Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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XXIV. LA VITA IN PREGHIERA
L'obbedienza della religiosa riguarda in primo luogo l'osservanza delle costituzioni, poi riguarda le disposizioni e gli uffici che sono dati. Tutti devono considerarsi come servi in rispetto alla congregazione e cioè servi dell'azione, della volontà dello Spirito Santo, dell'azione dello Spirito Santo che c'è in ogni anima in riguardo alla sua vocazione e che c'è nell'istituto, il quale non è nato senza intervento, senza l'azione dello Spirito Santo. Tutti servi dello Spirito Santo e servi quindi della congregazione, nel senso che il Papa si sottoscrive «Servo dei servi», cioè servo di coloro che sono servi di Dio e cioè dei fedeli. Tutti siamo servi di Dio.
Ora l'obbedienza ha le sue difficoltà pratiche: alle volte si tratta delle idee contrarie, alle volte invece si tratta di debolezze di carattere, qualche volta può essere anche un po' di malizia. Per l'osservanza allora delle costituzioni: la preghiera.
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E consideriamo adesso la preghiera, in quanto la preghiera si esprime con delle formule, e in quanto allo spirito della preghiera, e in quanto alla vita di preghiera. Le formule delle preghiere sono quelle orazioni che si recitano mattino a sera, quelle formule che si adoperano nel prepararsi alla comunione (quando vengono lette nel libro), quando si dice il rosario, quando si cantano delle lodi... Sono formule, e formule, in certo senso, sono anche quelle pratiche che sono prescritte per ogni giorno, oppure per ogni settimana, oppure per ogni mese, oppure per ogni anno. Formule o in quanto son parole o in quanto sono atti di pietà, pratiche di pietà.
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Certamente questa parte, questa osservanza delle formule e delle pratiche di pietà è di somma necessità, perché la vita di santificazione dipende da due: dipende dalla nostra volontà, il buon volere, e dipende dalla grazia di Dio; la forza nostra e la grazia del Signore. Non ego autem, sed gratiam Dei mecum [1Cor. 15,10]: non io solo, ma la grazia di Dio con me, con me. Sufficientia nostra /a/ (a) Deo est [2Cor. 3,5], la nostra sufficienza vien da Dio. Perché il buon volere è già un dono di Dio, il buon proposito, ma ci manca ancora poi l'osservanza, la forza nell'osservare, e quello è altro dono di Dio.
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Le formule dirle bene, dirle tutte. Le pratiche di pietà non ridurle, farle in tempo, in luogo dove poi sia più facile il raccoglimento per quanto è possibile; se poi non è possibile perché, ad esempio, si è in viaggio, allora il Signore dà altre grazie, altri aiuti.
Tutte le pratiche: sia le orazioni sia il rosario sia la messa sia l'esame di coscienza, la confessione settimanale, il ritiro mensile... e poi tutto quello che c'è lungo il corso dell'anno, quello che c'è stabilito per la domenica. Le formule. Quando un giorno è impedito, supponiamo per il ritiro mensile, si anticipa o si può anche posticipare, ma alla prima occasione, nel primo tempo ecco, farlo.
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Anche l'esempio che si ha da dare nelle parrocchie, l'esempio di preghiera; e il popolo allora resta edificato e sa che, se qualche volta il popolo manca un po' nel pregare, vi sono le suore, vi è in quel paese un gruppo di suore, le quali alzano le loro mani verso Dio e pregano per tutta la parrocchia. E il cuore poi della pastorella comprende tutti i parrocchiani.
Essere fedeli alle pratiche nel modo che vi hanno insegnato, nel modo che è già tradizionale nell'istituto. Non si ha da invidiare altre suore, altri istituti; non si ha da cambiare, si ha da far meglio, questo sì; e ce n'è tanto da migliorare! E la pastorella andrà più avanti e indurrà i bambini a pregare, a recitar le formule, e insisterà perché nelle famiglie si preghi e aiuterà perché la gioventù femminile, per esempio, canti in chiesa. Pregare e far pregare.
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Secondo: lo spirito di preghiera. Le formule possono recitarsi esteriormente, come può essere che le suore per una festa solenne si preparino a cantare bene una messa, a quattro voci magari, tre voci, e che cerchino di cantarla inappuntabilmente. E lo spirito? Occorre pensare a quel che si canta e occorre pensare a quel che si recita, supponiamo il «Vi adoro». Occorre accompagnare col cuore quello che si dice con la bocca. L'attenzione, e poi le disposizioni di volontà e le disposizioni di sentimento. Se si dice «vi amo con tutto il cuore sopra ogni cosa» (a), sentirlo con tutto il cuore, sopra ogni cosa, sopra me stesso: voglio cacciare ogni amor proprio, ecco.
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Allora lo spirito di preghiera che comprende tre parti veramente come, facciam l'esempio, nella recita di un mistero di rosario. Prendiamo il primo mistero gaudioso: l'angelo appare a Maria, la saluta, le fa la proposta, a nome di Dio, di accettare la missione di diventare la madre del Figliuolo di Dio, e Maria attende le spiegazioni, e quando le spiegazioni sono date, essa pronuncia il suo fiat mihi secundum verbum tuum [Lc. 1,38], sia fatto di me secondo la tua volontà. Allora, durante il Pater e le dieci Ave Maria si medita: quale verità qui c'è? Mistero dell'incarnazione, ecco la verità: Verbum caro factum est, et habitavit in nobis [Gv. 1,14], il Figliuolo di Dio si fece uomo e abitò fra gli uomini, passò la sua vita fra gli uomini. L'incarnazione, il Figlio di Dio fatto uomo. Ecco, noi dobbiamo adorare Gesù Cristo che all'esterno pare un uomo comune, ma in quell'uomo, oltre che il corpo e l'anima, c'era la divinità, la seconda persona della santissima Trinità.
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E poi possiamo considerare l'umiltà di Maria che mentre è eletta madre di Dio si dice la serva: Ecce ancilla Domini. [Lc. 1,38]. Ecco sono la serva di Dio! Ed è la Madre, che doveva diventare Madre. Estrema umiltà di Maria, poiché ella non poteva protestarsi peccatrice, no; nulla di quello che è peccato entrò mai in Maria.
Però, che tutti siamo servi di Dio, questo sì: «ecco la serva di Dio». Quindi l'insegnamento, l'umiltà; e poi allora la grazia: si chiede di imitare Maria nella sua umiltà, di non insuperbirsi mai di qualche dono che uno ha, del lavoro che ha fatto, del buon successo delle cose che ha intrapreso... Il compiacersi vuol dir perdere il merito. Tutto e solo per la gloria di Dio. Tutto per la gloria di Dio, anche attraverso alle opere di carità, all'apostolato verso il prossimo: a gloria di Dio. Quindi l'anima propone di conservare l'umiltà; perciò entrano tre cose, nelle formule, sempre: una verità che si ha da credere, un insegnamento che si ha da apprendere e una grazia che si ha da domandare, in tutte le formule.
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Lo spirito di preghiera: sentire il bisogno di Dio, ecco. Vi sono anime che sentono abitualmente questo bisogno di Dio e quante volte rivolgono il loro cuore e anche forse, tante volte gli occhi verso il cielo, o si orientano verso il tabernacolo anche quando sono un po' lontane dal tabernacolo, un po' lontane dalla chiesa. Nella parrocchia vi è una chiesa, nella chiesa vi è un tabernacolo e nel tabernacolo c'è l'Ostia. E si vive alla presenza di Dio perché Gesù da quel tabernacolo veglia, guarda, segue <col suo, col suo sgra> col suo sguardo e con la sua benedizione, con la sua grazia tutti i parrocchiani, in modo particolare parroco e pastorelle.
Spirito di preghiera. Sentire il bisogno della preghiera. E sentir la fiducia nella preghiera: vero spirito. Quanto più uno si sente debole e si sente indegno e quanto più poi si fida di Dio, confida in Dio, tanto più allora c'è lo spirito della preghiera.
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In terzo luogo mutare la vita in continua preghiera, fare una vita di orazione.
In che cosa consiste questo? Questo consiste nel viver la giornata uniti a Gesù, fare le cose che dobbiam fare nell'obbedienza, nella sottomissione al Signore e tutto per il Signore. Poi offrire tutto, non solo, ma farlo secondo il volere di Dio, nella maniera che è più gradita al Signore, nella maniera più perfetta, il nostro lavoro, fosse anche solo scrivere una lettera o fare la pulizia in un ambiente. Ecco! Il meglio, come piace al Signore, mettendoci l'applicazione, mettendoci il cuore a quella cosa e operando sempre nello spirito di Dio! Occorre allora che noi sappiamo, che noi sappiamo bene santificare tutte le azioni.
Allora vale la proposizione: «Chi lavora prega», ma chi lavora bene, lavora nell'innocenza, è in grazia di Dio. Indirizza le sue intenzioni al Signore secondo le intenzioni con cui Gesù si immola sugli altari; poi fa tutto, il meglio possibile quelle opere che ha da compiere, il meglio possibile anche le cose minime. Così in grazia di Dio, retta intenzione e far bene le singole cose ecco <che ci siamo> che noi siamo arrivati a quello che si dice: «Chi lavora prega»; è allora che la frase è giusta.
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Nostro Signore ci ha detto Oportet semper orare et /numquam/ (a) deficere [Lc. 18,1]: è necessario sempre pregare e non lasciar mai, sempre pregare. Ma come «sempre»? Questo «sempre» può dire: tutti i giorni pregare, tutta la vita, sempre. Ma vuol anche dire in continuità, trasformando la nostra attività in preghiera. E siccome l'attività non cessa finché non si muore, allora tutto può essere trasformato in preghiera, foss'anche il sonno. Noi abbiamo sempre da operare nelle intenzioni con cui Gesù buon Pastore s'immola sull'altare. Vedete, nel mondo quattrocentomila sacerdoti, circa, offrono da tre a quattro consecrazioni ogni minuto secondo, in continuità, poiché, mentre qui il sole tramonta, va a splendere sopra altri territori e là, per loro è il mattino, ed ecco che sacerdoti si approssimano ai loro altari e consacrano il pane ed il vino.
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Accompagnare in tutta la giornata con quelle intenzioni lì, con le intenzioni con cui Gesù si immola sugli altari, tutto il lavoro che si fa, tutte le preghiere che si dicono, anche il riposo che si prende e il nutrimento, il sollievo. Tutto omnia in gloriam Dei facite [1Cor. 10,31], con le intenzioni con cui Gesù sta nel tabernacolo, anche più precisamente con le intenzioni con cui Gesù si sacrifica, si offre in ostia al Padre celeste. Allora siccome le consacrazioni non cessano, sempre quelle intenzioni. Le intenzioni di Gesù sono le più perfette, son le più gradite al Padre celeste, son le più numerose. Mettiamo le sue intenzioni, prendiamoci le sue. Dirglielo a Gesù, quando Gesù è lì nel cuore: «Voglio avere i tuoi stessi desideri, fare mie le tue suppliche, pregandoti di far tue le mie preghiere, le mie suppliche».
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Allora noi facciamo la vita di preghiera: preghiera sulla terra, preghiera di gaudio in cielo, là dove si adorerà come è degno il Signore di essere adorato, e lo si loderà, lo si amerà, lo si possederà e lo si godrà in eterno.
Iniziare sulla terra la vita che si farà in cielo, prevenirla. La vita è tutta un noviziato di paradiso. La novizia si prova a fare, e fa realmente, per virtù ciò che le suore fanno per voto in tutta la vita, e si chiaman novizie per questo. Allora, se la vita nostra è un noviziato di paradiso, anticipare le occupazioni del cielo, in quanto è possibile qui, sulla terra, per compiere, queste intenzioni e queste occupazioni, compierle in eterno, in paradiso.
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Oh, è solo un preambolo di vita questa che abbiam sulla terra! La vera nostra abitazione è lassù, e sulla terra abbiam sempre un po' di inquietudini perché il Signore ci ha fatti per lui e solo in lui troveremo riposo, il riposo eterno; ma questo riposo lo godono già in buona misura, in misura consolante, le anime che sanno trasformare la loro vita, la loro vita in vita di preghiera.

Albano Laziale (Roma)
31 agosto 1958

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342 (a) V: ex.

345 (a) Dall'atto di carità, Le preghiere della Famiglia Paolina Suore Pastorelle, EP 1965, pag. 22.

350 (a) V: non.