Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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ESERCIZI SPIRITUALI – GROTTAFERRATA
11-20 NOVEMBRE 1954


Di questo corso di Esercizi sono pervenute sette istruzioni di Don Alberione. Ciò fa supporre che non tutte le meditazioni siano giunte a noi oppure che il Primo Maestro sia stato affiancato nella predicazione da un altro sacerdote. Nella cronaca del tempo non si riscontra alcun cenno a questi Esercizi. Il corso è dettato alle sorelle della Casa di Grottaferrata, denominata anche Casa delle scrittrici.
Le meditazioni si strutturano principalmente su due temi di fondo: la vita religiosa paolina e l’apostolato.
E’ pressante l’invito a vivere il primo e fondamentale comandamento della carità, ossia investire pienamente le capacità di mente, volontà, cuore, forze fisiche per amare Dio e il prossimo, soprattutto la mente «la facoltà più perfetta che abbiamo, dalla quale dipendono i sentimenti, dipendono le abitudini, dipende la vita pratica» (III). Ricordare che si è cristiane e religiose (IV).
Ciò che specifica la vocazione è l’apostolato. Sono frequenti i riferimenti alla redazione, «il primo apostolato della Congregazione» (I). Nella redazione le Figlie di San Paolo sono chiamate a «mettere a servizio di Dio tutte le energie» (VI), tutto il tempo. Ciò richiede «la retta intenzione», «fare le cose bene, ossia compiere il proprio ufficio con la testa, con l’applicazione, con le forze di cui disponiamo e con la dedizione che ci è possibile» (V).
Ricordare che si è «strumenti di Dio, la penna di Dio, la voce di Dio, in maniera relativa si è come gli evangelisti» (VI).
Monsignor Montini, arcivescovo di Milano, in un suo discorso agli scrittori diceva : Voi prendete la parola di Dio e la vestite di inchiostro, di caratteri, di carta e la mandate nel mondo così vestita, e il Primo Maestro completa: È la parola di Dio, vestita così, è il Signore incartato, e voi date agli uomini Dio incartato, come Maria ha dato agli uomini Dio incarnato. Incartato e incarnato si corrispondono. Quindi: Opus fac Mariae: fa’ l’opera di Maria (VII).

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I
DISPOSIZIONI PER FARE BENE GLI ESERCIZI

Introduzione*


Il mese di novembre è mese molto adatto a raccoglierci e quindi è adatto specialmente a riprendere o a intensificare la nostra vita spirituale.
È molto bene che gli Esercizi attuali siano stati fissati per questo tempo e quindi è giusto l’invito: facciamo questi Esercizi come se fossero gli ultimi della nostra vita. Non sappiamo se arriveremo ad un altro corso di Esercizi. Il tempo della morte non ci è noto: «Verrà la morte come viene il ladro di notte»1, cioè quando meno ce l’aspettiamo. E allora la conclusione è questa: «Estote parati; quia qua hora non putatis, Filius hominis veniet»2. Come si fa a stare preparati? Nella preghiera della buona morte3 si dice che noi desideriamo di fare sempre bene il ritiro mensile, la confessione settimanale, essere sempre pronti alla chiamata di Dio. Ma quanto più dobbiamo aggiungere: fare bene gli Esercizi spirituali per essere pronti qualora Iddio ci chiamasse in questo anno, cioè da questo momento, da questo corso di Esercizi, fino ad un altro corso di Esercizi. State preparati!
Che cosa sono gli Esercizi? Con che pensiero fare gli Esercizi? Con quale disposizione?
1. Che cosa sono gli Esercizi spirituali?
a) Sono giorni che il Signore ci concede nella sua grande misericordia; sono giorni in cui il
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Signore ci attende per parlarci più intimamente e per sentirci in tutti i nostri bisogni, cioè in tutte le confidenze che vogliamo fargli e per donare a noi delle grazie speciali. Giorni fortunati, quindi: sono i più bei giorni dell’anno, sempre i più bei giorni. Ogni anima che ha la buona volontà li vede arrivare con gioia, anzi già li aveva attesi e cerca di portarvi le migliori disposizioni, cioè: preghiera intensa, desiderio vivo di farli bene e, nello stesso tempo, di purificare l’anima e aprire il cuore a Dio. Signore, vuotatelo di me, riempitelo di voi! Perché questo cuore nostro o è pieno di amor di Dio o è pieno di amor proprio; e quanto più lo vuotiamo di noi tanto più lo riempiamo di Dio. Far posto a Dio! Se si versa anche il miglior liquore in un bicchiere che è già pieno di altra roba, andrà tutto fuori. Quante volte il Signore versa grazie abbondanti, ma il cuore non è svuotato. Allora la grazia di Dio casca a destra e a sinistra e resta grazia incorrisposta.
b) Che cosa sono inoltre gli Esercizi? Sono otto giorni di considerazioni, otto giorni quindi di esercizi di fede, otto giorni di esercizi di amor di Dio: atti di amore, di preghiera soprattutto e otto giorni di esercizi di volontà che vuol dire: pentimento per il passato e proposito per il futuro.
Quindi entriamo totalmente negli Esercizi, corpo ed anima. La mente rifletta, il cuore preghi, la volontà decida di detestare la vita passata e prendere la via che ci conduce più direttamente a Dio. E se anche nel passato abbiamo camminato, come è da sperarsi, nella via buona, forse non l’abbiamo sempre fatto bene, forse qualche passo falso, forse qualche volta siamo andati un
po’ sui margini e forse ci sarà [stata] pure qualche
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caduta. Allora ci pentiremo e prometteremo di camminare con più prudenza e più fiducia in Dio, con il pensiero: Da me nulla posso davvero, con Dio posso tutto4 e quindi posso farmi santo e apostolo. Primo giorno di riflessioni. La parte principale degli Esercizi è proprio qui: nei riflessi! Perciò dopo la predica dobbiamo meditare. Il riflettere è così necessario che senza riflettere non si fanno gli Esercizi, non si ottiene alcun frutto. Gli Esercizi hanno preso forma speciale da S. Ignazio [di Loyola]. Egli li aveva fatti per sé, ha lasciato gli appunti, ed ecco che sono passati a noi gli Esercizi5. Ha meditato, ma senza predicatore: leggendo il Vangelo e riflettendo, leggendo vite di santi e riflettendo, meditando su se stesso, sui propri doveri, sul fine della propria vita. A me, generalmente, piace di più fare gli Esercizi senza predicatore. Quelli che fanno gli Esercizi di un mese – e sono sempre più numerosi – li fanno appena con delle tracce di meditazioni, di istruzioni, perché il lavoro è da farsi da noi e non dal predicatore. E non va neanche bene leggere tante cose così di seguito; no, leggere finché entriamo nell’unione con Dio e l’anima si è raccolta e parla con facilità e direttamente con il Signore. I riflessi quindi sono la parte principale.
Se alle volte gli Esercizi non danno gran frutto, una delle ragioni principali è questa: la mancanza di riflessione, di meditazione. Prendere gli appunti e poi passarli uno per uno, e ripassarli; di ciascun punto cercare di avere idee chiare; su ciascun punto parlare con Dio e su ciascun punto fare il nostro esame di coscienza, se siamo ben orientati.
Riflettere! Gli Esercizi si possono fare da tutti, anche nel deserto, quando si riflette. E non sono
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Esercizi quelli che si fanno senza riflessione o parlando, o pensando ad altro, o leggendo soltanto, o perdendo il tempo in altre cose.
c) Sono otto giorni di esercizi di pietà. Preghiera, preghiera più abbondante. Anzitutto le nostre preghiere, il nostro libro di preghiere. Come è utile che nel nostro libro di preghiere si leggano le istruzioni che vi sono prima della Comunione, prima della Messa, prima delle nostre devozioni, prima della Via Crucis, prima dell’esame di coscienza. Leggere le istruzioni e dire le preghiere. Proprio poco fa mi facevano osservare: che differenza tra le nostre belle orazioni e certe orazioni così vuote, che si incontrano e che si sentono!
Giorni di preghiera: rosari, Visite al santissimo Sacramento, Comunioni ben fatte, poi ancora la Via Crucis, poi la comunione [spirituale] e tante giaculatorie nel corso del giorno, anzi tutto dovrebbe portarci a parlare con Dio. Quando un’anima sa parlare con Dio, ha fatto un gran cammino.
d) In terzo luogo sono Esercizi di volontà. La volontà deve venire esercitata in due maniere: con il dolore che riguarda il passato non buono e con il ringraziamento che riguarda il passato buono. Deve venire ancora esercitata con propositi fermi, decisi: propositi individuali, propositi sull’apostolato e sulla nostra vita esteriore, cioè sul lavoro. Quindi il frutto degli Esercizi comprende i due primi articoli delle Costituzioni: sono entrata per farmi santa, sono entrata per esercitare questo apostolato. E io metto a servizio di Dio tutte le mie forze? E metto tutte le mie forze per riuscire a santificarmi?
2. Quale pensiero dominante in questi Esercizi? Quello dei Novissimi. Dice la Scrittura: «In omnibus operibus tuis, memorare Novissima tua et in aeternum non peccabis!»6. Che cosa devi
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fare? Meditare i Novissimi. Ricordare i Novissimi! Che cosa sto a fare sulla terra? Per che cosa sono venuta nell’Istituto? Io so che non passerà molto tempo e non sarò più su questa terra; vi saranno altre persone in questa casa, vi saranno altre persone in queste vie e chi volesse sapere dove sono, chi volesse ancora trovarmi dovrebbe avviarsi al cimitero. Là in una piccola fossa, in un piccolo loculo vi sarà il mio corpo, la mia salma. Ma la mia anima? O sempre salva o sempre perduta. Una delle due! La morte può venire in qualunque giorno, può venire in qualunque luogo, può venire in qualsiasi maniera. Se desiderate fare un atto di amor di Dio, mentre facciamo l’atto di accettazione della morte, sarebbe bene modificare un po’ quello che c’è nel libro delle preghiere: Signore, mio Creatore e mio Redentore, io accetto la sentenza di morte che avete pronunziato sopra di me, con le circostanze e con le pene con cui essa sarà accompagnata. La modifica sarebbe in un’aggiunta: Io accetto la morte che è di maggior vostra gloria e di maggior interesse per l’anima mia, fosse pure di cadere sotto una macchina. Oggi è tanto facile sentire notizie di morti per causa di macchine di trasporto, o per causa di aerei, di ferrovia o di navi. Quella che è di maggior gloria vostra: questo è un atto di perfetto amor di Dio. Quindi è un atto che assicura l’indulgenza plenaria in punto di morte, nelle nostre condizioni.
E dopo la morte, in quel luogo dove sarò passato all’eternità, si compirà il giudizio. L’anima mia comparirà davanti al Giudice. Il Signore farà proiettare sull’anima mia una luce in cui vedrò se sono degno di odio o di amore. E
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la sentenza è fatta: a chi è degno di amore, paradiso eterno; a chi è degno di odio, inferno eterno. Il purgatorio è dato a chi è salvo, ma deve ancora finire di prepararsi all’ingresso in cielo. L’anima però è già sicura della sua salvezza e vive già nell’amore di Dio, sebbene [si trovi] nella sofferenza per pagare tutti i debiti che le rimangono.
Ecco il giudizio. In questi giorni provo da me a farmi il giudizio. Chi si condanna non sarà condannato e chi si giudica non sarà giudicato. Dopo il giudizio io entrerò in uno dei tre posti: o inferno, o purgatorio, o paradiso. Il peso dei meriti spinge l’anima al paradiso, quando l’anima è del tutto pura; il peso dei peccati fa precipitare l’anima all’inferno, quando è in peccato grave; e i debiti che si hanno da pagare, spingono l’anima verso il purgatorio, anima che ama e anima che soffre nello stesso tempo.
Devo considerare allora i due posti che sono eterni: O sempre paradiso o sempre inferno. Considerare il cielo aperto: «Et Iesum stantem a dextris virtutis Dei»7, e tutti i santi con Maria Regina. Contemplare le fiamme eterne dell’inferno e là in mezzo anime infelici che disperano senza alcuna speranza, che soffrono e maledicono se stesse e la loro vita passata.
Devo riflettere e tener presenti ancora gli altri Novissimi: il giudizio universale, e prima del giudizio universale, la risurrezione della carne. Uscirò dal sepolcro con la mia carne, con il mio corpo. L’anima verrà per ricongiungersi al corpo. Il corpo e l’anima riuniti procederanno verso il posto del giudizio. L’anima e il corpo dei dannati saranno segnati dai vizi e dai peccati commessi, l’anima e il corpo dei salvati saranno segnati dagli atti di virtù e dalle virtù stesse che avranno praticato.
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E nel giudizio la separazione dei buoni e dei cattivi. E la sentenza: «Venite, benedetti»8 per i buoni; «Andate lontani da me, o maledetti» per i cattivi9. «Et ibunt hi in ignem aeternum, iusti autem in vitam aeternam»10. E da quel momento inizierà l’eternità per tutti, anche per gli ultimi morti, perché l’eternità per noi incomincia dalla morte. Eternità! Che cosa significa? Una durata interminabile di miliardi di anni e secoli e tuttavia infinita. Che cos’è mai la vita? E quanto è saggio chi sa santificarsi in questa vita che dura poco tempo, per godere in eterno. Breve è il patire, eterno il godere. Con questi pensieri di eternità, ecco, noi più facilmente ci raccoglieremo e facilmente verremo a conclusioni serie e stabili.
Questi pensieri di eternità devono illuminare tutti gli atti degli Esercizi e portarci sempre alla conclusione: Ma io voglio salvarmi, voglio esercitare il mio apostolato, io voglio compiere la volontà di Dio, io voglio adempiere, corrispondere alla missione che Dio mi ha affidato sulla terra.
Oh, volgiamo bene lo sguardo a Dio! E invochiamo Maria: Rivolgi a noi quegli occhi tuoi misericordiosi e mostraci dopo questo esilio Gesù, il frutto benedetto del tuo seno. Poco tempo fa in una lettera ho letto questo: Io qualche volta inverto un poco la frase, e dico: Mostrami Gesù anche in questo esilio. Io ho voglia di conoscere Iddio, di conoscere Gesù Maestro!. E Maria lo farà conoscere a chi lo desidera. Siamo vicini alla festa di S. Alberto Magno11. Di lui fu scritto che prima conobbe Maria e poi tutte le scienze, tutte le scienze insegnategli da Maria. Infatti da giovane era venuto nella decisione, sconfortato e scoraggiato della sua vocazione, di andarsene perché riusciva poco ad imparare. Maria
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nel sonno lo fermò: Rimani, imparerai, imparerai!
3. Quali disposizioni portare agli Esercizi?
Prima: una disposizione di fede. È la volontà di Dio che ci ha chiamati qui, è il Signore quindi, questo Signore che è qui nel tabernacolo. Le disposizioni che sono venute non sono a caso, non dipendono da capriccio umano. Le disposizioni sono volute o permesse da quel Padre celeste che è tutta sapienza e tutto amore per noi. Fede, quindi! Se Iddio mi chiama, mi chiama per qualche cosa, vuole dirmi qualche cosa in questi giorni. Sono certo che mi ha preparato le grazie. Se tutto l’anno mi ha comunicato molte grazie, adesso in questi giorni le grazie saranno come concentrate, saranno immensamente più abbondanti. Io avrò un’assistenza speciale di Maria Maestra, Madre e Regina. Una assistenza speciale di S. Paolo, padre nostro; un’assistenza speciale dagli angeli custodi, di S. Giuseppe, dei santi Protettori. Io devo come entrare in una solitudine in cui troverò Dio: «Ducam eam in solitudinem et loquar ad cor eius»12. Dio ci ha condotte qui e vuol parlare ai nostri cuori; ma fatevi la solitudine esterna e interna. Esterna: silenzio; né lettere, né chiacchiere, né occupazioni estranee a quelle che sono portate dall’orario, e la volontà di conservare la solitudine interna. Non giocar di fantasia, non leggere troppo, non perdersi in pensieri inutili.
Negli Esercizi si deve dare uno sguardo al passato e uno sguardo al futuro. Però mentre si tace si deve far bene l’esame di coscienza, diligente per il passato e propositi diligenti per il futuro. Occorre notare una cosa, cioè non pensare troppo al passato: un esame diligente, ma non soverchio, piuttosto
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pensare al futuro in modo da rimediare al passato.
Quando diciamo il Miserere, dobbiamo dirlo più per il futuro che per il passato, cioè perché il Signore ci dia forza e costanza, ci converta, così che possiamo davvero prendere la risoluzione: farmi santa! Ma cosa sto a fare sulla terra se non mi faccio santa? Vi sono poi persone che hanno speculato troppo per il futuro. Chissà che cosa mi succederà! Chissà dove mi manderanno! Chissà quale ufficio mi toccherà! Chissà come andrò con questa o con quella, come mi troverò in una casa o in un’altra! Non giochiamo di fantasia. Tutto quello che il Signore disporrà sarà per la mia santificazione. Io devo dispormi alla volontà del Signore, a far bene quel che mi toccherà fare. Sono io che devo arrendermi a Dio, il quale ha sopra di me una volontà tutta di amore, di condurmi per la via della santità «fortiter et suaviter»13. Tocca a me adattarmi e abbandonarmi nelle sue braccia e far bene. E sono le braccia di un Padre, quelle di Dio. Dunque, restare nelle braccia di questo Padre.
Perciò non giocare di fantasia, perché allora non faremmo gli Esercizi. Se viviamo troppo nel passato o troppo nel futuro, non facciamo gli Esercizi al presente. Dico troppo, perché pensare al passato e al futuro quanto è necessario, occorre farlo.
Seconda [disposizione]: cominciare gli Esercizi con fiducia, fiducia serena; sì, fiducia serena che vuol dire: Signore, io aspetto da voi il paradiso e le grazie necessarie per arrivarci. Noi sappiamo con certezza che il Signore è misericordioso. La giustizia la eserciterà dopo la vita presente; e può anche darsi che la eserciti ora con chi è sordo ai suoi inviti,
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per esempio, abbandonandolo, dandogli minori grazie. Alle volte ci sono persone che divengono cieche: non vedono più, non capiscono più, gli Esercizi non le cambiano. E se io avessi saputo una volta!. E se avesse saputo l’Istituto che facevi così!.... Oh, bisogna che noi invece viviamo nella verità. Iddio ci ha chiamate; la vita religiosa è una vita di santificazione; e la santificazione si compie come si è santificato il Cristo: «Factus oboediens»14 a Maria e a Giuseppe. Purissimo, poverissimo, dalla greppia di Betlemme alla croce e al sepolcro; e lavoratore a Nazaret e lavoratore nel ministero pubblico e poi vittima, ostia di oblazione al Padre. Non vi è santità se non quella di Gesù Cristo. Tutti quei metodi e tutti quei libri che mettono il velluto o tendono a mettere il velluto sopra la via che ci conduce al cielo, non fanno che ingannarci. Mi ha fatto molto piacere questo. Un mese e mezzo fa, ho dovuto passare vicino a Riese, dove è nato Pio X. Era domenica sera, andammo a fare una visita alla sua cappella e al piccolo museo che hanno costruito dove sono raccolte tante cose sue. All’uscita, la persona che mi accompagnava, persona anziana e di buon spirito, mi disse: La santità è proprio sempre la stessa, sia sul trono pontificio, sia in un angolo di un convento. Il Vangelo! Gesù Cristo! Questa è la via. E Pio X si è come trasformato, Gesù Cristo lo ha trasformato. Egli ha vissuto Gesù Cristo. Gesù Cristo è fatto così.
Fiducia, ma fiducia serena, non di trovare le cose che siano così disposte che camminiamo sul velluto. No, no! Cammineremo, se Dio lo concede e siamo buoni, fra croci e fatiche e rinnegamenti
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continui. Perché la sentenza è chiara: «Chi vuol venire dietro di me - ossia alla gloria celeste, dove vado io rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua»15.
Quella è la via della santità.
Terza [disposizione]: per fare bene gli Esercizi disponiamoci su questo punto: Io voglio osservare almeno i due precetti, i due comandi fondamentali del Vangelo: «Amerai il Signore Dio tuo con tutta la mente, con tutte le forze, con tutto il cuore. Amerai il prossimo tuo come te stesso»16.
Io amo davvero il Signore o mi lusingo? Certe anime direbbero mille volte al confessore mille cose, ma non si fermano mai al punto chiaro: Ami con tutte le forze, ami con tutto il cuore, ami con tutta la volontà? In tutta te stessa c’è il Signore o c’è tanto amor proprio? O ami te stessa in realtà? Non stiamo a dir tanto, facciamo tanto, perché di cosiddette buone volontà è lastricato l’inferno.
Il Signore non aspetta da noi tante parole, aspetta da noi tanti fatti e ci giudicherà: «Unusquisque secundum suum laborem»17, secondo che fatichiamo o che soffriamo, perché la parola «laborem» in latino vuol dire sia la fatica, sia la sofferenza.
Poi il secondo comandamento: Amo veramente il prossimo? Ma si amano davvero le sorelle? Non ci sono invidie? Non ci sono rancori? Sono premurosa per loro, ne parlo in bene, penso bene di loro?
La parte, dicevo ieri nella meditazione, del primo articolo, secondo le presenti Costituzioni, che parla della vita comune18, significa di pensare uniformemente alla Prima Maestra, uniformemente all’Istituto, all’indirizzo che è buono, è
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santo. Quello che viene disposto è proprio ciò che desidera il Primo Maestro: E credo di compiere la volontà di Dio a dare questo. E se in un punto solo credessi di non compiere la volontà di Dio, scancellerei immediatamente tutto quello che è stato disposto. Pensare conformemente all’Istituto, mai metterci a criticare a destra e a sinistra. Sei tu da criticare, non l’Istituto. Pensare bene delle sorelle, aiutarle. Ma abbiamo questa difficoltà o quell’altra. E volete non averle? Ciò vorrebbe dire non voler farsi sante. Confessiamolo subito bene: Io non voglio farmi santa. Questo è il mezzo: Rinnega te stesso. E allora? Voler bene significa quattro cose: pensare bene, parlare bene, desiderare il bene, operare il bene, cioè, aiutare: «Ero in carcere e mi avete visitato; ero infermo e mi avete consolato, ecc.»19. Dunque, esaminiamoci molto sopra i due comandamenti della carità. Perché la nostra vita religiosa ha due parti: l’individuale e la sociale. E quando si è scritto quell’articolo nella Circolare Interna per la formazione sociale20, si voleva dire questo: La vita comune, che per noi è il fiore della carità, è in primo luogo il modo di esercitare la carità; in secondo luogo vi è l’apostolato […]21. Un grande progresso bisogna fare che è di tanta importanza: santificare questa Casa e fare in maniera che Gesù stia bene in questa Casa, che si trovi fra anime amanti, non con della gente che punge come i ricci e che gli punge il cuore. No, fra anime amanti! Ecco dunque qualche cosa per cominciare bene gli Esercizi. Io però volevo anche dire che so la vostra buona volontà, e la promessa di Dio
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non viene meno: «Pax hominibus bonae voluntatis»22: con il nome di pace si intende ogni bene spirituale, ne avrete tanti beni spirituali in questi giorni, perché portate una buona volontà.

II
ESSERE CRISTIANA, RELIGIOSA, PAOLINA *


In queste due considerazioni ci prepariamo a esaminare noi medesimi. Saranno quindi di aiuto a disporci bene alla confessione, e non solo, ma a tracciare al termine un programma di vita nuova come conclusione dei santi Esercizi.
Nel Vangelo si ricorda come i farisei mandassero un ambasciatore a Giovanni che stava predicando sulle rive del Giordano e predicava il battesimo di penitenza. Lo interrogarono: «Tu quis es?: Tu chi sei?»1. Ecco la domanda da fare a noi stessi: Tu chi sei? Ecco, la risposta è questa: Tu sei figlia di Dio battezzata, non solo quindi figlia dell’uomo, di tuo padre, ma figlia del Padre celeste quanto all’anima, giacché sei stata battezzata e nel Battesimo hai ricevuto la seconda vita che è la vita soprannaturale.
Tu sei una religiosa, tu sei una paolina. Ecco quindi tre punti di esame di coscienza.
1. In primo luogo tu sei cristiana, cioè battezzata, figlia di Dio: dobbiamo allora contemplare la vita di Gesù Cristo e viverla. Diversamente non saremmo
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cristiani. Il cristiano si distingue per avere i pensieri, la mente uniformata a Gesù Cristo, la vita uniformata a Gesù Cristo e nella preghiera si appoggia a Gesù Cristo: «Per Christum Dominum nostrum».
Siamo buoni cristiani? Com’è stata la vita di Gesù Cristo? È stata anzitutto una vita di preghiera. Dal presepio alla croce la sua vita si può dire una vita di preghiera. E la sua preghiera è la più sublime, è la più perfetta delle preghiere. Dobbiamo interrogarci se veramente abbiamo lo spirito di preghiera: se diffidiamo di noi medesimi e confidiamo in Dio. Lo spirito di preghiera ci porta a fare non solo qualche orazione, a fare delle pratiche di pietà, ma ad uno stato, ad una disposizione interiore particolare che è costituita da questi due elementi: diffidenza di noi e confidenza in Dio. Diffidiamo di noi, in tutto, sentiamo il bisogno di ricorrere a Dio, in tutto?
Diffidenza di noi. Non sappiamo, anche per esperienza, che siamo scarsi per intelligenza, per scienza, per virtù, per abilità, nella santità? Non abbiamo già fatto tante volte l’esperienza della nostra debolezza? Vi è bisogno ancora di avere altre prove per convincerci che se non vigiliamo e se non preghiamo finiamo con il cadere in basso, finiamo con l’essere affogati nei difetti? Non facciamo più altre esperienze. Impariamo da quello che già ci è accaduto: da quello che è stata già in realtà la nostra vita.
Lo stato di preghiera, lo spirito di preghiera richiede ancora una fiducia serena in Dio. Il Signore è mio Padre: «Protector noster aspice, Deus!»2. È il Padre che ci ama, è il Padre che ci illumina, che ci sostiene, che ci attende in paradiso. Questo Padre celeste non ha
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altro programma sopra di noi che ci santifichiamo; e quindi non ci dimentica sulla terra, dopo che ci ha creati, ma ci segue in ogni momento e ha destinato a noi una vita speciale, perché ci facciamo santi; e in ogni momento interviene con la sua grazia, la sua misericordia. Il programma suo è questo: che passiamo su questa terra santificandoci e che arriviamo a vederlo eternamente in paradiso, a sedere a quella mensa stessa che è la mensa del Padre celeste, abbeverarci cioè al calice della felicità eterna, felicità divina, come è divina la vita soprannaturale. In secondo luogo la vita di Gesù Cristo è una vita di lavoro, di lavoro secondo l’età. Ma certamente è sempre un fatto misterioso che nostro Signore Gesù Cristo impieghi tanti anni nella vita privata, tanti anni in un lavoro umile: «Nonne hic est fabri filius?»3. Non è egli il fabbro del paese? Tanti anni rispetto ai pochi anni: circa tre anni di vita pubblica, di ministero, di preghiera. L’esempio del lavoro. Quello che ci fa più simili a Dio è metterci in attività. Dio è atto purissimo, e coloro che hanno studiato possono anche con lo studio riferirsi a questo; ma chi non ha studiato può essere illuminato da Dio e capirlo anche meglio. Se Iddio ci ha dato delle facoltà: l’intelligenza, le forze del corpo, la volontà, il sentimento, egli si aspetta che mettiamo tutto in moto, cioè che ci impegniamo a conoscerlo, amarlo, servirlo, e con le forze del corpo: con tutto! Il peccato più comune è non mettere al servizio di Dio tutte le facoltà, specialmente la mente. Dobbiamo allora pensare che, se vogliamo seguire Gesù e quindi essere cristiani, dobbiamo amare il lavoro.
L’essere cristiani non ci dispensa dall’obbligo che hanno tutti gli uomini
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di lavorare, anzi! Nostro Signor Gesù Cristo ha nobilitato il lavoro e lo ha reso mezzo di apostolato e di redenzione. Dobbiamo amare il lavoro, cioè ciascuna deve operare, lavorare quanto e come può. Essenziale è che ci sia l’impegno: chi ha dieci può dare dieci, chi ha uno può dare uno, echi ha sei metta sei; ma che tutto impieghiamo per lui. È l’impegno nell’impiegare per lui le forze che costituisce il merito, è l’amore che dà il valore: non ha più merito chi maneggia il pennello di chi maneggia la scopa quando l’amore è uguale, quando l’impegno è uguale. Non ha più merito chi adopera il badile di chi adopera la penna. È l’impegno che ciascuno mette nelle cose che fa per volontà di Dio, e perché sono determinate dai superiori. Ognuno occupi tutte le sue forze anche fisiche, perché il Signore non ci ha dato solamente l’anima, ma l’uomo è un composto di anima e di corpo. Perciò le facoltà spirituali e le facoltà fisiche dobbiamo tutte impegnarle per lui, per poter dire che serviamo il Signore e che lo amiamo davvero.
[In terzo luogo] Nostro Signor Gesù Cristo ha condotto una vita di adempimento alla volontà di Dio e lo ha attestato dichiarando: «Quae placita sunt ei facio semper»4. E S. Paolo dice: «Non volle compiacere se stesso, ma volle compiacere il Padre celeste»5.
Guardare che non dobbiamo, non possiamo servire a noi medesimi. Sotto il pretesto di libertà, alle volte si cade in una vera schiavitù: si serve alle passioni, al capriccio, mentre si dovrebbe servire a Dio. Non guardare: Questo mi piace, no! Ma devo piacere a Dio. Quante volte forse noi preferiamo e scegliamo quel che ci piace. Ma questa è la
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regola dei sensuali: quel che mi piace. Invece la regola dei figliuoli di Dio è quella del Figlio di Dio, di Gesù Cristo. Il Padre celeste ha detto di lui: «Questi è il mio Figlio diletto, che mi piace, in cui mi sono compiaciuto»6. La regola è questa, cioè: Piace a Dio? Questo lo vuole il Signore? Quel che è gradito a lui devo fare. La volontà di Dio domini sovrana in noi.
Ecco tre punti su cui esaminarci se siamo cristiani: vita di preghiera, vita di lavoro, vita di vero servizio di Dio, conformata cioè al volere di Dio.
Possiamo dire già quello che Gesù Cristo vuole da noi e ci ha indicato? Facciamo la volontà di Dio così perfettamente e continuamente come la fanno gli angeli in cielo? Noi che siamo sulla terra? Sei tu veramente cristiana? Tre punti a cui dobbiamo rispondere: Tu quis es? Come sei?
2. Interroghiamoci: Sei tu vera religiosa? La vera religiosa qual è? La strada che noi chiamiamo vita religiosa è stata ben determinata dal Maestro divino, il quale, com’è istitutore della Chiesa e del sacerdozio, così è istitutore dello stato religioso. E non solo ne è l’istitutore, ma ne è il modello, è l’aiuto e il premio del religioso. Allora, il Signore come ha determinato, come ha descritto la vita religiosa? Magistralmente, come sempre! Le sue parole sono divino magistero: «Se vuoi essere perfetto, va’, vendi quello che hai, distribuisci il ricavato ai poveri, vieni e seguimi»7. Se vuoi essere perfetto, non: Se vuoi diventare un perfetto. Quando si è aspiranti, postulanti, novizie, professe temporanee, si lavora a diventare perfetti, perché si compie bene quello che il Signore vuole. Può essere tuttavia che allora si faccia un po’ «ad
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oculum servientes: così per contentare l’occhio»8, per arrivare a quella meta della professione perpetua. Ma, in generale, si può pensare che si faccia con retta intenzione.
Quando invece dopo la professione perpetua, con il crescere degli anni, diventiamo più imperfetti e sentiamo che non corrispondiamo alle grazie di Dio, allora un rimorso entra nell’anima nostra, o almeno dovrebbe entrare: Io non salgo il monte della perfezione, io lo discendo. Ora, arrivare alla professione perpetua è arrivare ai piedi del monte, ma non per fermarsi, bensì per salire. E siamo veramente persuasi che il compito, il dovere, il primo articolo delle Costituzioni è per la santificazione dei membri, e quindi il dovere della vita religiosa è questo? Non è solamente fare questo o quello, ma è qui il dovere principale della vita religiosa. Tu sei inferma, ma prima sei religiosa, le stesse cure vanno fatte e disposte nello spirito religioso; tu sei scrittrice, prima sei religiosa e devi dipendere in tutto nella tua redazione. Tu sei occupata in propaganda, sei occupata nell’apostolato tecnico, nell’apostolato del cinema, ecc., prima sei religiosa e devi dipendere in tutto.
Salvare non solo la vita religiosa, ma perfezionarla di giorno in giorno, così che tutte le Figlie, aspiranti o novizie o professe temporanee, possano guardare alla professa perpetua e anziana, come a modello: Se faccio così, se faccio come quella, io vivo veramente la vita religiosa. Ora, diamo l’esempio in questo? Oppure crediamo poco per volta di poterci dispensare da una cosa e dall’altra e sostituire la nostra volontà alla volontà dei superiori? Faccio un esempio: supponiamo che una sia dedicata a quell’apostolato
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che è il primo nella Congregazione delle Figlie di San Paolo: la redazione. Deve dipendere dai sacerdoti o dalla Prima Maestra? Dalla Prima Maestra e dalle Maestre che hanno questo compito. Deve cioè sentire quello che è necessario dare al mondo. Oggi c’è bisogno del tal foglietto perché si tratta di fermare quell’errore che va divulgandosi, o si tratta di illuminare i cristiani sul come celebrare l’Anno mariano9. Devono quindi le figliuole che si dedicano alla redazione dipendere più dalle loro Maestre e dalle propagandiste che vedono le necessità, alle volte più di noi che forse stiamo maggiormente in casa.
Poi bisogna togliere questa obiezione: Ma io ho studiato e ne so di più. Non è così. Quanto a sapienza soprannaturale la vostra Prima Maestra sa più di tutte voi, anche di quelle che hanno studiato di più, sapessero anche i logaritmi. Io parlo della sapienza celeste e di quelle grazie di illuminazione che il Signore dà a chi guida, grazie di ufficio. Alle volte, quando si elegge un ministro, si elegge come ministro dell’agricoltura un avvocato che magari non sa nemmeno seminare le patate, ma non fa bisogno che sappia i particolari, bisogna però che sappia dare l’indirizzo in generale. Oggi, supponiamo, l’agricoltura ha bisogno di avere mezzi meccanici per sostituire gli animali per lavorare la terra e perché produca di più. Occorre l’indirizzo generale. Poi non bisogna che stimiate certe cose come il succo della sapienza. Chi ha visto tutto il mondo, in generale, e chi è stato in molti posti, comprende meglio che cosa occorra dare al mondo, e che cosa manchi al mondo, e come il mondo sia povero di Gesù Cristo. È povero perché non ha la grande ricchezza: la grande ricchezza del mondo è Gesù
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Cristo. La ricchezza è di possedere la verità, e la moralità, e la virtù; è di possedere la grazia di Dio, il che equivale a possedere Gesù Cristo. Quindi, dipendere da lì. Inoltre voi avete da scrivere ciò che vuole la Congregazione, non quello che piace. D’altra parte certamente bisogna che il manoscritto sia riveduto. E questo appartiene ai sacerdoti. Voglio ancora aggiungere che a volte avvengono dei guasti, cioè lo sbaglio di indirizzo. Quindi, occorre entrare nell’umiltà, nella vera via: è soggetta alle Maestre tanto chi fa il cinema, chi in tipografia fa questo o quel lavoro, sono soggette queste come lo sono le scrittrici. La redazione dipende dalla guida, dall’autorità che vi governa. Se sfugge la redazione, voi sfuggite i meriti, perché è nell’obbedienza che si fa il merito. Non perdiamo i meriti! E [magari] una si ritira dalla Congregazione. Vedo che vi è parecchio bisogno di mettere le idee a posto. Quindi acquistiamo la vera sapienza. Gesù Cristo ha detto: «Se vuoi essere perfetto…». Supponiamo che nel curarsi la salute una non dipenda; no, prima religiosa e poi inferma; e anche negli uffici singoli prima si è religiose e poi si esercita questo o quell’apostolato, questo o quell’ufficio. «Se vuoi essere perfetta, lascia tutto». E noi, abbiamo lasciato tutto? Il cuore è ormai distaccato bene da tutto? La povertà viene osservata? Alle volte si vuole avere un’abbondanza di mezzi che non è ragionevole, che distrae solo, [ad esempio], molte cose da leggere. Distrazione! Concentrarvi [invece] in quello che è nostro, in quello che dobbiamo fare. La distrazione è togliere del tempo e togliere delle energie al dovere, il raccoglimento è veramente raccogliere tutte le energie e tutto il tempo e i mezzi
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che abbiamo e metterli al servizio di Dio. Raccoglimento quindi. Non troppi mezzi. Non bisogna essere di quelle che hanno molti conoscenti e nessun amico, nessun direttore e nessuna direzione. Le molte conoscenze ci giovano poco, ci giova invece avere una buona direzione quale avete nell’Istituto. E non giova avere molti confessori, ma giova invece avere la direzione del vostro Istituto. Quante distrazioni e perdite di tempo vi sono! Naturalmente non si può pretendere che nei singoli casi si debba dipendere dalla Superiora generale. Nei singoli casi, dopo che l’indirizzo è stato dato dalla Superiora generale, si dipende dalla Superiora locale in tutto.
Non perdere il merito principale della vita religiosa: l’obbedienza! Le energie adoperatele nel servizio di Dio, nell’obbedienza. Iddio pagherà solo quello che è fatto secondo il suo volere.
Poi: «Vieni, disse Gesù al giovane ricco». «Vieni», vuol dire: lascia la famiglia. Lascia la famiglia e non pensare ad una famiglia. Uscire dalla famiglia non solo con il corpo, bisogna uscirne anche con il cuore. Pensare cioè che dopo aver in famiglia compiuto santamente il vostro dovere: onora il padre e la madre, ascolta il padre e la madre, ora dovete sostituire al padre e alla madre l’autorità di chi vi guida. Un’altra famiglia! Come la giovane che si sposa, dopo ascolta il marito, non ascolta la famiglia, e pensa alla famiglia nuova e si preoccupa e lavora per gli interessi di questa, e non per gli interessi di altri o della famiglia precedente, così: «Vieni» per noi vuol dire mettere a servizio della Congregazione, della nuova famiglia, tutte le forze, e prendere i pensieri, l’indirizzo della famiglia religiosa, e prendere le abitudini,
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gli usi della famiglia religiosa, il modo di parlare, il modo di operare, gli uffici che sono dati, accettando umilmente e con riconoscenza.
E: «Seguimi». È la terza regola della vita religiosa che costituisce il terzo voto, l’obbedienza. Gesù voleva dire: Segui i miei comandamenti, segui i miei consigli, segui i miei esempi. Osservanza dei comandamenti: in tutti i comandamenti la sincerità, l’amore vero alla famiglia nuova. Via ogni amicizia particolare, il pretesto di aiutarsi non bisogna che sia un rompere la carità. Per la carità si rompe la carità?
E vita comune che vuol dire: con tutte.
«Seguimi» che vuol dire: non ricordare le massime del mondo, ma ricordare quello che dico io, ci dice Gesù. Gesù diceva degli Apostoli: «Et hi de mundo non sunt», quindi non sono mondani: «Sicut et ego de mundo non sum: Come io non sono del mondo»10.
Vi sono ancora pensieri, sentimenti, modi di parlare, di ragionare che sono da secolari? Avete il modo di pensare, di parlare, di comportarvi secondo Gesù Cristo? «Et hi de mundo non sunt!», Gesù può dirlo interamente di noi? [Può dire] che non abbiamo più niente di quello che abbiamo lasciato, che abbiamo lasciato davvero il mondo, la nostra volontà, certi affetti, certe simpatie e antipatie? Che siamo di Gesù?
3. Siete paoline! Siamo veri paolini? Ogni vita religiosa ha i doveri generali che ho detto, ma ogni Istituto, nella Chiesa di Dio, ha poi degli uffici particolari. Noi abbiamo questo ufficio: dare la dottrina di Gesù Cristo alle anime, la dottrina dogmatica, la dottrina morale, la
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dottrina liturgica, cioè nell’apostolato dare Gesù Cristo al mondo.
Il 2° articolo [delle Costituzioni] distingue la Famiglia Paolina dalle altre famiglie religiose che hanno apostolati diversi, alle volte bellissimi, necessarissimi. Ecco, la diversità! Siamo veramente nello spirito di S. Paolo? Com’è lo spirito di S. Paolo? È proprio questo: Paolo è colui che indica il Maestro divino, cioè ha preso il Vangelo che ha meditato profondamente e lo ha adattato e applicato poi al mondo, ai bisogni del suo tempo e delle varie nazioni, come colui che predica fa le applicazioni agli uditori come sono: altro se predica ai bambini, altro se predica ai genitori, alle suore, ai contadini, agli operai. Così anche noi dobbiamo applicare il Vangelo ai nostri giorni e dare il Vangelo al mondo attuale con i mezzi che il progresso ci presenta, mezzi capaci di trasmettere il pensiero, la dottrina di Gesù Cristo. Dobbiamo adoperare i mezzi più efficaci, più celeri per arrivare alle anime! Questo significa vivere il nostro tempo e far sentire l’attualità di Gesù Cristo al mondo.
Allora, come stiamo nei riguardi dell’apostolato? Prima di tutto, teniamo [fermo] il principio generale: dare Gesù Cristo Via e Verità e Vita, come egli è, tutto! Egli è la Verità: dunque dare la dottrina chiara; egli è la Via: dunque dare al mondo le virtù, cioè insegnare l’imitazione di Gesù Cristo; egli è la Vita, e la vita si attinge da lui, dai sacramenti. In primo luogo dal Battesimo e successivamente dalla Confessione, dalla Comunione, ecc. Abbiamo cura di seguire veramente ciò che ci è stato detto: [dare] insieme dottrina, morale e culto? Ho scritto in questi giorni un breve articolo che andrà bene anche
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per la Circolare Interna11: Un Vangelo pieno di note liturgiche e catechistiche; questo è il primo e il principale tra i Vangeli commentati che noi abbiamo tra le mani.
Dare poi una liturgia, cioè un Messalino pieno di note catechistiche e di note morali, ossia di insegnamenti morali. Inoltre presentare un catechismo pieno di dottrina dogmatica, pieno di insegnamenti morali e pieno di liturgia, cioè considerare chi è Gesù Cristo. Egli si è definito così: «…Via e Verità e Vita»12. Dobbiamo inoltre considerare che cosa deve essere l’uomo, che cosa deve essere il cristiano. Deve essere tutto di Gesù Cristo: avere la mente piena delle sue verità, avere la volontà piena delle sue virtù, avere il cuore pieno della sua grazia.
Se il Signore ha fatto alla Congregazione il dono così prezioso di comprendere il Maestro Divino, almeno in un certo limite, in qualche piccolo modo, e di avere questo incarico, l’ufficio di darlo così alle anime, non sprechiamo questa grazia, una delle più preziose che abbia la Famiglia Paolina. In generale l’apostolato si deve ispirare così, a questo come a principio generale, l’applicazione poi verrà in seguito.
Ancora, redazione, tecnica e anche la propaganda siano ispirati ugualmente al Vangelo: quindi redazione semplice, chiara, tecnica come ha spiegato il Papa l’altro giorno: Carta e caratteri scelti bene, composizione ben fatta in maniera che [il libro] si presenti bene.
Poi divulgazione, cioè propaganda la quale deve essere anche la più celere, la più efficace, la più agile; quindi la propaganda possibilmente collettiva, della quale ho ricevuto relazioni molto buone. Il Signore benedice sempre quello che si fa secondo l’indirizzo
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proprio della Famiglia Paolina. Adoperare perciò bene quei mezzi che il Signore ha messo a disposizione dell’uomo e che il diavolo cerca di carpire mettendoli sempre a disposizione del male: stampa, cinema, trasmissioni immorali, televisione che non si può vedere neanche dai semplici cristiani. L’apostolato quindi sia santificato quanto ci è possibile. Inoltre dobbiamo compiere questo apostolato portando Gesù Cristo al mondo, ma non prendere il mondo per portarlo in casa. No! Bisogna che noi prima ci riforniamo bene di spirito. Chi è più profondamente spirituale, è più efficacemente apostolo. Quindi riempirsi dello spirito di Dio, per darlo al mondo nella maniera che ci è possibile. Vedere poi di correggere le idee del mondo, non di correggere le nostre idee buone; di correggere i costumi del mondo, non di uniformarci al mondo; di correggere quel modo di pregare, quel modo di considerare la religione come una cosa esterna o un sentimento. Considerare la religione per quello che è, specialmente comprendere che il cristiano è colui che non solamente dice qualche preghiera o è iscritto a qualche associazione, ma è colui che si confessa e si comunica bene, che porta Gesù Cristo con sé: «Portate Deum in corpore vestro»13. E allora la religione non è un’esteriorità o un abito che uno si mette due ore alla domenica per andare a Messa: la religione è vita cristiana.
Quindi dare questo, e non prendere lo spirito, le tendenze, i desideri, i progetti del mondo. Il nostro cuore è dato a Gesù Cristo, la nostra anima, la nostra mente, la nostra volontà sono date a Gesù Cristo. Se fa bisogno, dopo che si è fatta la propaganda, fare un po’ di pulizia non solamente all’abito che può essersi ricoperto di
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polvere, ma all’anima, se abbiamo sentito o abbiamo avuto qualche impressione non buona.
Le Figlie di San Paolo in generale fanno tanto bene con le edizioni, ma non è ancora abbastanza valutato il bene che fanno con il buon esempio, passando attraverso le città o di casa in casa o stando nelle librerie, come si deve, cioè con l’atteggiamento di Maria. Come si comportava in casa Maria? Non solo, come si comportava in pubblico, per esempio nei suoi viaggi: quando è andata in Egitto, quando è andata a visitare S. Elisabetta, quando andava al tempio; quando andava a fare la spesa nel paesello di Nazaret, quando andava a compiere uffici di carità generosa, quando andava a Gerusalemme per le feste prescritte dalla Legge mosaica? Ecco, allora comportarsi così vuol dire colpire con il buon esempio.
Questo può servirci, in qualche maniera, per l’esame di coscienza.

III
AMARE DIO CON TUTTA LA MENTE,
LA VOLONTÀ, IL CUORE *


Continuiamo a parlare di quel che ci serve per [fare] l’esame di coscienza. Poi sarà più facile eccitarci al pentimento e quindi venire a buone risoluzioni e soprattutto pregare perché da questi Esercizi possiamo uscire cambiati, veramente cambiati.
Sono io mondano o sono vero cristiano? Sono
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semplice cristiano o sono religioso? Sono religioso soltanto o sono veramente paolino? Ecco le domande. Per essere veramente secondo la nostra speciale vocazione occorre che santifichiamo tutto il nostro essere e cioè che facciamo vivere Gesù Cristo nella nostra mente, nel nostro cuore, nella nostra volontà e nel nostro corpo medesimo. «Amare cioè Iddio con tutta la mente, con tutte le forze, con tutto il cuore e amare il prossimo come noi stessi»1. La vita religiosa quindi è una vita in cui noi adempiamo più perfettamente i precetti della carità. È una carità più perfetta. E veramente basterebbe meditare i caratteri della carità come sono stati scritti da S. Paolo2, e come voi li avete frequentemente sotto i vostri occhi3.
[1.] Amare Iddio e amare il prossimo più perfettamente. Anzitutto con tutta la mente: Amerai il Signore Dio tuo con tutta la mente. La nostra mente è veramente la facoltà che ci distingue dagli altri esseri: «Spiravit in faciem eius spiraculum vitae»4. Iddio che è spirito, dopo aver formato l’uomo di fango, diede a lui uno spirito, cioè un’anima spirituale; un’anima fatta a sua immagine e somiglianza, il che significa che l’anima nostra è intelligente, capisce, ragiona. L’intelligenza è il dono più perfetto, la facoltà più perfetta, la prima che abbiamo [ricevuto]. Inoltre, è più perfetta in sé, perché generalmente si opera secondo quel che si pensa. Dalla mente dipendono i sentimenti, le abitudini, la vita pratica.
Se si pensa bene, si opera bene, se si pensa male, si opera malamente. Se qualcuna si fissa in testa che non è ben voluta, porta con sé un complesso di malinconie, tristezze, si travaglia da sé e tutto giudica in conformità. E... questo
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a me perché non mi possono vedere; quello a me, invece che darlo ad un’altra… perché le altre sono preferite.
Così se una perde il concetto di vita religiosa è finita, e alla fine è una buona donna. Il noviziato ha il compito di cambiare la buona giovane, la buona cristiana in religiosa. Quando si perde il concetto della vita religiosa, si diventa di nuovo buoni cristiani forse, forse anche meno di buoni cristiani. Ad ogni modo, si diventa più colpevoli per i nuovi obblighi assunti, cioè per gli altri doveri che ci siamo messi sopra le spalle: la castità, l’obbedienza, la povertà, i doveri della vita religiosa, della vita comune. Perché? Perché se il religioso non attende alla perfezione è come un medico che non cura i malati e quando va dai malati racconta loro la storia greca, supponiamo, la storia romana... Ma il malato ha bisogno di guarire e se il medico è pagato per questo, deve forse cantargli una canzone perché sa la musica? Deve scoprire le sue malattie e proporzionare i mezzi.
Quando una manca gravemente nel dovere essenziale e poi crede di doversi confessare di distrazioni nelle preghiere, di qualche parola detta un po’ irritata, di qualche ritardo o di qualche bugia, ecc., quella non si confessa [bene]. Bisogna dire a se stesse: Io non adempio ai doveri principali, sono in peccato mortale, non posso fare la Comunione, perché non lavoro per perfezionarmi; lavoro solo per non dar troppo nell’occhio, per non meritarmi sgridate, per essere creduta buona. Ma proprio interiormente per emendarmi, per acquistare nuovi pensieri, per acquistare fede e carità e l’amore di Dio e del prossimo, io proprio non lavoro. Allora, se una a cinquant’anni è come a venticinque anni quando ha fatto la
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professione, vuol dire che ha sprecato i venticinque anni più belli della sua vita. Gli anni più belli della vita per la religiosa non sono gli anni della gioventù, ma gli anni che vanno dalla professione perpetua alla professione eterna, quando saremo totalmente di Dio, ma in un altro modo. [Saremo] di Dio e cioè, non solamente ameremo il Signore, ma lo vedremo, non solamente faremo la Comunione, ma lo possederemo con un possesso libero, quello che descrive S. Paolo5.
Vedere come è la [propria] mentalità. Quante mentalità guaste vi sono! Persone che stanno accanto alla superiora, ma hanno tutt’altre idee, pensano tutt’altro da quello che la loro superiora pensa, desidera e deve volere per compiere anch’essa la sua missione, il suo ufficio.
Due persone che fanno la Comunione sono nel medesimo banco e una ha tutto il cuore, la mente stravolta, l’altra sta offrendosi interamente a Dio facendo un olocausto pieno di se stessa e rinnova la professione, sempre più felice di essere di Dio. La mentalità decide. La mente tuttavia è il dono che sprechiamo di più. Quanti pensieri estranei, quante fantasie inutili, quanti ricordi che solo disturbano e non producono alcun vantaggio! Intanto si dimentica la meditazione del mattino, si agisce meccanicamente senza rivolgersi a Dio di tanto in tanto o nello studio o nello scrivere o nello zappare, si lavora meccanicamente come persone che credono che tutto dipenda da loro. Che cosa avviene? Che le distrazioni nella preghiera non combattute, il voler sapere tante notizie, tante curiosità, il moltiplicare i bisogni, la corrispondenza e le chiacchiere, tutte queste cose fanno perdere il dono più prezioso.
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È oro che buttiamo dalla finestra. [La mente] è l’oro più fino e più prezioso che ci possa essere. Considerare peccati di pensiero non solamente quelli contro la fede: Tanto Iddio non ci ascolta!; o contro la carità: Quella lì ha i suoi capricci!; o contro la povertà: Se potessi avere più comodità, se potessi andare là, potessi stare in quell’ufficio, in quella casa…; non solamente i pensieri contro l’obbedienza o contro la castità, ma è [peccato] lo spreco della mente. I pensieri acconsentiti contro qualunque virtù, anche contro la giustizia, la prudenza, la fortezza, la temperanza sono peccati come sono peccato i pensieri di superbia acconsentiti. Ma io voglio sottolineare lo spreco che facciamo [della mente]. [Ad esempio alcune] hanno cura e sono lodevoli nel conservare bene i loro abiti; nel tener da conto di tutto in cucina o in altri uffici, supponiamo nella lavanderia, nell’orto, e tante volte sotto pretesto di voler sapere di più; e poi il dono più perfetto, più santo, quello che onora più perfettamente Iddio, che ci fa simili a lui è sciupato! E intanto vanno perdendosi in pensieri che sono inutilissimi al fine, e creano la scissione in noi. Questa scissione nell’uomo è quello che forma il purgatorio e l’inferno, perché il dannato sa benissimo che Dio è Dio e che è il sommo Bene, ma non può amarlo. E allora è come diviso, strappato. Adesso non si sente, ma dopo sentirà che il suo cuore ha una tendenza e può solo odiare Dio, mentre la sua mente comprende che Dio è il sommo Bene e l’eterna nostra felicità. Oh, sprecare la mente!
Vi sono persone che utilizzano al sommo la mente e cioè l’adoperano a conoscere Iddio, a meditare le verità sante, a ricordare il catechismo, il Vangelo, i propositi; e
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questi pensieri si possono ridurre all’espressione: pensare a Dio quando si fa l’esame di coscienza, quando ci si confessa, quando si sente bene la Messa, e fuori di lì pensare alle cose di servizio di Dio. E cioè: come faccio io a compiere bene la volontà di Dio? Mi hanno dato il tale ufficio: applico tutta la mia mente a compiere quell’ufficio che è volontà di Dio? Quindi la cuoca, dopo vent’anni, non deve essere più la cuoca dei primi due anni, ma molto più perfezionata; quante cose ha saputo inventare e fare, prevedere e provvedere! La sarta, dopo vent’anni, non deve essere più la sarta dei primi anni. Un progresso in tutto! O facciamo le cose con la testa o le facciamo meccanicamente, con i piedi. Ci vuole progresso in tutto! La maestra che fa scuola, nei primi due anni d’insegnamento la farà in una certa maniera, ma dopo vent’anni... Si dice generalmente: Quando una fa scuola, nei primi cinque anni è a danno degli scolari, perché fa scuola imperfettamente; come quando uno scrive [un libro] nei primi anni, ma dopo vent’anni deve essere già a tal punto che tutto è a vantaggio degli scolari o dei lettori. Allora: concentrarsi in quello che dobbiamo fare per nostro ufficio, perché è la volontà di Dio. Va bene in ricreazione pensare anche a scherzare perché è volontà di Dio che si faccia ricreazione e si faccia bene contribuendo così a far liete le sorelle. Isolarsi è un abbandonare la vita comune: isolarsi quando è tempo e stare in compagnia quando è tempo. Sempre ricordarsi: tutta la perfezione noi dobbiamo acquistarla nella vita comune e cioè nell’osservanza della vita comune e nello stare proprio con quelle sorelle che magari dispiacciono, che magari hanno un altro carattere. Sono i meriti della vita comune che non
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bisogna lasciarsi scappare, dopo quelli dell’obbedienza. Non sottrarsi all’obbedienza e non sottrarsi alla carità che è la vita comune, carità verso le uguali, verso tutte. Poi, compiendo bene il nostro ufficio, mettendo la mente in quell’ufficio, noi sappiamo che serviamo Iddio come gli angeli del cielo. Quindi, santificare la mente. Per santificare la mente bisogna custodirla dalle impressioni esterne, custodirla nelle letture. Ci vuol mortificazione! Vi è una mortificazione di chi zappa e vi è una mortificazione di chi ha la penna in mano, vi è la mortificazione della cuoca e vi è la mortificazione della maestra. Se la maestra si occupa per un certo tempo a raccontare ai suoi ragazzi delle cose che non fanno imparare, che non sono le materie di insegnamento, perde il tempo. Vi sono mortificazioni che ognuno deve fare. «Abneget semetipsum»6. Le mortificazioni della mente sono le prime, poi vengono quelle del cuore, poi quelle della volontà. Vuol dire «Sàpere ad sobrietatem»7. Non vuol dire tenersi indietro nel sapere, ma vuol dire: sapere quello che dobbiamo sapere. Non le notizie che non ci importano e non le riviste che non contribuiscono al nostro progresso nell’apostolato: sapere quello che dobbiamo sapere. «Ad sobrietatem» cioè, come a tavola: non si deve mangiare oltre il bisogno. Mangiare però secondo il bisogno, e secondo che viene consigliato, ma non per gusto. E una cosa non la vuole: Non ho fame! Portano un’altra vivanda che piace molto, allora, le è venuta tutta la fame! Questo capita molto più per l’intelligenza, molto di più! Si ricordano certe cose che non fanno del bene
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e non si ricorda il paradiso, la passione di Gesù Cristo, non si ricordano gli avvisi, e alle circolari si dà uno sguardo superficiale. Eppure è da lì che arriva il pensiero direttivo che devi far tuo. Tuo! Ecco, non ciò che viene raccontato da questo o da quello. Noi dobbiamo apprendere dagli uomini, sì, ma quando? E da quali uomini? Da quelli che ci parlano in nome di Dio, da quelli che ci insegnano a conoscere Dio, amare Dio e servirlo sulla terra. Noi siamo creati per conoscer Dio, amarlo, servirlo. Quanto materiale [raccolto] che dopo non si adopera! Vi sono di quelle che raccolgono pensieri, pensieri, pensieri, e poi non vengono alla conclusione. E ora che hai quei pensieri, quella dottrina, ecc., costruisci! Perché se tu raduni in cortile: ferro, cemento, mattoni, marmo e magari le tegole e le piastrelle e non metti tutto insieme, è uno sciupio di soldi e di materiale. Invece, come fa la brava cuoca, bisogna comprare proprio quello di cui ha bisogno e che consuma e sa di poter consumare in quel determinato tempo o che servirà a nutrire convenientemente chi ha da nutrirsi. Non ci importino tante cose e non ci importi neppure quello che fa questa o ciò che fa quella, ma ciò che dobbiamo fare noi.
2. «Amerai il Signore con tutto il cuore»8. Esame quindi sul cuore. Il cuore nostro è il nido delle passioni. La passione principale è l’amore e fare il voto di castità significa fare un atto di amore, il più alto. E cioè si lascia di amare noi stessi e di amare le persone del mondo, della terra, e di amare una famiglia propria per amare Iddio. Quindi, l’atto di castità è il maggiore amore: amare Dio, amare le anime! Ecco i due amori che dobbiamo nutrire nel nostro cuore. E questo amore esprimerlo con la preghiera.
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Dunque, amare Iddio. Non inaridire il cuore! Il cuore nostro è fatto per il Signore.
Dice il Papa Pio XII nell’Enciclica Sacra Virginitas: «Colei che non forma la sua famiglia, non distrugge la potenza naturale dell’amore, ma la nobilita e anziché una persona essa amerà Iddio, possederà Iddio, amerà Iddio e ancora le anime»9. Il che vuol dire che nel cuore nostro ci deve essere il Signore e ci devono essere tutte le anime del mondo. Per tutte pregare, per tutte soffrire, per tutte adoperarsi, a tutte desiderare il bene e la salvezza eterna. Desiderare la pace degli uomini, il trionfo della Chiesa, la conversione dei peccatori, la luce agli ignoranti, la verità agli erranti: desiderare il bene a tutti. Vi è un vero bene [dovuto] alle sorelle in primo luogo. Si desidera veramente il bene? A questo è contraria l’invidia, il disprezzo delle altre, il far differenze fra le une e le altre senza un motivo ragionevole, perché quando c’è un motivo ragionevole, allora entra il dovere: se una è inferma e ha più bisogno, naturalmente si avrà più premura.
Amo veramente le sorelle? Non ci deve essere facilità a distinguere fuori luogo: prima di tutto si è sorelle. Non perché una ha un ufficio inferiore e l’altra un ufficio superiore non si deve avere un amore uguale. Perché la Santa Sede non vuole più che gli istituti moderni abbiano le coriste e che le altre non coriste divengano quasi le serve? Appunto perché sono tutte uguali! Se vanno facendosi due classi: quelle delle intellettuali e quelle dell’apostolato tecnico; questa sarebbe una divisione di comodità [… ]10.
Non cadiamo in questa tentazione! Ma io ho
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più doni!. Hai più obblighi di avere più carità! Capisci? Più obblighi, se capisci che cos’è la carità. Se non capisci la virtù principale, non puoi essere cristiana e tanto meno religiosa! Cristiano è colui che ama. Noi sappiamo di essere di Dio perché amiamo i fratelli: «Quoniam amamus fratres!»11. E allora? Amore uguale: non ci siano simpatie o antipatie.
Poi la carità nell’apostolato e la carità nella preghiera. Siamo abbondanti di orazione? Abbiamo il vero spirito paolino nel pregare? Diamo la preferenza alle preghiere del nostro libro di orazione, o si vanno formando dei metodi, delle preghiere suggerite dal tale o dal tal altro, ma che non sono le nostre?
Disobbedire nella pietà è peggio che disobbedire non facendo quello che è stato assegnato quando la Maestra ha disposto gli impieghi che deve fare l’una o l’altra. Bisogna dire le nostre preghiere! Essere prima di tutto obbedienti nella pietà, osservanti nella pietà. Ma io so delle cose sublimi!. E supponiamo che siano più sublimi, se lo sono. Ma ognuno non deve fare il più sublime, ma fare il volere di Dio. Gesù Cristo quando faceva il falegname, non poteva fare cose più sublimi? Era più sublime e più meritorio fare la volontà di Dio, e allora guadagnava di più a piallare il legno e a piantare i chiodi che se si fosse dedicato subito alla predicazione. Eppure aveva venti, venticinque anni e continuava! Crediamo di farcela noi la volontà di Dio, di fabbricarcela a modo nostro? No. Pietà giusta: paolina! Quando si va a cercare un’altra spiritualità, è una tentazione già acconsentita. È disfarsi da religiose paoline sotto pretesto buono, si capisce, di fare il meglio. Anche Eva ha mangiato
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il frutto vietato per conoscere il bene e il male e diventare simile a Dio, ma ha sbagliato strada. Non era quello il modo per diventare simile a Dio. Per diventare simili a lui, doveva, secondo il comando ricevuto da Dio, pensare ad eseguire quello che Dio voleva: «Di questo frutto non ti ciberai!»12.
Obbedienti, quindi, nella pietà! Poi penetrare molto lo spirito liturgico. Ci sono due cose buone che costituiscono però pericolo: a) Una di queste è di arrivare poi a pregare troppo a modo nostro. Perché, dice quella persona, letta una frase o letti pochi punti del libro io mi sento portata a riflettere e mi formo preghiere, mi formo espressioni mie. Va bene, questo va bene quando però è secondo lo spirito paolino che ha sempre presente: Via Verità e Vita.
Non va bene invece quando divaghiamo. Può essere che sotto quel modo migliore ci sia una tentazione. Però andrebbe bene lavorare di spirito sopra queste frasi, oppure sopra un versetto del Vangelo; per esempio: «Beati i poveri di spirito; beati i miti; beati i misericordiosi...»13. Ma lavorare nello spirito paolino. Ci può essere il pericolo che divaghiamo e ci facciamo una pietà in cui non si è più paolini; quindi, pur essendo un gran bene, rimane il pericolo.
b) Secondo, può essere che qualcuno legga solo e non venga alla riflessione e dica macchinalmente, solamente con le labbra, senza lavorare interiormente, delle preghiere, delle formule o le coroncine. Ora, la preghiera vocale è santa se è preceduta dalla mentale, cioè dal cuore, dalla mente. Quindi amare il Signore, vedere se il nostro cuore è tutto di Dio. Quante volte vi sono troppi: Mi piace! Mi piace così. Preferisco questo! Ciò vuol dire che io vado dietro al
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mio cuore umanamente, non dietro al cuore di Gesù. Quello mi piace di più. Queste preferenze sono portate da motivo soprannaturale o da tendenze naturali e pericolose? Molte volte sono pretesti per cercare quella persona, per andare a visitare quello, per domandare un consiglio, per prolungare la confessione fino a nausea. Tanti bisogni ce li creiamo noi. S. Paolo è un modello che ci insegna ben altro! Il vostro spirito è paolino! Alle volte ci si mette nei pericoli e più di tutto si creano dei pericoli: o lettere, o visite, ecc. Si creano pericoli agli altri! Non dobbiamo guardare solamente noi, ma guardare se il nostro operare è conforme a carità, se non facciamo perdere tempo agli altri, se non mettiamo gli altri in pericolo di qualche cosa che non piace a Dio. Bisogna che sempre vigiliamo, sempre vigiliamo! Alle volte è illusione! Voglio lavorare con quella; andare a far visita per questa o per quella... ragione. E poi si perde lo spirito. Vediamo di essere rette e svelte.
3. In terzo luogo: amare il Signore con tutta la volontà, tutte le forze, il che significa acquistare vere virtù.
Le virtù in generale sono comprese in queste parole: compiere la volontà di Dio; però secondo che questa volontà di Dio l’applichiamo ad una cosa o ad un’altra, prende vari nomi. Per esempio, prende il nome di pazienza se fai la volontà di Dio perché oggi ti ha dato la tal sofferenza; se fai la volontà di Dio eserciti la pazienza. In questo momento può darsi che la volontà di Dio prenda il nome di prudenza: non dire qualunque cosa, ma pensa prima di dire,
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rifletti alle parole che si dicono. Quindi è sempre la volontà di Dio, ma se applicata a una cosa o ad un’altra, prende il nome di fede, speranza, carità, di giustizia, temperanza, fortezza, di obbedienza, povertà, castità, umiltà, o pazienza. In generale, però, è sempre la volontà di Dio.
Le virtù hanno una gradazione oggettiva: prima vi sono le virtù teologali, poi le virtù cardinali, vi sono le virtù morali, come: castità, povertà, obbedienza, pazienza, ecc. Questa è la gradazione oggettiva, cioè considerando le virtù teoricamente. Però per ogni anima vi è una gradazione quasi soggettiva. Per obbedire bisogna che io tolga la mia superbia e che mi faccia umile. Allora per te la virtù principale è l’umiltà. Per compiere la volontà di Dio ho bisogno dell’umiltà, se no cuore, mente, azione e modo di parlare saranno contro la volontà di Dio. Quindi il proposito sarà lì, capir bene su quale virtù: il proposito di parlare umilmente, di operare umilmente obbedendo e usando carità, ecc.
Chi si sente più portata all’ira, avrà più bisogno di pazienza, e perciò farà il proposito lì sopra. Chi sente maggior bisogno di energia farà il proposito sul fervore, contrario quindi alla pigrizia, all’accidia, e combatterà la pigrizia nel pregare, nello scrivere, nello zappare o nel tagliare le carote: guarderà di scuotersi in quello che avrà da fare. Vero o no? E acquisterà quindi il fervore. Il fervore è progresso. Quando uno migliora giorno dopo giorno nei suoi doveri, tanto di pietà come di mente e di volontà, allora progredisce.
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Ora concludiamo. Il Signore ci voglia dare la grazia di conoscere noi stessi. Non conoscere le altre, non conoscere tante notizie, non leggere tanti libri: «Cognoscam te, cognoscam me: Signore, che io conosca te (legga in quel gran libro infinito), e che conosca me»14. A volte siamo un mistero a noi stesse, non capiamo che ci sono idee storte. A volte non si capisce che si fa così perché si è strani, si è nervosi, [perché] si è portato dalla parentela, dalla nascita qualche cosa che è difettoso e che regoliamo secondo il nostro volere.
Dobbiamo governarlo questo nostro io! A volte non capiamo proprio che è la radice e diamo la causa a questo o a quello, alla tal circostanza, alla tal disposizione, al luogo, a chi guida, a chi è guidato, alla sorella, ecc., e non capiamo che dipende da noi! La salvezza dipende da noi; la santità dipende da noi. «Salus tua ex te, Israel»15. La tua salvezza dipende da te, perciò vediamo di leggere spesso nel libro della nostra coscienza e di scoprire un po’ questo nostro io.

IV
ESSERE PRIMA RELIGIOSE *


Sia ringraziato il Signore il quale vi ha ispirato di consacrare la vita a lui fin dalla giovinezza. Questo grande segno di predilezione del
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Signore sempre deve spingervi ad amarlo e servirlo più fedelmente. Quale fortuna, quale grazia l’essere totalmente di Dio, non appartenere più al mondo, non avere più in mente gli interessi di questa terra, né gli interessi della famiglia! Non essere più schiavi di noi stessi, delle nostre vedute, dei desideri, dei capricci, delle nostre passioni, della nostra volontà; essere cioè totalmente di Dio. Questa è la grande libertà che ci ha promesso Gesù Cristo: «Veritas liberabit vos»1. La libertà dei figli di Dio! mentre tanti sono schiavi dell’amor proprio, sono schiavi delle opinioni del mondo e dei loro capricci. Essere totalmente di Dio! Per questo ricordiamo che in primo luogo si è suore, religiose paoline, in secondo luogo si potrà essere superiore, essere cuoche, scrittrici; si potrà essere malate, essere propagandiste, tecniche, si potrà dedicarsi al cinema o alla radio; quindi prima religiose paoline.
In questi giorni mi si è presentata l’occasione, anzi una doppia occasione: due persone mi dicevano: Vorremmo venire a San Paolo per fare le scrittrici, e lo dicevano anche di un’altra terza già avanti negli anni. Dovete venire a San Paolo senza programma. Il programma è uno solo: io entro in Congregazione e metto a suo servizio i miei talenti; la Congregazione poi deciderà se dovrò scopare o pitturare. L’altra circostanza era simile e si parlava delle suore Pastorelle. Senza programma!
Mi è rimasto questo in mente fin dal 1916. Un sacerdote aveva promosso una grande opera catechistica che secondo lui e nei suoi programmi,
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doveva avere un largo raggio di azione, non solo in diocesi, ma nell’Italia e nel mondo. Aveva costruito case e aveva procurato materiale e già steso una certa rete di propaganda. Quel sacerdote fece domanda di entrare dai Salesiani: Voi vi occupate del catechismo. Io vi do tutta la mia opera con tutti i denari e tutto quanto possiedo. Entro tra voi e continuo la mia opera. No, rispose il rettore, lei deve entrare senza programma e anche senza soldi; deve portare una sola volontà: Farò quello che mi sarà detto di fare. In primo luogo dovrà fare il noviziato e disporsi a vivere la vita comune, a vivere nella pratica i santi voti di povertà, castità, obbedienza e quindi andare dove sarà mandato; e magari, invece del catechismo, può essere che sia messo a far scuola in prima elementare
o a insegnare altri mestieri, perché i Salesiani hanno molte scuole professionali.
Ecco che cosa significa: Non siamo più di noi, ma di Dio attraverso la Congregazione. Questo vuol dire: prima essere suore che maestre o dedicate ad un ufficio determinato. Ma non si potranno esporre i desideri? Bisogna mostrare le attitudini con i fatti. La Congregazione allora studierà dove è più necessario e dove è più utile impiegarci, quale ufficio potremmo far meglio, e potrà anche metterci in un ufficio opposto a quel che vorremmo per farci esercitare la virtù e diventare più santi. Forse perché si è già inclinati ad essere orgogliosi è necessario che per un certo tempo si stia in un ufficio umile per non perdere i meriti. La Congregazione ha come primo principio e come fine la santificazione, non l’apostolato che viene come secondo.
Consideriamo un po’ la necessità di
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essere prima religiose. Forse è anche utile spiegarlo meglio. Ci deve stare più a cuore la vita comune che l’ufficio, cioè prima l’obbedienza. Salvare la nostra vita religiosa è la prima cosa: prima l’obbedienza, prima la castità, prima la povertà. Se una lettura non ci conviene per la nostra maggior santificazione, non dobbiamo farla; se qualche cosa ci fa perdere tempo ed è bagaglio inutile di cui ci carichiamo, non dobbiamo prenderlo. Prima la vita religiosa. Quindi non possiamo dire: io ho il tal ufficio, gli altri non se ne intendono; devo farlo riuscire, quindi vado di qua, vado di là, dispongo di tempo, di denaro, scrivo questo, scrivo quello perché a me pare meglio. A servizio della Congregazione la penna! Prima sei religiosa, quindi [devi essere] obbediente, sottomessa, prima cercare di conservare il tuo giglio, perciò attentissima nel leggere e nel vedere. Poi lo spirito di povertà tenendo da conto soprattutto il tempo e anche il foglietto di carta e dare alla Congregazione quel tanto di forze che hai. Essere prima religiosa.
Non si può essere in primo luogo, supponiamo, tecniche. Chi è nominata superiora, deve essere la più osservante, cioè la più amante della vita comune, affinché si faccia santa praticando il primo articolo delle Costituzioni. E non perda i meriti, ma essendo già esemplarissima nell’osservanza della vita comune, possa anche insegnarla alle altre. Quindi la superiora deve costituire una casa dove si pratichi la vita comune, la vita comune paolina, cioè [si seguano] le idee, i principi, gli indirizzi che sono dati nella Congregazione; la vita comune paolina, cioè le pratiche di pietà che si fanno in Casa Madre,
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nella Casa generalizia e, per quanto più si può, fatte bene; la vita comune che ci porta a vivere in casa la carità, perché la vita comune da una parte è penitenza e dall’altra è carità, quando ogni religiosa contribuisce all’osservanza: si va a fare tutte le pratiche di pietà insieme, non singolarmente, si dicono le stesse preghiere, si segue lo stesso metodo e, se non [si è] dispensate per ragioni approvate dalla superiora, si compiono nello stesso tempo. Allora si mette l’ordine nella casa, l’ordine nella carità; nell’ordine tutte operano meglio. «Serva ordinem, et ordo servabit te»2. E non solo «servabit te», ma servabit la Congregazione. Che cosa sarebbe una casa, che cosa sarebbe una Congregazione dove ognuno dice: È meglio così? È meglio obbedire! Può anche essere che una cosa [suggerita] sia migliore sotto un certo aspetto. Sì, però per la tua santificazione è meglio obbedire. Per il bene della Congregazione è meglio obbedire. E se hanno dato l’indirizzo di far la propaganda così o di scrivere questo piuttosto che quello, è meglio obbedire. Perché? È meglio per voi dire la Messa o sentirla? È meglio sentirla, voi non potete dirla! Ma dir la Messa non sarebbe meglio? Già, se il Signore avesse voluto dare l’ordinazione anche alle donne, per voi però, il sentirla diviene più meritorio. Perché? Perché è la volontà di Dio. Non è meglio in sé, ma è volontà di Dio. Il paragone che ho portato è un po’ strano, ma serve a spiegare.
A noi sembra che Gesù, da quando ha cominciato a discutere con i Dottori all’età di dodici anni e a rispondere alle loro domande, avrebbe dovuto
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dedicarsi alla predicazione. Che cosa faceva là in quella bottega scura, stretta, a far panche, tavoli, sedie? Cosa faceva? Non c’era altro di più grande da fare al mondo dal nostro Creatore e Redentore? Non doveva occuparsi di anime, non era venuto per estendere il regno di Dio e portare la redenzione al mondo? Noi crederemmo che sarebbe stato meglio, e forse nella nostra audacia gli avremmo anche detto: Esci dalla Palestina che è un paese così piccolo, va’ a Roma a predicare, va’ ad Atene!. Noi sappiamo dare dei consigli anche a Dio, eh, noi che siamo così orgogliosi! Gesù fece quel che piaceva al Padre: «Quae placita sunt ei, facio semper»3. Ed era il meglio. È compiendo la volontà di Dio che si fa l’apostolato, che si redime il mondo, che si salvano le anime! Non facendo quel che piace a noi.
Essere prima religiose. E, se si è malate, prima si è religiose. In quanto si può, si continua ad osservare la povertà; si continua ad essere delicate nella castità facendo le cure; si accetta la mortificazione che bisogna fare. La vita religiosa, e del resto anche la vita cristiana, ha sempre la sua parte di mortificazione. Si continua così a lasciarsi guidare. Oh, quelle inferme che non sono mai contente, che di tutto si lagnano e sono così abbondanti nelle pretese! Siamo anzitutto religiose, poi verrà il resto.
Adesso parliamo della necessità di essere prima religiose. Può darsi che una esprima le sue idee: io voglio fare questo; dovevano fare così; dovevano disporre così e non l’hanno fatto. Ebbene, io non faccio niente! E si mette da parte e non accetta più nessun ufficio. Questo vuol dire che si è portata [in Congregazione] la volontà propria, e forse prima si ama
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l’apostolato, ci si illude di fare il meglio e intanto non si vive la vita religiosa.
Invece può darsi che ci si comporti diversamente, e cioè crediamo di dovere, nelle varie circostanze, imporci e giudicare. Quel giudicare tutto fa sì che si perdano i meriti e che non si accetti l’indirizzo che viene dato in comunità. No, bisogna anzitutto accettare l’indirizzo! Che cosa avviene nel migliore dei casi? Avviene che si metta prima l’articolo delle Costituzioni che è il secondo. L’ordine è questo: prima si è religiose, poi [segue] l’apostolato, l’ufficio, l’impiego che uno ha. Prima: Io voglio farmi santa, sono venuta per santificarmi: «Ad quid venisti?»4. E dopo, ciò che viene detto nel secondo articolo: per compiere l’apostolato.
Ma l’apostolato viene compiuto dall’Istituto, non tanto dall’individuo. Uno potrebbe dire: La Congregazione [ha come fine] che diamo la dottrina di Gesù Cristo, dottrina dogmatica, morale e liturgica5. E sta benissimo. Allora, mi hanno messo a lavorare il giardino: quindi io sono messa fuori. No, è l’Istituto che compie l’apostolato, non è la singola persona, e tu lavorando il giardino e facendo crescere grossi cocomeri, contribuisci a fare l’apostolato come tutte le altre. Ma non lo fa di più quella che va di casa in casa portando il libro o costituendo biblioteche, che va nelle parrocchie a stabilire una sala cinematografica? Tutte uguali, perché l’Istituto è un organismo, non un meccanismo. E che cosa significa questo in sociologia? Significa che l’Istituto è un corpo morale, composto non di organi ciechi, di rotelle, come una macchina linotype è composta di pezzi, ma è composta di persone
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ragionevoli; persone che hanno in primo luogo la finalità di santificarsi, persone che, entrate nell’Istituto sono messe come pezzi nella linotype - per continuare il paragone - ma non pezzi morti e freddi fatti di acciaio, come sono i pezzi della linotype, che messi nel loro ordine producono la composizione e compongono il Vangelo. E quel che si dice della composizione, si dice della macchina stampatrice e si dice della propaganda. Allora, facendo ognuna un servizio, occupando un posto, l’Istituto vive e fa il suo apostolato. E tanto fa l’apostolato chi prepara il pranzo delle suore, come chi, nella mattinata, ha scritto un mirabile articolo. Senza pensare poi che a volte per fare il meglio nella scelta degli articoli, facciamo il meno bene. Perché? Perché tante volte ci inganniamo e siamo condotti dall’amor proprio anche nello scegliere ciò che scriviamo e nel modo con cui lo scriviamo.
Allora, noi abbiamo diversi organi e le mani e l’occhio, l’udito, il cuore e i polmoni, tutti insieme formano l’uomo, la persona che non è solo il corpo, ma l’anima con le sue facoltà di intelligenza, volontà, sentimentalità: tutto l’uomo fa l’individuo. E non è che sia solamente uomo la ragione, l’uomo è un composto di anima e di corpo e il corpo ha tanti sensi e l’anima ha tante facoltà. Tutto insieme forma l’uomo. E tutte insieme le suore formano l’Istituto. Così l’Istituto fa l’apostolato. Ma basta che una matrice della linotype sia sporca, perché non cada più giù nel suo canale, non scorra più; basta che una vite non sia ben chiusa perché la macchina non proceda.
E quante volte vi è una che non procede bene, vi è un’altra che si mette da parte, vi è chi vuol fare le cose nel modo suo; vi è quell’altra
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che detta le sue leggi e vorrebbe far meglio. La mano può mettersi al posto dell’occhio? Si può vedere con la mano? Per far meglio si sconquassa tutto. Allora realmente noi non apparteniamo all’Istituto, ci mettiamo fuori. Quante suore disfano la loro vita religiosa, perdono i meriti e, come avviene in tante altre illusioni, si illudono di fare il meglio e intanto fanno la loro volontà, quindi non sono religiose. La vita religiosa richiede la prima rinuncia, che è di conformare le idee, la volontà e l’attività all’Istituto e alle Costituzioni. Conformare all’Istituto vuol dire fare quello che è detto nell’Istituto.
La testa deve funzionare da testa, cioè la testa dell’Istituto, la direzione, deve sempre meditare lo spirito dell’Istituto, le disposizioni delle Costituzioni, l’indirizzo che la Chiesa dà alla vita religiosa; poi studiare che cosa serve meglio alla santificazione delle persone in generale e di ogni persona in particolare; che cosa oggi noi dobbiamo fare come apostolato per intervenire e servire la Chiesa e dare alle anime ciò che è giusto e doveroso secondo la nostra vocazione. La testa deve fare la testa, nessuno si metta al posto della testa. Se il piede fosse messo al posto della testa, faremmo le cose con i piedi tutti insieme. E se una ha l’ufficio del piede, non compie un ufficio importante? Andrebbe in propaganda senza piedi? E starebbe su una casa senza fondamenta? Quel mattone che sta nel fondamento non si lamenta perché non è messo sul capitello, sta nelle fondamenta. Il capitello fa bella figura, ma il mattone sostiene l’edificio
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perché è nel fondamento della casa. Vi sono persone che hanno uffici umilissimi e che sostengono la Congregazione e vi sono persone che hanno uffici distintissimi e non sono che la veste esterna dell’Istituto, quasi la figura. E magari vanno ad un’adunanza e dicono: Abbiamo fatto tante biblioteche, quando forse lei non ne ha fatte neppure una; sono le altre che hanno fatto la fatica e questa fa la figura e riceve la lode, l’approvazione.
Essenziale in primo luogo è essere religiose! Essenziale per voi individualmente, per farvi sante, e per l’Istituto perché progredisca. [C’è chi dice]: Ma vorrei far questo, ma vorrei far quello... Ma ho ragione di dispensarmi da questo, di interpretare quell’altro in un’altra maniera. Io ho il tale ufficio, devo essere un po’ indipendente. Indipendente! La maestra che fa scuola può essere indipendente nell’insegnare la tale lezione, nel dare quel compito alle alunne, ma non è indipendente dal programma, non è indipendente dagli orari, non è indipendente dai suoi superiori. Ma non sarebbe bene che adesso in terza elementare facessimo leggere, supponiamo, il libro I Promessi Sposi? 6. Capirebbero la tesi? Affatto. La tesi è la provvidenza di Dio nelle cose. Ora, cosa capirebbero quei bambini che non capiscono [nemmeno] la provvidenza nelle cose più comuni della vita, neppure nell’andamento della famiglia?
Occorre che nell’Istituto vi sia un ordine stabilito che produca il bene della comunità. Meditare dunque questo: la grande fortuna mia, la mia grande grazia è di essere chiamata alla santità paolina. Non sei un’artista che devi dipingere: sei a servizio della Congregazione, cioè devi mettere il tuo pennello al suo servizio, che vuol dire: dare Gesù Cristo alle anime, dalla
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copertina fino all’ultima riga.
Tutto deve essere fatto nello spirito della Congregazione per conseguire il fine di essa, secondo le intenzioni di chi ha disposto. L’obbedienza richiede di comprendere bene la disposizione, l’ufficio, l’impiego che uno ha; comprenderlo nelle intenzioni di chi lo ha assegnato, meditarlo davanti al tabernacolo per capirlo in che cosa consista, l’importanza, il modo di farlo, le conseguenze che derivano dal farlo bene o dal non farlo bene.
Una superiora potrebbe credersi onnipotente e indipendente, invece, man mano che si va più in alto, è richiesta un’obbedienza più complessa, una carità più larga. Non invertiamo, non pervertiamo il senso della vita religiosa e non portiamo il nostro io, mentre diciamo: «Tutta mi dono, mi offro e mi consacro… Emetto i voti di povertà, di castità, di obbedienza e m’impegno a conformare la mia vita secondo le presenti Costituzioni… »7. Che cosa vuol dire: «Tutta mi offro, tutta mi dono, tutta mi consacro», se porto ancora il mio io, se ho ancora le mie idee, il mio modo [di fare]?
Allora, non si può far valere e dire niente quando è disposta, è voluta una cosa? Oh, non c’è nella Società San Paolo la costrizione! No, no! Anzi si dice che vi è abbondantemente molta larghezza. In generale abbiamo lasciato troppa libertà. La libertà è un clima in cui la personalità può formarsi. Ma troppi sono quelli che hanno abusato della libertà. Dobbiamo quindi dire: Più uniformità, più regolarità, più religiose dedite all’apostolato. Quindi profondamente chiediamoci: Veramente mi sono donato tutto? Mi sono consacrato tutto? Mi sono offerto tutto? Finito [di dire] la formula ho incominciato a riprendere
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la mia volontà? E man mano che sono andata avanti negli anni, ho cominciato a riprendere quello che mi suggeriva, in sostanza, il mio io?
La Messa ci illumini! Preghiamo molto il Signore; perché può essere un errore fondamentale, se non si pensasse che prima c’è la religiosa paolina, poi viene tutto il resto, viene cioè l’ufficio di superiora, l’ufficio di scrittrice, l’ufficio di cuoca, ecc. Prima: religiosa!

V
FAR RENDERE IL TEMPO AL MASSIMO *


«Rèdime tempus: custodisci il tempo». Consideriamo, quale uso dobbiamo fare del tempo. Occorre dire che il tempo si può far rendere al massimo o al minimo: dipende quindi da noi impiegare tutte le nostre forze nelle cose che facciamo, oppure solo a metà. Passa la giornata e la giornata è per tutti di ventiquattro ore. Concludendo la giornata, vi sarà chi avrà fatto un certo numero di meriti e chi ne avrà fatto un altro. Dicevano a S. Pio X: Fortunato lei che riduce al minimo il suo riposo ed ha sufficiente resistenza per contentarsi di quel numero molto limitato di ore per dormire. Ma a parte che questo dipende tante volte dalla salute, noi possiamo dire così: Le ore che abbiamo libere e cioè oltre il riposo, possiamo
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farle rendere di più o di meno. Vi è, supponiamo, chi studia. In un’ora di studio vi è chi si applica di più e chi si applica di meno. Vi è un’ora di Visita e la Visita può rendere di più e può rendere di meno. Vi è un’ora di apostolato e quell’apostolato può essere fatto più intensamente o meno intensamente. Le nostre ore le facciamo rendere al massimo? Da che cosa dipende? Dipende in primo luogo dall’impegno che portiamo nei nostri doveri. Quando facendo il nostro dovere portiamo impegno serio, cioè vogliamo impegnare tutta la nostra mente, tutte le nostre forze, la nostra volontà, il nostro cuore, ecco: quell’ora rende il massimo.
Vi è chi fa le cose con distrazione, vi è chi le fa con superficialità, e vi è chi le fa con tutta l’anima tesa a quel dovere. Dicevano di una persona: Questa praticamente lavora per tre. E vi è chi non fa nemmeno il lavoro di una. Circola di qua e di là; dice, osserva tutto, si spende in tante parole inutili, leggiucchia qualche cosa, fantastica; non sa organizzarsi e prendere i momenti giusti: alla fine della giornata il merito è poco.
Vi è chi sa fin dal mattino ordinarsi bene le cose: ordinarsi il lavoro interiore: propositi, vigilanza, preghiera. E vi è invece chi non lo fa: il lavoro interiore è quasi trascurato, oppure dà appena appena qualche sguardo superficiale ai propositi. Vi è chi sa tener da conto tutti i piccoli ritagli di tempo e nella stessa ricreazione sa impegnarsi, sia per renderla lieta, sia per dire parole sagge, magari scherzi, ma utili. Qualche volta, anzi sovente, Pio X era scherzoso e arguto ma, o parlasse di cose serie o
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di cose scherzose, egli edificava. A volte con lo scherzo correggeva un difetto, e a volte inculcava una verità, un principio, una regola di condotta, perché sapeva utilizzare ogni circostanza. Aveva una corrispondenza molto forte, specialmente quando era vicario generale e cancelliere a Treviso e ancor più quando salì alla Cattedra di S. Pietro. Ma egli, tra coloro che hanno occupato il medesimo ufficio, era il più diligente a rispondere. E sapeva dire le cose in maniera gradevole e nello stesso tempo molto chiara. Nonostante la moltitudine delle lettere fosse continua, se arrivava al mattino, nella giornata doveva partire la risposta. Si diceva: Ah, noi le sappiamo le abitudini del canonico Sarto: la prontezza. E se qualche giorno era tanto impegnato, si sapeva che al più presto avrebbe trovato un giorno libero per la sua corrispondenza.
Vi sono persone che sanno ordinare le loro cose: un ufficio ordinato, sia pure l’ufficio di propaganda; una casa dove la libreria è tenuta in ordine, in ordine i libri, in ordine la corrispondenza, in ordine i conti, in ordine l’ora di apertura e di chiusura, in sostanza un orario ben regolato; una casa in cui le pellicole sono ben ordinate e sono ben preparate. Se si sa parlare con brevità, fare le cose con sveltezza come vi è stato insegnato, si fa di più e si fa meglio, si fa con più merito e con maggiore soddisfazione. Soddisfazione sia di chi è servito e sia di chi serve.
Quando [invece] vi è il disordine nel lavoro interiore, nell’apostolato, nell’usare le cose, vi sono molte più imperfezioni e si perde molto più tempo.
Però il tempo che deve essere meglio utilizzato è quello che riguarda i nostri pensieri interni:
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sapere vivere raccolte, non pensare a troppe cose che non ci riguardano e pensare a quelle che ci riguardano. Vi sono suore che hanno intelligenza abbastanza modesta, non hanno molti doni dalla natura, ma sono sempre protese nei loro doveri. Ebbene, tante volte queste ottengono di più, mentre attorno a loro regna maggiore soddisfazione e maggiore gioia, di altre che hanno tanti pensieri e forse molta intelligenza, ma occupandosi di moltissime cose che non fanno per loro, sparpagliano le loro energie. Perché occuparsi tanto facilmente delle cose degli altri? Cosa giova? Perché giudicare a destra e a sinistra e magari sospettare male? A che cosa giova? Perché leggiucchiare quello che non conferisce a far progredire il nostro apostolato, il nostro spirito? A che cosa giova tutto questo? Perché [essere] così precipitate nell’agire? Le cose allora si devono fare e rifare, con risultati molto scarsi.
Occorre essere ordinate nell’interno. L’esterno è lo specchio dell’interno. [Vi sono alcune] disordinate nelle cose che le riguardano personalmente; disordinate nel parlare di tante cose che non contribuiscono né all’apostolato, né allo spirito, né alla pace della vita religiosa; disordinate perfino nel prendere il cibo, il riposo, le medicine, nel modo di curare la salute. E allora? Allora i meriti sono pochi e tutto questo indica che ci deve essere un gran disordine nel cuore, nello spirito. Non dico che si tratti forse di peccati gravi, ma che vi è un disordine per cui non si progredisce.
Come si può dire di aver fatto la meditazione, se poi non si ricava il frutto, non si medita, non si ricorda? Quale vantaggio avremo nel corso della giornata?
Pensare che noi dobbiamo trasformarci: dobbiamo in sostanza cambiare
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i pensieri, il modo di operare, di parlare, cambiare i sentimenti del cuore. Prima si era buoni cristiani, ma bisogna diventare buoni religiosi. Perciò abbi cura del tempo! Come si può ricavare maggior frutto dal nostro tempo? Questo dipende da varie cose.
1. La retta intenzione è la prima cosa. Sì, al mattino indirizzare bene le azioni: voglio che Gesù viva in me; io voglio vivere in lui, il mio cuore nel suo, il suo nel mio! Con le intenzioni per le quali voi continuamente vi immolate sugli altari. Le stesse intenzioni, esclusa ogni vanità, ogni interesse o soddisfazione personale, solo, sempre, in tutto Gesù. «Cor Pauli, cor Christi»1: il cuore tuo, il cuore di Cristo. Le stesse aspirazioni: Vi offro le azioni della giornata. Fate che siano secondo la vostra santa volontà, ecc. In sostanza, mirare a lasciar vivere in noi Gesù Cristo, avere le sue intenzioni, le intenzioni per cui egli passa le giornate nel tabernacolo e particolarmente quelle che ha nel momento della Consacrazione nella santa Messa.
La retta intenzione! [E invece:] una cosa è fatta per amor proprio; e l’altra per piccola vendetta; e l’altra per piccola soddisfazione, e l’altra perché mi piace. Ma: Questo mi piace, questo non mi piace è la regola opposta a Gesù Cristo. Potete dire di essere suore? Potete dire di essere religiose? Questo piace a Dio? «Christus non sibi placuit»2, ma piacque a Dio: e infatti il Padre celeste disse: «Questo è il mio figlio in cui mi sono compiaciuto»3. Perché? Che cosa faceva? Io sempre cerco la gloria di lui: «Quae placita sunt ei facio semper: Faccio quel che piace a lui»4.
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Questa regola: Mi piace e non mi piace è la distruzione di tanta parte della vita religiosa ed è l’annullamento di tanti meriti. Come si può mettere insieme: Voglio essere di Dio e faccio ciò che mi piace? Ma per essere di Dio e per piacere a Dio, dobbiamo fare quello che piace a lui, non quello che piace a noi, fare ciò che devo, non ciò che mi piace. Decidere una cosa
o un’altra, decidere di andare di qua o di là, procurarmi questo o quello, leggere il tal libro o il tal altro, fare il tal lavoro piuttosto che quell’altro, ma sotto l’impulso del mi piace o non mi piace, che cosa pensate che sia? Uno svuotarsi di meriti e uno svuotare la vita religiosa. La religiosa è la sposa di Cristo che deve fare tutto ciò che piace al suo Sposo divino, per piacere a lui. Quindi la retta intenzione è: piace a lui, piace anche a me; e non la regola del piacere, ma la regola del dovere.
2. Seconda condizione, perché i nostri lavori di apostolato e tutto il nostro lavoro individuale, tutta la nostra giornata abbia maggior frutto, è questa: fare le cose bene. Fare le cose bene significa compiere il nostro ufficio con la testa, con l’applicazione, con le forze di cui disponiamo e con la dedizione che ci è possibile. Fare le cose bene: bene la cucina e bene la preghiera, bene la Comunione e bene la ricreazione, bene la redazione e bene la coltivazione delle patate, bene la pulizia personale e bene la Confessione. Fare le cose bene, con grazia. Tu servi il Signore, fallo con grazia perché, se una persona ha da servire un ricco signore, un re, bisogna che lo faccia con garbo. Ora il più grande re è il Signore, il personaggio più importante è il Signore: fare le cose per lui. Non disordinatamente, non alla
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carlona, no! Ma come le faceva Gesù, come le faceva Maria. Se Maria fosse al mio posto, se Gesù fosse qui, come avrebbero fatto? Possiamo immaginarci Gesù che zappava l’orto: le case di Nazaret avevano tutte un po’ di orto, possiamo immaginarci Gesù nella sua bottega quando faceva i lavori di falegname, possiamo immaginarci Gesù quando pregava, quando andava a letto, quando si alzava. Immaginarci come faceva queste cose Maria, e allora imitare. Soprattutto attenzione per fare noi le cose bene: «Attende tibi: Bada a quel che fai»5; «Age quod agis: Guarda di farlo bene quello che fai»6, dicevano gli stessi pagani. Il Signore guarda più il bene che il molto, cioè che si faccia bene piuttosto che molto, ma si riuscirà anche a fare molto se si fa bene. Si riuscirà anche a essere svelte, anzi più svelte, e tuttavia ottenere il medesimo risultato. Dovunque si è, fare le cose bene: o in libreria, o scopando, trattando con persone, oppure raccolte nella propria camera, attendendo allo studio, alla redazione o ad altro. Quando sei malata, comportati bene. Che cosa significa non mostrare la gratitudine delle cure che si ricevono? Perché si è malate, ci si crede dispensate da tutto? Prima si è religiose. Non si potrà fare tutto; ma basta che ciascuna dia al Signore quello che può dare. Se due persone danno al Signore quello che possono dare, basta: una merita dieci perché ha fatto un bel lavoro, un’altra solo uno, perché ha le forze di uno, ma se hanno messo il medesimo impegno, siccome il Signore premia a prezzo di impegno, cioè di amore, darà lo stesso premio.
Nessuna si esalti perché fa qualche cosa in
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pubblico, qualcosa di cui è più ammirata, ma nessuna si avvilisca perché può fare solamente quel tanto. E se domani siamo ammalate gravi, oppure siamo entrate in un periodo della vita in cui il Signore ci lascia tanto soffrire: scrupoli, tristezza, oppure siamo travagliate da qualche pena che in pratica ci creiamo (infatti le pene più gravi sono quelle che ci creiamo noi), anche nella salute alle volte, ma specialmente quelle interne, morali e spirituali, ebbene allora cambiamo la nostra sofferenza in apostolato: per la Chiesa, per il Papa, per le anime, per le suore in propaganda, per le anime purganti, per la conversione dei peccatori, per i morenti di quel giorno, per le vocazioni.
È prezioso l’apostolato della preghiera, l’apostolato dell’azione, ma soprattutto è prezioso l’apostolato della sofferenza. Diamo al Signore quello che possiamo dare: questo vuol dire fare le cose bene.
3. In terzo luogo è necessario che noi viviamo in grazia di Dio: è certo che tutte vogliono operare in grazia di Dio! Perché? Perché se non c’è la grazia di Dio nessuna opera è merito-ria. Chi non ha la grazia di Dio è morto, e le azioni non producono meriti. Cosa possono fare i morti? Ma vive! Vive con il corpo, ma non con la grazia, cioè non ha la vita soprannaturale, quindi è come un tralcio staccato dalla vite7. Noi siamo come coloro che camminano, cioè moltiplicano per progressione geometrica8. Ad esempio, se uno nella giornata fa 20 azioni, ma già si trova con 1000 metri, ottiene 20x1000; se invece fa 20 azioni, ma ha solo la grazia prima, ottiene 20x1, in proporzione della grazia che ha.
Badare bene di fare atti perfetti di amor di Dio, due atti: «Sia santificato il tuo nome… e sia
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fatta la tua volontà»9. Oppure: Vi amo con tutto il cuore sopra ogni cosa, che è un atto di amor di Dio perfetto. Così ci si mette nella disposizione per cui si moltiplicano i nostri meriti. Man mano che si va avanti negli anni fare i nostri doveri con più gioia. Se hai già molti anni di vita religiosa, le opere che oggi fai, si moltiplicano per le azioni fatte negli anni di vita religiosa.
Perché la Madonna è arrivata al culmine cui è arrivata? Perché ha fatto un continuo progresso.
Più si va avanti, più si deve essere fervorose. Dire: Adesso devo essere più diligente e moltiplicare i miei meriti. Non si dica: Quella è fervorosa come una novizia; dire piuttosto il contrario: Più passa il tempo e più è prezioso. Ma ora sono vecchia e malata. Ma ora le opere diventano ancor più preziose. È questo il tempo dei meriti. Perciò, non abbandonarsi alla tiepidezza.
E sono già stanca. Le Figlie di San Paolo hanno una specie di martirologio, il martirologio della carità. E molte sono già passate all’eternità per aver dato tutte le forze all’apostolato. Il merito così si moltiplica per tutte le azioni già fatte: «Patire e non morire»10.
Leggevo, correggendo la vita del M. Giaccardo11, che aveva previsto la sua morte. Il merito sta in questo che, quando gli annunziarono l’Olio santo, esclamò: Sia fatta la volontà di Dio. E che intensità per far rendere quell’ultimo istante! Aveva fatto tanti progetti di buone iniziative, di propaganda, di organizzazione, e alla sera il Signore l’ha chiamato.
Nella comunità vi sono tanti mezzi preziosi:
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essere diligenti e sempre più esemplari, la penitenza della vita comune, della carità quotidiana, di ogni ora, di ogni minuto.

VI
OPERARE CON DIO *


Al termine degli Esercizi spirituali si è preparato il proposito e già si è fatto il programma di lavoro. È naturale che al termine degli Esercizi si senta un gran fervore che però è necessario venga alimentato nel corso dell’anno, oltre che dalle pratiche quotidiane: meditazione, Messa, Comunione, Visita, in modo particolare dalla Confessione ben fatta, fatta cioè con profondo pentimento e con generosi propositi. Il fervore alimentato ancora dai ritiri.
La pratica del ritiro mensile è sempre da tenersi. Dobbiamo esservi fedeli non solo perché serve a richiamarci i propositi,ma anche per ottenere più abbondanza di grazia nel mese. È tanto bello allora incominciare il mese con il raccoglimento dovuto, sistemare i conti con Dio del mese che è terminato e rinnovare di nuovo i propositi per il mese che si sta per incominciare. Quindi, al primo lunedì invocare S. Paolo, al primo martedì le anime del purgatorio, al primo mercoledì S. Giuseppe, al primo giovedì gli angeli custodi, al venerdì il sacro Cuore di Gesù, al sabato la Madonna, e poi offrire tutto
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al divin Maestro e glorificare la santissima Trinità. Così il mese incomincia bene e si sente di nuovo quel calore spirituale, quella buona volontà che negli Esercizi spirituali si era concepita.
In tutte le cose ciò che più importa è questo, che le facciamo con Dio: «Da me nulla posso, con Dio posso tutto»1. Noi siamo come tanti zeri, se mettiamo davanti ad essi l’unità, ecco che lo zero prende valore e sarà 10, e se gli zeri sono due sarà 100, ecc. In tutta l’opera nostra contare su Dio. Lavorare sempre con Gesù o lavorare con Maria che è lo stesso, poi secondo la particolare devozione e pietà di ognuno, quindi secondo l’attrattiva dello Spirito Santo. Se nello studio devo imparare, unire io e Dio, Dio e io: «Non ego autem, sed gratia Dei mecum»2. Se dobbiamo assistere e formare le giovani, le aspiranti, non facciamolo da noi questo lavoro spirituale, ma lavoriamo con Dio. Se dobbiamo attendere all’apostolato, abbiamo bisogno dell’intervento di Dio. Noi non possiamo essere dei librai comuni. No, perché se agiamo come i librai comuni ci troveremo in circostanze che ci impediranno di ottenere i risultati che essi ottengono. E se noi facessimo la redazione nel modo comune, noi sbaglieremmo. E se noi facessimo la divulgazione e la propaganda nel modo comune, noi registreremmo insuccessi su insuccessi. Quanto più questo si verifica nel cinema! Sempre Dio con noi. Parto? Parto con Dio. E qualunque ufficio sia assegnato: io e Dio. Teresa da sola vale zero, i mezzi umani valgono zero, ma se entra Dio tutto riuscirà bene.
Particolarmente nel lavoro spirituale, si possono riscontrare due errori, e quindi due precauzioni: da una parte può essere che noi non
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mettiamo tutta la buona volontà. Preghiamo il Signore che ce la dia, ed eccitiamo in noi la buona volontà. E dall’altra parte può essere che contiamo troppo sui nostri propositi. No, contare su Dio, in Dio. Quindi i due primi punti dell’esame di coscienza siano questi: Ho la buona volontà? Che grado ho di buona volontà? Che grado ho di preghiera? Quando prego? La buona volontà mette a servizio di Dio il nostro essere, il nostro io, e la preghiera mette Iddio a servizio nostro. Non chiamare Iddio, vuol dire privarsi della vera fonte di energia. [Sempre] combinare assieme la volontà buona con la grazia di Dio. Allora, da una parte noi diventiamo i docili strumenti nelle mani del Signore, perché mettiamo il nostro essere a servizio di Dio, e dall’altra parte entra Iddio quasi a servizio nostro. Ossia Dio porge alla Figlia di San Paolo la sua grazia, l’aiuta, le dà l’energia, le chiarisce tante idee, le fa amare quello che deve fare, mette le parole sulle sue labbra e poi dispone i cuori di chi sta evangelizzando: «Dabit verbum evangelizantibus»3. Ed ecco perfettamente associati: Gesù che vive nell’anima e l’anima che vive unita a Gesù. Quindi avere questa cura: sempre Iddio con noi, noi sempre con Dio. Non consideriamo e non diciamo mai: io faccio, io voglio, come se si chiamasse Dio in aiuto stentatamente. Noi diciamo degli errori dicendo: Se Dio mi aiuterà, cioè: io faccio… Dio mi venga in soccorso… No, è Iddio che fa, tu aiuti Iddio. Noi dobbiamo aiutare Iddio e lasciarlo operare in noi. Gesù quando è nel nostro cuore vuol produrre frutti: egli è la vita, è una pianta vitale che entrata in noi vuol portare frutti: di santità,
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di fede, di speranza, di carità, di bontà, di umiltà, di purezza, di zelo, di obbedienza, ecc. Il Signore è venuto in noi, vuol essere il nostro principio vitale. Il principio vitale è lui, il principio soprannaturale, perché noi non siamo soltanto uomini composti di anima e di corpo, ma siamo composti di tre elementi: il corpo, l’anima umana e la grazia di Dio: Gesù che è in noi, egli che è la vita. Che cosa è che domina il corpo? L’anima. Che cosa è che porta la vita spirituale e lo spirito di apostolato in una persona umana? Dio, cioè la parte superiore. Bisogna che Dio operi, noi abbiamo da acquistare una fede particolare.
Se noi fossimo solo dei tipografi, andremmo in cerca dei lavori che sono più ben pagati come fanno gli industriali di una tipografia; se noi fossimo dei librai come sono i civili, i borghesi, andremmo a cercare quella produzione e, possiamo dire, quella merce su cui si ha maggior sconto, su cui si guadagna di più, daremmo quello che maggiormente dà introito. Ma noi dobbiamo fare viceversa: dare quello che maggiormente glorifica Iddio, maggiormente serve alle anime, e maggiormente santifica noi: noi totalmente a servizio di Dio. È Gesù in noi che produce questi frutti.
Così se noi dobbiamo fare la redazione, tutto quello che possiamo dire umanamente vale qualche cosa. Tutte le nostre energie dobbiamo metterle a servizio di Dio. Dobbiamo ricordarci che non è ciò che accontenta che abbiamo da scrivere, non è quello che accontenta che dobbiamo diffondere. Noi siamo gli strumenti di Dio, siamo la penna di Dio, siamo la voce di Dio. È Dio! Noi dobbiamo essere come gli evangelisti, ma in
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maniera relativa, in quanto lo Spirito Santo li illuminava a scrivere, li muoveva a scrivere e li guidava a scrivere quello che voleva lui e a tacere quello che voleva lui. Che cosa significa, quando si dice: «Opus fac evangelistae»4, come scriveva S. Paolo al suo discepolo? Significa: Fa’ il tuo ministero di evangelizzazione, mettiti lì, sotto l’azione del tabernacolo e fa’ la volontà di Dio. Se facciamo così e ci lasciamo investire dall’azione dello Spirito Santo procedente dal tabernacolo, per intercessione di Maria che ottiene alla Chiesa lo Spirito Santo, allora diremo delle parole vive. Quasi ci immaginiamo che quelle parole sgambettino perché sono vive, come sgambettano le rane quando agitano le loro zampette. Ecco, sono vive, sono di Dio. Sono di Dio, io solamente eseguo: come il sacerdote che dà la benedizione, fa il segno, dice le parole, ma la virtù che viene dalle cose benedette, procede dallo Spirito Santo. D’altra parte la Chiesa, quando recitiamo l’oremus della benedizione, mette sulle nostre labbra quello che vuole che diciamo.
Noi allora giudicheremo le cose dall’alto come strumenti di Dio, come mandati ad evangelizzare. Applichiamoci totalmente con la mente per capire quello che il Signore vuole: «Emitte spiritum tuum et creabuntur»5. Prendo la penna: è tua, o Signore! Bisogna che facciamo una bella offerta alla Regina Apostolorum di una penna. E scriverò quanto e come vuole il Signore. Troppi libri si consultano, alle volte, e non si consulta Gesù; come quelli che corrono di qua e di là a domandare consigli, a piangere e a lamentarsi e non vanno da chi può consolare, può illuminare, può fortificare, ecc.,
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non vanno da Gesù. Allora facciamoci docili strumenti nelle mani di Dio: quando porgiamo il libro, quando lo scriviamo e quando, messi alla macchina, lo stampiamo, lo produciamo, lo possediamo: è di Dio e l’opera è divina! Siamo in un periodo di tentazione, bisogna essere vigili e combattere, perché possiamo diventare un po’ materialisti nella nostra opera, cioè siamo nel pericolo di diventare un po’ commercianti, di diventare un po’ industriali, e alle volte si misura il lavoro che si è fatto dal denaro che si è ricavato: Quanto hai fatto in propaganda? E rispondono: diecimila. Non dicono: cento Vangeli. Questo è un po’ un modo di parlare, vi siamo un po’ inclinati, ma può metterci su una strada sdrucciolevole.
Manteniamoci nella nostra vocazione apostolica! Chi vuole veramente essere sicuro della salvezza, sta fermo nella vocazione religiosa paolina. D’altra parte stimiamoci fortunati, avendoci il Signore destinati a porgere la sua Parola: «Opus fac evangelistae». Nel nostro servizio non faremo tanti ragionamenti e non confideremo così facilmente nei mezzi umani pur mettendoli tutti al servizio di Dio, come è scritto nelle Costituzioni: «…adoperare i mezzi più celeri ed efficaci»6. Se un libraio cerca il suo guadagno, egli è un commerciante. Noi quando scriviamo non possiamo adoperare i mezzi umani che adoperano gli scrittori, non possiamo adoperarli tutti, bisogna che adoperiamo prima di tutto i mezzi divini. Lo scrittore che ha solamente di mira il guadagno, fa come il libraio: scrive ciò che alletta di più la passione, ciò che assicura un successo commerciale, un successo industriale o redazionale. Quindi essi possono stampare qualunque cosa, e i libri più
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sono volgari e sensuali, più la morbosità dei lettori ne va in cerca. Si tratta, ad esempio, del grande problema: dare quei libri che riguardano la formazione della gioventù, la psicologia delle adolescenti e degli adolescenti, i libri che riguardano il fidanzamento, l’iniziazione matrimoniale e la cura e i doveri che intercorrono fra marito e moglie, ecc... Noi pure dobbiamo dare questo genere di libri, ma darli in una forma che edifichi, che santifichi. Essi li danno in una forma che sollecita la passione e hanno per alleato, che cosa? La passione dell’uomo. Noi invece dobbiamo poter dire: Abbiamo per alleato Dio.
In sostanza, voglio indicare che noi di molti mezzi umani non possiamo farne uso. Perché? Sono vietati e non sarebbero secondo lo spirito della Congregazione, perciò bisogna che abbiamo il mezzo divino. Quale? La sua grazia, Dio con noi! Quando Gesù ha inviato gli Apostoli, li ha privati di tutti i mezzi umani: «Andate senza sacco, cioè senza valigia, andate senza calzari, e non salutate nessuno per strada»7. Quel «salutare nessuno» ha questo senso: non perdersi in chiacchiere mentre si ha ben altro da fare: «Neminem per viam salutaveritis», cioè non fare le comari per strada. Li ha privati di tutti i mezzi umani: «Vi mando come agnelli in mezzo ai lupi»8, quindi non avrete il favore della gente. Altro che il favore del popolo! Ed erano ignoranti, privi di scienza, privi di autorità, disprezzati in quanto appartenevano a una classe molto modesta, pescatori la maggior parte, che dovevano rivolgersi ai farisei, ai dottori della legge, ai filosofi e uscire dalla Galilea. «Può venire qualche cosa di buono dalla Galilea?»9 si diceva, tanto era
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misera quella regione. Tutti i mezzi umani mancavano, ma c’era il mezzo dei mezzi, c’era Dio con loro, cioè l’appoggio della sua grazia. Il Cottolengo10, arrivato a un certo punto [della sua opera], prese la decisione: Nessuno che mi offra un contributo materiale, cioè nessuno che possa pagare, entri qui, perché se ho questa provvidenza umana, mi mancherà la provvidenza divina. E quindi diceva: Ah, voi potete pagare? Ebbene ci sono tanti ospedali, andate e là vi ricovereranno e quindi potrete essere curati. A un ministro rispose così: Costui ha già la protezione di vostra eccellenza; io qui ricevo solo quelli che hanno la protezione di Dio, la provvidenza di Dio, quindi i più abbandonati, quelli che neppure gli altri ospedali ricoverano. Questa tendenza a fare da noi è deleteria. Eppure vi siamo un poco inclinati, perché in molta parte il nostro lavoro sembra equipararsi a quello dei cineasti, dei librai, dei tipografi. Certo che usiamo i mezzi umani! Anzi dobbiamo usarli questi mezzi che la Provvidenza di Dio ha dato all’umanità perché se ne serva in bene. Credete voi che i mezzi umani siano nati da sé o li abbia inventati l’uomo? L’uomo ha studiato la natura e ha scoperto, letto nella natura le leggi e le ha incanalate verso il bene. Se c’è una fonte, non è l’uomo che l’ha fatta, la fontana è nella terra, l’uomo prende quell’acqua, la incanala e la dirige verso una centrale elettrica dove si forma la luce, l’energia elettrica, e poi il calore oltre che la forza. L’uomo ora ha trovato questi mezzi, ma nella loro origine essi sono diversi. Leggendo nel gran libro della natura creata da Dio, l’uomo ha capito queste
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leggi e le ha incanalate verso il progresso. Non devono però servire solo alla degenerazione, al male, noi dobbiamo prenderle, farle nostre e adoperarle nello spirito per cui Dio le ha create nella loro finalità.
Che cosa ci vuole per tenerci sempre in questa posizione giusta? «Non ego autem, sed gratia Dei mecum!»11. «Non quod simus sufficientes cogitare aliquid quasi ex nobis, sed sufficientia nostra ex Deo est»12, cioè Dio è colui che dà i buoni pensieri e che dà il «velle» e il «posse», il volere e il potere, tutto. Come facciamo a tenerci in questa posizione giusta? Non Dio mi aiuta, ma Iddio fa e io devo aiutare lui. In questa posizione giusta chi si manterrà? Chi è fedelissimo alla pietà perché allora lo spirito della religiosa è tenuto vivo. Lo spirito particolare della Paolina poi è diffuso nelle preghiere, nelle pratiche di pietà [dell’Istituto]. Vita di pietà fervorosa! Allora Iddio è con noi, anzi Iddio opera e noi siamo le mani, noi siamo le braccia: le mani che mettono il foglio in macchina, le mani che battono alla linotype, noi siamo i piedi che camminano e portano il Vangelo, noi diventiamo la bocca che dice, cioè comunica qualche cosa, che raccomanda qualche cosa. È di Dio quel che dobbiamo dare, è Dio che vuole darlo e vuol servirsi di noi. Che bella posizione! Essere veramente tutta in Dio, tutta in Dio; però non con una pietà che porta a una vita comoda di pigrizia e di accidia. Lasciamo fare! Con tutto il buon volere che Gesù ha che i mezzi si moltiplichino, se il prete non dice le parole e non ha la materia in mano, non fa le cerimonie, non dice la Messa, la presenza di Gesù nell’Eucarestia non ci sarebbe e quindi non
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avremmo il sacrificio, non avremmo la Comunione e neppure la presenza eucaristica nel tabernacolo. È il Signore che si degna di adoperare noi, umilissimi servitori, quindi per tenerci in questa posizione ci vuole pietà, santità.
Pietà di S. Paolo! Non certe pietà tanto lontane dal suo spirito. S. Paolo ci può sembrare duro perché noi siamo in basso e lo vediamo in alto, non ci arriviamo [...]13, ma intanto mettiamo uno sgabello, cioè la nostra buona volontà e preghiamo. Allora arriveremo a capire, non solo quel che dice, ma lo spirito con cui dice, e il modo con cui lui applica il Vangelo alle popolazioni e ai tempi. Saremo veramente paolini di pietà viva.
In secondo luogo, nutrirci molto di S. Paolo e del Vangelo. Il Vangelo è Gesù Cristo parlante, è Gesù Maestro; S. Paolo è il discepolo che lo capisce e lo dà. Mettiamoci in questa posizione: la discepola che capisce Gesù e dà alle anime quel che Gesù vuole; in giusta posizione e per questa occorre molta devozione a S. Paolo.
Vi è la tendenza, nella Congregazione, a diventare incolori, senza colore: una pietà che è la pietà di tutte le suore del mondo; una devozione alla Madonna che è la devozione di tutti i cristiani del mondo; una evangelizzazione che è comunissima all’evangelizzazione data da tanti istituti e ordini. Noi dobbiamo avere una scienza di colore paolino: la scuola deve essere paolina, dobbiamo avere un cuore paolino, la nostra pietà ha da avere un colore spiccatamente paolino, quello che è dato dalle Costituzioni, e dobbiamo avere una volontà, un’abitudine, un modo di vivere, di mangiare, un orario, un modo di metterci in movimento, tutto paolino. La settimana scorsa mi facevano osservare: Voi siete una Congregazione
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singolare. Tacete e siete sempre in moto. S. Paolo era così. Anche la nostra organizzazione, i nostri orari, le nostre attività, le nostre iniziative devono essere come le farebbe S. Paolo adesso, se vivesse oggi.
Ma, capiamo bene! Allora [Paolo] veniva prigioniero a Roma. Ieri, tornando da Bari, guardavamo i luoghi dove si era fermato S. Paolo: al Foro, lungo la strada oltre Cisterna che chiamano la fettuccia, più avanti alle Tre Taverne: le due soste dove egli aveva incontrato i cristiani che venivano a riceverlo da Roma. Ma se S. Paolo fosse venuto adesso, non avrebbe fatto il cammino così, non è vero? Per quanto stava da lui, avrebbe preso un aereo per arrivare più presto, predicare più a lungo e avere più tempo. Perciò bisogna che abbiamo lo spirito paolino, piaccia o non piaccia. La preghiera che piace di più e che alle volte è più facile non è la migliore. La migliore pietà per noi è quella che ci fa conoscere, amare, seguire e lodare sempre di più il Maestro divino, che ci fa conoscere e imitare, pregare e zelare ed amare sempre di più la Regina degli Apostoli, ci fa studiare, conoscere, amare, imitare, servire, zelare, pregare S. Paolo.
Stare nel centro della nostra Congregazione, nel mezzo, nella via giusta, non sui margini, no! Dobbiamo camminare in mezzo allo stradale, perché a destra e a sinistra ci possono essere tentazioni, ma in mezzo allo stradale camminiamo più sicuri: tenere la via giusta. Com’è bella, com’è sicura la via della paolina! Quante chiacchiere di meno si farebbero se tutte si formassero secondo lo spirito paolino, e quante sofferenze di meno,
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quante tentazioni in meno, quale risultato se si conservasse lo spirito paolino! Dovete invadere il mondo. La Congregazione deve avere il cuore di S. Paolo. Il cuore di S. Paolo dimenticava forse qualcuno? Qualche nazione? Qualche regione? No. E allora il Signore ci darà sempre più vocazioni, perché se noi stiamo nella via giusta, il Signore ci manderà le persone che ha destinato per questa via giusta. Se noi invece facessimo come i farisei i quali, come dice la Scrittura, andavano in capo al mondo per fare un discepolo e quando l’avevano trovato lo rendevano peggiore di quanto essi erano, allora no!14 Se noi stessimo nel vero spirito paolino, quanto si moltiplicherebbero le vocazioni, che progresso! La Congregazione allora sarebbe un giardino di sante, tutte in gara in santa emulazione per far meglio. Oh, le Figlie di San Paolo allora come opererebbero nella Chiesa! Alle volte vi accorgete che non potete attendere a tutto, tanto siete chiamate, tanti sono i bisogni che si notano, sempre più numerosi, sempre più urgenti perché c’è lo spirito nella buona guida che avete. E se avessimo ancora più spirito? Le vocazioni vengono dall’avere grande spirito nella Congregazione.
Il Signore vuole che le anime siano condotte alla perfezione e vuole delle anime apostoliche: quindi le manda dove saranno davvero condotte alla perfezione e saranno davvero di spirito apostolico. Il Signore opererà in questo modo. Dio con noi allora, sempre Dio con noi. Non priviamoci del grande, essenziale e regale aiuto che possiamo avere: Dio! Dio che opera, e noi suoi docilissimi strumenti a muovere i piedi, a muovere le mani, gli occhi, la bocca, la lingua, a muovere la penna con lui. Siamo di Dio, Dio vuole operare, noi lo lasciamo operare
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nella salute, nell’intelligenza, nel cuore, nella volontà? Quanti ragionamenti umani ci mettiamo in mezzo, dove Dio è escluso! Ragioniamo divinamente e parliamo paolinamente e operiamo nello spirito della Vergine santissima, Regina degli Apostoli!

VII
CONCLUSIONE *


Per concludere bene gli Esercizi spirituali tre cose: la prima è il ringraziamento al Signore per tutti i lumi e tutte le grazie che ha concesso alle nostre anime. È stato buono il Signore e ha parlato certamente con ciascuna e ciascuna ha parlato intimamente con il Signore. Che bella grazia, essere totalmente con Dio! Godere le sue intimità, sapere di amarlo e sapere di essere riamate. Quindi:
1) la riconoscenza e perciò canteremo il Te Deum.
2) L’offerta dei propositi e del programma di vita che ognuna ha fatto per quest’anno, voglio dire dai presenti Esercizi fino agli Esercizi dell’anno prossimo. Non sentirsi mai sole, ma sentire che Dio è con noi: «Dominus vobiscum. Et cum spiritu tuo»1. Avere grande fiducia nella grazia di Dio. Se su questa terra vi è qualcuno che deve avere fiducia nella misericordia di Dio e nella sua grazia, è proprio la suora che si è donata al Signore ed essendosi donata, appartiene a Dio in modo
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tutto particolare. Ha tanto diritto perciò di confidare nella grazia, nell’aiuto di Dio. E l’avrete abbondante.
3) Rinnovare la professione religiosa, rinnovarla perché rimanga sempre viva. Passano gli anni e noi camminiamo verso la professione eterna, quando cioè non ci sarà più nessun pericolo di rompere la nostra unione con Dio, perché con la morte l’anima giusta diventerà impeccabile, non può più commettere peccato. Questa è una grande tranquillità per tanti morenti, i quali [in vita] temevano sempre il peccato. In paradiso non si può più peccare. [Sarà un] riconsacrarsi a Dio nella professione perpetua, eterna: perpetua in quanto si riferisce a tutta la vita, e non solo perpetua stavolta, perché si riferisce a tutta l’eternità.
Questa Casa dev’essere ed è veramente piena di Spirito Santo, di grazia di Dio, di luce, perché compie, tra gli uffici che vi sono in Congregazione, un ufficio di primissimo piano, di primissima importanza, dopo quello della Casa generalizia. Realmente ciò che distingue del tutto la Congregazione è che non solo si stampano e si diffondono dei libri e si noleggiano pellicole, ma si producono: con la mente si conosce Dio e il suo volere, poi si mette per iscritto quello che Gesù vuole e quindi viene diffuso. Perciò la Casa delle scrittrici compie questa grande missione: avere il pensiero cristiano, possedere la scienza cristiana e darla. Che venga poi moltiplicata e che venga portata alla popolazione, alle anime, è il secondo e il terzo compito della Congregazione. Certamente il Signore è molto contento di questa Casa. Vi saranno dei difetti, ma se non ci fosse già la casa, bisognerebbe con tutte le forze costituirla e
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costituirla bene. Si potrà progredire, sì, tuttavia vi è ciò che è necessario ed essenziale. Si tratta allora di santificarci e di santificare l’ufficio e aspettare, se la Provvidenza vuole aumentare il numero o assegnarci altri compiti.
Poi state con l’occhio innalzato a Dio, al Maestro divino. Quando vuole, siate pronte a seguire quello che egli vuole. Intanto, vedete quale progresso si è fatto! Quanto è cambiata anche la mentalità, quanta più stima si ha verso la Congregazione per questa Casa delle scrittrici. Camminare però umilmente sapendo che vi è stata assegnata una grande missione.
Adesso invochiamo le benedizioni di Dio. Le benedizioni di Dio che scendano su tutti i vostri propositi, sulle vostre iniziative varie, sopra gli uffici che compite.
«Non temete, io sono con voi. Di qui voglio illuminare. Abbiate il dolore dei peccati»2. Ecco il Maestro divino: Non temete, perché io sono con voi, da qui voglio illuminare, abbiate perciò il dolore dei peccati, il che significa vivere nell’umiltà.
Con questi principi potete essere sempre serene. Se la Congregazione non avesse costituito questa Casa dovrebbe dedicarsi con tutto l’impegno a costituirla. E d’altra parte occorre dire che riceverete altre grazie.
Il corrispondere alle grazie ricevute, come finora avete fatto, in una certa misura impegna la Provvidenza a donarvene altre. Corrispondendo quest’anno, si impegnerebbe la Provvidenza ad aumentarle ancora.
«La donna non deve insegnare, non ha l’ufficio di predicare in Chiesa»3, ma ha l’ufficio di
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predicare in tante altre maniere. Sapete che adesso c’è la crisi della parola, chi va a sentire la predica? Relativamente uno scarso numero. Addirittura sono abolite in tanti posti le prediche della domenica sera. Però, mentre è in crisi l’insegnamento orale, prende sempre più sviluppo l’insegnamento attraverso la carta e la pellicola. Vi è in questo una modernità. Voi vi siete dedicate con spese notevoli nella redazione a opere fondamentali, e fra queste primeggia certamente quella del catechismo. Oh, per questo catechismo tanto si è pregato! Sono tanti anni che si prega, almeno dal 1914, quando ho ricevuto dal vescovo l’incarico di pensare ai catechismi della diocesi. Sempre si è pregato, ancorché la Congregazione non fosse nata, perché veramente è l’opera fondamentale nella Chiesa. Attualmente vi è una crisi di predicazione, e voi risolvete in certa misura questa crisi in un punto così essenziale come è il catechismo. Pio X, uomo che era tutto pratica, uomo riformatore e costruttivo, appena salito alla Cattedra di S. Pietro, ha messo subito mano al catechismo. E come ha riformato! La sua riforma fu molto più grande di quella del canto sacro che è pure di valore inestimabile. La riforma che egli ha portato nell’insegnamento del catechismo, possiamo dire, sta accanto alla riforma della disciplina eucaristica.
La Casa tutta insieme ha questa finalità: quelle che scrivono pensino sempre a quale nobile ufficio il Signore le ha chiamate, e così quelle che fanno lavori diversi in casa, siano [in questo] impegnate. Come la cuoca fa da mangiare per tutte, così ciascuna e tutte contribuiranno a questa finalità, aiutare a conseguire questo grande fine.
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Noi abbiamo bisogno di avvicinare sempre più i bambini, diceva un sacerdote che appartiene all’ufficio edizioni, dobbiamo penetrare nelle scuole, tra i fanciulli, tra le file dei giovani per portare una voce, la voce di Dio. Tante volte gli uomini e più ancora i giovani sono distratti da tante cose: e il cinema, e la televisione, e quella radio che suona dal mattino alla sera.... Distrae tanto. Almeno in quei momenti in cui c’è un po’ di riflessione, facciamo cadere la parola di vita, la parola che salva, la parola di Gesù Cristo.
Adesso canterete il Te Deum e la benedizione scenderà su di voi, sulle vostre intenzioni, sui propositi, sulle vostre famiglie, su tutti i cooperatori. Sotto questo aspetto, la Regina Apostolorum compirà quest’anno, qui, un ufficio molto importante. Sarebbe utile avere la fotografia del quadro che c’è a Monte Berico, a Vicenza, dove la Madonna siede tra gli evangelisti rivolta specialmente a S. Luca e [sembra] comunicargli quelle notizie che S. Luca non poteva aver appreso dalla predicazione degli altri evangelisti: per esempio l’Annunciazione, la perdita e il ritrovamento di Gesù nel Tempio nessuno poteva conoscerle se non da Maria.
Maria contribuì tanto al[la diffusione del] Vangelo. Mons. Montini4, nuovo arcivescovo di Milano, diceva, predicando agli scrittori: Voi prendete la parola di Dio e la vestite di inchiostro, di caratteri, di carta e la mandate nel mondo così vestita.È la parola di Dio, vestita così, è il Signore incartato, e voi date agli uomini Dio incartato, come Maria ha dato agli uomini Dio incarnato. Incartato e incarnato si corrispondono. Quindi: «Opus fac Mariae: fa’ l’opera di Maria».
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* Nel libro Prediche del Rev. Primo Maestro – Esercizi di Grottaferrata e di Albano 1954, Ed. Paoline, 1957, considerato come originale, il titolo di questa predica, tenuta a Grottaferrata l’11 novembre 1954, è: “Introduzione”.

1 Cf Mt 24,43.

2 Cf Lc 12,40: «State preparati; perché il Figlio dell’uomo verrà nell’ora che non pensate».

3 Cf Per la buona morte, in Le preghiere della Famiglia Paolina, ed. 1996, p. 156.

4 Cf Meditazioni varie 1954, n. 8, nota 2.

5 Don Alberione aveva familiarità con gli Esercizi ignaziani che hanno esercitato un certo influsso specialmente nell’avvio della Famiglia Paolina.

6 Cf Sir 7,36: «In tutte le tue opere, ricordati della tua fine e non cadrai mai nel peccato».

7 Cf Mt 26,64: «Il Figlio dell’uomo seduto alla destra di Dio».

8 Cf Mt 25,34.

9 Cf Mt 25,41.

10 Cf Mt 25,46: «E se ne andranno, questi al supplizio eterno, e i giusti alla vita eterna».

11 Alberto Magno (1200ca – 1280). Vescovo e dottore della Chiesa, domenicano, filosofo e teologo, fu assiduo studioso nella ricerca dell’incontro fra la scienza e la fede. Insegnò nelle più celebri cattedre del suo tempo. A Parigi ebbe come suo discepolo S. Tommaso d’Aquino.

12 Cf Os 2,16: «La condurrò nel deserto e parlerò al suo cuore».

13 Cf Sap 8,1: «Con fortezza e soavità». Cf AD nn. 43, 78.

14 Cf Fil 2,8: «Facendosi obbediente…».

15 Cf Mt 16,24.

16 Cf Mt 22,37.39.

17 Cf 1Cor 3,8: «Ciascuno secondo il proprio lavoro».

18 Cf Meditazioni varie 1954, n. 25, p. 166.

19 Cf Mt 25,36ss.

20 Cf Meditazioni varie 1954, n. 25, nota 4. Cf ACV, pp. 133-162.

21 Originale: per quelli che sono fuori della Congregazione.

22 Lc 2,14: «Pace in terra agli uomini di buona volontà» (Volgata).
* Grottaferrata, 12.11.1954.

1 Cf Gv 1,19.

2 Cf Sal 83,10: «O Dio, nostro protettore, volgi il tuo sguardo» (Volgata).

3 Cf Mt 13,55: «Non è egli forse il figlio del carpentiere?».

4 Cf Gv 8,29: «Io faccio sempre le cose che gli sono gradite».

5 Cf Rm 15,3.

6 Cf Mt 3,17.

7 Cf Mt 19,21.

8 Cf Ef 6,6.

9 L’Anno mariano (8 dicembre 1953 - 8 dicembre 1954) fu indetto da Pio XII per ricordare il centenario della definizione del dogma dell’Immacolata Concezione con l’enciclica Fulgens corona gloriae.

10 Cf Gv 17,16.

11 Cf Carissimi in San Paolo (CISP), pp. 847-848. Questo progetto del Fondatore del 1954 è stato realizzato in parte da don Giovanni Evangelista Robaldo ssp (1896-1977) che preparò edizioni di Vangelo con note catechistiche per varie categorie di persone. Cf Bibliografia della Famiglia Paolina a cura di Rosario F. Esposito ssp, Edizioni Paoline, Roma 1983, pp. 114-117. Inoltre il Centro Catechistico Paolino delle Figlie di San Paolo di Roma curò edizioni di catechismo in cui ogni argomento era considerato dal punto di vista biblico, catechistico, liturgico.

12 Cf Gv 14,6.

13 1Cor 6,20: «Glorificate Dio nel vostro corpo!».

* Grottaferrata, 12 novembre 1954.

1 Cf Mt 22,37.39.

2 Cf 1Cor 13,1-13.

3 In ogni ambiente di vita e di lavoro la scritta con i caratteri della carità era un richiamo a vivere questa virtù.

4 Gen 2,7: «Soffiò nelle sue narici un alito di vita».

5 Cf Gal 2,20.

6 Cf Mt 16,24: «Rinneghi se stesso».

7 Cf Rm 12,3: «…di non voler sapere più del necessario» (Volgata).

8 Cf Mt 22,37.

9 Cf Pio XII, Sacra Virginitas, o. c, nn. 1016-1026.

10 Originale: e quindi sarebbe un’offesa alle cariche.

11 1Gv 3,14.

12 Cf Gen 2,17.

13 Mt 5,3-10.

14 S. Agostino, Soliloqui II, 1.

15 Cf Ger 3,23: «La salvezza uscirà da te, Israele».
* Grottaferrata, 14 novembre 1954.

1 Cf Gv 8,32: «La verità vi farà liberi».

2 «Conserva l’ordine, e l’ordine conserverà te». Antico proverbio.

3 Gv 8,29: «Io faccio sempre le cose che gli sono gradite».

4 Cf Meditazioni varie 1954, n. 25, nota 6.

5 Cf Costituzioni della Pia Società delle Figlie di San Paolo, ed. 1953, art. 2.

6 Manzoni A. (1785-1873), scrittore e poeta italiano. Suo capolavoro il romanzo I Promessi Sposi.

7 Cf Costituzioni della Pia Società Figlie di San Paolo, ed. 1953, art. 92.

* Grottaferrata, 14 novembre 1954.

1 “Il cuore di Paolo, il cuore di Cristo”. Espressione attribuita a S. Giovanni Crisostomo.

2 Cf Rm 15,3: «Cristo non cercò di piacere a se stesso».

3 Cf Mt 12,18.

4 Cf Gv 8, 29.

5 Cf 1Tm 4,16.

6 Proverbio latino.

7 Cf Gv 15,1.

8 Richiamo al termine “moltiplica”, ad esempio della bicicletta: lo sviluppo in metri che fa ad ogni giro del pedale.

9 Cf Mt 6,9-10.

10 Espressione attribuita a S. Maria Maddalena de’ Pazzi (1566-1607), monaca carmelitana scalza di Firenze.

11 Cf Lamera A. ssp, Lo spirito di D. Timoteo Giaccardo, Edizioni Paoline, Alba 1955.

* Grottaferrata, 19 novembre 1954.

1 Cf Meditazioni Varie 1954, n. 8, nota 2.

2 Cf 1Cor 15,10: «Non io però, ma la grazia di Dio che è con me».

3 Cf Sal 67,12: «Il Signore darà la parola a coloro che annunziano la buona novella» (Volgata).

4 2Tm 4,5: «Compi la tua opera di annunziatore».

5 Cf Sal 104,30: «Mandi il tuo spirito, sono creati, e rinnovi la faccia della terra».

6 Cf Costituzioni della Pia Società Figlie di San Paolo, ed. 1953, art. 2.

7 Cf Lc 10,3-4.

8 Cf Lc 10,3.

9 Cf Gv 1,46.

10 S. Giuseppe Benedetto Cottolengo (1786-1842), sacerdote di Torino, aprì a Valdocco la Piccola Casa della divina Provvidenza detta “Cottolengo”. Fu precursore dell’assistenza ospedaliera e fondatore di Istituti religiosi. A lui Don Alberione si ispirò in parte per l’organizzazione e il governo delle prime Congregazioni paoline (cf AD 131, 133, 175).

11 Cf 1Cor 15,10: «Non io però, ma la grazia di Dio che è con me».

12 Cf 2Cor 3,5: «Non però che da noi stessi siamo capaci di pensare qualcosa come proveniente da noi, ma la nostra capacità viene da Dio».

13 Originale: con le mani.

14 Cf Mt 23,15.

* Grottaferrata, 20 novembre 1954.

1 «Il Signore è con voi. E con il tuo spirito». Saluto liturgico.

2 Circa l’origine di queste parole carismatiche che stanno al centro della nostra spiritualità, confronta Abundantes Divitiae, nn. 151-158.

3 Cf 1Cor 14,34.

4 Giovanni Battista Montini (1897-1978), futuro Paolo VI, papa dal 1963 al 1978.