primo luogo della carità verso Dio e poi, in secondo luogo, della carità verso il prossimo. Egli, nel suo elogio della carità dice: «Se io parlassi anche le lingue di tutti gli uomini e degli angeli e non avessi la carità, sarei nulla; e se io dessi anche ai poveri tutti i miei beni e non avessi la carità, niente mi gioverebbe; e se io soffrissi tutti i dolori e fossi anche martirizzato, ma non possedessi questa unione, questa carità con Dio, niente mi servirebbe»1. Qui parla dell'unione con Dio, dello stato di grazia, san Paolo. Poi viene successivamente a parlare della carità verso il prossimo, ma conchiude poi: «Sulla terra, finché siamo in questa vita, vi sono tre virtù: la fede, la speranza e la carità, però la maggiore è la carità»2.
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E' la maggiore perché: la fede ci fa veder Dio, la speranza ce lo fa desiderare, ma la carità compisce e cioè, porta già all'unione con Dio, cioè porta al possesso di Dio. Le altre due virtù sono preparazione a questa unione con Dio che sulla terra si effettua specialmente nella comunione, in cielo con la partecipazione della stessa felicità di Dio. Perciò la fede cesserà, perché in paradiso si vedrà Dio e una volta che si vede non lo pensiamo sol più per fede, perché ce l'hanno detto; e cesserà anche la speranza perché si sarà raggiunto l'oggetto. Quando già si è raggiunto l'oggetto che si desiderava, il desiderio è soddisfatto e non esiste più. Ma «caritas manet in aeternum»1; l'unione con Dio, il possesso di Dio, il gaudio in Dio, eterno. E allora possiamo ragionare anche un po' diversamente. Voglio dire considerare le cose sotto un altro aspetto.
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Naturalmente, chi si mette per la via della santificazione, fa propositi vari: uno ha il proposito sull'obbedienza, l'altro ha il proposito sopra la pazienza, l'altro sull'umiltà, l'altro sullo spirito di orazione, ecc. Però i propositi vari, quelli accennati, son preparazione al proposito grande, quello che ci prepara direttamente al cielo e che poi si realizza del tutto, completamente, perfettamente in cielo. In ultimo si viene al proposito: la carità, l'amor di Dio, che assorbe e comprende tutti gli altri propositi, sintetizza tutte le altre virtù, è il punto di arrivo. Poiché l'edificio spirituale si fonda sulla fede, si innalza sulla speranza e si compie, si completa con la carità. Se la fede è la base, la speranza costituisce i muri della costruzione, la carità è il compimento.
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E questa carità, quindi, è il fine di tutti gli altri sforzi; è il fine dell'aspirandato, è il fine del postulato, è il fine del noviziato, è il fine della professione; è il fine delle confessioni, è il fine della comunione, è il fine di tutte le ricchezze spirituali che la Chiesa mette a nostra disposizione: arrivare all'amor di Dio, all'unione con Dio.
Vi sono anime che sono generose e quasi fanno un salto, diremmo, camminano coi mezzi più veloci e arrivano molto presto alla carità se non cominciano davvero, in realtà, subito dalla carità. Mettiamo santa Agnese, mettiamo san Tarcisio, mettiamo san Luigi, mettiamo santo Stanislao Kostka, subito si son lanciati verso l'oggetto del loro amore: Dio, Dio, Sommo Bene, eterna felicità. Poiché ogni desiderio di paradiso e ogni azione ordinata al paradiso è carità, è amore. Diciamo perciò: «Vi amo con tutto il cuore sopra ogni cosa Voi, bene infinito, sommo bene ed eterna felicità ».
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Questa carità è quella che dà la pace. Questo amor di Dio è quello che sta in opposizione all'amor proprio, all'egoismo. Due amori si contendono nell'anima nostra, specialmente nell'anima del religioso, della religiosa: l'egoismo, l'amor proprio cioè, e l'amore a Dio. O che noi abbiamo di mira il nostro «io» sotto la forma di orgoglio o sotto la forma di sensualità o sotto la forma ancora di attaccamento che nei vizi capitali si chiama avarizia o potrebbero essere altri attaccamenti, oppure che in noi abita Iddio, abita in Dio, abita Dio in noi e noi stiamo in Dio, allora. E allora; sia che si studi, sia che si lavori, sia che si preghi e sia che si attenda all'apostolato, ecc., tutto è per una cosa sola: amore di Dio, congiungimento con Dio, per poter saltare anche il purgatorio e quindi immediatamente dopo la morte essere ammessi all'eterna beatitudine, al gaudio.
E san Giuseppe Cafasso diceva: «Io desidero, appena spirato, di essere ammesso, dalla bontà di Dio, a contemplarlo in cielo, non tanto per il timore delle pene, quanto perché vorrei arrivare al più presto ad amarlo, il Signore, completamente, perfettamente, come lo amano gli angeli e come lo amano i santi del cielo».
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La carità. L'opposizione all'egoismo, la battaglia interiore è qui. Perché la battaglia interiore si presenta sotto i sette vizi capitali da una parte, aumentando ancora, aggiungendo ancora la curiosità, se si vuole; e, dall'altra parte, vi è il complesso delle virtù che si riassumono nell'amore a Dio. Una lotta persistente, tenace. E quante volte noi scusiamo il nostro fare e il nostro dire, ma in fondo è l'amor proprio che ancora non è morto e neppure ancora dominato, poiché l'amor proprio dura sempre; ma si deve arrivare a dominarlo in maniera che esso sia coperto dall'amore di Dio. Ecco il frutto, uno dei frutti, anzi, della castità, la quale è un amore più grande, è l'amore verso il Signore, verso Dio, Bene infinito. Le altre cose son create da Dio a nostro servizio, ma per sé non han valore, han valore soltanto in quanto ci portano ad amare Iddio e, son la rovina, quando ci portano ad amare noi stessi e a soddisfare noi stessi.
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Dunque, entrando proprio nel cuore nostro e nel cuore degli Esercizi, l'esame deve arrivare lì: amo Iddio o amo me stesso? Domina in me l'amor proprio o domina in me e quel che mi porta è l'amor di Dio? «Caritas Christi urget me»1 - disse l'apostolo Paolo. E' la carità di Cristo che mi fa operare, che mi spinge. E noi in tutte le parole che diciamo, in tutte le azioni che facciamo, in tutti i progetti, in tutti i programmi, siamo spinti dall'amore di Dio?
Arrivati col nostro esame su questo punto, certamente è molto più svelto il cammino. E' come andare a piedi e andare con una macchina che fila a una certa velocità: 50, 70, 100 km all'ora. Subito arrivare, appena possibile, appena abbiamo dominato alcune passioni più forti, a sospirare, a chiedere questa carità.
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Oh, adesso, dobbiamo domandarci: come stabilire in noi la carità, il regno dell'amore di Dio?
Ecco, i mezzi sono tanti. Il primo mezzo è la confessione è l'accusa dei nostri peccati, è la confessione, il riconoscimento dei nostri difetti. Poiché questi difetti, se sono volontari, se non son combattuti, sono come un'acqua che spegne il fuoco dell'amor di Dio, ancorché siano piccoli. E' detto infatti, che il peccato veniale deliberato non distrugge lo stato di grazia, non distrugge la carità, ma la diminuisce. E se si diminuisce molto, perché i peccati veniali deliberati sono molti, è come se si dissangua una persona, che perda sangue ripetutamente, frequentemente, allora è talmente indebolita, questa persona, che c'è da temere che una malattia grave possa sorprenderla e non avendo le forze sufficienti, forse ne sarà vittima di questa malattia, la morte, allora.
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Se vogliamo amare, occorre che noi facciamo questo lavoro di purificazione; che noi entriamo a domandarci e quindi a detestare, combattere: superbia, avarizia, ira, invidia, lussuria, golosità, pigrizia, tiepidezza, curiosità. Occorre che togliamo questi impedimenti all'amor di Dio e fermandoci particolarmente a quell'impedimento che per noi, forse, è il più grave, è quel che ci tiene più indietro, fermarci lì. Quello sarà il difetto dominante e la virtù contraria noi avremo da cercare, da sospirare, da coltivare; la parte positiva, voglio dire, specialmente. Alla superbia si oppone l'umiltà, ad esempio Non essere scrupolosi, ma essere delicati. Ciò che veramente dispiace a Dio, l'anima che vuole arrivare all'amor di Dio, ecco, deve togliere, sotto qualunque forma.
Oh, si è fatto intraprendere la stampa della collana: «Anime amanti». Anime amanti, come san Paolo; anime amanti, come san Francesco d'Assisi; anime amanti, come sant'Ignazio; anime amanti, come santa Gemma Galgani, ecc. Anime che amano!
Vi sono anime che coltivano molto la parte intellettuale e sta bene, purché dopo si arrivi anche alla parte del cuore. Amare, amare. Perché anche lo studio è preparazione all'amore, al suo fine, come tutta la vita ha il suo fine: unirsi a Dio e posseder Dio. Quindi, purificazione, purifcazione. Prima di metter Gesù nella pisside, l'ostie, la pisside dev'essere ben monda. Prima di far la comunione mondiamo tutto il nostro essere: la mente, il cuore, gli occhi, il tatto, la fantasia, la volontà. Purificazione del nostro essere.
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Secondo, poi, ci vuole la parte positiva. La parte positiva ha il culmine nella comunione. La comunione, grande mezzo per l'unione con Dio. La comunione, grande mezzo per unirsi al cuore di Dio, di Gesù. Chi può dire i grandi progressi che fece nell'amor di Dio, la Vergine santissima, quando compì, allora, la prima comunione del mondo; la prima comunione nel mondo, data a Maria: «Benedetto il frutto del tuo seno, Gesù»1. Modello delle sante comunioni. E questa vicinanza a Gesù quando era nel presepio, quando era bambino, quando era a Nazaret, fu sempre un continuo accendere più largamente l'amore di Maria verso Gesù, verso il suo Dio. E questo amore crebbe poi ancor di più, quando ella assistette il benedetto suo Figlio a immolarsi sulla croce per gli uomini; e quando nel cenacolo discese lo Spirito Santo, sotto forma di fuoco, cioè di carità, e Maria ne ricevette una elargizione più abbondante; e quando poi vicino a passare da questa all'altra vita, ella guardava il cielo, sospirava di riunirsi e di rivedere il suo Gesù.
La comunione, l'unione con Dio, la vicinanza al tabernacolo, sono grandi mezzi per crescere nell'amore.
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E se la Pia Discepola, che ha due ore di adorazione, non crescesse in questo amore, oh, bisognerebbe dire che c'è una specie di disastro, perché questo è la sua grande grazia, questo è il suo grande mezzo: la vicinanza a Gesù per amarlo di più. Non corrisponderebbe, cioè, alla grazia. Una grande responsabilità! Amare, amare, amare. Credere all'amore di Gesù per noi e amare Gesù che ci ha tanto amati.
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Per crescere, poi, in questo amore, occorre anche l'esercizio della carità verso Dio. Primo esercizio: sospirare spesso di veder Gesù: «Cupio dissolvi et esse cum Christo»1. Desidero che si chiuda questa vita, per trovarmi con Cristo. I desideri del paradiso, sono desideri suggeriti e sono atti di amore. Pensieri di cielo, quindi; purgar quella mente da tante fantasie, tanti pensieri da cui la mente e il cuore dà turbolenze, agitazioni, cose che sono come oscurità, in cui ciò che trionfa è l'amor proprio, è lo spirito cattivo. Serenità. Contemplare le cose belle, le cose celesti: «non contemplantibus nobis ea quae apparent , sed ea quae non apparent», 2 dice san Paolo esprimendosi bene. Le cose belle: Vi son anime così belle! così elevate nei loro pensieri, così soprannaturali nei loro ragionamenti! Prevengono l'occupazione celeste che è, poi, veder Dio, contemplarlo, amarlo, in eterno.
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Però la carità si nutrisce anche del sacrificio. Fare tanti sacrifici. Saran piccoli fioretti, ma se son continui, essi sono come legna sempre aggiunta al fuoco e il fuoco sarà mantenuto e divamperà sempre di più.
E sono i sacrifici interni, in primo luogo, quelli che riguardano la volontà... la mente, quelle che riguardano il cuore. Che la mente sia occupata di Dio! E mortificare i desideri che non sono santi. Che il cuore voglia Iddio e che questo cuore non vada a particolarità, amicizie e preferenze e simpatie. No! Mortificarlo. Perché quando entra la simpatia, ecco, e non c'è più la simpatia di Dio verso quell'anima perché essa non ha più simpatia con Gesù, ha qualche simpatia verso persone.
Sacrifici, poi, della vita quotidiana: l'osservanza degli orari, l'osservanza del silenzio, il parlare sempre con la virtù della prudenza, il ragionar bene, l'occupare il tempo, frenare gli occhi, frenar l'udito, frenar la lingua, frenare il gusto, frenare il tatto. Sono cose piccole, forse, quelle che ci presentano occasioni di mortificazioni, ma son preziose. Giacché non siamo capaci di grandi sacrifici, almeno prendiamo questi piccoli sacrifici e compiamoli volentieri perché accendono sempre più il fuoco dell'amore verso il Signore.
La giornata di oggi, specialmente per domandar la carità. E adesso la carità verso Iddio, poi considereremo la carità verso il prossimo, a Dio piacendo.
Sia lodato Gesù Cristo.
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1 Esercizi Spirituali (14-23 marzo 1956) al gruppo formazione Pie Discepole del Divin Maestro in preparazione alla vestizione, entrata in noviziato, emissione dei voti religiosi Roma, Via Portuense 739, 18 marzo 1956* (1) Nastro 3/c (= cassetta 5/b). - Per la datazione, cfr. PM: «Entriamo adesso nel tempo detto di Passione...». (Nel 1956 la domenica di Passione ricorreva il 18 marzo). PM: «dopo la virtù della fede (cfr. c96), la virtù della speranza (cfr. c111), è da considerarsi la carità: la carità verso Dio, la carità verso il prossimo» (cfr. c142). - dAS, 18/3/1956: «Verso le 6,30 va [il PM] per le due prediche, in via Portuense, dalle suore PD» (cfr. dAS in c26, c66 e c96).

2 Is 53,4-5.

3 Ef 5,2.

1 Cfr. Mt 16,24.

1 Cfr. Gv 15,13.

2 Liber Usualis, Feria V in Cena Domini, ad Matutinum in I Nocturno, resp. 2, p. 635.

1 Gal 2,20.

1 Cfr. 1 Cor 13, 1-3.

2 Cfr. 1 Cor 13,13.

1 Cfr. 1 Cor 13,8.

1 Cfr. 2 Cor 5,14.

1 Lc 1,42.

1 Fil 1,23.

2 2 Cor 4,18: in realtà è: «...quae videntur sed quae non videntur».