Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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3. AMORE VERSO IL PROSSIMO *


In queste domeniche che precedono la Settuagesima, la Chiesa ci richiama le principali, le fondamentali verità. E in questa domenica noi chiediamo al Signore specialmente l’osservanza di quello che è il secondo precetto della Legge: la carità. Due sono gli insegnamenti particolari della liturgia in questa domenica. Il primo insegnamento riguarda la Chiesa, la Chiesa che cammina in mezzo a continue difficoltà, sempre combattuta, e tuttavia sempre vittoriosa. Dice l’Oremus: «O Signore, che sai non poter noi per l’umana fragilità sussistere tra tanti pericoli, concedici la salute dell’anima e del corpo, affinché con il tuo aiuto superiamo quanto per i nostri peccati ci tocca soffrire». La Chiesa sempre sostenuta dalla virtù di Gesù Cristo che è in lei, è sempre viva perché è lo stesso corpo mistico di Gesù.
Dice il Vangelo: «In quel tempo Gesù salì in barca, seguito dai suoi discepoli. Ed ecco che una grande tempesta si levò sul mare, tanto che la barca era quasi sommersa dai flutti. Gesù intanto dormiva. Gli si accostarono i suoi discepoli e lo svegliarono dicendogli: Signore, salvaci, siamo perduti. E Gesù rispose: Perché temete, o uomini di poca fede? Allora alzatosi comandò ai venti e al mare e si fece grande tranquillità. Onde gli uomini ne furono ammirati e andavano esclamando: Chi è costui al quale obbediscono i venti e il mare?»1. Qui la barca indica la Chiesa nella quale vi è Gesù. E Gesù è la sua salvezza. E sempre e in tutti i tempi, nei momenti particolarmente difficili, la Chiesa alza la sua voce a Gesù: «Salvaci, perché corriamo pericolo: Salva nos, perimus», e se non interviene la tua potenza, come resisteremo a tante tempeste, a tante lotte, al potere degli uomini che comandano in mezzo a questo mondo?
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Ma l’insegnamento principale su cui vogliamo fermarci è quello dell’epistola: la carità. Scrive S. Paolo ai Romani: «Fratelli, non abbiate con alcuno, altro debito che quello dello scambievole amore, perché chi ama il prossimo ha adempito la legge. Infatti il non commettere disonestà, non ammazzare, non rubare, non dire falsa testimonianza, non desiderare cose o persone altrui, e qualunque altro comandamento è riassunto in questa parola: Amerai il tuo prossimo come te stesso: Diliges proximum tuum sicut teipsum. L’amore del prossimo non fa alcun male. L’amore dunque è il compimento della legge»2.
E viene da notare che tanto nell’Antico Testamento quanto nel Nuovo Testamento la legge fondamentale della convivenza è l’amore al prossimo; come il primo precetto è l’amore di Dio, così il secondo precetto è l’amore al prossimo. Un altro comandamento, disse Gesù, il quale è simile al primo: «Diliges proximum tuum sicut teipsum»3. Tre comandamenti ci portano all’amore di Dio, e sette inculcano l’amore al prossimo. E i sette comandamenti si riducono a un precetto solo, sono come sette applicazioni dell’unico comando: «Diliges proximum tuum sicut teipsum: Amerai il tuo prossimo come te stesso».
Ma che cosa significa amare? La parola ha diversi significati, cioè diverse applicazioni. La principale è questa: benevolenza, voler bene. Non trattar bene il fratello, perché il trattarlo bene è di vantaggio nostro, questo è egoismo. Non trattare bene quelle persone le quali sono benefattori, in quanto si spera di [averne] vantaggio, ma trattarle bene in segno di riconoscenza e soprattutto retribuirle con la preghiera, volendo il loro bene. Non andare con quel compagno perché egli è buono e la sua compagnia ci è gradita, ma in quanto il tuo compagno è l’immagine di Gesù: devi trattare con lui come con Gesù, e quello che fai a lui in bene o in male è come fatto a Gesù. Quanti credono di amare, ma amano se stessi! Guarda[ti dal]l’egoismo! E se tu saluti soltanto colui che ti saluta, ricordati: questo lo fanno i pagani. La tua carità deve andare più avanti: salutare anche il tuo nemico.
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La carità verso il prossimo Gesù la vuole, e Gesù desidera più la tua carità verso il prossimo che la tua Comunione. «Se tu stai per recarti all’altare e ti ricordi che il tuo fratello ha qualche cosa contro di te, (segno che tu non hai voluto bene al tuo fratello), prima di far la Comunione, prima di far l’offerta all’altare, torna indietro, riconciliati con il tuo fratello, poi vieni»4 e allora la tua offerta, la tua Comunione saranno graditi, piaceranno al Signore. Ma come può amare Dio colui che non ama il prossimo? Non si può amare Dio senza amare il prossimo che è l’immagine di Dio.
Al giudizio universale udiremo le grandi parole: «Io avevo fame e mi avete dato da mangiare, avevo sete e mi avete portato da bere, ero afflitto e mi avete consolato, ecc. Venite dunque, o benedetti, nel regno del Padre mio. E quando, domanderanno i giusti, ti abbiamo visto affamato, assetato, afflitto, ecc., e ti abbiamo soccorso? Ogni volta che l’avete fatto al fratello l’avete fatto a me»5. Così è del male che si fa al fratello: odiare le mormorazioni, le maldicenze, i bisticci, i rancori, le invidie, lo spirito di vendetta, le critiche, le calunnie, lo scandalo, tutti i peccati contrari alla carità. E allora come [si] potrebbe mai piacere a Gesù e quale sarebbe la sorpresa al giudizio finale? Gesù stesso l’ha già preannunziata quando, ricordando il male che si è fatto al prossimo, egli lo ha ritenuto come fatto a se stesso, a se stesso! E tu diresti male di Gesù?
Oltre però ai motivi comuni di carità, di benevolenza, noi abbiamo dei motivi speciali e sono quelli numerati nel canto Ubi caritas. Dopo lo canteremo. Ubi caritas et amor, Deus ibi est: Dove vi è carità e vi è amore vicendevole, ivi è il Signore. In un’anima in cui dimora la carità, l’amore vicendevole, dimora pure il Signore. Congregavit nos in unum Christi amor: Noi ci siamo radunati qui, raccolti nella comunità per amore a Dio; e allora exultemus et in ipso iucundemur, amiamo dunque Gesù e temiamo, e amiamo il Dio vivo. E noi stessi vicendevolmente amiamoci con cuore sincero: Et ex corde diligamus nos sincero. Quindi si ripete Ubi caritas et amor, Deus ibi est. Se ci
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siamo radunati per santificarci, per amore a Dio, e se vogliamo costituire una comunità, una società, questa è costituita dall’amore, è fomentata e nutrita dall’amore, e allora odiamo ogni divisione, ogni litigio, ogni questione che porti all’offesa di Dio e all’offesa del prossimo, e ricordiamo i sette comandamenti che riguardano la carità verso il prossimo. Cessino i litigi, le discussioni maligne, affinché fra di noi Cristo viva, perché egli è dove sta la carità. Egli non può stare dove manca la carità.
Pensate ancora a un’altra cosa: che noi uniti sulla terra in comunità, siamo destinati ad essere riuniti in cielo in amore eterno. Siamo destinati a cantare l’eterna carità di Dio: «Caritas manet in aeternum»6. La carità è la virtù che dura in eterno, perché cessando la fede e cessando la speranza rimane tutto concentrato nella carità. È la virtù che deve sussistere e superare tutto, la virtù eterna.
Ora, l’esame di coscienza sopra la carità. Ci vogliamo vero bene? Ma vogliamo del bene al fratello? Preghiamo per il fratello perché sia santo, perché sia benedetto da Dio, perché le sue cose prosperino? Oppure regna in qualcuno l’invidia? Non è tutta carità quella gentilezza esterna. Quanti fini secondari possono nascondersi! Alle volte si è mossi da simpatie o da interesse, o da fini anche più riprovevoli ancora. Regna forse in noi qualche invidia, qualche rancore, e osiamo andare alla Comunione con quei sentimenti interni? Sappiamo fare qualche servizio al fratello per amore di Dio? Cerchiamo noi di pregare per tutti e di dare il buon esempio? Ci comportiamo in maniera che coloro che vivono con noi si trovino contenti? Edificati dagli esempi buoni, dalle parole sante? La vita di comunità progredisce in santità? Migliora sempre? Siamo di aiuto vicendevole per il lavoro spirituale? E siamo di aiuto per il lavoro di apostolato?
Desiderare il bene del fratello: questa è carità. E procurarlo: questo è doppia carità. Ora, è certo che delle mancanze contro la carità ne succedono, se ne commettono parecchie in pensieri, in sentimenti, in parole, ed anche in azioni. Domandiamo
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con sincero cuore perdono, ricordando anche quello che diciamo nel Padre nostro: «Rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori»7. Signore, perdonaci come noi perdoniamo. Nessuno si accosti alla Comunione con sentimenti contrari alla carità, né con pensieri contrari alla carità. E dopo la Comunione, nessuno osi offendere il fratello.

Atto di dolore... Cantiamo Ubi caritas...
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* Meditazione, tenuta a Roma il 31 gennaio 1954. Dal tono della voce sembra che sia stata dettata in cripta a tutta la Famiglia Paolina. La prima trascrizione (A6/an 2a = ac 3a) porta la data del 1° febbraio 1954.

1 Cf Mt 8,23-27.

2 Cf Rm 13,8-10.

3 Cf Mt 19,19: «Ama il prossimo tuo come te stesso».

4 Cf Mt 5,23-24.

5 Cf Mt 25,34-40.

6 Cf 1Cor 13,8: «La carità non avrà mai fine».

7 Cf Mt 6,12.