Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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11. LA CARITÀ FRATERNA *


I. [Amare il prossimo come se stessi]

In questo tempo, diverse volte ho parlato nei reparti della carità. Qualche tempo fa il San Paolo1 era dedicato specialmente ad illustrare, spiegare la coscienza sociale2. Quest’oggi penso sia bene fermarsi con maggiore attenzione sulla carità e ricavare questo frutto dal nostro ritiro mensile: Poenitentia mea maxima charitas, in questa Quaresima la nostra massima penitenza sia la pratica della carità. E parliamo della carità fraterna secondo lo spirito delle Costituzioni.
Ricordando che stiamo qui alla presenza del Maestro divino, egli, interrogato quale fosse il massimo e primo comandamento, rispose: «Amerai il Signore Dio tuo con tutta la mente, tutte le forze, tutto il cuore»3. Sottolineare bene tutto: tutta la mente, tutte le forze, tutto il cuore. Questo era il precetto della Legge antica che Gesù confermava con la sua autorità nella Legge nuova. Gesù però ci ha dato un comandamento nuovo: «Mandatum novum do vobis»4. «Hoc est praeceptum meum ut diligatis invicem: Questo è il mio comandamento che vi amiate l’un l’altro vicendevolmente»5. Quindi al dottore della legge che voleva soltanto sapere quale era il primo comandamento, Gesù disse che ve n’era ancora un altro simile al primo: «Amerai il prossimo tuo come te stesso»6. Come te stesso che significa: quello che vorresti fosse fatto a te, fallo agli altri. E quello che non vorresti fatto a te, non farlo agli altri.
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E per spiegare questo secondo comandamento: «Amerai il prossimo tuo come te stesso», Gesù raccontò una parabola molto chiara. Nella parabola è detto bene in che cosa consiste l’amore al prossimo: «Un uomo da Gerusalemme scendeva a Gerico, e incappò nei briganti, i quali lo spogliarono e, feritolo, se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. Or accadde che un sacerdote scendeva per quella stessa via e, vedutolo, passò oltre. Così pure un levita, giunto sul posto, lo vide, e passò oltre. Ma un samaritano, che era in viaggio, giunto presso di lui, lo vide e ne ebbe pietà; si avvicinò e gli fasciò le piaghe dopo di averci versato su dell’olio e del vino; poi lo mise sulla propria cavalcatura, lo portò in un albergo e si prese cura di lui. Il giorno dopo, tirò fuori due denari e li diede all’oste dicendogli: Prenditi cura di lui e tutto ciò che spenderai di più lo pagherò al mio ritorno. Quale di questi tre ti pare sia stato il prossimo di colui che incappò nei briganti? E quello rispose: Colui che gli usò misericordia. E Gesù gli disse: Va’, e fa’ anche tu lo stesso»7.
Questo si deve fare: avere compassione del fratello. Questo è il secondo comandamento: amare i fratelli. In questi giorni la Chiesa ci fa considerare Gesù crocifisso. Ecco, il Maestro dalla croce ci spiega dove sta la carità, non con una parabola, ma nella sua carne viva. Consideriamo il Maestro inchiodato mani e piedi alla croce: tutto il corpo livido e piagato, il volto imbrattato di sputi e livido per gli schiaffi, il capo incoronato di spine, il costato trapassato dalla lancia: attraverso quella ferita la lancia è andata fino al cuore del Maestro divino. E allora non ci aspettiamo più una risposta di parole: ecco, come ci ha amati Gesù! E in quale misura? Nessuno ama più di colui che dà la vita per la persona amata. E chi amò Gesù? Amò tutti. Si immolò per tutti, e in primo luogo sembrò che avesse sollecitudine per quelli che gli avevano fatto più male, che lo avevano inchiodato. Quindi, appena sollevata la croce, ecco che egli esce in quella meravigliosa preghiera: «Padre, perdona loro perché non sanno quello che essi fanno»8, che si spiega nata da un amore infinito e nuovo per gli uomini: «Praeceptum novum do vobis».
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Non un risentimento, ma bontà. In primo luogo egli che versava il suo sangue per opera dei suoi crocifissori vuole che il suo sangue si applichi ai crocifissori stessi: «Perdona loro…».
Ecco che allora noi ci addentriamo un poco a capire in che cosa consista la carità. Ma bisogna meditare, pregare che dal tabernacolo esca un raggio di luce per la nostra mente, un raggio che sia anche caldo, che Gesù ci infonda il suo amore, che Gesù ci cambi un po’ il cuore, ci dia un cuore simile al suo. Considerando il Calvario, viene spontaneo pensare alle parole di S. Paolo: «Così Iddio amò il mondo da sacrificare per gli uomini il suo diletto Figlio, l’Agnello immacolato»9. E guardando Gesù: «Dilexit me et tradidit semetipsum pro me: Mi amò e si sacrificò per me»10.
E viene anche spontaneo, contemplando il Calvario, pensare all’Addolorata Maria. Maria amò tanto gli uomini, e per essi offerse la vita di colui che era per lei più che la vita. Ci amò il Padre, ci amò il Figlio, ci amò lo Spirito Santo, ci amò la piissima Madre Maria. E perché ella seppe compiere sul Calvario l’atto più sublime del suo amore verso di noi, divenne la nostra Madre, e fu proclamata tale. [Proprio] come quando Pietro, avendo attestato il suo amore a Gesù, ricevette il mandato: «Pasci le mie pecorelle, pasci i miei agnelli»11. È l’amore che porta all’apostolato. Chi è egoista occorre che si vinca, perché nel cuore dell’egoista non entra la vocazione vera. Quante volte questa vocazione si illanguidisce, oppure non è corrisposta sufficientemente perché non si ama e l’egoismo domina il cuore! Allora l’egoista non vede altri che se [stesso] e tutti gli altri in quanto servono ai suoi interessi, ma l’apostolo è chi vuol far del bene agli altri.
E allora la carità richiede tre cose: 1) che si voglia fare del bene: benevolenza; 2) che ci sia la compiacenza; 3) esprimiamo così: concupiscenza.
Voler far del bene. Quando il prete parte dall’altare con Gesù fra le dita e porta l’Ostia [dicendo]: «Corpus Domini nostri Jesu
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Christi», ecco, fa del bene. E quando ti dà l’assoluzione, ecco che ti fa del bene. E quando il maestro ti fa scuola, ecco che ti fa del bene. Voler far del bene. Vi sono quelli che vorrebbero la carità e la illustrano come la più grande virtù, e lo è, ed è quella che rimane in eterno, ma la carità la vorrebbero tutta per sé. Come quando uno senza accorgersi loda e apprezza la pazienza, ma vorrebbe che gli altri avessero pazienza con lui, ed egli la fa esercitare. Abbiamo pazienza anche con i difetti altrui: «Charitas patiens est»12. Si dirà: Ma quella ha un certo carattere...! È un caratterino, sapesse! E tu hai un certo carattere! Tutti abbiamo il nostro carattere. Sarebbe interessante rispondere a questa domanda: Sei tu che fai soffrire più gli altri o sono gli altri che fanno soffrire più te? Quando si prega per gli altri, si fa un bene. Coloro che pregano per i peccatori, per i defunti, esercitano la carità.
Compiacersi del bene dei fratelli: se sono in salute, se sono buoni, se sono stimati.
Star volentieri con gli altri, amare la compagnia dei fratelli. Amarli: per conseguenza trattarli con bontà, vivere come fratelli in una famiglia. Ma, fratelli buoni! Quanto è diverso l’egoismo dalla carità! E quante volte la carità è solo di parole! È una vana espressione! E certe gentilezze coprono un cuore egoista.
Accenniamo adesso ad alcuni peccati contro la carità.
a) Con i pensieri. Ricordiamo, ad esempio, i farisei quando si accostavano a Gesù con intenzioni molto cattive, volevano prenderlo in parola, volevano trovare occasioni per accusarlo. E Gesù «videns cogitationes eorum»13, gli erano venuti davanti con segni di sottomissione quasi mostrando di voler essere suoi discepoli, ma nel cuore, nella mente, il loro pensiero era di trarlo in inganno, «videns cogitationes eorum», scoprì davanti a tutti i loro pensieri: «Ipocriti, disse loro, mostratemi la moneta»14. Alle volte si pensa una cosa e si mostra all’esterno un’altra, il pensiero è contrario all’atteggiamento esterno. Sincerità! O dobbiamo correggere il pensiero, perché non è giusto, o dobbiamo
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correggere l’atteggiamento. Esame sui pensieri, se contrari o conformi alla carità.
b) Si può mancare alla carità con i sentimenti interni: le invidie, le gelosie, i rancori, lo spirito di vendetta. Caino invidioso di Abele lo invita ad uscire con lui in campagna. Sembra che voglia andare con lui come a diporto, a una passeggiata, il pensiero era invece di allontanarsi da Adamo ed Eva per alzare poi il randello e ucciderlo. Sentimenti di vendetta, di invidia.
c) Si può ancora mancare alla carità in parole: quando si parla male dell’uno o dell’altro. Le mormorazioni offendono Dio e offendono il prossimo. Perché giudichi il tuo fratello?
d) Si può mancare alla carità con le opere. È necessario che nella comunità, fra tutti, si costituisca un modo di vivere elevato. Allontanare ogni grossolanità, sia nel parlare che nel trattare, nel comportamento, in ogni luogo, perché dobbiamo elevarci. Chiamati ad un apostolato così sublime, ad essere interamente votati a Gesù, occorre sentire la bellezza della vocazione, mostrare che l’apprezziamo e che nel parlare e in tutto il comportamento vogliamo avvicinarci a Dio. […]15. Non abbassarsi a certe cose, possibile che si ritenga cosa di onore e quasi motivo di orgoglio dire certe espressioni e commettere certi atti di grossolanità? Cose che indicano bassezza di sentimento e bassezza d’animo?
Soprattutto noi dobbiamo considerare il nostro apostolato come esercizio di carità per le anime. Portar loro il massimo bene, che è questo: la salvezza eterna. Quanti poveri ignoranti da istruire! Questa è la carità maggiore! Questa è la carità che dimostrò Gesù negli anni della sua vita pubblica. «Evangelizare pauperibus misit me: Il Padre mi ha mandato ad evangelizzare i poveri»16. E i poveri sono tutti quelli che non conoscono Gesù Cristo, Dio e la Chiesa, i sacramenti, i doveri cristiani.
Nella visita alle Case, una volta il superiore mi ha condotto a vedere un ospedale di bambini. E ciò che egli voleva mostrarmi era specialmente questo, dei fanciulli che per motivo di carità venivano a servire i fanciulli ammalati. Chi ci accompagnava
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ci fece notare la loro carità, e veramente in essi vi era un sentimento di umanità, di bontà, di carità. Veda come si amano, mi diceva, con quanta pazienza servono i loro compagni ammalati. E allora io ho detto: Oh, questa è cosa da ammirarsi! Ma io vi potrei mostrare una carità superiore in altri fanciulli, quella dei nostri, dei giovani che stanno nelle case di S. Paolo. Quando sono alla loro cassa17 e compongono i libri, i catechismi, i Vangeli, fanno una carità superiore che è questa: dare la verità agli ignoranti. Il nostro apostolato è apostolato di carità ma [bisogna] farlo con retta intenzione, guidati dall’amore alle anime, perché il nome di Dio sia santificato, venga il regno di Gesù Cristo e si compia la volontà del Padre in terra così perfettamente come si compie in cielo. In conclusione: esame di coscienza su questa virtù determinata, la carità, sui pensieri, sui sentimenti, e poi sulle parole e sulle opere.
Il proposito di questi quaranta giorni di Quaresima sia: «Poenitentia mea maxima, charitas».

II. [Crescere nella carità]

«Poenitentia mea maxima, charitas»: in questa Quaresima la mia massima penitenza sarà la pratica della carità fraterna.
Domani, nella Messa della feria, la Chiesa ci farà leggere la scena che avverrà il giorno del giudizio universale secondo ciò che ha annunziato il Maestro divino.
Egli ci ha detto: «Allorquando verrà il Figlio dell’uomo nella sua maestà, e con lui tutti gli angeli, allora siederà sopra il trono della sua gloria e si raduneranno dinanzi a lui tutte le nazioni, ed egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dai capretti. E metterà le pecorelle alla sua destra e i capretti alla sinistra. Allora il re dirà a quelli che saranno alla sua destra: Venite, benedetti dal Padre mio, prendete possesso del regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo, perché ebbi fame e mi deste da mangiare, ebbi sete e mi deste
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da bere, fui pellegrino e mi ospitaste, ignudo mi rivestiste, carcerato e veniste da me. Allora gli risponderanno i giusti: Signore, quando mai ti abbiamo veduto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, assetato e ti demmo da bere? Quando ti abbiamo veduto pellegrino e ti abbiamo ospitato, ignudo e ti abbiamo rivestito? E il re risponderà loro: In verità vi dico, ogni qualvolta che avete fatto qualche cosa per uno dei più piccoli di questi miei fratelli, l’avete fatto a me. Allora dirà anche a coloro che saranno alla sinistra: Via da me, maledetti, al fuoco eterno che fu preparato per il diavolo e per i suoi angeli, poiché ebbi fame e non mi deste da mangiare, ebbi sete e non mi deste da bere, ero pellegrino e non mi ospitaste, ignudo e non mi rivestiste, ammalato e carcerato e non mi visitaste. Allora gli risponderanno anche questi: Signore, quando mai ti abbiamo veduto affamato, o sitibondo, o pellegrino, o ignudo, o ammalato, o carcerato e non ti abbiamo assistito? Allora risponderà loro: In verità vi dico, ogni volta che non avete fatto ciò per ognuno di questi piccoli, non lo avete fatto nemmeno a me. E andranno questi all’eterno supplizio, i giusti invece alla vita eterna»18.
Ecco, il giudizio finale si conchiude con una sentenza in base alla pratica della carità: la condanna è per le mancanze contro la carità, e l’invito al cielo in base alla carità. Non si tratta quindi di una virtù di consiglio che è bene praticare, e tale che lasciandola, trascurandola, offendendola, non si abbia un grande danno, si tratta della salvezza eterna.
Già abbiamo visto come l’apostolato è opera di carità. Allorché siete in propaganda, o state nella tipografia componendo, brossurando, esercitate un grande ministero di carità. In ogni reparto si potrebbe scrivere: «Caritas Christi urget nos»19. È la carità di Cristo che ci sostiene, che ci fa operare, che ci sospinge.
Non si tratta solo di pane che è tanto necessario per la vita naturale, ma si tratta del pane spirituale, si tratta della salvezza eterna. Fortunati coloro che hanno l’intelligenza delle anime, delle cose divine, delle cose soprannaturali, coloro che si danno
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con generosità, nulla risparmiano e consacrano all’apostolato l’intelligenza, le forze, il cuore; lo amano, lo compiono con piena dedizione di se stessi. Vivono in carità.
Amare le anime, amare e rispettare il fratello che è immagine di Dio! È immagine di Dio più che non un crocifisso di metallo. Si tratta di persona vivente, di un’anima spirituale, ragionevole, immortale. E allora devi stare accanto a questo tuo fratello con rispetto.
Certamente vi saranno dei difetti. E chi non ne ha? Veramente ci si potrebbe domandare se sono più grandi i nostri difetti o quelli dei compagni o delle persone con cui viviamo. Quando venne accusata quella donna colta in fallo e si aspettava che Gesù pronunziasse la sentenza di condanna e di morte, egli alzò la voce, in modo da essere sentito da tutti quelli che avevano già le pietre in mano per lanciarle contro la donna peccatrice, e disse: «Chi di voi è innocente scagli la prima pietra»20.
Qualcuno ha sbagliato? Coprite con il silenzio, con il silenzio caritatevole come vorreste che fossero coperti i vostri falli.
Vedete, come Gesù rispetta la fama, la stima! Allorché noi esponiamo al confessore le nostre colpe, gli è imposto il segreto più assoluto. Gesù vuole che ci riconosciamo peccatori, che chiediamo perdono, ma che la nostra stima sia tutelata, rispettata. Il segreto! A imitazione di Gesù che rispetta tanto la persona umana, anche noi dobbiamo rispettare il fratello.
Pare che qualche volta ci sia lo spirito maligno. Lo spirito maligno si distingue per l’odio che cerca occasione per accusare, per colpire, e se qualcuno ha commesso una mancanza, ecco la si propaga... E vorresti che fosse fatto così a te? Tacere il male, finché è possibile, finché la carità non obbliga a parlarne. E mettere in vista il bene.
Non dimenticherò mai una lettera ricevuta dal Maestro Giaccardo21, quando stava in un’altra casa. Si trattava di richiamare
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una persona che non faceva bene su un punto. Egli cominciò la lettera dicendo che quella persona era intelligente, era brava in tante cose, e le enumerava. E finalmente aggiungeva in fondo: C’è un punto però, su cui dovrebbe correggersi, ed è questo.... Era giustissimo.
Prima rilevare il bene, poi si dirà ciò che ancora manca, perché la persona possa migliorare. Essere giusti! Bisogna fare giustizia per carità, e la carità non può sussistere senza la giustizia. Carità, quindi, nei pensieri, evitare i sospetti temerari, i giudizi infondati.
Tante volte occorrerebbe dire: E tu, che ne sai? Che ne sai di quello che siano i segreti di un’anima? Quante volte, anche sbagliando oggettivamente, non c’è lo sbaglio soggettivo, noi non sappiamo quale grazia abbia quell’anima, quali cognizioni.
Se Gesù scusava i crocifissori, se trovava ancora ragione per difenderli, diciamo così, innanzi all’ira del Padre, questo esempio non ci ammaestra? Quindi pensare bene di tutti. Ed essere di spirito buono. Per chi ha lo spirito buono è più facile cercare il bene negli altri che non scoprire il male. Ma tant’è: chi ha gli occhiali verdi vede tutto verde, anche ciò che è rosso o quello che è bianco.
Inoltre desiderare il bene a tutti. Desiderare che tutti si facciano santi, che siano amati, che siano in salute. Pregare per tutti. Cuori ben fatti! Quando un cuore è ben fatto, cioè ha buoni sentimenti, è facile che guadagni le anime e i cuori altrui. Per fare del bene, in primo luogo è necessario farsi amare.
Carità nelle parole! Guardarsi dallo scandalo, dal cattivo esempio, perché lo scandalo è stato colpito con parole forti da Gesù: «Piuttosto che scandalizzare un innocente, va’, legati al collo una grossa pietra e poi gettati in mare»22. È meglio che perisca uno solo che perire in due, poiché lo scandalo in primo luogo fa male a chi lo dà e in secondo luogo fa male a chi lo riceve.
Il Signore si è espresso in una maniera molto chiara, anche riguardo a un’altra cosa. Dice Gesù: «Se ti stai accostando all’altare e porti l’offerta (non dice Gesù: Metti sull’altare l’offerta)
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e lì ti ricordi che il tuo fratello ha qualche cosa contro di te, vade prius reconciliari fratri tuo: va’ prima a riconciliarti con lui»23. Il Signore vuole che noi, prima di mostrare il nostro amore a lui, dimostriamo il nostro affetto al fratello. Del resto, può forse essere perdonato chi non perdona? E può essere perdonato colui, che avendo fatto un torto, non lo ripara in qualche modo?
Vivendo in comunità noi abbiamo tante occasioni, dal mattino alla sera, di esercitare la carità. Ovunque e sempre ci sono delle occasioni: trattare il compagno con rispetto, fargli del bene quando è possibile, consolarlo nelle afflizioni, prendere parte alle sue gioie e ai suoi dolori, tutte le opere di misericordia corporali e spirituali.
Amare! Non si vive nella stessa Congregazione? E non si è fratelli in Gesù Cristo? Man mano che si va avanti, la carità èpiù necessaria. È più necessaria perché è virtù eterna. Ora, se noi vogliamo entrare in cielo, bisogna che siamo preparati. E chi è preparato? Chi ha grande carità.
Vedano anche di amarsi molto, vicendevolmente, coloro che appartengono ad un reparto speciale. La carità dev’essere ordinata, e prima deve arrivare a quelli che stanno più vicino. Sentire i bisogni degli altri, amarsi! E quest’affetto dimostrarlo anche in apostolato, in ricreazione, a tavola. Quanto è bello per chi arriva nell’Istituto trovare un ambiente accogliente, familiare, buono! La vita religiosa sostituisce la vita di famiglia, dev’essere quindi una vita di famiglia più elevata, cioè di famiglia religiosa. Un amore superiore, una carità più alta, spirituale, soprannaturale!
Non si confonda però la bontà con la bonomia, è cosa diversa. La carità dev’essere sapiente, dev’essere forte, dev’essere benigna, non deve sospettare dei fratelli, non deve invidiarli, ma ovunque aggiungere bene a bene. Pensiamo all’affetto che c’era tra i membri della sacra Famiglia, fra Gesù, Maria e Giuseppe? Noi dobbiamo modellarci sopra la sacra Famiglia.
Questa volta facciamo nel ritiro mensile un esame ben particolareggiato, e nelle nostre confessioni ricordiamo in modo
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speciale se abbiamo osservato, oppure offeso la carità. E [facciamo] un proposito fermo, costante di crescere nella carità, ma particolarmente durante il tempo di Quaresima in cui contempliamo più spesso Gesù crocifisso.
Anche nella Via Crucis chiediamo a Gesù una maggiore carità, un cuore simile al suo. Atto di carità.

[III]. La vigilanza e la mortificazione

Quaresima! E allora: «Poenitentia mea maxima, charitas».
Usare carità importa una continua vigilanza sopra di noi: sui pensieri, sui sentimenti del cuore, sulle parole e sopra le azioni. Ma la Quaresima ci fa anche ricordare il digiuno di Gesù Cristo, digiuno corporale, e anche le leggi della Chiesa e lo spirito che la Chiesa intende ravvivare [in noi] in questo tempo. Lungo l’anno la Chiesa celebra la Quaresima come un grande ritiro per i cristiani, un tempo di raccoglimento, di maggior preghiera, di più intensa vigilanza, un ritiro spirituale di quaranta giorni. Tutta la cristianità è invitata a raccogliersi e a prepararsi al grande mistero, alla festa principale dell’anno, la Pasqua. Allora riflettiamo sopra la vigilanza e la mortificazione riguardo al nostro corpo.
Ricordiamo la vicenda del corpo. Il Signore quando decise: «Faciamus hominem ad imaginem et similitudinem nostram»24, come operò? Prima aveva creato per l’uomo l’abitazione, il mondo, poi creò l’abitatore, l’uomo. Prese del fango e ne plasmò un corpo, poi con un soffio vitale gli infuse l’anima: ed ecco la persona umana. L’uomo risulta quindi di corpo fisico e di anima spirituale, ragionevole, immortale, o come si esprime un Dottore [della Chiesa]: mezza bestia e mezzo angelo. E l’uomo era creato in grazia. Il disegno di Dio era che il corpo stesse soggetto alla ragione, all’anima, allo spirito, così nell’uomo era tutto ordinato. Ma che cosa avvenne? I nostri progenitori dopo la tentazione del serpente si cibarono del frutto vietato, ed ecco che persero i doni che il Signore, per sua larghezza, aveva loro
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concessi, cioè la grazia, l’immortalità, l’integrità, la scienza, ecc. Che cosa avvenne allora nell’uomo? La ribellione del corpo alla ragione, allo spirito, perché l’uomo si era ribellato a Dio. Ed ecco le tentazioni! Da allora ci sono in noi nuove tendenze, come una legge nuova: la tendenza al male. Tre passioni specialmente troviamo in noi per parte della carne: la pigrizia, la golosità, la lussuria.
Ma se l’uomo cadde, il Signore promise il Redentore. Il Figliuolo di Dio per redimerci prese un corpo ed un’anima come abbiamo noi, soffrì dolori di spirito e pene interne durante la sua vita e particolarmente nel momento della sua passione, della sua crocifissione, della sua agonia. Chi può indovinare le pene del suo cuore, i dolori esterni [sofferti da Gesù] per la redenzione del nostro corpo? Consideriamo come viene preso, legato come un malfattore, condotto innanzi al tribunale, flagellato crudelmente, incoronato di spine; come deve caricarsi sulle spalle la croce per il viaggio al Calvario. E che viaggio doloroso! E come venne crocifisso! Inchiodato! E come restò appeso a quel legno per mezzo di pochi chiodi, per tre ore, abbeverato di fiele e mirra per la sua sete ardente! Finalmente: «Et inclinato capite emisit spiritum»25. Il corpo [di Gesù] viene deposto dalla croce e messo fra le braccia di Maria, quindi viene sepolto. Gesù risorge! Redenzione del corpo! Redenzione del corpo che doveva essere totale. Gesù è la primizia dei risorti.
Dopo risorge Maria, perché Maria più di tutte le creature santificò il suo corpo. In cielo la nostra carne è già entrata. Si può dire che quello che è fango e terra è stato spiritualizzato. Contemplare le piaghe di Gesù che in paradiso risplendono come soli. Ecco la nostra sorte! Il corpo è redento, ma le passioni continuano. Noi possiamo ristabilire l’integrità, cioè godere del frutto della redenzione del corpo, se mortifichiamo noi stessi, se preghiamo. Il corpo è ribelle, la nostra volontà disgraziatamente è diventata debole e, mentre dovrebbe essere in noi regina, è una regina detronizzata, e per la sua debolezza è sempre in pericolo di essere trascinata dal corpo, dalla passione di pigrizia o di golosità o di lussuria.
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E allora ecco la condizione in cui ci troviamo: due leggi in noi, la legge dello spirito e la legge della carne. L’uomo se asseconda la legge dello spirito diviene come un angelo [infatti diciamo]: Angelicus juvenis Aloisius: L’angelico giovane Luigi26. E anche il corpo a suo tempo sarà spiritualizzato. Ma se l’uomo invece asseconda la legge della carne, che cosa diverrà? «Animalis homo: l’uomo animale»27, come si esprime la Scrittura.
Ecco la nostra condizione. Il corpo intanto, in penitenza delle sue ribellioni, dopo la morte discenderà nel sepolcro, privo di vita e privo di attività. La morte toglie, distrugge quell’unione che doveva esistere tra l’anima e il corpo: non vi è più l’uomo, ma due elementi separati. E il corpo, disceso nel sepolcro, subirà tutte le conseguenze della morte: «Sei polvere, devi ritornare in polvere»28.
E noi accettiamo il disfacimento del nostro organismo, del nostro corpo in soddisfazione della nostra pigrizia, della lussuria e della golosità. È giusto quello che ha pronunziato il Signore, è giusta la sua sentenza: «Nel giorno in cui disubbidirete, morrete»29, abbiamo peccato, sentiamo la pena, e non soltanto del peccato di Adamo, ma anche dei peccati personali. Ma il corpo è destinato a risorgere. Ed ecco che verrà un giorno in cui gli angeli per volontà di Dio intimeranno agli uomini: «Sorgete! Venite al giudizio!»30. E allora: «Omnes quidem resurgemus sed non omnes quidem immutabimur: Risorgeremo tutti, ma non tutti cambiati»31, [ci saranno] due specie di corpi, quelli che risorgeranno con un corpo glorioso, ornato delle doti del corpo di Gesù Cristo, delle doti del corpo di Maria assunta in cielo. Risorgerà il corpo dei buoni: impassibile, risplendente,
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leggero, come spiritualizzato, e sarà segnato dai meriti e dalle virtù praticate in vita. E i corpi dei cattivi? Saranno corpi fetenti, corpi che risorgono per patire, cioè per essere arsi nell’inferno: «Non omnes immutabimur», corpi che subiranno come una continua morte, senza morire, segnati dalle colpe commesse in vita.
Chi ama il suo corpo, e chi è che odia il suo corpo? Chi odia il suo corpo lo salva. [Sono] carnefici del proprio corpo coloro che gli preparano eterni supplizi dopo averlo accontentato, custodi santi del loro corpo coloro che gli preparano gli eterni gaudi. Anima e corpo insieme hanno meritato, quindi avranno insieme il premio: se tu vieni a pregare, vieni anche con il corpo. Il Signore vuole premiare la persona umana, tutto l’uomo, anima e corpo. Gesù benedetto li ha santificati. Noi siamo stati lavati con l’acqua battesimale, siamo stati unti con l’olio della Cresima, abbiamo toccato con la nostra lingua il corpo di Gesù Cristo stesso, e l’ultima santificazione e consacrazione del corpo avverrà quando il sacerdote, come speriamo, ungerà i nostri sensi: Per questa santa unzione e per la sua piissima misericordia il Signore ti perdoni quello che hai commesso con gli occhi, con l’udito, con l’odorato, con la lingua, con il gusto, con il tatto32.
E come santificare il corpo?
1) È necessario riporre la volontà, regina, sul suo trono, cioè che noi, aiutati dalla divina grazia, possiamo comandare al corpo, trattarlo come un buon figliuolo, ma non mettergli mai in mano l’arma per uccidere l’anima. Un figliuolo da trattare bene, in quanto lo si cura per la salute, gli si dà riposo, il necessario cibo, il necessario sollievo, ma un corpo che può tradirci da un momento all’altro. La volontà stia sempre sul suo trono, domini gli occhi e domini l’udito, domini la lingua e domini il tatto. Santificare il corpo, questa è la prima cosa, è la legge dello spirito.
Notiamo: Eva ha mancato, ed aveva tanta grazia; noi dobbiamo pregare perché siamo più deboli di Eva, pregare di più.
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La redenzione del corpo deve riportarci all’integrità che è stata persa e che attualmente non abbiamo più, ma che la grazia può ristabilire. E la grazia ci è offerta specialmente con sante Comunioni, quando Gesù viene a contatto con noi, riceviamo il corpo, il sangue, il cuore di Gesù Cristo.
2) Con la legge della mortificazione. Mortificazione nel compimento dei nostri doveri quotidiani: studio: studiamo! Apostolato: lavoriamo! Preghiera: preghiamo! Ricreazione: non stare oziosi, in attività! E se abbiamo quelle cattive tendenze: alla pigrizia, alla lussuria e alla golosità, freniamole. Vivere da persone ragionevoli, non lasciar comandare la natura irragionevole, vivere da cristiani, cioè come Gesù Cristo, e vivere da religiosi, secondo i tre voti, riferendoci specialmente nella Quaresima al voto di castità e di povertà.
Vivere e sempre più tendere a quella vita che ci fa come angeli sulla terra: «Chi siete stati a vedere?»33. Non degli uomini, semplicemente uomini, ma degli uomini che conducono vita angelica.
La mortificazione! È importante poi che noi educhiamo tutti, non solo i nostri aspiranti, le nostre aspiranti, ma che educhiamo tutti a vivere secondo lo spirito. [Mortificazione], cioè nei libri e nei periodici, in tutto il nostro apostolato, e ricordare sempre che vi sono due leggi, ma che deve prevalere la legge dello spirito.
Ora noi potremo fare l’esame con tre domande:
a) In noi la volontà è regina? Oppure è una facoltà che non compie il suo ufficio? Viviamo cioè secondo la legge dello spirito?
b) Sappiamo mortificarci nelle tre passioni che specialmente si riferiscono al corpo, alla carne (concupiscentia carnis)?
c) Esercitiamo il nostro corpo al lavoro, alla fatica? Dominiamo le nostre passioni, specialmente governiamo bene i sensi?
Chiedere al Signore nella Messa la grazia di saper dominare noi stessi. Questo periodo di Quaresima dovrebbe servire
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come una ginnastica per rinforzare lo spirito: preghiera più intensa e, nello stesso tempo, con atti ripetuti, acquistare l’abito, il dominio della volontà in tutto. E non compiere atti che non siano passati prima al giudizio della coscienza, della ragione: Questo, è da farsi o non è da farsi?
Allora, la Quaresima porterà grandi frutti in noi: ristabilire il dominio della volontà e amare di vero amore il corpo. Che se poi il Signore permette qualche dolore, qualche infermità, accettiamola e offriamola al Signore come penitenza dei nostri peccati.
Atto di dolore.
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* Ritiro, tenuto alla FP, il 7-8 marzo 1954, a Roma, registrato (1.a med. in A6/an 2a, ac 3b; 2.a med. in A6/an 2b, ac 4a; 3.a med. in A6/an 2b, ac 4b). Stampato in opuscolo di 20 pagine, FSP, Roma 13.3.1954. Si ritiene come originale lo stampato.

1 San Paolo, bollettino interno della Società San Paolo, iniziato da Don Alberione nel 1926. Cf Damino A., Bibliografia di Don Giacomo Alberione, EAS, Roma 1994, p. 263.

2 Cf Regina Apostolorum, 11(1953)1-7.

3 Cf Lc 10,27.

4 Cf Gv 13,34: «Vi do un comandamento nuovo…».

5 Cf Gv 15,12.

6 Cf Lc 10,27.

7 Cf Lc 10,29-37.

8 Cf Lc 23,34.

9 Cf Ef 5,2; Gv 3,16.

10 Cf Gal 2,20.

11 Cf Gv 21,15-17.

12 Cf 1Cor 13,4: «La carità è paziente».

13 Cf Mt 22,18: «…conoscendo la loro malizia».

14 Cf Mt 22,19.

15 Originale: “E coloro i quali devono compiere un altro ufficio”.

16 Cf Lc 4,18.

17 Termine del linguaggio tipografico. Quando la composizione del testo era fatta a mano, i caratteri di piombo dell’alfabeto erano disposti in una “cassa” di legno, suddivisa in vari scompartimenti.

18 Cf Mt 25,31-46.

19 Cf 2Cor 5,14: «L’amore del Cristo ci spinge».

20 Cf Gv 8,7.

21 Beato Giaccardo Giuseppe Timoteo, nato a Narzole (Cuneo) il 13 giugno 1896. Primo sacerdote della Società San Paolo, fedelissimo collaboratore del Fondatore, vicario generale e fondatore della Casa paolina di Roma. Muore a Roma il 24 gennaio 1948. Beatificato da papa Giovanni Paolo II il 22 ottobre 1989.

22 Cf Mt 18,6.

23 Cf Mt 5,23-24.

24 Cf Gen 1,26: «Facciamo l’uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza».

25 Cf Gv 19,30: «E, chinato il capo, spirò».

26 S. Luigi Gonzaga (1568-1591). Entrato nella Compagnia di Gesù a Roma, durante la peste del 1590, nell’esercizio della carità, contrasse il morbo che lo portò alla morte.

27 Cf 1Cor 15,46.

28 Parole che il sacerdote, il mercoledì delle Ceneri, pronunzia imponendo le ceneri sul capo dei fedeli che si apprestano a celebrare con lui la Messa che dà inizio alla Quaresima.

29 Cf Gen 3,3.

30 Cf Mt 13,49.

31 Cf 1Cor 15,51.

32 Cf Rituale romano. Rito per l’unzione degli infermi.

33 Cf Mt 11,7.