Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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XXXI. ACQUISIRE LA FORMA DEL PASTORE
/Apparuit humanitas et benignitas/ (a) Salvatoris nostri Dei [Tt. 3,4] . Nel presepio è apparso l'umanità e la bontà del nostro Salvatore. Salvatore del mondo, Jesus hominum Salvator, Jesus hominum Salvator. E voi collaboratrici di Gesù buon Pastore, salvatore. Oh, quanto è bella la vocazione vostra! Quanto vi vuol bene il Signore! E allora noi non sentiremo un poco di pena perché non l'amiamo ancora abbastanza? Non vi è nulla che turbi un poco, non che ci agiti, ma ci turbi un poco, per mancanza nel corrispondere alle grazie dell'anno che sta per finire?
Vi è, dopo che abbiamo riconosciuto le misericordie di Dio sopra di noi, vi è sempre da riflettere: «Ed io, ho corrisposto alle grazie?». Vi sono sempre anime deboli che mancano un po' alla corrispondenza totale alla grazia. E vi sono anime le quali sono generose e corrispondono intieramente.
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Chiudendosi l'anno, noi dobbiamo scancellare ogni debito che vi sia con Dio. Confessione che tolga ogni peccato non solo grave, che non dovrebbe esserci, ma anche veniale: tiepidezze, indifferenze... tolga tutto.
Secondo, che tolga anche la pena dovuta ai nostri peccati. Dire al Signore: «Perdonatemi il purgatorio nell'altra vita, fatemi la grazia di farlo qui il purgatorio, mandandomi quella misura di difficoltà e di pene che servano a darti una soddisfazione. E più di tutto concedimi una tale fede nella passione di Gesù Cristo per cui io sappia offrire il bene, tutte le soddisfazioni che, o Padre celeste, ti ha dato il tuo Figlio: le pene del Getsemani, le pene della flagellazione, le pene dell'incoronazione di spine, le pene della condanna a morte, il viaggio al calvario, carico della croce, le pene della crocifissione e agonia... Ecco, vi offro tutto questo».
Se si offre con fede e si cercano le preghiere [e] si fanno le pratiche per l'indulgenza plenaria, non si portano conseguenze e cioè non si portano debiti per questa parte con Dio. All'anno nuovo non si portano.
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Però nei peccati nostri vi sono sempre anche delle conseguenze. Vi è un po' di conseguenza negli altri anche, ma vi sono conseguenze in noi. Negli altri, perché si può aver dato esempio non così santo come doveva essere, e in noi perché si è formata una certa abitudine, <una> si è rafforzata l'inclinazione al male. Per cui se già noi eravamo abituati alle distrazioni, dopo ce ne son di più, se si sono seguite. Se si era inclinati, già prima, e si sono assecondate le inclinazioni alla pigrizia, alla bugia, ecc., dopo assecondate queste inclinazioni, poi son più forti le inclinazioni al male. Così riguardo a tutto quel che possa esserci stato o di superbia o di avarizia o di ira o d'invidia o di golosità o di lussuria o di pigrizia o di curiosità, ecc. Tanto dolore che il Signore, in vista del nostro dolore e della nostra buona volontà, ci scancelli le conseguenze del male, le conseguenze che son venute in noi.
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Per conchiudere con un buon Miserere (a) e conchiudere con una santa confessione, allora, cerchiamo di scoprire quello che non è stato davvero secondo Dio, esaminando prima i comandamenti, poi i consigli evangelici e poi i doveri di stato e di ufficio.
L'osservanza dei comandamenti: il primo comandamento, circa la pietà; il secondo comandamento, l'osservanza dei voti; il terzo comandamento, l'osservanza di quelle disposizioni e di quelle pratiche religiose da farsi alla domenica, delle opere di pietà, catechismo particolarmente, l'istruzione religiosa... l'osservanza dell'obbedienza, della carità, della purezza, della povertà, della sincerità, della bontà con tutti, <della purezza> poi della santità interiore, ecco. Esaminarsi prima sui comandamenti.
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Secondo, l'esame si estenda ai voti cioè: povertà, castità e obbedienza. Chi ha già fatto i voti esamina se stesso in confronto dei voti, come sono descritti nelle costituzioni. E chi invece non ha i voti e già pratica però le virtù della povertà, obbedienza e castità, vedrà se realmente il cuore è distaccato dalle cose, se i nostri affetti son tutti orientati a Gesù e al paradiso, se c'è obbedienza alle disposizioni, si compiono bene gli uffici che si hanno. Una può esser studente, l'altra può esser invece già suora nell'esercizio della vita religiosa quale già si pratica dopo la professione. Poi vedere come abbiamo adempito i nostri propositi particolari. Supponiamo che ci sia il proposito sulla carità, oppure ci sia il proposito sullo spirito di fede, ossia il proposito dell'obbedienza pratica, o ci sia il proposito invece che riguarda tutto il complesso della vita, e cioè quando si mira ad essere veramente pastorelle, uniformate alle costituzioni, vere pastorelle uniformate in tutto alle costituzioni. Esame.
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Ma volevo soprattutto notare questo: interrogarci se siamo docili alla grazia. Nella prima istruzione abbiamo ricordato i grandi doni e le grazie che il Signore concede alla congregazione e a ogni persona della congregazione. Docilità alla grazia! Sì, docilità alla grazia. Vedete, quasi senza accorgervi, l'istituto, la congregazione è come una forma nella quale entrare per uscire cambiati. Entrare, quando si viene dalla famiglia, e uscire religiose e attive nell'apostolato perché ci si è lasciati formare.
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Si possono applicare allora le parole che san Paolo diceva di sé: Ut daretur vobis forma, perché abbiate una forma, e così formetur Christus in vobis [Gal. 4,19]. Il che vuol dire, se sapete per esempio come fanno a formare quelle statue di scagliola e le piccole statue della Madonna, le piccole statue del bambino Gesù: si prepara una forma e poi infondono, in quella forma, della materia che sembrerebbe calce e sembrerebbe gesso, si infonde in quella forma quel gesso, quella calce liquida. Oh, se è ben liquida, va a riempire tutti i vuoti della forma, e ecco, anche le dita delle mani, anche le dita dei piedi, le varie parti in sostanza, in modo che poi, quando si è indurita quella materia che ci si è messa dentro, togliendo la forma, ecco la statua. L'istituto è tutto una forma; chi si abbandona all'istituto - diciamo così - si consegna intieramente all'istituto. L'istituto è una forma per cui, entrando in un modo come buone figliuole, buone cristiane, si esce religiose e religiose che non solamente praticano le virtù proprie dello stato, ma religiose che si applicano in sapienza e generosità all'apostolato.
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Però ci vuole la docilità, perché, se quella materia che si mette nella forma è dura, non è sciolta, le dita non riescono, ad esempio, e la testa non vien ben formata.
Bisogna abbandonarsi all'istituto. Prendo l'indirizzo della pietà quale mi è insegnata, non la cosa propria che allora ci si oppone al Signore. Le particolarità sono di opposizione alla grazia di Dio. Prendere bene tutto quel che riguarda la pietà sia nelle funzioni esteriori sia nello spirito interiore, nel lavoro interiore di correzione e di conquista delle virtù. Abbandonarsi alle disposizioni della madre e delle madri che cooperano con la madre.
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Abbandonarsi, cioè: «Fate di me quello che credete», come se voi foste, entrando, una pezza di stoffa la quale dovrà servire, supponiamo, a fare degli abiti da suora, ecco. Bisogna che si lasci tagliare questa stoffa, perché se a un certo punto invece del filo di cotone o di lana trovate un filo di ferro, lì non si passa. E vi sono sempre delle persone che sono come fili di ferro in mezzo, non si lasciano lavorare pienamente. Abbandonarsi totalmente. Consegnarsi: «Mi formi!». Venire credendosi già formate è l'errore fondamentale, per cui, dopo, non si prende il bene dell'istituto e allora non si sta bene nell'istituto. E perché non si sta bene? Perché non hai consegnato pienamente la tua volontà e il tuo essere, diciamo così, te stessa all'istituto, nelle mani di Dio, consegnandoti alle madri che devono formarti, le quali fanno l'opera che vuole il Signore.
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Così nella pietà; così, diciamo, nell'istruzione religiosa e nell'istruzione scolastica, civile; così negli orari, così nelle disposizioni varie; così nell'affezionarsi alle costituzioni, alle persone che ci sono, alle opere della congregazione, e poi a tutto quello che è assegnato come ufficio. Si può esprimere quello che si sente ma poi dopo prendere quello che è detto, affinché da una parte mettiate le madri in condizioni di conoscere e così dare le disposizioni più convenienti, ma poi ritenere quelle disposizioni come le cose più utili.
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La docilità alla grazia. Vi sono persone che vogliono ancor lavorar da sé, combinar da sé: quello è contrario alla vita religiosa. E allora van bene a far la vita negli istituti secolari forse, oppure vanno bene a far la vita buona del semplice cristiano. Ma se si vuole riuscire pastorelle, bisogna lasciarsi docilmente lavorare. La docilità alla grazia. Vedere se in fondo dell'animo c'è questa docilità: se noi ci siam fatti conoscere e se poi abbiamo preso i sentimenti, i consigli, l'indirizzo che ci è stato dato o dal confessore o dalla madre oppure da quelle persone le quali sono destinate e sono ordinate da Dio per la formazione.
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L'abbandono in Dio! Ma non un abbandono pigro, no; mettersi lì, in chiesa, e star seduti nel banco e guardare l'altare. Ci vuol l'attività interiore! Bisogna pensare a Gesù, allora, bisogna starci perché c'è l'obbedienza adesso, bisogna che il cuore si attivi, si orienti nell'amore a Gesù. Aggiungere, togliere, cambiare è sempre pericoloso, eh? Andare sulle vie sicure. E le vie sicure son le vie della docilità alla grazia.
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Volevo dire quindi in particolare esaminarsi se in fondo all'animo c'è questa docilità, e questo consegnarsi a chi guida, consegnarsi all'istituto che è una forma! Ut daretur vobis forma. L'istituto è una forma con il suo indirizzo, con i princìpi su cui si regge, con la pietà che in esso si pratica, con l'insegnamento che vien dato nelle direzioni e poi negli insegnamenti vari, ecc. E acquistare anche le abitudini, il modo di parlare, l'uniformità nell'esercizio dell'apostolato. Uniformità, talmente che ognuna rappresenti bene la vera pastorella. Sì, sia veramente la vera pastorella. Docilità.
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Ecco dunque, noi abbiamo da pensare a un'altra cosa che ci porti al pentimento: se c'è stata qualche durezza, qualche resistenza alla grazia. Non parliamo di quello che diceva il martire (a) ai farisei: «Voi siete sempre duri di orecchio, incirconcisi. <Non> Resistete sempre alla grazia dello Spirito Santo». [cf. At. 7,51]. Non parliamo di questo. Ma ci possono essere delle resistenze, delle idee singolari, e ci possono esser dei ritardi. Maria era pronta alle comunicazioni di Dio, sì. Il pensiero che ci deve /portare/ (b) al pentimento è questo: a chi più è dato, più sarà richiesto, sì. Chi ha ricevuto più grazia più dovrà render conto a Dio. Allora pentiamoci e abbiamo un dolore profondo. E il dolore pero deve generare il proposito, il proposito fermo.
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Ecco poi la terza meditazione: il Veni Creator perché lo Spirito Santo ci infonda i suoi lumi e ci dia la sua grazia per l'anno nuovo. Quindi: rinnovazione dei propositi, secondo, rinnovazione dei voti battesimali, e terzo, per chi ha già i voti, rinnovazione dei voti, la professione ripetuta.
Così si inizierà bene l'anno 1959 e, se si comincia bene, si ha fiducia nel passarlo santamente.

Albano Laziale (Roma)
30 dicembre 1958

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412 (a) V: Benignitas et humanitas apparuit.

415 (a) Salmo 50.

425 (a) San Stefano protomartire.
(b) R: pentire.