Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

Effettua una ricerca

Ricerca Avanzata

XI. APPARTENENZA (1)
In questa considerazione l'argomento è: amare l'istituto. E che cosa significa amare l'istituto? Amare l'istituto significa donarsi. Significa donarsi e cioè mettere a disposizione di Dio attraverso all'istituto tutte le facoltà che si hanno: l'intelligenza, la salute, la pietà, le forze fisiche, le abilità, il cuore, la volontà, la vita in sostanza.
239
La volontà di Dio, quando si è fatta la professione, si concentra lì: vivere l'istituto.
Ora vi sono delle ragioni soprannaturali e vi son delle ragioni anche naturali.
Ragioni naturali: ormai la vostra famiglia è questa, una volta che si è fatto la professione. E quando una figliola con l'andar degli anni si forma una famiglia tutti gli interessi, tutte le preoccupazioni e i pensieri, le sue attività le ha nella nuova famiglia.
240
Così, quando Abramo sentì il comando di Dio: /Exi/ [de terra tua, et] de cognatione tua [Gn 12,1] (a) esci dalla tua famiglia, rivolse i pensieri a quello che voleva Iddio, ad un'altra famiglia, e stabilì il suo cuore lì sebbene il tempo sia stato lungo prima che le promesse di Dio si fossero realizzate.
241
Famiglia naturale in cui si ha da vivere, in cui si ha da morire, con la quale si ha da vivere insieme. Lì sarete assistite in punto di morte. Lì riceverete i suffragi. La vostra vita è quella!
Allora, ecco: donarsi <a que> alla famiglia.
242
Vi è poi anche un altro motivo naturale ed è questo che la famiglia vostra evidentemente è di volontà di Dio. E' passata anche attraverso alle prove. E tutti gli istituti passano attraverso delle prove. Ma Iddio l'ha condotta, la vostra famiglia, fino a questo punto di sviluppo. Ecco fino a questo punto in cui voi già conoscete e vi accorgete che la mano di Dio è con voi.
243
Ogni anno siete /venute/ (a) qui agli esercizi, da un po' di tempo a questa parte, avete trovato un qualche segno della volontà di Dio, della benedizione di Dio, della predilezione di Dio per la famiglia delle suore pastorelle. Quindi non è più solamente una parola che si predica, è un fatto che si vive, vero, reale!
244
D'altra parte, le vostre così belle costituzioni, le vostre mansioni <o cioè> o la vostra missione così preziosa per il contatto con le anime, e poi tutto quello che segna di cammino e di pietà e di studio e di apostolato e di amministrazione anche (se volete dire) e di formazione, tutto indica che Iddio è con voi, che la famiglia piace a Gesù buon Pastore, che Maria madre del divin Pastore se l'è presa sotto la sua protezione, che i santi apostoli Pietro e Paolo vi guidano e vi proteggono.
245
Eh, l'avere il cardinale protettore (a) è piuttosto un significato: non è che sia un superiore, ma piuttosto come una protezione, un aiuto se ci fossero delle cose difficili. Anche potrebbe consigliare, quando si trovasse una qualche difficoltà particolarissima.
246
La famiglia vostra soprannaturale: entrate nella congregazione per mezzo dei santi voti, lì vi fate sante. Lì ci son tutti i mezzi per diventar sante: le regole sono sagge, l'apostolato è quanto mai santo, i mezzi di progresso, cioè la pietà e tutti gli aiuti esterni della disciplina e dell'aiuto che vi viene dalle persone che circondano, tutto indica che il Signore vi vuole sante lì e che avete i mezzi lì per diventare sante.
Entrate in questa famiglia, o vi fate sante lì o non vi fate più. Non si può pensare ad altro. Qualunque altro pensiero e qualunque altra via diviene come una tentazione, non solo, ma vuol dire perdite di grazie. Perdite di grazie.
247
Quindi, ognuna deve pensare che è /arrivata/ (a) al colmo, alla pienezza delle grazie di Dio. E o si riesce a diventare sante in questa congregazione, in quell'ufficio che avete, o non si riesce. Ma proprio in quell'ufficio, in quelle occupazioni, con quelle persone con cui si conviene, con quelle difficoltà, con quegli aiuti, in quelle difficoltà, con quegli aiuti, in quelle circostanze; chi ci sta nella parrocchia, chi sta con voi, quali sono le relazioni che si devono tenere da una parte e dall'altra, sia con la casa madre e sia con i parroci, coi fedeli, coi fanciulli: ecco, è proprio quello il campo della santificazione!
Ognuna deve dire: o mi faccio santa così o non mi faccio santa.
248
Non si può sempre pensare al cambiamento di ufficio, al cambiamento di persone; dobbiam pensare al cambiamento di noi stessi. Cambiare gli altri <e non> può essere un inganno; cambiare noi stessi è sempre indovinato... che non si sbaglia se noi cambiamo noi stessi, se diventiam più umili, se abbiamo più pietà, se noi siam più zelanti, più generosi, più osservanti, se noi siamo più applicati allo studio, all'imparare, a progredire nelle cognizioni e nell'osservanza religiosa.
Cambiare noi!
249
Brutta tentazione, ah, distribuire le colpe agli altri! Brutta tentazione scusarsi. No!
Noi [non] dobbiamo ingannare noi stessi, non illuderci, perché ognuno fa il bene per sé e in punto di morte sarà contento di aver fatto bene se ha fatto bene e si porta al di là il bene fatto; e se non ha fatto bene, non ha fatto bene e non si porta al di là il bene perché manca.
Particolarmente l'uso del tempo. L'uso del tempo che è così prezioso il tempo, e nel quale tempo ci sono poi tutte le altre grazie.
250
Dunque per amare la congregazione ci vuole: primo, una grande stima; in secondo luogo ci vuole una preferenza decisa: "Questa è la mia vita, amo questa. Ci fossero anche altre cose che appaiono dieci volte più belle io amo questa, perché amando questa mi faccio più meriti che amando l'altra. Mi faccio più santa".
251
In terzo luogo, viverla. Viverla donandosi. Donandosi! E' facile dire: "Io tutto mi dono, offro e consacro"! (a). Ma è poi realizzare tutto. Nessun pensiero fuori di quello che è nel volere di Dio.
Nessuna fantasia, nessuna preoccupazione. Nessuna aspirazione fuori che quello che vuol Dio. Lì! Tranquille nel vostro stato, senza mai turbarsi, senza mai guardar dalla finestra, diciamo così, cosa ci può essere di meglio.
Considerare ogni dubbio come una tentazione del demonio.
"Sono lì per volere di Dio, perché il confessore mi ha detto di sì, perché le madri mi han detto di sì e perché allora, sentendo i due sì, ho anch'io detto il mio sì e sono andata avanti".
Ecco tutto.
252
Riguardo all'amore alla congregazione, bisogna dire che è buono questo amore quando è soprannaturale.
Se una l'amasse perché mangia bene, /se/ (a) l'amasse perché può alzarsi più tardi e dormire quanto vuole, perché tutte la stimano e le fan riverenza, perché è in un ufficio che le piace, perché tutte sembra che la stimino, perché l'abito è bello... se uno amasse per questi motivi naturali, merito? No! no!
Il merito c'è quando c'è l'amore soprannaturale: "Perché qui è la mia famiglia, famiglia di Dio, perché qui mi posso far santa, perché qui ho emesso i voti, perché qui ho tutte le grazie, tutti i doni. In qualunque altro stato non avrei le grazie e i doni per farmi santa".
253
Anche se uno dicesse: "Ma io esco, ne vado a cercar delle altre grazie", avendo già perdute le grazie che aveva prima, non si pensi che siano così abbondanti in altra condizione di vita.
Quindi amore soprannaturale!
254
Ma, la congregazione si ama in generale? Così con un amore vago, con un pensiero incerto? No!
Si ama la congregazione quando si vuol bene alle costituzioni, si capiscono e si vogliono osservare; quando si ama l'apostolato, si capisce e si vuol /fare/ (a); quando si amano le pratiche di pietà e si capiscono <e si voglio> e si vogliono fare; quando si convive con queste o quelle sorelle e tutte le sorelle insieme e si vuole convivere con loro umilmente, in semplicità di cuore, con rispetto e con premure come dice san Paolo: "Stimolatevi nelle opere di carità e nella benevolenza, cosicché tra di voi non vi sia altro che affetto, amore in Dio" [cf. Col 3,14-16].
255
L'amore è alle persone. Amar la congregazione: oltre che amare le costituzioni e le opere dell'istituto e la formazione dell'istituto, amar le persone.
Amare chi guida.
Amare chi sta attorno e chi aiuta.
Amare chi è in formazione.
Amare le vocazioni perché entrino e aumentino la congregazione.
Amare tutto quel che è disposto l'orario, l'ufficio che è dato.
E amare le stesse difficoltà, gli stessi sacrifici.
256
Amare è contribuire ai sacrifici. Sì.
Ad esempio oggi contribuite con i sacrifici a costruire la nuova casa: questo è un segno di amore.
Che tutti portiamo il nostro contributo!
257
Vi sono alle volte delle persone che sfruttano l'istituto e altre che invece aiutano l'istituto.
Sfruttare e aiutare son due cose opposte: sfruttare è viver di egoismo, aiutare vuol dire vivere in carità e di amore per l'istituto.
258
Oh, questo lo volevo dire non perché ne abbiate molto bisogno voi, sebbene sempre c'è bisogno di crescere in quest'amore, ma perché è il principale segno di vocazione.
Se non scorgete nelle aspiranti, non scorgete nelle novizie o nelle professe temporanee quell'amore vivo all'istituto...
Quel vedere queste persone che stanno volentieri, che godono nello stare in quella vita, che si trovano a loro agio, che si spendono, si sovraspendono, che amano tutte le opere che vengono assegnate, affidate... ecco, allora c'è il miglior segno di vocazione.
259
Perché, cos'è la vocazione? Da una parte è il possedere le qualità: di salute, di sapere e di virtù. Ma non tutte quelle che son buone son fatte per l'istituto. E' molto diverso dall'esser buona a esser chiamata alla vita religiosa, supponiamo questa vita religiosa, questo istituto.
E' molto diverso!
Eh, qualche volta si sente /dire/ (a) una cosa che è un errore e cioè: Oh, quella è buona figliola. Ma non basta che sia buona figliola!
260
La vocazione è l'affezione a quella vita, il sentirsi portate a quella vita, il vivere lietamente in quella vita. E' vivere.
E allora si danno sì tutte le attività, tutte le energie, le qualità all'istituto, ma si danno con gioia, sebbene costino sacrificio.
261
"Ma per me è duro, supponiamo, far le conferenze alla gioventù femminile". E se è duro, non vuol dir che non si amino, vuol dire che ci vuole un po' di più sforzo.
Eh, mica che a portar la croce piaccia sempre!
Ma Gesù l'ha abbracciata <in tutte, con tutte due> con tutte e due le mani la croce, e se l'è messa sulle spalle. Non vuol dir che si goda, che goda la natura nostra, ma vuol dire che gode il nostro spirito di quelle cose.
262
Si gode lo spirito di fare e il catechismo e di levarsi alla tal ora e di conservare così e aver tutti i giorni in quel modo la tavola e di aver quell'orario e di viver con quelle persone e di osservar quelle costituzioni e la povertà <che è pre> come è prescritta e la carità che sempre bisogna conservare.
Non è che la natura ne goda, ne gode lo spirito! Allora c'è l'affezione, c'è l'amore alla congregazione
L'amore alla congregazione e alla sua vita, alle sue opere, alle sue persone, al suo apostolato, sì!
Di conseguenza è il primo e principale segno.
263
Perché può essere anche che ci sia una fanciulla la quale abbia fatto quasi <nessuna> nessun studio, la quale fanciulla ha ancora dei modi forse mezzo rozzi, ha ancora <delle> delle abitudini che indicano come è stata formata in famiglia... ma una generosità, ma un dono totale!
Eh, aveva pochi doni quanto a studi, ma manteneva la comunità col suo orto, con la coltivazione dell'orto. Ed era un orto abbastanza grande! E non c'era solamente la verdura per tutto l'anno, la verdura e la frutta, ma c'era ancora da vendere e comperava il pane coi soldi ricavati. Eh, questa l'ho seguita più anni.
Ora, questa persona può essere più utile che un'altra che fa scuola.
264
E' l'amore all'istituto il segno vero, fondamentale della vocazione. Oh, vederlo e scoprirlo bene!
Ma quando continuano a avere il cuore mezzo in famiglia, quando continuano a far distinzione fra una compagna o una sorella da un'altra compagna e da un'altra sorella, quando distinguono così facilmente le occupazioni l'una dall'altra, quando si è freddi nelle cose e cioè non si gode dei progressi dell'istituto e delle benedizioni <che go> che l'istituto, e quando non si partecipa alle pene, e quando le suore non soffrono che qualcheduna è ancora indietro, che non si fa santa... [E quando ci sono suore] che godono invece nel vedere queste figliuole, fervorose, generose che si danno...
265
Ecco, distinguere bene vocazione da mancanza di vocazione. Perché ci sono persone che l'avevano la vocazione, poi la perdono. E ci son le figliuole che non l'avevano forse una vocazione segnata, ma l'hanno acquistata. Ma è possibile questo? Fac ut voceris dice san Agostino, fà in modo di venir chiamata, mettendo il cuore lì, mettendo il cuore lì.
266
Se c'è un soldo da portare, che vien dalla famiglia, e lo portano! E non vogliono sfruttare la congregazione, piuttosto sono capaci a chieder la elemosina, le offerte per la congregazione. E quando si vedono le necessità, eh, sanno con varie iniziative e sante astuzie di far rendere il loro tempo, di fare qualche cosa che contribuisca al bene della congregazione, sì.
Allora l'amore all'istituto.
267
Questo amore all'istituto poi è quello che rende felice la vita perché se si sta in un posto dove uno <si> trova che deve soffrire, ma se ne vada! Perché: "Vuoi soffrire tutta la vita? E perché non ti piace, perché spiritualmente col consiglio del confessore hai visto che non è la tua strada?". Ma e bisogna invece dire: "E se mi sforzo? E se mi correggo?". E allora, ecco, l'amore che forse era scarso si ravviva, cresce e può crescere tanto da produrre i migliori frutti di letizia e di...
268
Oh, <non> nessuna vedere brutte le cose, nessuna guardar sempre le cose con gli occhiali neri, scuri e sempre magari con gli occhiali verdi dell'invidia o con il malcontento nell'animo. No!
269
Ci vuole la santa letizia, sì, la quale esce dall'anima, dal cuore soddisfatto, da quella comunicazione intima con Gesù buon Pastore, da quella intimità con Maria nostra madre e madre del divin Pastore, sì.
Allora letizia santa! Quando si fan le cose per forza: "Qui non voglio stare, là l'ufficio lo guardano di traverso, qui mi trovo in una casa fatta in questo modo, là sono con la persona che ha un carattere diverso", quanti meriti si perdono? Quanti meriti si perdono? La giornata rende poco, perché: "Cosa fatta per forza non vale una scorza". E invece abbiam bisogno che non solo valga la scorza, ma valga tutta la pianta, sì, e valga tutto il fusto.
270
In letizia, generosità. "Ma qui, c'è il tal parroco! Ma là, eh, c'è troppo comunismo! Ma qui vi è la tal persona che ha un carattere così diverso! Ecc.". Sapete che ma è il principio di male? E' la prima sillaba Male: la prima sillaba è ma! Tanti ma. Anche quando sono esortate a farsi sante, anche quando il confessore dice: Ma guarda un po' questo. E rispondono con ma. "Ma adesso ti metti?" "Ma!" E allora con questi ma, eh se si aggiunge poi l'altra sillaba, fa male. Sì male.
Oh, allora i pensieri devono concentrarsi nell'istituto e nell'ufficio che uno ha, per farlo rendere.
271
Secondo, i sentimenti. Ci vuole socievolezza: amare e vivere bene la convivenza. E anche se /una/ (a) per qualche giorno si sente un po' con qualche pena, con qualche puntura nel cuore, eh, non la faccia pesare sulle altre. Soffrire noi con pazienza, ma non far soffrire gli altri, per quanto è possibile. Sapersi umiliare, saper prendere una correzione, anche da una più giovane.
272
Saper insegnare anche due, tre, quattro volte e se non sa far bene la minestra, finché l'avrà fatta bene. Aiutarla, correggerla poco a poco. E non ci hanno insegnato a prender la pappa da bambini anche /se ci versavamo/ (a) la minestra sopra l'abito?
Oh, avanti con prudenza e socievolezza.
273
Se una si impanca così, che quasi sdegna la compagnia e ha dentro di sé una gonfiatura di sé medesima, un egoismo gonfiato che si stima tanto tanto, allora la convivenza divien difficile.
Invece quando una è umile, trova sempre che tutte hanno le loro belle qualità. Hanno le loro belle qualità!
274
Si sta facendo il processo del canonico Chiesa, (a), il processo diocesano per la beatificazione. E' il sacerdote che ci ha assistito intimamente, efficacemente in principio della Società San Paolo. Era parroco e prima insegnava in seminario. E in seminario aveva una decina di sacerdoti che insegnavano con lui, con cui doveva convivere. E poi, fatto parroco, (trentatre anni parroco è stato) ha avuto o sette o otto vice-curati e non tutti dello stesso carattere.
275
Negli scritti che ha lasciato, eh, sopra di tutti ha lasciato scritto qualche cosa in lode, ha rilevato le belle qualità che avevano. E alle volte ci sono stati anche i difetti, ma li taceva.
Sapeva rilevare il bene.
Quello spirito buono, spirito veramente di Dio: trovare il bene! E trovare piuttosto i difetti in noi.
Che belle cose che ha detto! Eppure si sa che qualcheduno l'ha anche fatto soffrire. Ma egli sapeva prendersi le sofferenze in penitenza e lodare e incoraggiare sempre tutti affinché si trovassero contenti.
276
Parlar sempre in bene della congregazione, lodarla, a tutti. C'è qualche difetto? Oh, senza dubbio! Eh, <ne> ne abbiamo tutti, ed essendo tante persone insieme facciamo il totale, la somma dei difetti, non è vero? E ciascheduna ha la sua parte.
Ma quando si parla o di chi guida o delle sorelle o delle sorelle che sono lontane o delle sorelle che son vicine e che son magari nella stessa casa, quando si parla delle opere dell'istituto, quando si parla <di> della vita che si fa: sempre dire in bene, se si ama davvero l'istituto.
Del resto se si cominciano a fare le osservazioni e le eccezioni, l'amore all'istituto a poco a poco se ne va e questo amore all'istituto si perde anche presso gli altri che non *** (a).
277
Qualche volta questi parroci chiedono le suore pastorelle: eh, hanno sentito parlar bene di loro! E io mi rallegro di questo. Però che cosa indica? Indica che le suore si son comportate bene dov'erano! E hanno contentato il parroco. I parroci poi si radunano nelle adunanze vicariali, nelle adunanze diocesane e parlan delle suore, molto spesso. E, e ogni parroco dice la sua e se è contento, se ha trovato che le suore sono buone, ecc. comunica questo agli altri. Poi scrivono alla madre o scrivono al Primo Maestro: "Ci mandi le suore!" E stamattina ce n'era uno non voleva andar via, perché, le voleva portare nel canestro, subito a casa (a). Subito!
278
Oh, ora può bastare, eh! Vogliatevi bene e vogliate molto bene all'istituto. Vi arricchite di meriti, vivete in letizia e farete progredire tutto l'apostolato. Tutto l'apostolato.
Guai alla superbia, che ci porta a guardare solo i nostri meriti, il nostro bene e non il bene degli altri!
Ogni lode quindi all'umiltà, che ci fa considerar più i nostri difetti e più apprezzare gli altri e le buone qualità degli altri. Domandare questa grazia al Signore.
Domandare questa grazia al Signore.
279
Si parlava una volta di una persona della quale, eh, parecchi insieme raccontavano dei difetti. Ma finalmente una vien fuori, e ne fa un elogio! E dice delle cose vere, proprio del bene che aveva questa persona. E tutti han taciuto.
L'abitudine di veder sempre il bene pur in mezzo a dei difetti.
Vedere sempre quello che è buono e santo.

Albano Laziale (Roma)
2 agosto 1960

280

(1) Albano Laziale (Roma), 2 agosto 1960.

241 (a) V: Egredere.

244 (a) Venuti.

246 (a) Si tratta del Cardinale Arcadio M. Larraona, nominato da Papa Giovanni XXIII Protettore della Famiglia Paolina con Breve Apostolico, 23 gennaio 1960.

248 (a) R: arrivato.

252 (a) Dal Rituale delle Suore di Gesù buon Pastore, EP prima edizione, senza data, pag. 34.

253 (a) R: che.

255 (a) R: farlo.

260 (a) R: a dire

272 (a) R: uno.

273 (a) R: che ci versassimo.

275 (a) Nasce a Montà d'Alba (Cuneo) il 2 aprile 1874. Nell'ottobre del 1886 entra nel seminario di Alba, viene ordinato sacerdote l'11 ottobre del 1896 dal vescovo Monsignor G. Francesco Re. Laureato in teologia dogmatica, in diritto canonico e civile e in filosofia.
Insegna nel seminario di Alba dove nel 1900 conosce il giovane Giacomo Alberione e ne diviene suo direttore spirituale, e in seguito suo prezioso collaboratore in tutte le iniziative. Muore il 14 giugno del 1946.

277 (a) R: parole incomprensibili: li levano poi più, tutti.

278 (a) Tono scherzoso che provoca una risata.