Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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GIORNO DECIMOSESTO

Fortezza

S. SCRITTURA

Una donna forte chi potrà trovarla? Più delle perle venute dall'estremità della terra essa vale; in lei confida il cuore del suo sposo e non mancheranno ricchezze.
Essa cinge di forza i suoi fianchi e rende forte il suo braccio.
Mette mano alle cose forti e le sue dita maneggiano il fuso. Apre la mano ai miseri e stende le palme ai bisognosi.
L'avvenenza è un inganno, la bellezza è un'ombra: la donna che teme il Signore, quella sarà lodata
(Pr. 31,10-11.17.19-20.30).

La fortezza è la virtù per cui si affronta senza temerità e senza timidezza qualunque difficoltà e pericolo, e anche la morte, per il servizio di Dio ed il bene del prossimo. Essa è fermezza di animo ed è condizione per qualsiasi virtù. «La fortezza è propria di un'anima grande; da sola difende gli ornamenti di tutte le virtù, custodisce la giustizia, combatte inesorabilmente tutti i vizi;
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invincibile nelle fatiche, forte nei pericoli, rigorosa nei piaceri, severa negli allettamenti». «E' fortezza dei giusti il vincere la carne, il contrastare le passioni, lo spegnere il diletto della vita presente».
Disse Gesù: «Il regno dei cieli s'acquista con la forza e lo afferrano i violenti» (Mt. 11,12). «Se uno vuole venire dietro di me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua» (Mt. 16,24). «L'atleta non è coronato, se non ha combattuto secondo le regole» (2 Tm. 2,5).
La Fortezza ha tre gradi:
Il primo consiste nella mortificazione delle passioni: qui sta la vera fortezza. Si dicono forti i domatori di belve, i soldati vincitori, gli scalatori di montagne, i transvolatori degli oceani. Ma con maggior ragione sono forti coloro che dominano se stessi, vincono l'ira, l'amor proprio, la concupiscenza. «Il paziente val più del forte, e chi sa combattere se stesso val più di chi espugna città».
Il secondo grado consiste nel sacrificare, quando fosse necessario, la propria libertà, la fama e la stessa vita, per la gloria di Dio e per il bene del prossimo. E' questa la fortezza praticata dall'apostolo Paolo il quale, pur di salvare anime, si esponeva ad ogni specie di pericolo: «Spesso in viaggio, tra pericoli di fiumi, pericoli in mare, pericoli dai falsi fratelli» (2 Cor. 11,26). E' questa la fortezza eroica di cui danno ancora oggi sì bella prova i Missionari e le Missionarie nei luoghi di evangelizzazione.
Il terzo grado consiste nel tollerare i mali con animoforte ed invitto.
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Questa è propria di chi accetta rassegnato la morte dalle mani di Dio, e, ancor più di colui che subisce il martirio. S. Ignazio Martire scrive ai Romani: «Dio voglia ch'io possa godere di quelle belve che mi sono preparate; io le desidero feroci contro di me... Desidero essere maciullato dalle loro zanne, per essere frumento di Dio».

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Maria è chiamata Regina dei Martiri, perché il martirio fu il più lungo, il più atroce, il più amoroso; così S. Alfonso de' Liguori con molti panegiristi di Maria Addolorata. Considerando però, più in generale, la sofferenza di Maria diciamo che Ella provò ogni pena; che la sua rassegnazione fu totale; che fu, per magnanimità, l'opera più grande.
I. Maria provò ogni pena: Povertà, disprezzo, dolore accompagnarono costantemente la vita della Madonna. Chi è povero ha occasione di esercitare continuamente la virtù della pazienza. Maria era sposa di un artigiano santo si, ma povero, che guadagnava il pane col sudore della fronte; perciò dev'essersi trovata molte volte nella vera strettezza. Nella spelonca di Betlemme, nella fuga e dimora in Egitto, nell'officina di Nazaret, soffrì talvolta la fame, talvolta la sete, il freddo, il caldo, la pioggia, i venti, la stanchezza e tutte le altre privazioni proprie dei poveri.
Più difficile a sopportarsi è il dispregio: Maria lo provò in Betlemme dove fu da tutti respinta ed in tutti i luoghi di sua dimora, perché ovunque visse e fu trattata da povera. Ma i disprezzi più umilianti, le ingiurie, le contraddizioni più acerbe piombarono su di Lei quando si
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cominciò a perseguitare il suo Figliuolo Gesù. Oh! quanto ebbe a sostenere Maria, per essere Madre di Gesù! di quante beffe ed insulti fu fatta bersaglio! quante villanie ed improperii fu ricolma!
Immagina la condizione di una donna che è Madre del più odiato e perseguitato dei figliuoli, odiato e perseguitato da ogni classe di uomini: ricchi, poveri, plebei, dotti, ignoranti, sacerdoti e laici! Gesù soffrì tanto nella passione e morte; ma il tenero cuore di Maria, fu pure trafitto dal dolore. Attendite et videte, si est dolor sicut dolor meus. Dalla profezia di Simeone fino alla risurrezione, Ella andò naufraga in un mare di pene, le più acerbe ed intense: magna est enim velut mare contritio tua. La pazienza è virtù necessaria a tutti, in tutte le età e condizioni della vita: «Patientia enim vobis necessaria est» (Eb. 10, 36), esclama l'Apostolo; ma come si acquista? Coll'esercizio continuo.
La pazienza, secondo S. Bonaventura, consiste nel patire tacendo. Ma la SS. Vergine patì senza la minima agitazione, senza alcun risentimento, desiderando patire maggiormente. Patì tacendo: non lamenti, non amarezze; in Dio solo cercava conforto: Arbitrum mentis solita non hominem sed Deum quaerere. Patì senza agitazioni: la benedetta sua anima era di una calma imperturbabile, il suo cuore sempre in pace: In nobis justitia non est sine bello, in ipsa cum summa pace. Patì senza risentimenti: Maria aveva sotto gli occhi gli Scribi, i Farisei e il popolo giudaico, che con ogni maniera di obbrobri e di strazi avevano fatto morire il suo divin Figliuolo. Ebbene: «O mira Mariae patientia et mansuetudo! esclama
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S. Bonaventura, numquam contra eos impatiens fuit».
II. La rassegnazione di Maria fu totale. Desiderò sempre che la volontà di Dio fosse compiuta in Cielo ed in terra, nel suo Gesù, nel suo Giuseppe, negli uomini e nelle creature tutte. Qualunque cosa le accadesse, gradita o spiacevole, la sua pace interiore non soffriva alterazione alcuna. La Galilea o l'Egitto, Nazaret o Betlemme erano per lei dimore indifferenti: la penuria e l'abbondanza, la fatica ed il riposo, le era ugualmente caro nella volontà del suo Dio. Ella sentiva sino in fondo all'anima le prove che Dio mandava a Lei, al castissimo suo sposo, ma più ancora le ambasce e i dolori del suo caro Gesù: Super haec doluit crucifixum! esclamava S. Bernardo, et vehementer: ille enim mori corpore potuit, ista commori corde non potuit. Ma il suo sentire e pensare era tranquillo, perché in perfetta uniformità al volere di Dio. Il Sangue sparso da Gesù, non impedì che la maggior parte del popolo eletto perdurasse nella miscredenza; quel popolo che aveva avuto a capo i patriarchi, i Dottori, i profeti, quel popolo che aveva ricevuto la legge da Dio stesso, ed a cui erano state fatte tante promesse, restò nelle tenebre dell'errore, oppresso da sciagure indicibili e lontano da Dio. Quale pena al cuore di Maria, che avrebbe dato mille vite per esso! Di più, dopo l'ascensione di Gesù, la lunga dimora sulla terra era per Maria un continuo esercizio di rassegnazione. Ella sospirava la Patria celeste. Infiammata d'amore più di tutti i Serafini, non aveva più che una brama ardente: congiungersi presto al suo Diletto in Cielo. Con tutto ciò Maria persisteva in una perfetta e
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tranquillissima rassegnazione. Amava, desiderava, ma non avrebbe voluto prevenire d'un istante la volontà del Signore.
Con la viva persuasione di non meritare nulla, accettava ogni pena senza sorpresa, benedicendo Dio nelle pene e nelle gioie, nelle umiliazioni e nelle glorie. La rabbia maligna dei Farisei, il furore del popolo ebreo, il tradimento di Giuda, l'ingiustizia di Pilato, la morte crudele del suo Divin Figlio, la gettarono in un mare di dolori: veni in altitudine maris. Eppure non si lamentò, stimandosi sempre trattata oltre ogni suo merito.
III. La rassegnazione di Maria fu per magnanimità l'opera più grande: Maria fu nostra corredentrice per magnanimità. Ripiena di lume celeste, istruita nelle Sacre Scritture, sapeva che il Redentore era descritto dai Profeti come l'uomo dei dolori: virum dolorum (Is. 53,3); e simile a Lui doveva essere la donna destinatagli per Madre. Conobbe anche meglio questo quando, dalle labbra di Simeone ascoltò la profezia: «Tuam ipsius animam pertransibit gladius» [Lc. 2,35]. Dio voleva da Lei questo grande sacrificio, generosa, glielo offrì. Accetta, o Padre onnipotente, questa oblazione che io tua ancella ti offro: Suscipe, Pater omnipotens, oblationem hanc quam tibi offero ancilla tua.
Le donne d'Israele dopo aver offerto nel tempio i loro figliuoli li riscattavano con poche monete, piene di allegrezza se li riportavano a casa e li riguardavano come la loro speranza. Maria riguardava nel suo Gesù la vittima che Ella doveva allevare per il sacrificio della croce. Nel sentire il dolce nome di Madre, quante volte avrà pensato all'ultima volta in cui le avrebbe rivolto
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la parola dalla croce; nell'atto di stringerlo al seno avrà pensato alle funi che dovevano trascinarlo per le vie di Gerusalemme; nel vestirlo, avrà pensato che quelle carni innocenti sarebbero state ridotte un giorno tutta una piaga, aperte dai flagelli, trapassate da chiodi!
Ma il momento più sacro in cui la sua magnanimità doveva apparire unica al mondo fu quello del Calvario, quando, appiè della croce, assistette all'agonia del suo Gesù. Maria, naufraga in un mare di tristezza, non disse parola, non emise lamento, mostrò una magnanimità ch'è senza esempio: «Stantem lego, dice S. Ambrogio, flentem non lego». Stava presso la croce contemplando la infinita bontà del Signore, che, per salvare i colpevoli, sottoscrive alla morte dell'unigenito suo Figlio. Stava contemplando la Passione dolorosa e pazientissima di Gesù; stava immobile, non temendo né la malignità degli Scribi e dei Farisei, né l'insolenza dei soldati, né il furore della plebaglia; stava dando, in quell'atto, a tutta la Chiesa nascente un esempio di generosità e di costanza che la costituiva Regina di tutti i martiri e Corredentrice dell'umanità.

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I difetti contro la fortezza sono specialmente la timidezza e la temerarietà.
1) Chi è timido teme dove non deve temere, o teme più di quanto è necessario. Non è male temere il peccato e le pene dell'inferno (si possono temere quei mali da cui non procede alcun bene); è male, invece, il vano timore e la pusillanimità, per cui vengono trascurati i doveri del proprio stato. E' specialmente da condannarsi il
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rispetto umano, per cui uomini che si credono forti, diventano come schiavi dei più tristi.
2) Il temerario vuole compiere il bene quando non conviene, o nel modo che non conviene. Per lo più questa temerità nasce dal disprezzo che si nutre per la vita altrui, dalla superbia per cui si confida troppo nelle proprie forze; dalla vanità per cui si vuole dare prova del proprio valore, e talora anche da stoltezza.
I frutti della fortezza sono: La magnanimità, che porta a fare opere grandi per Dio e per il prossimo. A prima vista la magnanimità sembrerebbe contraria all'umiltà. La differenza invece è grande. Il superbo vuole compiere opere grandiose per essere lodato dagli uomini; invece il magnanimo disprezza le ricchezze, gli onori e i piaceri di questo mondo, aspettando da Dio solo l'approvazione ed il premio.
La magnificenza, per cui ad onore di Dio, o per il bene della Chiesa o della Patria, si fanno cose grandi, e quindi pure grandi spese: come avviene per la costruzione di templi, collegi, università, seminari, monasteri.
La pazienza, che ci fa sopportare con animo tranquillo, per amor di Dio in unione di Gesù Cristo, patimenti fisici e morali. Soffriamo tutti abbastanza, tanto da farci santi, se sapessimo soffrire da forti e per motivo soprannaturale.
La costanza nell'operare il bene senza cadere nella stanchezza, nello scoraggiamento e nella sensualità. «Sarete odiati da tutti a causa del nome mio - disse Gesù - ma chi avrà perseverato sino alla fine sarà salvo» (Mt. 10,22; 24,13).
Se vogliamo progredire nella virtù della
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fortezza, adoperiamone i mezzi: preghiera, confidenza in Dio, meditazione, fedeltà nelle piccole cose: «Chi è fedele nel poco è fedele anche nel molto, e chi è ingiusto nel poco è ingiusto anche nel molto» [Lc. 16,10] e soprattutto l'amor di Dio. S. Paolo diceva: «Chi potrà separarci dalla carità di Cristo? le tribolazioni forse, l'angoscia, la nudità, il pericolo, la persecuzione, la spada? Come sta scritto: Per te noi siamo oggi messi a morte, siamo considerati come pecore da macello. Ma di queste cose siam più che vincitori in virtù di colui che ci ha amati» (Rm. 8,35-37).

DIVOZIONE A MARIA

MADONNA DEL MONTE CARMELO

Questa festa s'intitola al Carmelo per più motivi: primo perché Maria venne figurata e onorata sul Monte Carmelo già molto tempo prima della sua nascita; perché il Carmelo è il primo luogo della terra dedicato con un Oratorio alla Madre di Dio; perché l'Ordine dei Carmelitani la considera come sua fondatrice, madre e superiora perpetua; in ultimo per l'istituzione del Santo Scapolare dato nel 1245 dalla SS. Vergine a San Simone Stock generale dei carmelitani, assicurandolo che chi l'avesse portato costantemente, nell'altra vita o non sarebbe passato per le pene del Purgatorio o ne sarebbe stato liberato al più presto e in questa avrebbe avuto una salvaguardia dai pericoli e un pegno di salvezza eterna.
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PREGHIAMO MARIA

Orazione: Dio, che decorasti l'ordine del Carmelo del titolo singolare della tua beatissima sempre Vergine e Madre Maria; concedi propizio, che mentre oggi ne celebriamo la Commemorazione con solenne ufficio, muniti della sua protezione, meritiamo di giungere ai gaudii eterni.

Secreta: Deh! Signore, santifica i doni offerti: e per la validissima intercessione della beata Madre di Dio Maria, concedi che ci riescano salutari.

Dopocomunione: Deh! Signore ci soccorra l'augusta intercessione della tua gloriosa Madre e sempre Vergine Maria: affinché, dopo averci colmati di eterni benefici, ci liberi da tutti i pericoli e ci faccia per sua pietà concordi.

ESEMPIO

S. MARIA EGIZIACA

Al S. Sepolcro di Gesù Cristo in Gerusalemme, avveniva or sono 15 secoli, una prodigiosa conversione per opera di Maria.
Dopo 17 anni di una vita scandalosa, Maria Egiziaca, recavasi in Gerusalemme, alla festa della S. Croce. Ma volendo entrare col popolo in quel tempio si sentì respinta indietro. Tre volte ritentò d'entrare, ma invano; allora capì che il Signore la rigettava.
Piangendo amaramente, si prostrò dinanzi ad una immagine di Maria dipinta sopra la porta della Chiesa, e invocò con gemiti e sospiri l'aiuto di Colei che è il rifugio dei peccatori,
Terminata la preghiera, si sentì aprirsi l'animo a speranza; si presentò alla porta della Chiesa,
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vi entrò senza resistenza alcuna. Si gettò allora ai piedi del Crocifisso, rinnovando le promesse già fatte a Maria SS. di riparare le sue colpe con lunga penitenza. Si confessò, si corroborò col pane eucaristico, si ritirò al di là del fiume Giordano, ove dimorò per 47 anni, dedicandosi alla preghiera, al lavoro ed alla penitenza.

LODE

Virgo Dei Genitrix, quem totus non capit orbis
In tua se clausit viscera factus homo.
Vera fides Geniti purgavit crimina mundi.
Et tibi virginitas inviolata manet.

Te matrem pietatis, opem et clamitat orbis:
Subvenias famulis, o benedicta, tuis.
Gloria magna Patri, compar sit gloria Nato,
Spiritui Sancto gloria magna Deo. Amen.
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