Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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30-LA CARITA' VERSO IL PROSSIMO1*
Fra le tre virtù teologali, la terza, la carità, è quella che da una parte è più difficile e, dall'altra parte, è la più ricca di meriti ed è anche quella sola che rimane in eterno: «caritas manet in aeternum» 2.
Allora, in terzo luogo, abbiamo da domandare questa grazia: di possedere la carità nel suo senso più pieno. Su questo punto sempre dobbiamo crescere: «fate che io vi ami sempre più», dire al Signore.
La carità, secondo ha insegnato il Maestro Divino, primo riguarda Iddio. «Amare il Signore con tutta la mente, con tutte le forze, con tutto il cuore3. Poi riguarda il prossimo: «ed il prossimo come noi stessi». «Amerai il prossimo tuo come te stesso» 4. E allora, due meditazioni: una sopra l'amore a Dio e l'altra sopra l'amore al prossimo, ricordando che la somma del cristianesimo, cioè il riassunto, è nella carità.
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La fede ci fa veder Dio; la speranza ce lo fa desiderare efficacemente, desiderare il paradiso, le grazie necessarie per raggiungerlo. E la carità, invece, ci fa volere Iddio, cioè amare Iddio, anzi uniti già a lui, ci mette in possesso di Dio, in possesso di Dio imperfetto, cioè senza la vera beatitudine eterna; sulla terra è una beatitudine quale è annunziata dai Vangeli, e poi una beatitudine eterna, piena e completa, in paradiso.
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Per la prima meditazione: carità verso il prossimo.
La carità verso il prossimo, che cosa è? Consiste in tre, anzi quattro punti, possiam dir tre, ridurli a tre: di mente, di cuore, di opere, cioè di volontà: nel pensar bene e nel desiderare, volere il bene e nell'operare il bene. Tra le opere vi sono anche comprese le parole perché ogni azione è un atto e il parlare è anche un atto esterno. Pensar bene, volere il bene, compiacendosi anche del bene e poi, dopo, operare in bene.
Se nostro Signore ha stabilito che nel giudizio universale si esamineranno le opere di carità e saremo giudicati secondo la carità praticata, allora ecco, vuol dire che l'ultima parola che suonerà nel mondo sarà questa: «Avevo fame e mi avete dato da mangiare, ecc.1. L'ultima parola sarà sulla carità: carità verso il prossimo e allora si conchiude con la carità eterna verso Dio: «Venite dunque, o benedetti, nel regno del Padre mio» 2. Parole che stabiliranno, sigilleranno l'unione con Dio eterna, la professione eterna, allora, senza pericolo che la professione possa ancor venir rotta.
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Amare perché il prossimo è immagine di Dio. Se amiamo Iddio dobbiam desiderare che tutti santifichino il nome di Dio; che tutti entrino nel regno di Dio; che tutti facciano la volontà di Dio, secondo le tre domande del «Padre nostro». E se il Signore vuole che tutti gli uomini siano salvi1 e che arrivino a conoscere Dio, allora che cosa bisogna dire? Bisogna dire che noi abbiam da avere gli stessi sentimenti di Dio: «Imitate Dio come figli carissimi» 2, dice la Scrittura. E se Dio desidera il bene, la salvezza degli uomini, noi dobbiamo avere gli stessi desideri. E se Gesù Cristo ha dato la vita per i fratelli, per tutte le anime, non dobbiamo esser pronti a fare qualche sacrificio anche per le anime? Amare Gesù. Ma se non siam disposti a fare dei sacrifici per amore delle anime, per la salvezza degli uomini, il nostro amore è di parole, non è di fatto, non è di quello che viene riconosciuto vero amore, al giudizio di Dio.
Se invece non parliamo tanto, non facciam tante proteste di amore, ma facciam dei fatti, quello è l'amore che verrà riconosciuto al giudizio di Dio.
Nella Scrittura vi è questo: noi sappiamo di amare Iddio perché amiamo il fratello, il prossimo: «quoniam diligimus fratres» 3. Ecco, tante volte, l'amor di Dio, non sappiamo scoprire se ci sia davvero in noi. Ma è più facile scoprire se c'è l'amore del prossimo e se c'è l'amore del prossimo, c'è l'amor di Dio. Si potranno aver delle debolezze, qualche mancanza, ma quale è il peccato più grave? L'odio al prossimo, cioè l'odio a Dio.
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E' l'odio che è il peccato più grave. In riguardo al prossimo: i rancori, le invidie, le gelosie e poi anche l'odio e fino al punto che non ci si parlino quei due e non si vedono bene, si prendono l'occasione di dir male l'uno dell'altro, quando questa occasione si presenta. E allora, ecco, è più che il rubare mancare di carità. Anche il rubare è mancanza di carità, in fondo, ma parlo di quando c'è l'odio, il rancore, l'invidia, si desidera il male, si desidera che non riesca bene quella persona, perché se gli altri stanno bassi, a noi sembra di alzarsi e quindi, l'orgoglio [è] soddisfatto. Ma non è che ci alziamo, ci abbassiamo tutti, allora, perché niente più ci abbassa che l'orgoglio.
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Allora amare il prossimo perché possiam dire di possedere l'amore di Dio. Amare il prossimo in generale, tutto, i due miliardi e 500 milioni di uomini che vivono sulla terra. Amare le anime del purgatorio e aiutarle. Amare i santi e pregarli, onorarli come amici di Dio.
Ma la carità essendo ordinata, deve crescere quando si tratta di persone più vicine a noi, quindi vi è oltre che l'amore - diciamo - universale per tutti, vi è anche un amore nazionale e si fa bene a votare perché il governo sia buono, sia retto, rappresentato cioè da uomini retti. E' un beneficio, una carità che si rende alla patria. Così, l'osservanza delle leggi civili, anche delle leggi stradali ad esempio, appunto perché non ci si metta in pericolo o noi medesimi o non ci si mettono in pericolo gli altri. Amare il prossimo poi, man mano che questo prossimo è più vicino a noi. Quindi, desiderare la salvezza dei nostri cari tutti, pregando per loro.
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Poi, l'amore particolare dev'essere nella Congregazione, perché vi sono poi motivi particolari, oltre ai motivi generali. Motivi particolari sono questo, che si costituisce una famiglia. Ogni Congregazione è un'adunanza di persone che vogliono aiutarsi per la salvezza e per il progresso dell'Istituto; quindi, se si amano le sorelle, nella comunità femminile, si ama se stesso, ognuna, ama se stessa perché è una cosa sua, la famiglia. E la mamma che è premurosa del bene della famiglia, ama se stessa anche, perché nella famiglia è compresa lei medesima.
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Poi vi è proprio l'obbligo come naturale che dipende dall'essere società. Ogni Congregazione, ogni Ordine religioso, è società. E allora l'obbligo di contribuire al benessere della società, è un obbligo di natura, non di consiglio. Il mettere al servizio della Congregazione le forze che si hanno: forze intellettuali, forze morali, forze fisiche; il contribuire con una retta amministrazione; il contribuire con il buon esempio vicendevole; il contribuire con la preghiera vicendevole; il darsi aiuto e farsi servizio vicendevole, tutto questo è carità, da una parte; ma è anche una carità che non entra nei consigli soltanto, entra nei doveri di natura che sono più alti che i doveri divini, questi. Poiché la legge naturale è prima della legge divina evangelica e della legge civile e della legge ecclesiastica. Il fondamento di ogni diritto e di ogni dovere è sempre la legge naturale. Un po' di sociologia applicata ai casi particolari di una società religiosa persuaderebbe tanto e dirizzerebbe tante idee che non sono giuste. Ce ne sono ancora delle idee non giuste.
Ora, siccome il primo amore sta nel pensar bene, così se non si hanno le idee giuste, non c'è proprio la carità, perché il primo amore è nella mente, come il primo amore verso Dio è aver fede, pensare secondo Dio.
Allora vediamo di praticare la carità.
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Venendo a questo punto e restringendoci a quello che riguarda la Congregazione e riguarda voi, primo: amare la vita comune. Questo fare sempre quello che è detto, questo portare le forze, il contributo di attività che ci è possibile, alla Congregazione, è ciò che costituisce, in gran parte, la vita comune ed è quindi quello che si può dire carità necessaria, come abbiamo considerato.
Quella carità che obbliga e che obbliga «sub gravi» in certe misure, in certi punti, sotto pena di peccato grave. Se vi è questo apporto di ognuna verso il progresso spirituale, intellettuale, organizzativo, materiale, della Congregazione, vi è la carità. Se manca questo contributo si commette proprio un peccato di ingiustizia, contro la giustizia. Perché? Perché dalla Congregazione si deve prender tutto, ma alla Congregazione si deve anche portar tutto.
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E portar tutto, che cosa significa? Portar tutto comprende quel complesso di beni che noi possiamo conferire alla massa e cioè conferire alla società, alla Congregazione. Se si può fare scuola, si farà scuola; se si sa insegnare qualche cosa o a pitturare o a ricamare o a sviluppare bene i Centri, si farà questo. Quando uno ha questi doni, li mette a servizio della Congregazione. Lasciare inerti i tesori è contro la natura della Congregazione e di una società, anche civile; quanto più poi di una società religiosa.
Così, il far bene la cucina, il disporre rettamente gli orari e il seguirli, conferiscono alla carità, sono opere di carità. Così, il tener l'ordine, la pulizia; così il fare il proprio ufficio secondo che è destinato, questo è tutta un'opera, un complesso, anzi, di opere di carità.
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Abbiamo poi da portare la carità anche in altri punti e cioè, quella carità minuta che si deve esercitare ogni giorno. In questo campo della carità, la materia è così ampia che a restringersi a 25 minuti è tanto difficile. E basterebbe per un anno, questo argomento, un anno di meditazione.
Il contributo di preghiera per l'avanzamento spirituale di tutte, per il numero maggiore di vocazioni, per la formazione veramente secondo lo spirito delle Costituzioni della Pia Discepola. Il contributo di preghiera.
Secondo: il contributo di buon esempio, di sottomissione, di ordine, di dedizione a fare quello che è assegnato a ognuna, perché in questo vi è tanto da dire. Ognuna è come un membro dell'Istituto. Ora, se un membro non fa la sua parte, che cosa succede? Supponiamo che la cuoca non faccia la sua parte, non faccia la cucina. A mezzogiorno cosa succede?
Ma quello che si vede subito perché è cosa materiale, succede molto di più nelle cose spirituali e nelle cose di organizzazione e nelle amministrazioni, particolarmente riferendoci a quello che costituisce la manifestazione del vostro zelo liturgico, il Centro.
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Quelle suore che vanno all'estero e mirano ai tre punti: Centro nazionale liturgico; vocazionario, compreso il suo noviziato corrispondente; e la «Vita in Cristo e nella Chiesa», queste suore hanno vera carità, la carità sostanziale. E, è poi vero che ognuna delle suore ha i suoi difetti, sarete mica voi privilegiate da non aver difetti. Ne abbiamo tutti e tanti, ne abbiam più che virtù, eh! dei difetti; ma c'è la sostanza, c'è lo spirito della Congregazione, se poi si amano le persone che dirigono, le persone che devono collaborare, le vocazioni, se si ama il noviziato, ecc., allora, ecco, carità, sostanziale.
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E, altro punto: pensare in bene e pregare per tutte.
L'esempio poi, è un esercizio continuato di carità: dal mattino quando uno si alza da letto, fino alla sera quando va a riposo; ecco. Perché, quando si dà esempio di ordine e quando si dà esempio di osservanza degli orari, quando si dà esempio di dedizione, far bene i propri uffici, e allora certamente si contribuisce molto allo spirito della Congregazione. Ma se ognuna non fa la sua parte, cosa succede? Supponiamo che gli occhi non facciano la loro parte. Cosa succede? E lo stesso si dice di un corpo morale, quale è una Congregazione.
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Vi è poi da evitare tutto ciò che è contrario alla carità e cioè: le parole che son di disistima degli altri, le parole che portano scoraggiamento, le critiche non costruttive, le parole che vengono a ferire una persona o un'altra, il modo di parlare che non è conforme alla carità, il modo di trattare, il modo di rispondere. Questo sarebbe offendere la carità.
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Poi una grande cosa è: avere confidenza con le persone che sono nell'Istituto e poco confidarsi, confidarsi solo in quello che è assolutamente necessario, esteriormente. Volersi bene realmente. E chi vi vuol più bene che la Congregazione? Ricorrete a destra e a sinistra, ma che cosa vi giova poi? Vi saranno anche delle necessità, certamente, tutti siamo pronti, si è pronti, devono essere tutte pronte a rispettarle, queste necessità. Rispettarle secondo il Diritto Canonico, secondo le Costituzioni e secondo la carità stessa. Però è necessario che ognuna operi e agisca e pensi rettamente. Operi, agisca e pensi rettamente.
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Quando si portano le divisioni, gli scismi, i partiti, i gruppetti, ecc. si va proprio contro il Divino Maestro. «Ut unum sint» 1, ha detto quattro volte in quella preghiera, tre volte particolarmente esprime questo, quella preghiera che fu quasi alla conclusione del suo ministero pubblico, perché dopo cominciò la passione, preghiera sacerdotale, dopo l'ultima cena «et hymno dicto, exierunt in montem olivarum» 2. «Ut unum sint».
Subito bisogna vigilare quando si sente a dir male, perché il più grave male che si porta alla Congregazione è cominciare a seminare la discordia, il sospetto contro l'una o contro l'altra, tanto più poi che soventissimo questo dipende da egoismo, da amor proprio non soddisfatto. Vigilare sopra di noi, non scusarsi negli esami di coscienza. Poi, chi può darci ragione perché sente solo noi? Vigilare. Perché sempre bisogna diffidare di chi parla in male, dato che comincia a offendere l'amore verso Dio e l'amore verso il prossimo, poiché la critica è una spada a quattro tagli come predicano quasi sempre coloro che tengono le conferenze sopra questo punto.Vigilare che non sia uno sfogo di amor proprio, perché quando c'è la vera carità si contribuisce all'Istituto, ma se c'è qualche necessità, portando quella luce e manifestando quelle cose che sono utili per il buon andamento della Congregazione, per l'unione della Casa in particolare dove si è, onde considerare sempre lo spirito di divisione, la disunione come contraria alla volontà, al desiderio, alla preghiera del Maestro Divino, quando andò a incominciare la sua passione. Quindi è una pessima preparazione alla comunione dell'indomani, disgustare il Signore proprio in quello che egli ha detto: «In questo vi riconoscerete come mie discepole», diciamolo in femminile, «come miei discepoli», che è lo stesso, perché la parola «discepoli» comprende tanto gli uomini, come le donne, come quando si dice l'«uomo» s'intende anche la donna. Oh, «in questo vi riconosceranno che siete miei discepoli» 3. Allora chi offende la carità non è discepola.
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Sta per uscire la seconda edizione de «Lo spirito del Maestro Giaccardo». Il lavoro è quasi al termine, si richiederà ancora un pochetto prima che sia finito di stampare. E in quella edizione nuova, che è molto accresciuta, e corregge, in parte, lo sbaglio che c'era nella prima, perché non si poteva far meglio, cioè ciò che mancava nella prima, non che fosse uno sbaglio, quello di portare più fatti.
Ora ci saranno molti più fatti perché le testimonianze di circa 50 persone, che hanno depositato, hanno contribuito. Certamente non si può mai dire ciò che si è depositato nei processi, ma se questo fu fatto vedere prima di andare a depositare, quello si poteva fare e si può fare, non solo lecitamente, ma anche a motivo di carità.
Vi è una pagina in questa nuova edizione che voglio ricordare adesso e ho pregato assai prima di decidermi a dirlo. Vale come una primizia dell'edizione.
Quando si è discusso sopra l'approvazione delle Pie Discepole, vi era quella difficoltà che conoscete. E' successo questo che è scritto e che verrà e che vien pubblicato. Il Maestro Giaccardo e colui che era allora Visitatore, si trovavano davanti a monsignor Pasetto, che era segretario della Congregazione dei Religiosi, adesso defunto. E monsignor Pasetto dice a don Giaccardo e al Visitatore di allora, che vi era una lettera di qualche suora che diceva che l'amministrazione non era buona, che vi era disordine, ecc. La lettera è ancora là. I Superiori Religiosi della Congregazione, devono manifestarle certe cose, perché altrimenti come si conoscerebbe la verità a sentir solo una campana. E allora il Maestro Giaccardo si è inginocchiato (la relazione è portata per mostrare la sua umiltà e la sua carità), si è inginocchiato davanti a monsignor Pasetto dicendogli: «Se vi è qualche male tra le Pie Discepole, vien da me, perché io ho ricevuto dal Primo Maestro l'incarico di avviare le Pie Discepole verso la loro missione e nel loro spirito e sono io che mi occupo della loro formazione, della formazione della loro Famiglia, mi prendo tutta io la responsabilità. E prego a non tener conto, non sgridare queste suore o quella suora che ha scritto, perché noi l'aiuteremo ancora, le vogliam tanto bene, cercheremo di avere, di far meglio, di darle meglio buon esempio, ecco tutto». Allora la conversazione con monsignor Pasetto è finita. Ma il Visitatore uscendo disse a don Giaccardo: ma quella suora è matta. Oh, cosa è successo di nuovo? Che egli di nuovo si umiliò: no, no, non fatele osservazioni, non sgridatela, lasciate; e sarà un momento così che passerà, una piccola crisi. Intanto io cercherò di predicare con più affetto, di illuminare meglio le menti. E i torti vengono sempre da questa parte: che non ho fatto abbastanza.
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Oh, vedete la carità, l'umiltà dove va.
Allora prendiamoci esempio. Sempre prenderci i torti; sempre abbondare in carità; sempre esser largo di compatimento. Chi ha più difetti? «E chi tra di voi è il maggiore, sia servo degli altri» 1.
Tutti gli uffici che ci sono in Casa son servizi di carità alla Comunità e son servizi di carità alla Chiesa, nello spirito liturgico, nel servizio sacerdotale, nel servizio e apostolato eucaristico.
Facciamo un proposito: domandiamo tutti al Divino Maestro questa grande virtù: carità. E «se noi perdoniamo, siamo perdonati» 2; e se noi amiamo tanto, siamo amati da Dio; e se amiamo tanto, andremo molto sù in paradiso perché questa è la principale, più difficile e più meritoria virtù.
Sia lodato Gesù Cristo.
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1 Esercizi Spirituali (14-21 giugno 1956) alle Superiore Pie Discepole del Divin Maestro Roma, Via Portuense 739, 19 giugno 1956 *
* (1) Nastro 6/e (= cassetta 15/b). - Per la datazione, cfr. PM: «Allora, due meditazioni: una sopra l'amore a Dio (cfr. c466) e l'altra sopra l'amore al prossimo. Per la prima meditazione: carità verso il prossimo» . - dAS, 19/6/1956: «(dopo Messa) anche per la predicazione alle PD. Dopo la recita del Breviario va [il PM] a predicare in via Portuense, alle PD» . - dAC: «Quinto giorno (19/6): 1a meditazione: Carità verso il prossimo; 2a meditazione: carità verso Dio» .

2 Cfr. 1 Cor 13,8.

3 Cfr. Mt 22,37.

4 Cfr. Mt 22,39.

1 Cfr. Mt 25,35.

2 Cfr. Mt 25,34.

1 Cfr. 1 Tm 2,4.

2 Cfr. Ef 5,1.

3 1 Gv 3,14.

1 Gv 17, 11.21.22.

2 Mc 14, 26.

3 Cfr. Gv 13, 35.

1 Cfr. Mt 20,26-27.

2 Cfr. Lc 6,37.