Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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14. DOMENICA XI DOPO PENTECOSTE

...1 e mirabile quasi ancora di più la conformazione del nostro occhio. E noi finché abbiamo ancora gli occhi abbiamo un gran dono. Il gran dono dell'udito, il gran dono della vista. «Vi ringrazio di avermi creato» - diciamo in generale - di averci creato, e cioè, di avere egli fatta la nostra anima e fatto il nostro corpo. Ecco questo lo diciamo in generale per tutto il nostro essere.
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Ma uno qualche volta può discendere anche al particolare, specialmente nella Visita: Ti ringrazio di avermi dato l'udito. Quanti son nati sordi e quindi di conseguenza, muti. Ti ringrazio di avermi dato la parola. E come fan pena quei che non possono parlare. Ma ti ringrazio ancora di più per avermi dato la vista, quasi... gli occhi. E uno che sia cieco, che non ci veda, che cammini sempre in una notte oscurissima, profonda, non sa dove va, non può servirsi da sé, ecc.
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Qualche volta possiam discendere anche a parlare e a ringraziare il Signore, del cuore. Questo motorino che deve girare e far camminare tutto l'organismo; i polmoni, e così il cervello, che non siamo nati folli. Vi sono dei bambini che non arrivano a ragionare. E il Signore ringraziarlo anche perché avendoci dato un organismo sufficiente, discreto, capace, è anche stato possibile la vocazione; perché una cieca può essere accettata (ora ci sono anche delle suore cieche, veramente, ma almeno che ci vedano). Oh, una cieca, una sorda, una persona infelice di cuore, infelice di polmoni, infelice nella circolazione, infelice nel cervello, ecc., non può essere accettata, in generale, almeno parliamo della vostra vocazione.
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Pensiamo qualche volta a ringraziare... e di averci conservati gli occhi. Poteva bastare una piccola disgrazia per cadere nella cecità e poteva capitare una piccola disgrazia per l'udito, per la lingua, ecc. Oh, ringraziare il Signore finché egli ci conserva. Non solo «...di avermi creato e conservato», quindi. Ma possiamo anche pensare al Vangelo - diciamo - in senso mistico: il muto, il sordo, sordo-muto.
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Sordità spirituale oppure essere muti spiritualmente. Ecco, lì abbiam da chiedere una sensibilità spirituale: non esser sordi alle voci di Dio; non essere grossolani col Signore, esser sensibili. E domandare, nello stesso tempo, la parola; cioè l'usare bene della lingua sempre, noi, in quanto possiamo parlare; ma usarla particolarmente nei casi in cui è necessario parlare, come nella preghiera; per esempio, per la preghiera liturgica, farla bene; come al confessionale dire le cose con brevità, scioltezza e con la morale precisione che possiamo avere, senza scrupoli. Ma poi usare la lingua sempre in quello che esprime: verità, bontà, amore al Signore.
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Sensibilità spirituale: non esser sordi. Vi sono persone che son molto sensibili. Se una cosa può farsi in due maniere, ma vi è un modo più perfetto di farla, ecco scelgono il più perfetto. Sentono il bene e il minor bene e sentono anche l'ottimo, tante volte. Non cadere mai negli scrupoli, in questo senso, ma vi è una insensibilità spirituale: uno, avvertito, e non capisce, e non sente da quell'orecchio e magari non sente né dall'uno né dall'altro; oppure una cosa è solamente una venialità, un'imperfezione, non hanno la sensibilità di far gusto a Dio, di fare ciò che è meglio per la loro anima. Vi sono dei sordi spirituali.
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Lasciamo da parte quelli che resistono proprio alla parola di Dio, agli inviti, alle insistenze che vengono fatte perché camminino verso la salvezza. Ma vi sono persone spirituali consecrate a Dio che hanno una sensibilità spirituale maggiore, altre che hanno una sensibilità minore, e di lì dipende, in generale, il conseguimento della perfezione; perché se uno va sempre all'ingrosso, diciamo, o diciamo, qualche volta dicono "all'apostolica", cioè, si potrebbe dire, e cioè, grossolanamente, in un po' di tutto; ecco, si accorge, si accorge, hanno da fare una piccola cosa, magari lavare; ecco, chi fa bene, chi un po' meno bene; chi ha una certa sensibilità nel suo comportamento perché la presenza sua sia sempre edificante, il suo parlare sia sempre edificante.
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Parole che, alle volte si dicono inconsideratamente, inconsideratamente, allora ci entra quello che c'è bisogno di avere, cioè: misurare le parole. Vi è una più giovane e vede rilevare un difetto in un altro, una piccola mormorazione. Vi sono persone che seminano sempre il bene col loro parlare; altre che, se le frequenti, di lì a un po' di tempo, sei travolto nei pensieri, nei sentimenti, nei desiderii, nei programmi di vita. Bisogna domandare, allora, al Signore la grazia di sapere usare bene e delicatamente della nostra lingua.
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Se il Signore vi ha dato la grazia di sapere il canto bene, usarlo nella liturgia e in tutte le varie circostanze; per esempio, come avete fatto durante la Messa e dopo la Messa. Oh, questo tanto bene. E vi sono persone le quali hanno una sensibilità, capiscono le parole che dicono e le cantano e le dicono con espressione giusta. Allora la lingua meriterà di cantare con gli angeli in cielo, perché anche ogni senso in cielo avrà il suo premio; specialmente avranno il loro premio i sensi che hanno meglio servito al Signore, e perfettamente servito al Signore.
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E così nel dire le orazioni, nel rispondere alle giaculatorie e recitarle anche personalmente, cioè da noi medesimi. Qualche volta possono uscire dalle labbra e qualche volta stanno solo nel cuore. Ma il Signore ha una sensibilità per cui ascolta tutti i sentimenti del cuore; sì.
Allora ecco, in questa giornata, domandare sensibilità spirituale. E domandare la grazia di usare la nostra lingua in una maniera sempre più perfetta.
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Le nostre parole... non si può dire soltanto: "le parole volano"1; volano, ma colpiscono; colpiscono alle volte la fantasia perché quella descrizione è stata troppo viva, forse; colpiscono anche un po' il cuore, qualche volta.
Vi sono parole sentite che entrano nell'anima e producono un gran bene; e vi son parole che entrano nell'anima e lasciano l'anima sterile, fredda, tiepida; sì. Le parole nostre non si può dir soltanto che volano, ma si può dire che colpiscono. "Ma quel che ho detto non era male in sé". Bisogna vedere l'impressione anche che fanno sugli altri, sulle persone che ci stanno attorno, specialmente se sono in tempo di formazione, quelle persone; perché abbiamo bisogno che durante la formazione tutto sia costruttivo, ma non solo durante la formazione.
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Noi non possiamo mai dire di renderci indipendenti dall'ambiente, del tutto; per quanto uno sia o orgoglioso che quindi non vuol cedere alle altre opinioni, non vuol seguire gli altri esempi, tanto un po' li subisce; si subisce sempre un po' l'esterno, l'ambiente. E può anche esserci che uno resista spiritualmente a certe impressioni, ma non dobbiamo creare delle doti in un'anima.
E, in secondo luogo, noi dobbiamo nell'anima di chi ci ascolta, contribuire un po' alla costruzione, all'edificazione, all'edificazione secondo lo Spirito Santo; sì.
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Oh, allora, prima considerazione: riconoscenti al Signore di averci dato l'udito, di averci dato la vista, di averci dato la parola e anche gli altri sensi. E finché, se il Signore ce ne lascia l'uso, ci impegniamo ad adoperarli per lui. Questa è la vera riconoscenza, la vera corrispondenza a questa grazia dell'udito, degli occhi, della lingua, del cuore, ecc.
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Secondo: chiediamo sensibilità spirituale e chiediamo che la nostra lingua sia sempre adoperata, venga sempre adoperata santamente: liturgia, preghiera ordinaria, canto, discorsi, insegnamento; e poi edificazione in quanto si dice e in quanto può portare al prossimo del bene.
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Un ambiente di contrarietà ai superiori o a qualche ufficio può abbassare lo spirito. Un ambiente invece favorevole all'obbedienza, all'osservanza, agli apostolati, edifica. Vi è un predicare che non è fatto soltanto con delle parole, ma anche con delle parole, e molte volte con le parole. Sì, un ambiente che edifica. Vi sia sempre questa grazia nelle nostre Case: le parole che siano tutte ordinate al bene. Che le nostre parole che stiamo dicendo, che diciamo, portate poi al tribunale di Dio, servono tutte al premio.
Sia lodato Gesù Cristo.
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1 È priva dell'inizio; l'argomento è tratto dal Vangelo odierno: Mc 7,31-37.

1 Frase proverbiale latina: Verba volant, ha il senso spiegato qui dal Primo Maestro.