Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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10. LAVORO E SANTIFICAZIONE DEL CORPO *


Il Papa nella Costituzione [Sponsa Christi] che, abbiamo ricordato ieri, dice: «Il lavoro è norma e legge fondamentale della vita religiosa fin dalle sue origini, secondo il motto prega e lavora. E senza dubbio, le norme disciplinari della vita monastica, in gran parte furono stabilite per comandare, ordinare ed eseguire il lavoro»1. Certo, vi sono da rettificare alcune idee, alcuni pensieri specialmente su questo: la vita religiosa è un mezzo otium2, si restringe alla pietà e il riposo eterno del paradiso è quasi un dormire per tutta l’eternità.
Il riposo del cielo non è andare a letto e marcire in un letto, riposo significa cessare le opere presenti e cominciarne delle altre perfette e sante che durano per tutta l’eternità, opere che mentre rendono l’uomo felice procurano una maggior gloria, una gloria eterna a Dio. Questa abitudine di dipingere sempre gli angeli e i santi solo in preghiera ha creato una mentalità non giusta. Il paradiso non è una semplice contemplazione, è un servizio a Dio, eterno, più perfetto. È un conoscere Dio, contemplarlo, ma nello stesso tempo è un servire, un amare come sulla terra. Siamo creati per conoscere, servire, amare il Signore. Conoscere, quindi contemplare e servire, quindi adempiere i comandi, le disposizioni che avremo lassù ed amare, aderire pienamente a lui come sommo bene. Tutto questo sulla terra è pesante e in paradiso è letificante. Se Adamo non avesse peccato noi avremmo lavorato, ma il lavoro per noi non sarebbe stato pesante, non una fatica. Noi però con la redenzione compiuta da Gesù Cristo, se sulla terra abbiamo la fatica, lassù non l’avremo
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più. Sarà tutto letificante, mai ozio. Dio è atto purissimo, sempre in atto.
Il corpo si può sconsacrare con tre peccati; il nostro corpo è consacrato a Dio: l’acqua battesimale lo ha consacrato a Dio, la Cresima lo ha consacrato a Dio, il contatto con le carni di Cristo lo consacra a Dio; la professione religiosa rende Dio possessore di noi, libero dispositore e ordinatore di tutto quello che vuole e rende la nostra anima schiava dell’amore di Dio. La sposa dei Cantici ci spiega da una parte l’opera che l’anima deve compiere per essere sempre di Dio, e dall’altra l’opera di Dio sull’anima che è sua. Quando sarà compita la redenzione noi saremo in cielo, perché ora la redenzione è compiuta in Cristo, cioè con la sua passione e morte, ma non è completa in noi, si applica in noi poco per volta. Il corpo andrà al sepolcro, ma dovrà risuscitare, e allora anche il corpo avrà la sua piena redenzione, ed ecco che non avremo più la fatica come non l’avevamo nel paradiso terrestre dove si lavorava senza fatica. In pena del peccato il Signore ha aggiunto la fatica. Adesso questa fatica ci stanca e Gesù Cristo stesso ha voluto assoggettarvisi, ha faticato, ha sofferto.
È questo che beatifica: il contemplare Dio, il servire Dio, l’amare Dio in eterno. E questo appartiene a tutti i cristiani, ma specialmente alle religiose, ai religiosi.
Dove si è pervertita l’idea della vita religiosa? Nel fare nulla. Credevano alcuni che i monaci del deserto e poi susseguentemente gli altri religiosi come gli Agostiniani, i Basiliani, non lavorassero. Purtroppo la vita religiosa in alcuni si era pervertita: oltre quelle pratiche di pietà fatte come erano fatte, lungo il giorno bighellonavano e si facevano mantenere dalla pubblica carità. Questo, no. Si mantengono [con la carità] i bambini, gli orfani, i vecchi, i disgraziati che non possono provvedere a sé, ma ognuno [deve] mettere al servizio di Dio tutti i talenti e le forze.
Perciò nasce l’obbligo di conservare la salute quanto meglio si può, quindi vigilare per non cadere facilmente nelle malattie, saperle prevenire quando è possibile e poi, se vengono, curarle ma senza avere la preoccupazione continua di ammalarsi e la preoccupazione di ricorrere a questo o a quell’altro
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rimedio e di consultare tanti medici, e tante volte vi è perfino l’eccesso di avere la mania delle operazioni. Per quanto è possibile la vergine non si faccia mettere le mani addosso, ma quando è voluto dal Signore lasci fare [al medico]. Così bisogna fare la pulizia [al corpo], e tutto quello che riguarda la pulizia farlo come se puliste la pisside che dopo dovrà contenere il corpo di Gesù Cristo: pulire il vostro corpo che domani dovrà ricevere Gesù, come avrebbe fatto Maria.
Essere sempre elevati e nobili anche se la carne è carne e la carne tradisce. Sapere che in paradiso le vergini avranno un grande onore, risplenderanno appunto per la loro purezza, le vergini prudenti [però], perché non tutte le vergini entreranno in cielo. Occorre che ciascuna faccia quello che dice S. Paolo che si esprime così: «Ognuno sappia custodire il suo vaso in onore»3. Il vaso dell’anima è il corpo. Custodire con delicatezza gli occhi, l’udito, la lingua e il tatto, il gusto, l’odorato; saper custodire il vaso in onore perché è di Gesù: il tuo corpo che non è tuo, e che è di Dio.
Ho detto che [il corpo] si sconsacra con tre sorta di peccati: i peccati di lussuria o impurità, poi la golosità e la pigrizia. Già voi capite, quindi non sto a spiegare la parola lussuria, ciascuno comprende e sa evitare le occasioni e custodire se stessa. Se però qualcuno per ingenuità o per imprudenza commettesse qualche piccolo sbaglio, chi è vicino l’avverta. Non si abbia paura di avvertire, fra i doveri della carità c’è la correzione. Non si pensi che ci sia malizia, ma ingenuità o per imprudenza e magari per zelo. Si devono alle volte lasciare tante opere di zelo perché in primo luogo la suora deve custodire se stessa.
In secondo luogo l’altro peccato è la golosità. Vi sono delle persone che sanno conoscersi e sanno guidarsi. Non che non diventiamo mai malati, perché il nostro corpo è corruttibile e cresceranno sempre i malanni finché arriva l’ultimo, il quale porta alla morte perché, come un abito, per quanto lo si conservi bene, va alla fine. Il corpo è materia, quindi come tutte le cose materiali va alla fine, sebbene uno cerchi di conservarlo con diligenza. Va alla fine, quindi ognuna rifletta su se stessa
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negli esami di coscienza: Come mi regolo con il corpo? So guardarmi dall’avere certe premure perché: dopo non starai bene? So prendere il cibo e il riposo in quella misura che non è solo sufficiente né sovrabbondante? Bisogna che ognuna sappia conoscere se stessa e sappia astenersi da cose che non sono adatte per la sua salute.
Vi sono poi cose in cui la suora diligente deve essere vigilante, perché questo è amore di Dio. Diligenza onde le forze durino più lungamente. L’ozio non è solo padre dei vizi, ma è padre di infiniti malanni. Quindi avere tanta prudenza! Conoscere la nostra bestia, perché l’uomo è mezza bestia e mezzo angelo. Ma chi è che deve comandare, la mezza bestia o il mezzo angelo? È il mezzo angelo. E tra la mezza bestia e il mezzo angelo c’è la natura umana. Così le azioni, anche il mangiare, è della persona, è un mangiare umano, non come bestie che ingoiano senza moderazione, ecc.
Dunque, sapersi regolare nel vitto e d’altra parte [osservare] le norme di igiene che vi dicono: prendere [il cibo] e masticare bene, mai saziarsi del tutto, ma conservare sempre un briciolo di appetito anche dopo la tavola. Saper accettare a tempo e luogo quelle cose che a volte piacciono o sono contrarie al gusto. S. Francesco di Sales dice nella Filotea: È molto più perfetto colui che prende quello che viene dato, di tutto un po’, senza distinzione, che non colui il quale si impone una mortificazione, per esempio della frutta4. «Mangiate quello che vi portano»5, lo dice anche Gesù; e se Gesù ha parlato così è più perfetto fare la vita comune, perché oltre che rinunziare al gusto, si rinunzia anche a scegliere. È più religiosa quella persona: rinunzia a scegliere, lascia che scelga la cuoca e fa l’obbedienza. Vi sono delle cuoche che quando si tratta [di servire] la superiora non hanno nessun limite e allora, a volte, bisogna rimandare indietro; ma non è perché uno non voglia scegliere o non voglia obbedire alla cuoca, ma è la cuoca che comanda male. Bisogna che ci diamo buon esempio. Eh... me l’hanno data, me l’hanno portata. No, siamo fatte
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per [mettere in comune], per ricevere tante cose e per distribuirle passandole da una mano all’altra.
Seconda cosa per non sconsacrare il corpo e santificare il corpo, una buona regola è: prendere i cibi e conservare le forze per il lavoro. E se una, subito dopo il cibo, non può fare certe cose, non le faccia, non deve rovinarsi la salute, si riposi e poi torni con più intensità alle sue occupazioni, [perché] la digestione richiede un certo tempo affinché il cibo faccia il suo corso completo. Bisogna dire così: sapersi mantenere in salute. Perché? Perché una persona farebbe peccato se prendesse un biglietto da mille dandogli fuoco o prendesse un biglietto da diecimila per bruciarlo così per vedere il fumo che fa, tanto più farebbe peccato se spreca la salute. Quindi, la giusta cura! Fate come farebbe Maria che ebbe cura moderata e saggia della sua salute e poté così compiere tutta la missione che Dio le aveva dato: non fare solo la Madre di Gesù, ma la Madre della Chiesa nascente. Così anche voi, [fate anche voi] perché possiate compiere tutti i disegni che Iddio ebbe sopra di voi creandovi e nel darvi la vocazione, finché possiate dire: «Ho finito il mio cammino: Cursum consummavi»6.
Terza cosa: la pigrizia. La pigrizia come si manifesta? Dormire soverchiamente. Vedete, bisogna moderare il riposo e prenderlo in quella misura che ristora le forze: da una parte il sonno elimina gli acidi che si accumulano con la fatica e dall’altra nel riposo si assorbe, per mezzo della respirazione, l’ossigeno che darà le forze per riprendere il lavoro.
Il lavoro è necessario, in quale quantità? È molto difficile dirlo. Vi sono però dei limiti, vi è un limite e vi è una misura. Un minimo sarà sei ore e un massimo sarà otto ore e mezzo, ma calcolando... Uno dice: Ho bisogno di riposo, e va a letto all’una e mezza e ci sta fino alle cinque: ma quello non è riposo, è marcire. Il riposo non è marcire e, se si dorme troppo, si vive di meno, perché le forze diminuiscono e il corpo diventa meno forte. Alcuni si abbreviano la vita con il soverchio dormire. La pigrizia si ha inoltre quando si è freddi nella preghiera, quando non si fa lo sforzo di riflettere nell’esame di coscienza.
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Negli Esercizi si predica troppo in generale e si riflette troppo poco. Noi abbiamo una cosa che era da una parte un eccesso. Il Primo Maestro [infatti], in principio predicava più a lungo, questo era per dare lo spirito dell’apostolato, per le prime era una vocazione del tutto nuova, tanto che alcune non potevano accettarla. Bisogna dare parecchio tempo ai riflessi. C’è un eccesso nel parlare e poco tempo di riflettere. Eppure, siccome finita la predica si passa ad altro, il frutto si rimanda a dopo. La predica è come andare a tavola e vedere cosa c’è: bella cosa! È tutto finito? La digestione comincia quando si fanno lavorare i denti, poi s’inghiottisce il cibo, si fa il chilo e si viene all’assimilazione.
È il tempo dei riflessi il tempo più fruttuoso! È lì che si mangia, che si digerisce. Se la pigrizia, perché ci costa fatica ci suggerisce di fare d’altro, no. Stiamo ai riflessi. Mi metto a leggere altro. Ma allora siamo andati a tavola, abbiamo visto cosa c’è e poi siamo venuti via. Bisogna che ci nutriamo. Il predicatore dopo aver finito deve poter dire: Ti ho messo davanti la cosa, cibati, nutriti. Non lasciarci trascinare dalla pigrizia per badare ad altre cose pure buone. Ma io voglio dire il rosario. I rosari si possono dire, e i riflessi si fanno mentre si dicono le Ave Maria. Evitare la pigrizia nella pietà. Quando un’anima è indifferente e fredda, è pigra.
Così nell’apostolato: mettersi bene, non distrarsi, fare il lavoro, vedere ciò che dobbiamo fare e farlo, non lasciarci trascinare dalla pigrizia. Nelle altre cose, per non lasciarci prendere dalla pigrizia, applicare mente, volontà e cuore. La mente: voglio capire bene, voglio imparare a far bene il [dovere], voglio metterci la mente, l’attenzione, la riflessione perché riesca bene; voglio mettervi le forze, le energie; voglio fare ogni cosa con cuore, con amore di Dio e con applicazione sincera.
Conservare le forze, conservare il corpo affinché possa dare gloria a Dio al massimo e perché un giorno questo corpo possa essere degno di arrivare lassù in cielo, come il corpo di Maria che è entrato in cielo dopo colui che è la primizia: Cristo risorto. Con Cristo la carne è entrata in cielo per la prima volta, dopo [è entrata] Maria, e quindi tutte le persone che sanno custodire con onore il loro vaso, cioè il loro corpo, che risorgerà
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allora bello e ornato delle virtù che si sono praticate, come dice S. Paolo7. Il corpo non comandi, ma sia trattato come un figlio perché ha bisogno di riguardi, tuttavia bisogna sempre vigilare perché, essendo assai birichino, non ne faccia qualcuna e qualche volta prenda le mani allo spirito. Il corpo deve stare soggetto allo spirito.
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* Predica, in dattiloscritto, carta vergata, fogli 4 (20,5x28,5) tenuta a [Roma], il25.2.1954. Dalla cronaca di don Speciale risulta che si tratta ancora di una predica alle esercitanti. Le curatrici dei dattiloscritti successivi hanno aggiunto a mano il titolo: “Lavoro e santificazione del corpo”. Dalle Tavole sinottiche 1954-1969 risulta che l’originale probabilmente è una trascrizione da pellicola.

1 Pio XII, Sponsa Christi, o. c.

2 Otium: pace, tranquillità, riposo, ozio.

3 Cf 1Ts 4,4.

4 Cf Francesco di Sales, Filotea, III, 23.

5 Cf Lc 10,8.

6 Cf 2Tm 4,7.

7 Cf Rm 8,23-24.