Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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GIORNO XII
CHI SONO LE ANIME PURGANTI
RISPETTO A NOI


Le Anime purganti sono unite a noi da vincoli diversi, ma carissimi; esse non sono delle estranee, ma hanno con noi una parentela: «Voi non siete più stranieri né ospiti, ma siete concittadini dei santi e familiari di Dio» [Ef 2,19]. Questi vincoli possono essere di giustizia, di sangue, di riconoscenza rispetto a loro.

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Possiamo aver vincoli di giustizia con molte anime. In purgatorio possono trovarsi persone che hanno lasciati i beni che ci sostentano, le case che abitiamo, le comodità di vita che godiamo. Anzi talvolta si tratta di legati di Ss. Messe, preghiere, beneficenze.
Offendere la giustizia verso i vivi è gran male; ma offendere la giustizia verso i morti è grandissimo male, poiché è la più sacra. I morti non possono difendersi, né farci richiami: ed in ogni tempo si ebbe sempre rispetto alle disposizioni dei defunti.
I morti non si levano, d’ordinario, a difendersi
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od accusarci; ma si leverà Dio a pagarci la fedeltà ai defunti ed a vendicare il torto loro fatto.

Guai a chi possiede denaro o averi che appartengono aidefunti o si devono dare per suffragio loro! È una maledizione in casa, che occorre scuotere al più presto, rendendo piena giustizia.
Non si aspetti, col tramandare, che divenga forse impossibile ciò che ora è facile.
Può anche esser succeduto che si trovino in purgatorio persone colà cadute per l’affetto troppo vivo e la cura smoderata dell’accumulare ciò che noi ora possediamo. Esse penano; e noi ne godremo senza dare loro un pensiero?
In tutti i casi: queste persone, se fossero in vita, trovandosi a penare in un letto, avrebbero adoperato di quei beni per loro sollievo; ne avrebbero avuto diritto. Se ora si trovano in così grandi angustie, non vorremmo noi sentire la loro invocazione al soccorso?

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«Conobbi – dice il pio Autore delle Feste Cristiane – un Luterano Scozzese, che la nostra credenza nel purgatorio rese cattolico. In una festa da ballo costui aveva perduto un fratello, eretico esso pure ma di buona fede, e quel repentino passaggio dai sollazzi alla bara gli stava continuamente dinnanzi, e senza posa gli tormentava il cuore; aveva quindi sommamente bisogno di conforto. Ben sapeva qual purezza d’animo sia richiesta per entrare in cielo; ma il proprio culto non gli additava verun luogo intermedio fra gli atrii del Paradiso
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e gli abissi infernali. Per distrarnelo gli amici insieme col medico lo indussero a viaggiare sul continente. M’incontrai con esso sul medesimo vascello, ed insieme conversando ci trovammo d’accordo su vari punti. Sbarcati che fummo, prendemmo alloggio nello stesso albergo; in capo a qualche giorno ei mi rivelò la cagione, ond’era così afflitto, la morte del fratello, e le sue incertezze sugli eterni destini di una vita a lui sì cara!... Ah, mi disse egli una volta, voi cattolici festeggiate un giorno dei morti? Per amor di mio fratello voglio subito abbracciare la vostra fede! Quanto è dolce il credere con i cattolici che possiamo scambievolmente aiutarci anche dopo morte! Le vostre preghiere tolgono al sepolcro il suo silenzio desolatore; voi potete intrattenervi con quelli che sono usciti di vita; voi conoscete l’umana debolezza, la quale se non è un delitto, non è neppure purità; e fra i confini del cielo e della terra Dio vi ha messo un luogo di espiazione. Mio fratello forse è in esso, perciò io mi faccio Cattolico per liberarlo, per consolarmi ed alleggerirmi del peso che mi opprime; questo peso sparirà, ne son sicuro, appena potrò pregare. – E senza frappor tempo si fece cattolico».

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Possiamo aver vincoli di sangue con molte anime purganti. Volgendo l’occhio a destra ed a sinistra, vedremo nella nostra parentela posti vuoti su la terra; sono i posti occupati un giorno da congiunti.
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Volgendo l’occhio addietro ai nostri antenati, ricorderemo il nome di parte di essi: i più prossimi, i più recentemente segnati sul registro dei defunti. Qualcuno di noi troverà che vi sono sepolcri aperti recentemente: forse quello di un padre, forse quello di una madre; altri aperti da più antica data, ma anche più dimenticati.
I vincoli del sangue sono strettissimi. Lo sentiamo anche per la voce della natura, del cuore, della ragione. La carità è ordinata secondo la religione cristiana: e chi è più vicino a noi di coloro in cui circolò lo stesso sangue?
Quali obblighi non ha un figlio verso i proprii genitori ed i proprii antenati, cui tutto deve, finanche la propria esistenza?
Quante proteste d’affetto forse si sono fatte in vita ed al letto di morte ai nostri genitori e parenti?
Chi non avesse cura di quelli che hanno lo stesso sangue, di chi potrebbe aver cura?
Che se si trattasse di coniugi, la Sacra Scrittura dice di essi che sono una carne unica [cf. Mt 19,5; Mc 10,7 e Ef 5,31]. Allora bisogna ben aver cura almeno di chi forma non altra, ma la stessa carne! e quale cura! Se davvero si pensa alle parole di elogio che la Bibbia fa di quelle vedove che portarono sacra la loro vedovanza, se rileggiamo ciò che S. Agostino scrive della santa Vedova S. Monica, capiremo che merita elogio tanto più ampio il coniuge che più è devoto alla memoria dell’altro coniuge defunto.
Gli oggetti stessi che abbiamo in casa, il cognome con cui ci sottoscriviamo, il lume della fede
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cattolica, la posizione sociale sono tanti argomenti per farci ricordare gli obblighi assai stretti che abbiamo verso i nostri congiunti passati all’eternità.


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A Sant’Elisabetta, regina d’Ungheria,1 essendo ancora giovanissima era morta sua madre Geltrude: e non è a dire quanto s’impegnasse a suffragarne l’anima con grandi orazioni, digiuni, elemosine ed altre opere buone.
Una notte, mentre dormiva tranquillamente, fu svegliata all’improvviso da replicati sospiri e gemiti dolorosi. Spaventata si alzò seduta sul letto e aprì gli occhi ed ecco apparire nel buio della stanza una donna, la quale avvolta in funereo ammanto, pieno il volto di profonda mestizia, si avvicinò al letto di Elisabetta e, buttatasi in ginocchio: «Figlia, disse, guarda tua madre tra le pene; viene a pregarti e a scongiurarti di liberarla. Ah! per i dolori che ho sofferti per te, per l’amore con cui ti ho allattata, per le cure che ti ho prodigate, raddoppia, ti supplico, le tue orazioni, acciocché Iddio mi liberi da questi insopportabili tormenti». E ciò detto sparì.
Senza perdere tempo Elisabetta si alzò dal letto, si gettò ai piedi del Crocifisso, immersa nelle lacrime, e supplicò e scongiurò il Divin Redentore ad aver pietà della sua povera madre. Quindi si diede la disciplina e si offerì al Signore come vittima, fino a che stanca fu vinta dal sonno. Ma di lì a poco di nuovo si sente svegliare, non più da gemiti,
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bensì da canti e da armonie angeliche; apre gli occhi e vede sua madre raggiante di gloria, che, sorridendo e guardandola, le dice: «Figlia, ti ringrazio delle preghiere e delle penitenze fatte per me: Iddio le ha accettate, ed ora, libera dalle fiamme del purgatorio, io volo ai gaudii eterni»; e in così dire sparì, lasciando Elisabetta tripudiante di purissima gioia.

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Possiamo avere vincoli di riconoscenza verso anime che si trovano in purgatorio. Sono forse già passati all’eternità benefattori spirituali:
– forse quel Parroco che ci battezzò, ci istruì nel catechismo, ci ammise alla prima comunione;
– forse quel Confessore che tante volte ci sciolse dai nostri peccati, ci consolò nelle pene di spirito, ci diresse nella via del bene;
– forse quel predicatore che ci illuminò, quella persona così virtuosa che ci lasciò tanti buoni esempi, quello scrittore che ci fu veramente buon aiuto con i libri e coi periodici.
Sono forse già passati all’eternità quei benefattori naturali;
– forse quel buon Maestro che nei banchi della scuola ci incamminò nella via del sapere con gran fatica;
– forse quella persona facoltosa che con sussidii ci raccolse orfani, porse aiuto alla famiglia nostra, fece apprendere una professione od un mestiere;
– forse quel capo d’arte, quel datore di lavoro,
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quella persona così influente ed oculata nelle associazioni religiose, nelle amministrazioni pubbliche o private.
E chi può mai enumerare tutti i benefattori, se siamo in una società ove facciamo religiosamente e civilmente un organismo unico?
La riconoscenza è sentimento naturale per l’uomo, che suole rispondere almeno con un grazie a chi benefica. La riconoscenza è istinto persino insito nella natura, poiché si narra di certi animali che, beneficati, furono sempre grati ai loro protettori.
La riconoscenza è virtù cristiana, che forma parte della giustizia, piace al Signore ed ha per frutto grande merito. Perciò il Divin Maestro insisteva con l’unico, dei dieci lebbrosi sanati, che venne a ringraziarlo: «Non sono forse dieci i guariti? e come mai uno solo è venuto a ringraziare Dio pel beneficio?» [Lc 17,12-19].
La riconoscenza si dimostra nelle occasioni in cui lo stesso benefattore ha bisogno. Orbene chi più bisognoso delle anime purganti? Penano, e tanto! soffrono la fame di Dio, e nessuno le sazia!
L’amicizia non può consistere solo in parole, ma devesi mostrare in opere, né può bastare mostrarsi affettuoso con chi si trova nei momenti buoni, ma specialmente l’amico si conosce nei tempi difficili. Orbene, ecco il tempo difficile per le anime che si trovano in purgatorio.
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Così a tutti è nota la storia di quella povera orfanella di Parigi, la quale, non trovando in alcun modo lavoro, pensò d’impiegare i pochi soldi che le rimanevano in una Messa per l’anima più bisognosa del Purgatorio. Uscendo poi dalla chiesa, s’incontra in un giovane che l’indirizza presso una vedova alla parte opposta della città. La ragazza va e, dopo molto cammino, giunge alla casa di quella signora, la quale abbisognava appunto di una domestica e: – Chi vi ha diretta? – subito l’interroga.
–Un tal giovane sui vent’anni che incontrai stamane uscendo dalla Chiesa del Carmine... Aveva il volto tanto pallido, con una cicatrice sulla fronte, capelli biondi come l’oro e due occhi così azzurri...
– Ma quello è mio figlio, interruppe la signora, il mio povero Luigi morto il mese scorso... – E, fattasi narrare ogni cosa e conosciuta la pietosa azione dell’orfanella, volle adottarla per figlia.

PRATICA

ORAZIONE. – Vi preghiamo, o Signore, di liberare l’anima del vostro servo (ovvero della vostra serva) N., affinché passato (ovvero passata) da questo mondo, viva con voi eternamente, degnandovi
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di scancellare per mezzo della grande vostra misericordia quelle colpe, che vivendo ha commesse per la fragilità della carne. Per i meriti del Signor nostro Gesù Cristo vostro Figliuolo, che vero Dio vive e regna con voi e con lo Spirito Santo per tutti i secoli dei secoli. Così sia.

Per un Vescovo defunto

ORAZIONE – Signore Iddio, che faceste risplendere nella vostra Chiesa il vostro servo N. con la dignità del Pontificato, degnatevi di ammetterlo alla società di quelli già glorificati in Paradiso. Per i meriti del Signor nostro, ecc.

Per il Padre defunto


ORAZIONE – Signore Iddio, che nella vostra legge ci comandaste d’onorare il nostro padre e madre, abbiate misericordia dell’anima di mio padre, e perdonategli i commessi peccati; e concedetemi di poterlo rivedere beato nel godimento della gloria eterna. Per i meriti del Signor nostro, ecc.

Per il Padre e la Madre


ORAZIONE – Signore Iddio, che nella vostra legge ci comandaste d’onorare il nostro padre e madre, abbiate misericordia della loro anima, e perdonate loro i commessi peccati; e concedetemi di poterli rivedere beati nel godimento della gloria eterna. Per i meriti del Signor nostro Gesù Cristo, ecc.
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GIACULATORIA: O dolcissimo Gesù, per l’immenso dolore che avete sofferto nel rendere la vostra anima santa al vostro Padre, abbiate pietà delle anime sante del Purgatorio - Abbiate pietà, Signore.

FRUTTO


Aspirazioni

Quelle figlie e quelle spose
Che son tanto tormentate,
Deh! Gesù, Voi che le amate
Consolate per pietà.
(S. Alfonso).

Requie e luce, o Dio pietoso
Dona all’anime purganti.
Deh! fa’ sì che premuroso
Terga sempre i loro pianti,
Le soccorra con pietà.

(Sem).

Dell’alme gementi
Fra i vindici ardor,
Ascolta i lamenti,
Pietoso Signor.

Son figli, son santi
Che anelano a Te,
Concedi ai lor pianti
Riposo e mercé.
(P. Luigi da Presina).

Canzoncina sul Purgatorio

Una prece s’innalzi fervente
Al Signore, per l’anime sante
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Che dimorano in carcere ardente,
Aspettando l’eterno gioir.

Requie eterna, o Signore pietoso,
Date loro, e di esse la luce
Sempiterna risplenda; il riposo,
Presto s’abbiano in pace nel ciel.


Sono care allo Sposo divino,
Destinate a regnare con Lui;
Ed anelano stargli vicino,
Dove solo perfetto è l’amor.

Requie eterna... ecc.

Son private del volto di Dio,
Pur amando con tutto l’ardore,
Nelle pene e nel forte desio
Rassegnate al divino voler.

Requie eterna... ecc.

Non ha merito il loro patire,
Nulla possono a proprio sollievo,
Ben potendo i tormenti lenire
Di chi vive nel duolo quaggiù.


Requie eterna... ecc.


Del soffrir la durata non sanno,
Ed imploran del cielo l’entrata;
Del profondo, tristissimo affanno
I lamenti fan sempre sentir.


Requie eterna... ecc.


Spesso i nomi de’ loro più cari
Van chiamando co’ suoni più dolci...
Oh! nel mondo son pochi, son rari
Quei che senton di loro pietà.


Requie eterna... ecc.


Opra santa alleviare le pene,
Affrettare l’eterno soggiorno
A quell’anime, e certo ogni bene
Si guadagna per loro mercé!


Requie eterna... ecc.


(Mons. F. G.)
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1 Elisabetta di Turingia (1207-1231), non regina ma figlia del re Andrea d’Ungheria, divenne contessa di Eisenach sposando Ludovico di Turingia. Ebbe per madre Gertrude di Merano, nobildonna di costumi poco esemplari.