Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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GIORNO XXIV
SUFFRAGI: LE OPERE BUONE


Il Signore, che salva gli uomini col ministero degli uomini, vuole e desidera vivamente liberare le anime purganti per mezzo dei suffragi dei vivi.
Egli ha dato a noi il potere di soccorrere i nostri fratelli dolenti fra quelle fiamme per via di suffragio, ossia per mezzo di impetrazione e di soddisfazione.
La parola suffragio nella lingua della Chiesa era spesso sinonimo di preghiera. Ma quando il Concilio di Trento definì che le anime purganti possono essere da noi aiutate coi suffragi dei fedeli, adoperò tale parola in un senso più largo.
La parola suffragio comprende tutto quanto possiamo offrire a Dio in favore dei defunti. E noi possiamo offrire a Dio non solo le preghiere, ma tutte le nostre opere buone in quanto sono soddisfattorie e impetratorie.

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Infatti tutte le nostre opere buone compite in grazia formano, secondo S. Francesco di Sales, la preghiera vitale. È dessa 1 il complesso delle nostre opere buone offerte al Signore con retto fine.
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Col nome di opere buone si intendono tutte quelle che non sono peccati, si compiono rettamente e con fine buono.
Tale il lavoro manuale di una donna di casa, che attende alle faccenduole domestiche; così il curare la cucina, il far la spesa, l’educazione e la custodia dei bambini.
Così il lavoro dell’operario e dell’artigiano e del contadino, che nelle officine e nelle industrie, nei campi e nelle miniere, sui mari, per terra, in aria, compie cose in sé oneste.
Così l’ufficio intellettuale dell’artista che dipinge, riproduce, scolpisce; del medico che esercita il suo compito filantropico; dell’avvocato che attende alla sua professione; del maestro che educa nella scuola, ecc., ecc.
È pure lavoro quello del fanciullo e dello studente; lavoro quello del soldato che difende la patria; lavoro quello dell’uomo d’ordine che vigila all’osservanza delle leggi.
È lavoro tanto quello che ha compito morale, che intellettuale, che materiale; in casa e fuori; di giorno e di notte; in pubblico o in privato; collettivo o individuale.
Che, anzi: è lavoro ogni atto, anche indifferente per sé: lo stare, il conversare, il passeggiare, il riposare, il ristorarsi, ecc.
Per comprendere questi termini, osserviamo che ognuna delle nostre opere, compiute in stato di grazia, d’ordinario ha agli occhi di Dio un triplice valore.
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1° È meritoria, cioè aggiunge ai nostri meriti diritto ad un nuovo grado di gloria in Cielo.
2° È impetratoria (impetrare, ottenere), ossia ha la virtù di ottenere da Dio qualche grazia.
3° È soddisfattoria, ossia è adatta a soddisfare alla divina giustizia, a pagare i nostri debiti di pene temporali dinanzi a Dio.
Il merito è inalienabile e rimane proprio della persona che fa l’azione. Invece, il valore impetratorio e soddisfattorio può profittare ad altri, in virtù della Comunione dei Santi.
Esposte queste nozioni, facciamo questa domanda pratica: Quali sono i suffragi, coi quali, secondo la dottrina della Chiesa, possiamo aiutare le anime del Purgatorio?
A questa domanda si risponde: Sono le preghiere, l’elemosine, i digiuni e qualunque penitenza, le indulgenze soprattutto ed il santo Sacrificio della Messa.
Tutte queste opere, compiute in stato di grazia, Gesù Cristo ci permette d’offrirle alla divina Maestà per il sollievo dei nostri fratelli del Purgatorio, e Dio le applica a quelle anime secondo le regole della sua giustizia e della sua misericordia.

La preghiera vocale

Il soccorso misericordioso che Gesù Cristo ci
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permette di portare ai nostri sofferenti fratelli, a noi stessi apporta un frutto eccellente; è un’opera vantaggiosa non soltanto pei defunti, ma santa ancora e salutare pei vivi.2
La preghiera ha una grande potenza per impetrare da Dio il perdono alle altrui colpe e per espiarle, e possiamo quindi e dobbiamo servircene per suffragare le anime del Purgatorio. Ed ecco perché a questa siamo esortati dalla Sacra Scrittura stessa, che sentenzia essere cosa santa e salutare pregare per i morti, perché siano sciolti dai loro peccati. Ecco perché la Chiesa a questo ci stimola coi suoi esempi. Ed infatti, appena muore un suo figliuolo, subito col suono lugubre della campana annunzia ai fedeli il suo passaggio all’altra vita, perché preghino per lui. Manda poi il suo Sacerdote a togliere di casa la salma; la fa coprire di funebre drappo; l’asperge di acqua santa; la benedice e, portandola alla chiesa al canto di devoti salmi, prega Iddio che non guardi all’iniquità, ma usi grande misericordia.
Nella chiesa, poi, rinnova le sue preghiere e le sue invocazioni [per il defunto], e nel congedarlo per essere trasportato al cimitero, si volge agli Angeli, invitandoli a portare la sua anima in seno a Dio.
Quando quel cadavere è giunto al camposanto, prima di calarlo nella fossa rinnova ancora una volta le sue preghiere ed ancora una volta lo asperge di acqua benedetta. Con tutto ciò, non ha ancora finito di pregare per la sua anima, perché ella
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ordina ai suoi Sacerdoti che non celebrino mai la santa Messa senza ricordarsi in modo speciale dei trapassati e, quel che è più, ordina questo memento dei defunti subito dopo la Consacrazione.

Tutte le sere col suono dell’Ave Maria invita i fedeli a recitare il De profundis; e continuamente nella sua liturgia indirizza a Dio delle preghiere commoventissime per i defunti, e vuole che in certe particolari circostanze si reciti il bell’Ufficio dei morti, e che ogni volta si recita in pubblico od in privato anche una breve parte, una sola ora dell’Ufficio dei santi, si termini sempre con un pensiero ai defunti, dicendo: «E le anime dei fedeli defunti per la misericordia di Dio riposino in pace».3 Questo si direbbe il ritornello di tutte le sue preghiere.
Oh! Seguiamo anche noi l’esempio e la pratica della Chiesa. Preghiamo anche noi per i defunti durante la Messa e recitiamo anche noi, specialmente alla sera, il De Profundis, nel quale diciamo in sostanza al Signore: «Io grido a te, o Signore, dal profondo luogo dove mi trovo, e tu ascolta la mia preghiera. Deh! non guardare alle mie iniquità, perché se guardi ad esse chi potrà stare innanzi a te? Guarda solo alla tua misericordia ed alla tua copiosa redenzione, in cui io ripongo tutta la mia speranza».
Alla recita del De profundis aggiungiamo la recita di qualche Pater, Ave e Requiem, ed almeno di tanto in tanto, se non tutte le sere, la recita del
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santo Rosario. Questa preghiera, tanto raccomandata dalla Chiesa, oltre all’essere sorgente di tante grazie per i vivi, è pure d’un’efficacia singolarissima per sollevare i morti.
Ad imitazione ancora della Chiesa, preghiamo per i defunti in particolari circostanze, come quando uno ha reso l’anima a Dio, nelle cerimonie dei funerali, al terzo, settimo e trigesimo giorno della morte ed all’anniversario; quando ci troviamo vicino o dentro al cimitero, quando passa un accompagnamento funebre e soprattutto quando noi stessi vi partecipiamo. Fin dai primi tempi, la Chiesa pose fra le opere di misericordia l’accompagnare i defunti all’ultima dimora, pregando per essi; ed a questa azione, di cui la Sacra Scrittura fa un grande elogio, vanno annesse molte indulgenze.
Quello che a loro desideriamo costituisce dei beni spirituali che Dio stesso è in qualche modo impaziente di accordar loro. Siamo pure anche certi che le anime per cui preghiamo non pongono ostacolo all’effetto delle nostre preghiere, essendo confermate in grazia e non potendo più peccare. Per questo, molti dottori affermano che la preghiera per le anime purganti sia più efficace di quella per i peccatori.

La S. Comunione


La Comunione per i Defunti è, dopo la S. Messa, il maggiore dei suffragi. Essa infatti è il grande desiderio di Gesù, che vuole unirsi alle anime nostre. Gesù Cristo ha istituita la Comunione sotto
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forma di cibo per indicarci che, come ogni giorno mangiamo il pane quotidiano, così ogni giorno sarebbe nostro vantaggio cibare l’anima del pane eucaristico.
Il Papa Pio X ha concesso un gran numero di indulgenze per chi si comunica spesso e specialmente per coloro che zelano la frequenza della Comunione.
Santa Maria Maddalena de’ Pazzi raccomandava molto caldamente alle sue novizie di fare Comunioni per i Defunti. Le apparve un giorno il padre defunto, e le disse: «Sono salvo, ma in Purgatorio. Per essere liberato ho ancora bisogno di cento e sette comunioni». La Santa le fece subito e col massimo fervore: vide poi l’anima del padre volarsene immediatamente al Cielo.
La Beata Giovanna della Croce,4 francescana, ebbe una singolare visione, mentre era a letto inferma e non poteva comunicarsi. Vide entrare nella sua stanza un angelo che, portando un’ostia, le ordinò di fare la Comunione in suffragio di una persona defunta, che era stata molto divota della SS. Eucaristia.

Vi sono molte pie persone che hanno l’abitudine di fare una comunione per settimana in suffragio dei defunti, scegliendo il lunedì od il martedì. Un bravissimo industriale diceva: «Io non ho mai lasciato passare una settimana senza sentire una Messa e fare la Comunione per le anime del Purgatorio da cinquant’anni: d’allora le cose di mia
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famiglia e della mia industria hanno sempre prosperato».

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Santa Teresa racconta nel libro delle sue Fondazioni, che il Sig. Bernardino di Mendoza le diede una casa con giardino e vigna per fondare un convento a Valladolid. Due mesi dopo tale dono, prima che la fondazione avesse luogo, quel benefattore cadde improvvisamente ammalato, sicché non poté confessarsi, benché desse segni certi di contrizione, e morì mentre la Santa si trovava assai lontano. Il Signore le apparve, dicendole che il Sig. Bernardino era salvo, benché avesse corso grave rischio di andar perduto, poiché la misericordia divina si era estesa sopra di lui pel dono che aveva fatto del convento; ma non sarebbe uscito dal Purgatorio, finché la prima Messa non fosse stata celebrata nella nuova casa.
Santa Teresa sentì tanto profondamente le pene di quell’anima, che partì immediatamente per Valladolid. Appena la Santa fu comunicata alla prima Messa celebratasi nella nuova casa, l’anima del benefattore le apparve tutta raggiante, e quindi la vide salire al cielo.

Il digiuno

Sotto questo nome s’intende anzitutto il digiuno propriamente detto, e poi tutte le opere di penitenza e di mortificazione. Anche il digiuno e tutte
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le altre penitenze servono assai ad espiare il peccato: basta ricordare l’esempio dei Niniviti.5

Ma poiché non tutti potranno digiunare o fare gravi penitenze per le loro deboli forze, riflettiamo che vi sono mille altri mezzi per mortificarci, senza nuocere alla nostra sanità e senza distrarci dalle abituali occupazioni. Asteniamoci, per esempio, da qualche divertimento poco necessario, da certe conversazioni, da certi giochi o spettacoli, che sono anche troppo pericolosi per il buon cristiano; nei piaceri e diletti leciti moderiamo gli affetti; qualche volta priviamoci nel pasto di ciò che solletica solo il palato; diamo minore libertà alla lingua, e sappiamo che tacere a tempo e reprimere la propria voglia di parlare è fare al Signore, secondo il linguaggio della Scrittura, un sacrificio delle labbra; asteniamoci dal vedere cose vane e pericolose; non porgiamo orecchio indiscreto ad ogni discorso; tolleriamo il freddo dell’inverno, il caldo dell’estate, le fatiche quotidiane, qualche po’ di sete, qualche po’ di stanchezza e cose simili. Queste mortificazioni nulla hanno di spaventevole, ma pure torneranno al Signore molto gradite. Esigeranno, è vero, attenzione e fors’anche un po’ di violenza; ma a misura della violenza cresce il merito.
Vi è poi un altro genere di penitenza, tanto più accetto a Dio, in quanto viene dalla sua mano: voglio dire le afflizioni. Se adunque il Signore ci vuole afflitti o da lunghe malattie o da perdite improvvise di beni, dell’onore o dei parenti, abbracciamo queste croci con tutto il cuore, non mormoriamo,
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diciamo rassegnati: «Sia fatta la volontà di Dio», e ne caveremo pure grandi tesori di meriti, per soccorrere le anime purganti.
Rimane un’altra specie di mortificazione, che ognuno può e deve praticare. Avete voi ricevuto qualche offesa? dimenticatela e sacrificate a Gesù il vostro risentimento: sarà questo un atto di virtù eroica e per voi molto meritorio. Più che piangere, dobbiamo fare del bene, altrimenti ci accadrà quello che dice S. Bernardo: «Vediamo ogni giorno dei morti piangere i loro morti. Molti pianti e nessun frutto»,6 molto dolore, ma poca carità e poche opere.

PRATICA: Non partiamo mai da tavola senza aver fatta almeno una piccola mortificazione di gola e di lingua.


GIACULATORIA: Eterno Divin Padre, vi offro le tre ore di Agonia di Gesù, vostro Figliuolo, per le anime sante del purgatorio.

FRUTTO

Il S. Rosario tiene uno dei primi posti tra le preghiere della Chiesa raccomandate ai fedeli; questa eccellente preghiera, sorgente di tante grazie per i vivi, è altresì in modo singolare efficace pel sollievo dei morti.
Ne abbiamo una prova parlante nella vita del Padre Nieremberg.7 Quel caritatevole servo di Dio, per sollevare le anime del Purgatorio, s’imponeva frequenti mortificazioni accompagnate da preghiere. Mai mancava di recitare ogni giorno il Rosario secondo la loro
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intenzione e di guadagnare per esse quante più indulgenze poteva; divozione alla quale invitò i fedeli in un’opera speciale pubblicata su questa materia.

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Dopo il Santo Rosario parliamo della Via Crucis. Questo pio esercizio può essere considerato in se stesso e nelle indulgenze delle quali è arricchito. In se stesso è un’eccellente maniera di meditare la Passione del Salvatore, e perciò uno degli esercizi più salutari di nostra santa religione. Le indulgenze poi sono le seguenti:
Tutti i fedeli che, o singolarmente o in comitiva, almeno col cuore contrito, faranno il pio esercizio della Via Crucis, legittimamente eretta, possono guadagnare:
1° un’indulgenza plenaria toties quoties, se compiranno il pio esercizio;
2° un’altra indulgenza plenaria se si comunicheranno in quel medesimo giorno in cui fanno il pio esercizio, o anche solo nel mese, se l’avranno compiuto dieci volte;
Indulgenza parziale di dieci anni e altrettante quarantene, per ogni singola stazione, se a caso per qualsiasi ragione non abbiano potuto finire il pio esercizio. – Queste stesse indulgenze vuole il Santo Padre che siano estese a quelle persone impossibilitate (infermi, naviganti, carcerati, ecc.) che, per decreto 8 agosto 1859,
possono compierlo solo nella forma stabilita da Clemente XIV, con la recita di 20 Pater, Ave e Gloria in memoria della Divina Passione, e tenendo in mano un Crocifisso di materia non fragile, benedetto allo scopo stesso da chi ne ha facoltà;
4° a quegli infermi così gravi che appena possono baciare o guardare tale Crocifisso, e recitare qualche pia giaculatoria in memoria della Passione e Morte di Nostro Signor Gesù Cristo, come concede il Decreto 25 marzo 1931. E con questo in più, che se per giusta causa non possano recitare tutti i prescritti Pater, Ave e Gloria,
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per ottenere l’indulgenza plenaria, guadagnino però per ogni singolo Pater, Ave e Gloria i dieci anni e altrettante quarantene d’indulgenza parziale; e se poi l’infermo è così grave che possa solo o baciare o guardare il Crocifisso ad hoc benedetto, non sia privo dell’Indulgenza plenaria, anche se non gli riesce aggiungere la giaculatoria prescritta.

Per guadagnare veramente le Indulgenze concesse dal Papa per l’esercizio della Via Crucis, non basta farla dovunque e comunque, ma deve farsi secondo le prescrizioni della Chiesa. E per questo:
1° Nelle Stazioni, che sono 14, sono necessarie e indispensabili le croci, e queste di legno e visibili, alle quali soltanto sono annesse le indulgenze.
2° L’erezione della Via Crucis, nelle chiese, o nelle cappelle, deve farsi canonicamente, cioè da chi ne ha facoltà e con le preghiere e cerimonie date dal Rituale Romano.
3° Chi fa la Via Crucis, deve fare due cose:
a) la meditazione sulla Passione di Gesù;
b) il moto locale, passando realmente da una stazione all’altra. Quando, però, la Via Crucis si fa da molti insieme, siccome allora il moto da una Stazione all’altra porterebbe confusione e disordine, basta che muova chi fa da capo – sia un Sacerdote o una pia persona qualunque – e gli altri, stando al proprio posto, voltarsi possibilmente verso la Stazione che si considera.
Quanto a preghiere, pur essendo bellissime e commendabili quelle che ordinariamente si recitano ad ogni Stazione: Adoramus, Te, Christe, etc., Pater, Ave, Gloria, Miserere, ecc., perché possono servire mirabilmente ad eccitare nei fedeli sentimenti di dolore dei propri peccati, che furono causa dei patimenti di Gesù, non sono però necessarie per acquistare le indulgenze, come dichiarò la S. Congregazione il 3 Aprile 1731, e quindi potrebbe farsi benissimo la Via Crucis, con molto frutto per l’anima e
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con tutte le indulgenze, senza neppure aprir bocca a pregare. Però se si prega è meglio.
Notiamo la concessione del S. Padre Pio XI a favore degl’infermi: «Gli infermi, i quali non possono, senza grave incomodo o difficoltà, fare la Via Crucis, né come si fa ordinariamente (visitando le 14 Stazioni) e neppure nel modo stabilito da Papa Clemente XIV (recitando cioè 20 Pater, Ave e Gloria) possono acquistare tutte e singole le indulgenze annesse a tale pio Esercizio, o baciando od anche solo guardando, con affetto e cuore contrito, un Crocifisso per questo debitamente benedetto, presentato loro o dal Sacerdote o da qualche pia persona, e recitando qualche breve preghiera o giaculatoria, in memoria della Passione e Morte di N. S. Gesù Cristo».
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1 Dizione arcaica per essa.

2 «Sancta et salutaris est cogitatio pro defunctis exorare» [cf. 2Mac 12,46].

3 «Et fidelium animae per misericordiam Dei requiescant in pace».

4 S. Giovanna (Jeanne Delanoue: 1666-1736), francese, ultima di dodici figli, fondatrice della congregazione di Sant’Anna della Provvidenza. Canonizzata nel 1982.

5 Cf. Giona 3,1-10.

6 «Videmus quotidie mortuos plangere mortuos suos: fletum multum et fructum nullum».

7 Juan Eusebio Nieremberg y Otin (1595-1658), gesuita umanista, fisico, biografo, teologo e scrittore ascetico spagnolo di origine tedesca.