Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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«L’ANIMA È IMMORTALE!» 1


In natura – hanno altamente proclamato gli scienziati – niente si crea e niente si distrugge. A dimostrare la verità di questa asserzione sta il fatto che nessuno mai ha creato né creerà [dal nulla] qualche cosa, e che la dissoluzione di un essere è sempre servita e sempre servirà alla riproduzione di un altro.
Ma se questo si avvera per gli esseri materiali e sensibili, non si avvererà tanto più per lo spirito umano? L’uomo consta di anima e di corpo. Il corpo, dopo una vita più o meno lunga, è destinato alla morte, non però all’annientamento. Il chicco di grano affidato alla terra, non è distrutto ma solo subisce una mirabile trasformazione, che farà di esso una turgida spiga; così il corpo dell’uomo, posto nel camposanto, si decompone rapidamente, ma non si distrugge. Quel pugno di polvere, forse dispersa dal vento, allorché, «squillerà la tromba e i morti risusciteranno» (1Cor 15,52), per virtù di Dio si ricomporrà per partecipare all’immortalità dell’anima.
Il corpo deve pagare il suo tributo alla terra. Su di esso grava e graverà sempre la sentenza di Dio che punì il fallo dei nostri progenitori: «Morrete». Il corpo, privo dell’anima, non ha più vita, è morto. Ma l’anima continua a vivere, e non può morire, essendo stata creata da Dio immortale.2 E la Chiesa ha sempre professato la sua fede nell’immortalità dell’anima: «Credo... la vita eterna...».
Vi sono stati spiriti superficiali che hanno osato negare la immortalità dell’anima; che hanno osato ripetere il grido del paganesimo: «Coroniamoci di rose prima che marciscano», che hanno osato affermare: «Morti noi, morto tutto».
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Ma costoro erano intimamente convinti delle loro asserzioni? Si sarebbe potuto interrogarli nel silenzio, nelle ombre della notte, nell’imminenza di un pericolo, di fronte a una catastrofe... Se avessero voluto essere sinceri, avrebbero dovuto contraddire se stessi. Che cos’è, infatti, il desiderio innato della nostra conservazione se non una tendenza all’immortalità? Che cos’è quel vuoto che prova il nostro cuore, dopo essersi inebriato nei piaceri della terra, se non una dimostrazione che siamo creati per cose che non possono avere la loro realizzazione quaggiù? È la voce potente della natura che ci avverte con S. Paolo: «Non è qui la nostra dimora» (cf. Fil 3,20). Il nostro cuore è fatto per Dio; la nostra anima non muore col corpo, ma vive in eterno. Solo nell’eternità la nostra anima potrà saziare le sue più alte brame, solo allora vedrà il bene giustamente premiato e il male adeguatamente punito.
I pagani stessi ammisero l’immortalità dell’anima. Seneca,3 per consolare una madre desolata per la morte del figlio, scriveva: «Il sepolcro al quale corri e che bagni di lacrime, non racchiude che le spoglie mortali del caro pegno dell’amor tuo:... l’anima sua fu portata nei luoghi eccelsi fra le anime beate». I superbi mausolei che sfidano i secoli, le piramidi che hanno resistito all’azione distruggitrice del tempo, sono là a testimoniare la fede dei popoli in una vita avvenire, una vita senza fine, che l’anima vive anche dopo separata dal corpo. Cicerone,4 nei suoi libri delle Disputazioni Tuscolane, così si esprimeva: «Non si circonderebbero i sepolcri di tante cure, né le leggi divine e umane si accorderebbero a proteggerli, se nella mente di tutti non fosse ben definito e certo che la morte non è distruggitrice degli uomini, ma passaggio ad altra vita, che per gli uomini saggi è nel cielo».
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I popoli ce lo dicono, la Chiesa ce lo insegna, la ragione ce lo dimostra: l’anima è immortale!
Noi beati se crederemo senza volerne fare la triste esperienza che ne fece il Principe Lubomirski.5
Era soprannominato il Salomone della Polonia per la sua sapienza. Volle negare Dio e l’anima per darsi senza freno a tutti i piaceri che lo allettavano. Anzi, per dimostrare che l’anima non è immortale, diede principio ad una sua opera cui consacrava spesso molte ore della notte.
Stanco ed agitato per quel lavoro, un giorno in cui prolungò oltre il consueto la sua passeggiata giornaliera, si imbatté in una vecchietta:

– Non hai proprio nessun altro lavoro? – domandò alla povera donna che andava caricando il suo asino di foglie e di rami secchi.

– No, purtroppo. Mio marito sosteneva da solo tutta la famiglia. Ho avuto la disgrazia di perderlo ed ora non mi resta neppure tanto da far dire una Messa per il riposo dell’anima sua.

– Prendi – disse il Principe, gettandole alcune monete d’oro. – Fagliene dire quante ne vuoi...

E ritornò sui suoi passi, quasi incurante dei ringraziamenti della povera vecchia. Davanti al suo scrittoio, la sera di quello stesso giorno, mentre egli era immerso nel suo lavoro preferito, vide un contadino, ritto, immobile.

– Che fai tu, qui? Chi ti ha permesso di entrare? – grida il Principe, agitando violentemente il campanello per rimproverare ai familiari l’inescusabile negligenza.

Ma questi protestano di non aver visto nessuno. Il caso rimase senza spiegazione.
Il giorno dopo, alla stessa ora, la medesima apparizione del silenzioso e inafferrabile visitatore.

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Il Principe non chiamò alcuno ma, gettata lontano la penna, andò difilato verso il contadino, apostrofandolo arditamente:
– Chiunque tu sia, o disgraziato, dimmi che cosa vieni a
fare qui. L’ombra parlò:

– Io sono il marito della vedova che voi avete soccorsa: ho chiesto a Dio la grazia di pagare il vostro beneficio con queste parole: «L’anima è immortale!».
Ciò detto, sparì. Il Principe, chiamata la famiglia quasi a volerla testimone del suo atto, lacerò subito il manoscritto: le pagine lacerate esistono tuttora.

PRATICA: Crediamo all’immortalità dell’anima e viviamo praticamente la nostra fede. Che tutte le nostre azioni ci assicurino una vita beata, una meritata eternità felice! Ripetiamo spesso nel giorno: «Vita breve, morte certa; – di morire l’ora è incerta: – un’anima sola che si ha, – se si perde, che sarà?».

PREGHIERA: Cuore trafitto di Gesù, abbiate pietà di noi e delle anime sante del Purgatorio.
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1 Il presente capitolo, assente nelle prime tre edizioni, fu introdotto nella quarta, con il titolo Immortalità dell’anima.

2 Immortale in quanto semplice, di natura spirituale, priva di componenti divisibili, e quindi non soggetta a disintegrazione.

3 Seneca Lucio Anneo (5 a.C.-65 d.C.), filosofo latino, maestro di Nerone, pensatore di tendenza stoica. Nella ricerca di una dimensione interiore precorre, in qualche modo, il pensiero cristiano.

4 Marco Tullio Cicerone (106-43 a.C.), console della Repubblica romana, filosofo e celebre oratore.

5 Stanislaw Herakliusz Lubomirski (1642-1702), figlio di Jerzy Sebastian, principe del Sacro Romano Impero, e di Zofia Ostrogska (“la donna più ricca della Polonia”); fu Gran Maresciallo e Coppiere della Corona polacca; cultore delle arti e scrittore.