Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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5. LA CARITÀ *


I. [Amore verso Dio]

Il tempo passa, siamo in un anno nuovo; come abbiamo occupato questo tempo? Noi avremo da render conto a Dio più dei peccati di omissione che di commissione. La misericordia di Dio ci dà il tempo per conoscere, amare, servire Dio; conoscerlo, amarlo, servirlo sempre più. Facendo l’esame di coscienza ci troviamo contenti del modo con cui abbiamo occupato il tempo? Si è progredito? Il Signore non ci chiede grandi cose, ma occorre progredire un tantino ogni giorno.
Pensiero di questa meditazione: ringraziare il Signore per la grazia della vocazione, dei voti. Noi siamo delle anime privilegiate. Quante ve ne sono invece che non hanno mai conosciuto il beneficio della Redenzione! Quanta responsabilità abbiamo noi! Dodici apostoli avevano invaso il mondo allora conosciuto, e noi siamo quattrocentomila preti, ottocentomila suore, e che cosa facciamo? I tempi corrono e [vi] sono milioni di persone che leggono e vanno al cinema. E noi magari siamo in una chiesa a predicare! L’educazione oggi si forma al cinema... E se noi siamo anche un piccolo punto in mezzo a tante organizzazioni mondane potenti, dobbiamo sempre confidare in Dio. Davanti a tanta strage di anime, noi che cosa facciamo? Viviamo bene la nostra vita religiosa? Siamo anime apostoliche? Noi che siamo state chiamate a questo apostolato, pensiamo al beneficio di questa nostra organizzazione? Non pensiamo mai a questo? Da una parte umiliarci e dall’altra riconoscenza della vocazione. Noi, chiamate in un Istituto in cui oltre il privilegio della vita religiosa abbiamo privilegi che altri istituti non hanno, non abbiamo mai pianto di riconoscenza? E ci perdiamo invece spesso in tanti pettegolezzi. Come è caro parlare a voi di
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questo, che avete intelligenza e avete il cuore aperto alla grazia di Dio! Non ci basterà la terra per riconoscere e ringraziare Dio dei suoi benefici! Perché perderci in un cucchiaio d’acqua? Generosità! Amare! Quello che si compie con amore non costa più fatica. Chissà quanta responsabilità abbiamo noi! È sconfinata la nostra responsabilità. Ogni mattina io offro il calice a Dio in riparazione di quello che non abbiamo compiuto per la gloria di Dio e di quello che abbiamo lasciato mancare agli uomini.
Riconoscenza dei voti; specialmente del nostro dono a Dio. Noi abbiamo fatto dono di tutto noi stessi a Dio: Tutto quanto posseggo..., si è donato il corpo, la volontà, l’intelligenza, la vita, il tempo, tutto. Quello che Gesù ha dato a noi, noi lo restituiamo a lui, in amore a lui, dono di noi stessi a lui: ecco quanto abbiamo fatto ai piedi dell’altare nell’emettere i voti. Siamo veramente in tutto, solo e sempre di Dio? Forse non abbiamo detto al Signore: Non quello che io voglio, ma quello che vuoi tu? Può essere che il dono non sia stato fatto con tutta la generosità e non sia stato totale. Far morire l’egoismo e far dominare solo Gesù. E se anche l’offerta fu totale, non abbiamo poi in seguito ritirato una parte di noi stessi? Abbiamo ripreso un po’ della nostra volontà, dei nostri gusti, delle nostre tendenze, abbiamo forse lasciato dominare le passioni, il nostro io. È stata sempre delicatissima la povertà, l’obbedienza, i nostri sentimenti? Quante volte abbiamo messo delle condizioni alla volontà di Dio: Se non mi chiedi questi sacrifici, ci sono; se no, non compio tutto quello che vuoi tu. Abbiamo forse ripreso le nostre tendenze, i nostri ma, i nostri capricci. E allora? Restituiamo tutto a Gesù e diciamogli: Non sicut ego volo...1. Vi sono cose in cui si perdono tanti meriti e tanto tempo, perché forse è mancato quell’incoraggiamento, quell’approvazione, ecc. Come siamo lontane dal desiderio dei santi che cercavano le sofferenze per amore di Dio: Pati et contemni pro te...!2. Non scrupoli, ma neppure coscienza larga, chiudere gli occhi al serpente che ci viene incontro vuol dire farci mordere da lui. Guardiamo
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bene che solo l’aggiustare l’esterno conta poco, è come vestire l’abito da suora: non è l’abito che ci fa religiosi, bensì il cuore, l’anima. Gesù ci faccia vedere quello che siamo in realtà, ci faccia vedere l’anima come la vedremo al giudizio particolare e universale. Riconoscenza quindi al Signore, riparazione e donazione totale della nostra vita a Gesù. Ricordiamoci che presto ci troveremo al giudizio di Dio: che cosa vorremo aver fatto allora? Rinnoviamo la nostra professione.

II. Carità fraterna

In questa meditazione chiediamo al Signore la carità fraterna. Il primo comandamento è questo: «Amerai il Signore, con tutto il cuore, con tutta la volontà, con tutte le forze»3. Questo vorrebbe dire: essere perfette Paoline, amare il Signore con tutta la mente..., ecc. Vi è poi un secondo comandamento che è simile al primo: «Amerai il prossimo tuo come te stesso»4. E Gesù lo spiegò al dottore della legge che lo aveva interrogato. L’amor del prossimo non è un sentimento o una parola, tutt’altro! Gesù si spiegò narrando tutta la parabola del buon samaritano, proprio del samaritano che per gli ebrei era un essere disprezzato e degno di compassione e di odio. Questi si avvicinò al ferito, abbandonato dai ladri, trascurato dal sacerdote e dal levita, lo fasciò, lo medicò, lo ristorò, lo portò all’albergo e ne fece aver cura dall’oste. Gesù domandò al dottore: «Chi ti sembra sia stato il prossimo...? E conchiuse: Va’ e fa’ anche tu lo stesso»5. Ama il prossimo chi si avvicina al prossimo, e non chi gli sta lontano, e gli fa del bene. Negli Esercizi ultimi, fatti a Galloro6, si parlò molto della carità fraterna. Voler bene non è voler bene a noi, ma agli altri. «Se noi vogliamo bene solo a chi ci ha fatto del bene, in che cosa saremo migliori dei pagani? Fate del bene a coloro che vi odiano»7. È ben diverso cercare il nostro bene, dal cercare il bene altrui.
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Vi è la carità che è benevolenza, ossia voler bene. Dice S. Agostino: Se tu dici: io amo i tordi, uccelli che hanno la carne fine, ma perché li ami? Perché sono gustosi. E allora li ami per loro o per te? Ami te e non loro. Quando vogliamo bene solo perché quella è graziosa, è compiacente, ecc., non vogliamo bene alle sorelle, ma a noi. Quando fai molti complimenti a chi ti fa un’offerta, forse vuoi più bene alla sua borsa che alla persona in sé. Quando cerchi il tuo solo vantaggio, allora tu ami te stessa e hai dell’egoismo. La maestra che educa le sue scolare fa del bene, la suora che compie il suo apostolato fa del bene, ma se lo facesse per vanità e per distinguersi, allora vorrebbe bene solo a se stessa. Voler bene alle sorelle, cioè desiderare loro del bene, fare loro il bene possibile; per esempio: pregare, dare buon esempio, aiutare nel lavoro di apostolato. A volte anche una sgridata è voler bene.
Vi è poi l’amore di compiacenza. Bisogna che in comunità ci sia unione e che piaccia stare insieme, vivere in comunità. Vivere in comunità significa voler bene. Molte volte non tutte possono essere con le altre in tutte le ricreazioni, ma per quanto è possibile stare volentieri con tutte, prendere parte alle loro gioie. Padre Lombardi8 aveva detto: Maledico i criticoni e i mormoratori!. Noi vogliamo maledire le critiche e le mormorazioni. Al giudizio universale Gesù dirà: «Avevo sete e mi deste da bere, avevo fame e mi deste da mangiare, ecc.»9 e al contrario, quando facciamo del male al fratello, lo facciamo a Gesù. Gesù ama più la carità fraterna che non la Comunione. Ama più l’offerta del nostro cuore che non i doni materiali. Ecco la gran cosa: voler bene. In comunità sacrificare qualcosa per favorire la carità, rinunciare a qualche comodità... Cosa vuol dire: essere gentili magari con gli esterni e rudi con gli interni? A quelli cui ci siamo legati in comunità dobbiamo bontà e carità. Voler bene a quelli che sono in Cina è più facile, ma voler bene a quelli coi quali si convive tutti i giorni non è facile. Quando pretendiamo tutto per il nostro gusto e le nostre comodità,
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sacrifichiamo gli altri al nostro idolo, al nostro egoismo. La carità si compiace del bene che fanno gli altri, o perché hanno salute o perché sono sante o sono ben volute, ecc. Rallegrarsi del bene delle sorelle, il rattristarsene è cattivo segno. Se nelle comunità ci fosse questa carità, la vita religiosa sarebbe come un’anticamera del paradiso, non ancora il paradiso, ma l’anticamera. Alle volte delle piccole cose guastano tutto: basta una goccia di veleno a guastare tutta una pietanza. Noi tante volte pretendiamo che gli altri siano benevoli, compiacenti, ma noi, da parte nostra, come siamo? Cerchiamo di sopportare con pazienza e non facciamo pesare i nostri difetti sulle altre. E tacere, e dissimulare e fare un sorriso a chi ci ha fatto dispiacere e pregare per chi ci ha disgustati e offesi. La carità è di grande importanza; noi non sappiamo quanto siamo pesanti sugli altri, quanto ci devono sopportare e quanto facciamo soffrire. E se gli altri ci esprimessero quello che sentono di noi? Alle volte in una casa entra una sorella di buon carattere, piena di carità per aggiustare tutto; alle volte invece capita il contrario: vi sono alcune che sono come il riccio, non sono mai contente e ogni giorno c’è qualche cosa che non va. Se tu fossi un eremita del deserto, allora sarebbe altra cosa, ma se sei chiamata alla vita di comunità, devi vivere la vita di famiglia religiosa.
L’apostolato è tutto esercizio di carità, ma bisogna farlo con generosità e amore. Vedete quanto bene potete fare con il vostro apostolato! Se ci pensaste di più, quanto maggior entusiasmo avreste! A ben pochi il Signore ha dato le grazie di cui siamo state arricchite noi! Su questo punto si è predicato tanto e poi tanto, ma credo che non basti, fino a tanto che non lo mettiamo in pratica. «Questo è il mio comandamento: che vi amiate come io ho amato voi»10. E quanto? E Gesù quanto ci ha amato? Fino a sacrificarsi per noi sulla croce. «Gesù mi amò e si immolò per me!»11. Vediamo un po’ se nella nostra vita quotidiana possiamo fare questo bene. Si diceva: Entra una figlia in un istituto e le si insegnano tante cose: a camminare, a fare
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questo e quello... e non si raccomanda abbastanza la carità. Insegniamo ed esigiamo la carità; quando vi è questa, le case cammineranno meglio e vi sarà una santa letizia e una santa gara per fare il bene. Anche il cibo migliore si guasta quando vi si mescola anche una sola goccia di veleno. Esaminiamoci bene sulla carità.

III. Migliorare prima noi stessi

Si parla tanto di questo: un mondo migliore e gli Esercizi che ho fatto erano indirizzati a questo. Ma, si pensa agli altri o a noi? Si migliorano gli altri, se miglioreremo noi. Faremo del bene, se saremo buoni noi. La Chiesa oggi ha tanti bisogni e vi sono tante pene. Quando uscì l’enciclica12 del Papa Pio XI13 avevo detto: Mettiamo l’intenzione che nella Chiesa si possa continuare, ossia riprendere il Concilio Vaticano14. Noi siamo regolati ancora dal Concilio di Trento15; ma da allora, delle cose nuove e dei nuovi bisogni ne sono usciti tanti. Abbiamo bisogno che il Concilio Vaticano si riprenda: esso fu interrotto nel 1870, quando i piemontesi marciarono su Roma e tutti i cardinali se ne tornarono alle loro sedi per non trovarsi a mal partito in mezzo a lotte politiche. Da allora non fu più ripreso. Noi mettiamo nelle nostre preghiere anche questa intenzione, che venga ripreso al più presto.
Ma in pratica per noi, se vogliamo rinnovare il mondo e le anime, bisogna che siamo buoni noi: chi scrive, chi fa il cinema, ecc. Ma perché l’apostolato esteriore possa fare del bene ci vuole prima quello interiore della pietà, del buon esempio, della
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parola, della scuola, della penna, ecc.: tutti possiamo fare apostolato! Quando Gesù lavorava al banco di falegname e sudava, quel sudore redimeva ugualmente il mondo come il sudore di sangue, e quando aveva le mani callose redimeva come quando le aveva traforate dai chiodi. Tutto quello che fate nella giornata, dalla zappa alla penna, tutto può far del bene. Non c’è da dire che quel fraticello che fa i lavori più umili non possa essere più santo di un prete dotto. Ci diamo a questa impresa della nostra santificazione? In questo luogo, ove vi può essere una santa solitudine, come è più facile attingere dal tabernacolo, dalla sacra Scrittura! S. Giovanni capiva il Vangelo di amore posando il capo sul petto adorabile di Gesù. Posate spesso il capo sul petto adorabile di Gesù: attingerete amore, sapienza e consolazione. Sappiamo trovare le consolazioni di Dio, non quelle degli uomini! Non manca a voi la scienza, ma vi è bisogno di saperla gustare, elaborare, vivere, e questo vi verrà se poserete spesso la vostra testa sul cuore di Gesù, nella Eucaristia. E se voi compite bene l’opera che fate adesso, il Signore vi darà altro. Delle vie se ne aprono tante e chi fa bene una cosa, potrà passare ad altro.
Oggi constatiamo il bene che fa la suora in mezzo al mondo. Negli Stati Uniti d’America il cattolicesimo ha fatto molto progresso e questo specialmente per merito delle suore. La suora dev’essere come l’angelo in mezzo al mondo. Per migliorare il mondo bisogna che cerchiamo di moltiplicare le vocazioni a tutti gli apostolati, dopo aver prima migliorato noi stessi. La carità è il miglioramento principale, perché l’amore a Dio non può sussistere senza l’amore del prossimo. Negli Esercizi a cui ho partecipato ci avranno parlato per dodici ore della carità: tutti i giorni una predica di oltre un’ora. «Diligite inimicos vestros»16.
Come deve essere questa carità? È sempre bene tener presenti i caratteri della carità. Scriverli soprattutto nel cuore. Man mano che passano gli anni progredire sempre più nella carità. Volersi bene, volersi bene, volersi bene! Prima di tutto non offendersi, niente mormorazione, niente bisticci, niente critiche.
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Dove c’è la carità, c’è Dio. Ci siamo raccolti insieme nella Congregazione, per amore. La Congregazione è una famiglia costituita dalla carità e vogliamo arrivare al regno della carità che è il paradiso. Niente rancori, niente invidie, niente calunnie, niente gelosie, niente maldicenze... Come potremo amare Dio se non amiamo i fratelli? «Chi dice di amar Dio e non ama i fratelli è bugiardo»17.
Carità nei pensieri, nei sentimenti, nelle parole, nelle opere. Pensare conforme a carità e cioè pensare bene, avere pensieri di bontà e di pace. «Ego cogito cogitationes pacis et non afflictionis»18. E se una è scoraggiata, dobbiamo ancora dare uno spintone per farla andare a terra? «Non spegnere il lucignolo fumigante»19. Gesù ha sempre bontà, ma anche i richiami forti sono bontà. Scusare nella nostra mente anche il male, almeno nelle intenzioni. Niente giudizi temerari infondati. Ci farebbe piacere sapere che gli altri pensano male di noi? «Fate agli altri quello che ragionevolmente vorreste fatto a voi stessi e non fate agli altri quello che ragionevolmente non vorreste fatto a voi stessi»20. Oggi a disputare coi cattivi non si guadagna niente. La migliore apologia della fede è oggi costituita dalla bontà e dalle opere di carità. E chi si avvicina se ne innamora.
Carità di sentimenti: desiderare il bene e pregare per le sorelle. Portare sempre nel cuore quel miliardo e più, di infedeli che non conoscono Dio, pregare per tutti e desiderare il bene a tutti. Mai spirito di vendetta, mai quel carattere di sempre contraddire e sempre veder brutto. Sappiamo vedere negli altri le buone qualità: non vedere solo i difetti negli altri e le buone qualità in noi: alle volte abbiamo molte pretese dagli altri e intanto non facciamo bene noi. Una volta ci si batteva tanto contro quelli che ammettevano troppo presto i bambini alla prima Comunione, perché non sapevano fare un lungo ringraziamento e presto si divagavano, ma un prete di buon spirito fece osservare:
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E noi, preti, li facciamo bene i nostri ringraziamenti? Da un bambino il Signore esigerà solo un ringraziamento da bambino, ma da noi adulti pretende, con ragione, molto di più.
Non esigere dagli altri quello che non facciamo neppure noi. Diamo del lavoro, insegniamo a lavorare, facciamo fare: questa è grande carità. Se io avessi pensato solo a me e mi fossi fatto editore, a quest’ora l’edizione sarebbe molto più avanti; ma, e le anime?
Carità nelle parole. Parlar bene di tutti. Perché raccontare solo i difetti degli altri? Cerchiamo di riportare e far circolare solo il bene, solo ciò che è edificante e non ciò che distrugge e abbassa il livello morale. Parlar bene, anche nel tratto, nel modo; non chiassose da rendersi pesanti, ma buone.
Carità nelle opere: quelle di misericordia e, quindi, il buon esempio, l’incoraggiare, consigliare, aiutare, consolare..., ecc. C’era una mamma di famiglia a cui morì un figlio: mi fece vedere il libro di preghiere che portava con sé, e vi era scritto in una pagina bianca: Un bicchiere di scienza, un barile di pazienza e un mare di bontà21. Quando una ha carità, mi pare che non debba neppure fare il purgatorio: la carità è superiore all’atto eroico di carità22. Chi osserva la carità quotidianamente si cancella il purgatorio con gli atti di pazienza che deve fare e le mortificazioni piccole e grandi quasi continue. «La carità copre la moltitudine dei peccati»23.
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* Ritiro mensile. Tre meditazioni, in dattiloscritto, carta vergata, fogli 5 (22x27,5), inchiostro rosso, tenute a Grottaferrata alle Figlie di San Paolo, il 5.2.1954.

1 Cf Mt 26,39: «Non come voglio io…».

2 «Patire ed essere disprezzato per te». Cf Imitazione di Cristo, II, I, 2.

3 Cf Lc 10,27.

4 Ibid.

5 Cf Lc 10,30-37.

6 Località a circa 30 km da Roma.

7 Cf Mt 5,46-47.

8 P. Lombardi Riccardo sj (1908-1979), fondatore del movimento “Per un mondo migliore” (1950), molto incoraggiato dal papa Pio XII.

9 Cf Mt 25,35.

10 Cf Gv 15,12.

11 Cf Gal 2,20.

12 Cf lettera enciclica Ubi arcano, 23 dicembre 1922, AAS 15 (1923), in Enchiridion delle encicliche, EDB, vol. 5, n. 42.

13 Pio XI, Achille Ratti (1857-1939), papa dal 1922. Il suo pontificato fu caratterizzato dal rifiorire dell’apostolato missionario e dei laici nell’Azione Cattolica. Favorì relazioni diplomatiche con vari Stati e nel 1929 pose fine alla Questione romana stipulando con il governo italiano il Concordato e i Patti Lateranensi.

14 Il Concilio Vaticano I ebbe inizio l’8 dicembre 1869 e fu interrotto con l’ingresso delle truppe italiane in Roma il 20 settembre 1870. Questa data segnò la fine del potere temporale della Chiesa.

15 Concilio di Trento: 13 dicembre 1545 - 4 dicembre 1563.

16 Cf Mt 5,44: «Amate i vostri nemici».

17 Cf 1Gv 4,20.

18 Cf Ger 29,11: «Io conosco i progetti che ho fatto, …progetti di pace e non di sventura».

19 Cf Mt 12,20.

20 Cf Mt 7,12; Lc 6,31.

21 Sentenza propria di S. Francesco di Sales (1567-1622), vescovo di Ginevra, Dottore della Chiesa. Suoi capolavori: Introduzione alla vita devota o Filotea e Trattato dell’amore di Dio o Teotimo. Insieme a S. Giovanna Francesca di Chantal fondò l’ordine della Visitazione.

22 Cf Le preghiere della Famiglia Paolina, ed. 1996, p. 129.

23 Cf 1Pt 4,8.