XVIII. SE C'È LA PREGHIERA C'È LO SPIRITO DEL PASTORE
È una grande grazia quella concessa alla congregazione: prima dei voti perpetui fare come un complemento di noviziato e si potrebbe anche dire, in qualche maniera, il secondo noviziato, per compimento di tutta la preparazione antecedente a consecrarsi definitivamente a Dio. Questo ha grande importanza perché la suora ha potuto vedere così bene in pratica come sarà la vita della pastorella, e quindi la sua decisione sarà più illuminata, e poi riconoscerà certamente che c'è bisogno di maggiori grazie, e perché certe cose non si sospettavano.
È vero che quando uno fa i voti, emette i voti, abbraccia tutto quel che può seguire; ma certe cose, quando poi succedono... sembrano improvvise e qualche volta esce fuori l'espressione: «Se avessi saputo!».
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Quando Maria ricevette l'annunzio che doveva esser la madre di Dio, accettò; accettò la sua vocazione. Quell'annuncio determinò una sua vita, mentre che ella pensava a una consecrazione a Dio come individuo, come persona: da quel momento la sua vita diventava legata alla missione del Figlio, missione redentiva. Ed ella doveva cominciare a considerare gli uomini in generale come suoi figli spirituali, ai quali portava la grazia, per i quali avrebbe sofferto e per i quali ella avrebbe indirizzata tutta la sua attività: per il Figlio e per gli uomini.
Non poteva ancora, allora, Maria prevedere in particolare tutte le cose che sarebbero succedute. Sebbene fosse preannunziato dai profeti che il Redentore, il Messia sarebbe stato perseguitato, contraddetto e anche condannato, quando poi <venne questo> avvenne questo, fu assai più acerbo, più duro di quello che si potesse aspettare. Quali pene ha dovuto soffrire il suo figlio! Tuttavia era connesso con la vocazione.
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Non bisogna mai dire: «Se avessi saputo». È connesso con la vocazione! E più vi renderete degne di soffrire e di immolarvi, e più voi sarete col buon Pastore, come Maria partecipò intimamente. «Fratelli», dice san Paolo - e nello stesso senso parla san Pietro, i due massimi pastori - «quando sarete tribolati godete» [cf. Rm. 5,3; 2Cor. 7,4; 1Pt 4,13-14]. Del resto questa è la predica che faceva il Maestro divino: «/Il mondo godrà e invece voi soffrirete/»(a) [Gv. 16,20]. Ma la gioia del mondo è così passeggera! Non è ancora arrivata la sera e già entra la mestizia, il rimorso nell'anima; ma quella gioia che proverà la suora sul letto di morte, quella gioia nell'entrare in cielo, oh, non avrà fine! Non pensare così: «Se avessi saputo», mai! Puoi pensare così sol se ti manca la preghiera. Se ti manca la preghiera! Perché, se c'è la preghiera, Gesù buon Pastore vi dà il suo spirito. Quando Gesù diceva: «Io ho da essere battezzato col battesimo di sangue (da morire sulla croce) e come soffro che si ritardi tanto il momento che avvenga questo e di dar questa prova di obbedienza e di amore al Padre, e di salvezza, di aiuto, di bontà, di misericordia verso gli uomini!» [cf. Lc. 12,50.9,22; Mc. 10,38]. Non lo spavento delle croci. Ma la croce, quando un'anima prega molto, è come un sospiro, non per la natura, - ché la natura sempre è così, che si ribella al dolore per sé - ma [per] lo spirito!
Maria non aveva certamente preveduto che a un certo momento Gesù se ne uscisse di casa e la lasciasse, e il distacco. Ma avvenne e lo compì.
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Vi sono persone che vogliono sempre ancor tenere il piede in due staffe: uno in famiglia e l'altro in congregazione. Errore! Consecrate a Dio, siete di Dio! Il calice, prima che venga consecrato, può essere adoperato a bere a tavola, ma quando è consecrato non deve esser più adoperato per niente altro che per contenere il sangue di Gesù Cristo. Così la suora dopo che è consecrata! Pensate bene cosa significa consecrazione cioè professione. E allora abbracciare, quanto è possibile, tutto il senso della vita religiosa, le conseguenze che vengono da una professione; maturare quelle convinzioni, quei princìpi che sono dati dal vangelo, <su> quei princìpi su cui si fonda la stessa vita religiosa. Perché se non si viene fino qui: «Lascia che /il mondo seppellisca i suoi/ (a) morti», [Mt. 8,22] non si viene mai. Se non si viene qui, al punto di dire: «Il mio vivere, il mio cibo è far la volontà del Padre mio [cf. Gv. 4,34], io mangio di questo cioè vivo di questo: della volontà di Dio»... E se non si viene al punto di capire bene la parola del Salvatore che riguarda la castità perpetua, e la parola di san Paolo quando raccomanda la verginità... «La vergine si preoccupa delle cose che sono di Dio, invece la donna sposata si preoccupa di quello che riguarda il marito» [cf. 1Cor. 7,34]. Preoccuparsi delle cose che son di Dio!
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Vi diranno anche che siete magari crudeli e che non avete il senso umano e: lasciate che i morti seppelliscano i loro morti. Sono morti in quanto non hanno lo spirito di Dio, non hanno quella luce di Dio. Ma siete messe su un altro piano; siete messe sul primo piano, ecco, come siamo qui, e gli uomini, i cristiani comuni stanno giù, nel pian terreno. Le suore sono felici di vivere al primo piano e sentono la grazia di questa chiamata di Dio, però ogni tanto avrebbero ancor voglia di andarsi a immischiare con qui che stan al pian terreno. «Eh, un solo momento!» e intanto et divisus /es/ (a) [1Cor. 7,33], ti dividi tra il mondo e Dio. Sì, Dio, ma ancora un pezzettino di mondo! È come quando cercavo di consolare un certo uomo che era molto anziano e che si trovava vicino a morire - e che era brav'uomo di fede - e gli parlavo del paradiso: «Ah, sì, sì, bello, ma starei ancora un pochettino in questo piccolo mondo!» Ecco, ancora un pezzetto... Oh! E suore che stanno ancora un pezzetto con gli uomini e non con Dio. Tutte di Dio fino al fondo, dev'essere intieramente di Dio! Questa è la professione!
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Oh, ho detto che certi scoraggiamenti, certi mezzi pentimenti, certe espressioni come: «Quella non me l'aspettavo... e credevo che venissero meglio apprezzate le mie qualità... e che potessi ancora godere la stessa libertà, oppure aver le stesse relazioni coi miei parenti...» e allora tutto questo, ho detto, viene da mancanza di preghiera. Pregare! Primo, le formule della preghiera; secondo, lo spirito della preghiera; e terzo, la vita di preghiera.
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Le formule della preghiera quali sono? Intendo la materialità della preghiera e cioè: il dire le preghiere come sono nel libro delle orazioni, mattino e sera, legger la preparazione alla comunione, dire il rosario seguendo così i Pater e le Ave Maria, e poi le altre orazioni specialmente l'adorazione, quando si passa un'ora innanzi al santissimo Sacramento, innanzi a Gesù buon Pastore. La formula, la materialità della preghiera e cioè far tutte le pratiche di pietà come sono scritte nel libro delle costituzioni: le pratiche quotidiane, le pratiche settimanali, le pratiche mensili, le pratiche annuali e cioè: le orazioni mattino e sera, meditazione, esame di coscienza, messa, se si vuole la comunione, l'adorazione, i rosari, ecc. Far bene le genuflessioni, far bene il segno di croce, portarsi con rispetto in chiesa, portare con riguardo l'abito religioso, vivere la vita ritirata separata dal mondo per avere il raccoglimento, e poi isolarsi alquanto e non avere quella curiosità e sete di sentire cose, notizie che tanto non ci riguardano, evitare i discorsi che distraggono: tutto questo è materialità, diciamo esteriormente. Questo ci vuole. Ecco.
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È vero che l'abito non fa la suora, l'abito non fa il monaco, ma intanto l'abito serve a custodire, a difendere, e la suora col suo abito non va a cacciarsi in certi pericoli. La suora mettendosi addosso il velo pensa che la sua mente deve essere rivolta a Dio e deve allontanare quello che è pensiero mondano, quello che è semplice curiosità, quello che non interessa per compiere la propria missione. Tutto invece quel che interessa per compiere la propria missione e per essere più unite a Dio: i pensieri. E l'abito indica la separazione dal mondo e ci vuole questa separazione; la cinghia che indica la castità; il distintivo che ricorda la particolare vostra missione: consecrate a Dio e alla salvezza del mondo nello stesso senso di Maria divina Pastora e di Gesù buon Pastore. Questa è tutta la materialità. Ci vuole? Certamente! Ecco. Si fan tutte le pratiche, specialmente la meditazione e l'esame di coscienza? E per il culto c'è il contributo che potete dare di canto per le funzioni e di pulizia per la chiesa e di ornamento degli altari? E poi la vostra cappellina in casa è ben tenuta? (quando c'è questa cappellina). Questa parte esteriore c'è? Ci vuole anche la formalità, non è vero? E una può dire: «Ma, ci basta lo spirito». Basta lo spirito? No che non basta. Dal momento che il Signore ci ha assegnato questi mezzi, per esempio l'abito, per esempio i riguardi per la clausura, e poi quelle cerimonie e quel canto e tutte quelle pratiche, è segno che il Signore ha legato le sue grazie e ha condizionato le sue grazie a queste pratiche, a queste formalità. Ci vogliono, ma... non bastano. Quindi: preghiera!
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Ma ora, secondo: spirito di preghiera. Far le cose con spirito! Tutto ci vuole quel che è esterno, ma l'anima della pietà sta dentro, è costituita dallo spirito di fede, dalla fiducia serena nella grazia di Dio e dall'amore verso il Signore. L'anima sta lì, l'anima della pietà. Vedete che nel libro delle preghiere vi sono le introduzioni in cui si insegna a fare la pietà secondo lo spirito paolino e nel modo che è più utile per l'anima nostra. Ora, spirito di preghiera vuol dire: non soltanto confessarsi ogni otto giorni, - «Eh, son passati gli otto giorni, bisogna andare!» - bisogna sentire che siam ancora difettosi e che vogliamo correggerci e vogliamo dal sacramento, dall'assoluzione, ricevere quella forza nuova per correggerci, per santificarci di più, per progredire.
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Quando si va a confessarsi essere piene di queste convinzioni, sentire, non preoccuparsi soltanto delle espressioni col confessore o di farla lunga, chè più è lunga più mi sembra vino con l'acqua: a forza di metter dell'acqua, cosa ci resta ancora di gusto del vino? (a) Né scrupoli <né né> né lungaggini inutili. È il sacramento, e cioè: la disposizione per il sacramento e la fede nell'assoluzione e nella grazia che vien coll'assoluzione, e la volontà di migliorare propriamente. Spirito ci vuole!
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Quando si fa la meditazione, la meditazione è ordinata a rafforzar la volontà. Tutto deve essere ordinato a rafforzar la volontà, e allora? E allora, si legge, sì; si sentirà, sì; ma poi bisogna pregare, bisogna far l'esame di coscienza, bisogna conoscere e darci ragione della nostra debolezza, della ricaduta e del poco progresso che facciamo. E allora eccitar la volontà specialmente con la preghiera; sì coi ragionamenti, ma specialmente invocando l'aiuto di Dio e se magari la persona si distrae nella meditazione e non può raccogliersi, e dica dei rosari perché lo Spirito Santo: da robur fer auxilium (a): infondi fortezza, porta aiuto, vedi che son debole, o Signore. Lo spirito, lo spirito, non la materialità soltanto!
Così la visita deve esser proprio fatta in quella maniera: di unirsi a Dio con la mente, di unirsi a Dio col cuore, di unirsi a Gesù con la volontà, di rinnovare in sostanza la nostra professione, e sentire che si esce dalla chiesa con altro senso, altri pensieri, altre convinzioni, un nuovo amore e un nuovo fervore, ecco, e una nuova generosità nel fare quello che ha da fare la suora e quello che bisogna fare per la popolazione.
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La messa: ma la messa bisogna che sia penetrata! E si dice la messa liturgica; ma la liturgia si comprende bene? E la parte didattica: che cosa insegna questa messa? Che frutto devo ricavare dagli insegnamenti e dell'introito e dell'oremus e dell'epistola e del vangelo? Poi, la parte sacrificale che cos'è? Proprio l'offerta che è avvenuta là sul calvario quando Gesù si offerse per la nostra salvezza, e accompagnare questa offerta nello spirito di Maria, quando stava ai piedi della croce, che offriva il sangue del suo figlio e offriva le proprie pene per la redenzione del mondo. Ma, sei pastorella!
Senti così o no? Solamente avendo i sentimenti di Gesù buon Pastore e di Maria divina Pastora e degli apostoli Pietro e Paolo che hanno immolato realmente se stessi, l'uno crocifisso e l'altro decapitato!
Oh, entrare in questo spirito vero! Fare un progresso in questi esercizi! Venire ad abbracciar la croce: il vero segno che noi siamo con Dio e che amiamo l'apostolato e non lo facciamo per altro è l'amore alla croce. Quanti cembali sonanti e quante campane senz'anima! Chiamano il popolo ma essi son vuoti, non c'è l'anima. L'anima, ci vuole! Lo stesso spirito di Gesù buon Pastore: penetrarlo!
E poi la terza parte della messa che è unitiva, per stabilirsi in Gesù Cristo e stabilirsi totalmente nei suoi pensieri, nei suoi desideri, nel suo amore, nella sua volontà, nella sua vita di apostolato. Sì, lo spirito nelle pratiche di pietà! Quello spirito che si sente nella giornata per cui, di tanto in tanto, vengono alla mente i pensieri della meditazione, le risoluzioni del mattino, si invoca il Signore perché possiamo compier le cose santamente e perché il nostro ministero abbia efficacia nelle anime. Lo spirito! Arrivare a far le cose con spirito.
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Poi ci vuol però ancora questo: la vita di preghiera, se si va a quello che è il più perfetto, quello che è più perfetto. In che cosa consiste questa vita di preghiera? Questa vita di preghiera sta nell'operare sempre in dipendenza da Dio, in obbedienza, e in amor a Dio, con le stesse intenzioni che Gesù ha sull'altare quando c'è la consecrazione, e con quell'impegno di operare sotto lo sguardo di Dio e di Maria per fare il meglio, il meglio che possiamo.
Tutta la nostra attività può esser cambiata in preghiera. Si dice: «Il lavoro è preghiera». È preghiera, sì, ma quando è fatto innocentemente, cioè con la grazia di Dio; quando è diretto a compiere il volere di Dio, quando questo nostro lavoro si fa con diligenza, quanto ci è possibile, e quando tutto è per partecipare alla missione di Gesù buon Pastore e per entrare nello spirito di Maria. Allora sì il lavorare è preghiera, ma lavorare dopo che si son fatte le pratiche, e bene, e poi il lavoro farlo in spirito di sottomissione a Dio.
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Nel cambiamento del nostro lavoro in preghiera, noi adempiamo quello che c'è scritto nel vangelo: Oportet semper orare, et /nunquam/ (a) deficere [Lc. 18,11], è necessario che si preghi sempre e non si lasci mai. Questo ha un senso <duplex> doppio e cioè: si preghi oggi, si preghi domani, si preghi quest'anno, si preghi l'anno venturo, sempre, mai lasciare, perché chi lascia la preghiera va alla rovina. Ma [ha] anche un altro senso: che noi cambiamo le nostre ventiquattro ore che compongono la giornata in preghiera continuata, in questo modo: compiendo sempre il volere di Dio e come dice san Paolo: «Sia che mangiate, sia che beviate, tutto fate alla gloria di Dio» [1Cor. 10,31]. Allora anche la ricreazione, il dormire, e poi il pasto che si prende, <il cibo che si> <il pasto che si prende> tanto più poi l'apostolato, lo studio, ecc. tutto è ordinato a Dio, tutto! E allora si prega ventiquattro ore e non due ore, due-tre ore nella giornata. Sì, far tutto in unione con Dio, sì, nello spirito di Dio, nello spirito con cui operava Maria.
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Vedete che si passa da azione in azione e tutto quel che si fa nella volontà di Dio può esser trasformato in preghiera, perché, anche che noi prendiamo riposo e che ci nutriamo, e anche Gesù si riposava, e anche Gesù si cibava. Tutto può essere trasformato in preghiera perché tutto può essere compimento della volontà di Dio. Passar la giornata! Chi vuol trasformare la sua vita in orazione può pensare anche così, che la trasformerebbe nella orazione migliore: obbedisco adorando, sottomettendo quindi la mia volontà a Dio; questa è l'adorazione, che non è una semplice genuflessione. Le genuflessioni possono essere fatte in buon numero, ma la genuflessione migliore è quella interna, di piegar la volontà, riconoscer l'autorità di Dio.
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Ecco il sole fa il suo corso e nelle ventiquattro ore del giorno vede succedersi sulla terra una continuità di consecrazioni: e in Italia, e poi in Africa e poi avanti, su tutte le terre; ecco, il sole vede continuamente elevarsi l'ostia, elevarsi il calice; quattrocentomila messe, almeno. «Ed io vi offro in unione col cuore di Gesù, vi offro tutte le messe, offro me stesso, piccola vittima, con tutti i sacerdoti che oggi celebrano la messa». Questa suora fa una continuata offerta di Gesù crocifisso, di Gesù al Padre, in adorazione, in isconto dei peccati, in supplica perché il mondo si converta, perché le anime accettino il vangelo, amino Dio, perché le anime si orientino verso il cielo... E sempre offre il calice a questi fini, e sempre il calice per purificarsi di più. La suora unisce l'offerta di se stessa e vive continuamente la sua professione. Non una formula di professione; lo spirito della professione e la vita della professa è qui: ogni giorno, ogni istante immolare se stessa in unione con Gesù che si offre sull'altare con le due intenzioni: gloria a Dio e pace agli uomini. Viver la professione in continuità e viverla nello spirito con cui Maria stette sul calvario e nello spirito con cui Gesù si immolò sulla croce per la salute delle anime.
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Se conosceste la vostra vocazione! Il dono di Dio! Eh, niente più sarebbe pesante, niente! Avremmo delle pastorelle di fuoco: umili, generose, sempre pronte a tutto. Quante cose si eliminerebbero: nel cuore, nella testa, nella immaginativa, nelle relazioni a destra o a sinistra, e nella congregazione... voglio dire in casa e fuori casa... E quanto di più, vivendo la vostra vera vocazione, quante anime attirereste! È una sofferenza continua vedere le necessità delle anime e vedere il nostro piccolo gruppo, che arriviamo così scarsamente. Allora, viver la propria vocazione: questo assicura un grande frutto alla congregazione, un grande progresso.
Il giornale diceva, in questi giorni passati, pochi giorni fa, che al primo capitolo dei salesiani erano rappresentati quattrocento, erano quattrocento professi, ora son ventimila, in un secolo! Vedete se sarete buone, se conserverete lo spirito che vi è stato dato!
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Si trovano facilmente istituti che di lì a un poco cercano di andare a destra e a sinistra, dove si guadagna di più, oppure dove la fatica è minore. Oh, no! (
a) Non sbagliamo la strada! Ché Gesù è venuto a redimere il mondo, e sapeva che cosa voleva dire e la sua vita di umiliazione e il suo lavoro apostolico e la sua passione e la sua morte di croce. E sapeva bene a che cosa si condannava, diciamo così, Gesù quando si metteva sotto le specie di pane: quante irriverenze in chiesa! Non vi pare che sia una continua crocifissione certi atteggiamenti, certe occhiate <e> in chiesa? Direte: «Gesù adesso non può più soffrire», ma però ha accettato tutto allora e ha sofferto, prevedendo tutti questi insulti o queste mancanze di rispetto, e comunioni sacrileghe e messe così così... Prevedendo tutto questo, ha accettato tutto, quindi il merito l'ha fatto. Anche quello è una parte della sua passione: passione interna, sofferenze del suo cuore. Vere pastorelle!
Albano Laziale (Roma)
1 agosto 1958
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247 (a) V: Voi piangerete e gemerete e il mondo godrà.
248 (a) V: i morti seppelliscano i loro.
249 (a) V: est.
254 (a) Battuta umoristica.
255 (a) Versetto dell'inno alle Lodi mattutine del Corpus Domini: Verbum supernum prodiens.
258 (a) V: non.
262 (a) L'esclamazione è pronunciata con intensità.