Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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GIORNO X
CIRCOSTANZE DEL PURGATORIO


Ne ricordiamo tre: 1a quanto siano acerbe le pene del purgatorio; 2a quanto sia lunga la durata di esse; 3a come quelle anime siano impotenti a soccorrersi da sé.

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Per comprendere un poco le pene del purgatorio è bene considerare che dopo la nostra morte tutti i nostri desideri si concentrano in un unico desiderio: vedere Dio, possederlo, goderlo. È come una fame potentissima, che non può esseresaziata che da Dio! È come una sete ardentissima, che brucia e non può che sentire refrigerio da Dio! Santa Caterina [da Genova] spiega così: «Supponete che nel mondo vi sia un solo pane che possa sfamare gli uomini; che gli uomini non possano giungere a mangiarne; tutti vi tendono con ardente desiderio! Ebbene Iddio è davvero il Pane Celeste cui solo ogni anima sospira dopo il passaggio all’eternità. E quale tormento è quella fame! Supponete che vi sia una sola acqua che possa dissetare l’anima: e quest’acqua vien chiesta e non è data! Dio è la Fonte dell’acqua che sale
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alla vita eterna. E l’anima assetata deve vederla di lontano e non può accostarvi le labbra! Come un febbricitante che ha gran sete, ma non può avere la goccia che chiede.
Quando un’anima su la terra ha gran fame e sete della giustizia di Dio, poco tempo sospirerà quel Pane e quell’Acqua; ma quando fu languida in tali desideri sarà tormentata tanto da quella fame e da quella sete».

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S. Tommaso si esprime così: «Quanto più ardentemente si desidera una cosa, tanto più doloroso riesce esserne privi. Ora, essendo intensissimo il desiderio che hanno di Dio le anime sante dopo questa vita, ne consegue che, se il possesso di Lui vien loro ritardato, ne soffrono sommamente». E come S. Tommaso la pensava pure il Venerabile S. Beda, il quale, nel 18° Discorso che ha fatto sui Santi, disse così: «Se bisognasse soffrir anche ogni giorno e tollerar per breve tempo lo stesso fuoco infernale, per esser degni di veder Gesù Redentore nella sua gloria, ed essere nel numero dei beati, non converrebbe forse patir tutti i dolori, per esser fatti partecipi d’un tanto bene e di tanta gloria?».

Il Suarez poi – anch’egli di questa idea – si spiega ancor meglio; e nel suo trattato sul Purgatorio, nella Sezione 3ª, dice: «La gravità di questa pena del danno, per le anime purganti, deriva anzitutto dalla grandezza del bene di cui sono prive. Ora la visione di Dio e la beatitudine celeste
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è un bene così grande che il possederlo, anche per un solo giorno, supera tutti i beni di questa vita presi insieme, e posseduti per lungo tempo, e sarebbe premio assai sovrabbondante a tutte le opere che potrebbero farsi e a tutte le afflizioni che potrebbero tollerarsi durante la vita. Dunque il ritardo di un tanto bene, e l’esserne privi, sia pure temporaneamente, è un male grandissimo, che supera di gran lunga tutte le pene della vita.
In secondo luogo deriva dalla cognizione che quelle anime hanno chiarissima del loro male e dal sapere che, se soffrono, è per loro colpa e negligenza.
In terzo luogo deriva finalmente dall’amore intensissimo con cui si sentono portate a Dio, e quindi dal desiderio, pur esso vivissimo, di vederlo e di possederlo; ond’è che non possono a meno che penare sommamente, vedendo ritardato l’appagamento di tal loro desiderio».

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Quale sia la durata delle pene delle anime purganti. Su questo il Concilio di Trento, come la Chiesa, tacciono; ma possiamo tuttavia ricordare alcune cose che molto ci fanno pensare e temere. Anzitutto: altra è la durata assoluta e altra la durata relativa. La prima sarebbe il tempo che realmente l’anima passa nel purgatorio; la seconda l’impressione che l’anima sente di tale tempo, e significa che a chi soffre, anche una breve pena pare un lunghissimo tormento!
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Deve rimanere molto l’anima nel Purgatorio?
Il Divin Maestro ci fa intravedere qualcosa con queste parole: «Conformatevi alla Legge di Dio, acciocché non abbiate a cadere nelle mani dei carnefici, che vi rinchiudano in quelle prigioni dalle quali non si esce, fino a quando si sia pagato anche l’ultimo spicciolo» [cf. Mt 5,17-26]. Dall’inferno non si esce più; dal purgatorio si esce; ma soltanto dopo pagato l’ultimo spicciolo.
La durata del purgatorio è in proporzione dei nostri debiti con Dio: «di ogni parola oziosa gli uomini renderanno conto nel giorno del giudizio» [Mt 12,36]. Renderanno conto non per condanna all’inferno di una parola oziosa, evidentemente; ma per pagare ogni debito in purgatorio.
È quindi un abisso imperscrutabile quello che consideriamo. Dovremmo conoscere: da una parte le grazie ricevute ed i nostri debiti con Dio con precisione; dall’altra in modo chiaro la nostra corrispondenza dalla parte della mente, del cuore, delle opere, delle parole. Ma chi lo può?
Certo la Giustizia di Dio può accelerare l’uscita con intensificare quelle pene; certo Essa può accettare in loro espiazione suffragi dai vivi; certo il purgatorio sarà chiuso dal giorno della fine del mondo. Ma con tutto questo, quanta incertezza e timore per ognuno di noi! «Anche se non sono consapevole di colpa alcuna, non per questo sono giustificato» diceva San Paolo [1Cor 4,4].
Il profeta Davide peccò; e poi si pentì ed il Signore gli diede il perdono. Tuttavia il castigo del
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suo peccato fu ben lungo e penosissimo. Ciò significa che anche del peccato perdonato è necessario scontare la pena; vi è chi la sconta di qua; ma vi sono molti che attendono la morte senza una degna soddisfazione. Per questo la Chiesa accetta fondazioni perpetue di Messe e impone di soddisfare ai legati anche dopo secoli dalla morte dei testatori.

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Si legge nella vita di Santa Ludgarda 1 che essa ebbe l’apparizione di Papa Innocenzo III,2 nel medesimo giorno in cui questo grande Pontefice era morto. Era circondato da fiamme, e disse: «Sono Papa Innocenzo». «Possibile che voi, rispose Santa Ludgarda, siate in tale stato?». «Sì, rispose il defunto; pago la pena di tre falli che ho commessi, e poco mancò che per essi precipitassi all’inferno. La Madonna mi ottenne il dolore ed il perdono, ma ora ne devo scontare anche la pena. Questa durerà fino al giorno del giudizio, se non mi aiuterete voi. Per amor di Maria, soccorretemi, presto».
Il Cardinale S. Roberto Bellarmino dice così, commentando tale esempio nel libro Del gemito della Colomba: «Se un Pontefice, così degno di lode, e che da tutti era stimato non solo buono e prudente, ma santo e degnissimo di essere imitato, poco mancò che non precipitasse nell’inferno, e doveva penar nel purgatorio fino al giudizio finale, chi non temerà, chi non tremerà?».
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Le anime del purgatorio non possono soccorrere se stesse. Uscita l’anima dal corpo, è terminato il tempo in cui poteva essa soddisfare con penitenza fruttifera, per sé, ai suoi debiti. Nel purgatorio le anime possono venire aiutate dai suffragi dei vivi, ma non possono soddisfare per sé, come possiamo fare noi nella vita presente. Se potessero soddisfare nel modo che è possibile sulla terra, tanto è il loro patire e tanto l’amore con cui sopportano, che in un momento se ne volerebbero al cielo. Il Signore ha dato a noi le chiavi del purgatorio, ma non ad esse. Da sole, senza il soccorso, dovrebbero rimanersene colà fino alla completa soddisfazione.
È perciò molta la nostra responsabilità: poiché, da una parte, soltanto noi possiamo liberarle; e dall’altra, tanti sono i mezzi di aiutarle, come i Rosari, le indulgenze, le SS. Messe, ecc.

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Vi sono tanti che dopo la morte dei loro cari, quasi subito li dimenticano: altri invece pensano a procurare una solennità esteriore di funerali, accompagnamenti, ricordi, tombe, fiori. Queste cose devono curarsi come i vestiti per la persona, cioè con quel decoro e proprietà che si addicono al defunto ed al suo grado. Spesso però, dice S. Agostino, sono piuttosto pompa dei vivi che sollievo
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ai defunti. Assai più importano le preghiere ed i suffragi per il povero trapassato.

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Una signora comparve dopo morte ad una persona. Si mostrò per molte notti in uno stato pietosissimo; né solo ad una suora, ma a diverse suore, che ne raccolsero un salutare spavento. Era stata in vita una signora molto benefica: aveva dato con gran generosità ai poveri, alle Missioni, all’Apostolato Stampa, agli orfani dei Caduti in guerra, ecc. ecc. Molta era la pietà e l’esemplarità di sua vita; poiché ascoltava ogni giorno varie SS. Messe, faceva quotidianamente la Comunione; viveva dedita alle cure della famiglia e ritirata. Godeva stima universale. I motivi del suo purgatorio erano: un po’ di vanità nel beneficare, un carattere alquanto pronto a deprimersi o risentirsi, alquanto di eccesso nel parlare. Ma erano difetti così piccoli che solo una persona molto attenta poteva rilevarli. Eppure rimase a lungo in purgatorio! Nonostante che per lei si siano fatti molti, molti suffragi.

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Una pia giovanetta aveva condotta una vita innocente, esemplarissima. Prima era stata in famiglia, poi, entrata in un istituto religioso, aveva mostrata somma diligenza nell’osservanza di ogni minima regola. Vi fu così fedele da uscirne gravemente malata; ed un anno intero, consumata dal terribile male, si preparò nella pazienza e nella
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preghiera al suo passaggio, edificando tutti quanti l’accostavano. Prima di morire, dopo ricevuta la S. Comunione dal fratello Sacerdote, fece a lui la promessa di venirgli a portare un segno del suo ingresso in paradiso. Il fratello, appena spirata, cominciò a celebrare per lei la S. Messa e continuò per un anno aspettando il segnale promesso e moltiplicando preghiere, indulgenze, mortificazioni. Soltanto dopo un anno ebbe l’atteso segnale, una mattina, quando essa si fece sentire al modo che usava in vita per chiamarlo. Diceva perciò quel Sacerdote: Se solo dopo un anno, con tanta innocenza e penitenza di vita, con tante Messe e suffragi, poté entrare in cielo, quale spavento! È ben rigoroso Dio nella resa dei conti, poiché anche sul letto di morte era stata favorita di tante indulgenze.


PRATICA: Introduciamo nelle comunità, famiglie e vita nostra l’abitudine della Confessione e Comunione il giorno terzo, settimo, trigesimo e anniversario della morte dei nostri Cari.

GIACULATORIA: Cuore di Gesù, siate l’asilo e la speranza dei morenti e delle anime purganti.

FRUTTO

Cercate di acquistare un cuore di sentire molto delicato per le umane miserie e per le anime degli agonizzanti e del purgatorio, iscrivendovi all’Opera del Cuore Agonizzante di Gesù.
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Fondata nel 1848 dal P. Leonardo della Compagnia di Gesù, l’Associazione è stata eretta in Arciconfraternita da Pio IX, il 24 agosto 1867 nella chiesa patriarcale di Gerusalemme, sotto l’alta direzione di Sua Eccellenza il Patriarca di Terra Santa.
Scopo. – Questa confraternita ha lo scopo: 1° di onorare con un culto speciale il Cuore sofferente ed agonizzante di Gesù, soprattutto al Giardino degli Ulivi, e il Cuore afflittissimo di Maria, durante la Passione del suo Divin Figlio; 2° di ottenere, per questa misteriosa agonia del Figlio e della Madre, la grazia di una buona morte alle 140.000 persone circa, che ogni giorno muoiono nel mondo intiero, e la consolazione cristiana a tutti gli afflitti.

Motivi di zelo. – Oggi 140.000 persone vanno a comparire al Tribunale del Supremo Giudice. 97 al minuto. 51 milioni all’anno.
«Voi potete salvarne molte con la preghiera; è un vero apostolato».
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1 Ludgarda (1182-1246), monaca belga delle Benedettine Nere di Bruxelles, mistica dell’amore sponsale con Cristo, che le apparve come “Uomo dei Dolori”. Il suo primo biografo fu il P. Thomas de Cantimpré, suo ex direttore spirituale.

2 Nato nel 1160, papa dal 1198, morto a Perugia il 16 luglio 1216.