7. LA POVERTA'1
Esercizi Spirituali (14-23 marzo) alle Pie Discepole del Divin Maestro in preparazione alla prima Professione religiosa e alla Professione perpetua.
Roma, Via Portuense 739, 22 marzo 1959*
Nei tre voti è compreso quello della povertà. La povertà è descritta prima nel capitolo proprio [delle Costituzioni] e poi viene spiegata e applicata in vari altri capitoli, tra cui la amministrazione, la retta amministrazione.
La povertà non è solamente l'ufficio negativo di privarci della amministrazione libera, indipendente e non c'impone solo l'obbligo di contribuire alla cassa comune tutto ciò che si guadagna, tutto quello che si introita con l'apostolato e le varie forme di attività. Questo è compreso e diciamo che è mortificazione, cioè parte negativa. Ma la povertà ha dei lati positivi e sono spiegati già, più o meno chiaramente, ma spiegati nelle Costituzioni. Chi vuol farsene un'idea anche più precisa, potrebbe leggere il capitolo che riguarda la povertà nel libro del maestro Giaccardo2. La povertà, egli spiega, è mortificazione e soprattutto impone il distacco da ogni cosa, il quale distacco da ogni cosa è ugualmente imposto per tutte le suore ed ancora più richiesto nelle suore che hanno da maneggiare denaro. L'amministrazione. Perché quanto più noi ci distacchiamo, tanto più riceviamo e allora ecco la frase di san Paolo: nihil habentes et omnia possidentes3.
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La povertà, poi, impone l'obbligo di produrre, di lavorare; impone l'obbligo di conservare; impone l'obbligo di amministrar bene; impone l'obbligo di provvedere. Ecco quattro altri impegni.
E allora abbiamo da domandare al Signore, Gesù, maestro di lavoro e maestro di amministrazione, domandare l'amore all'apostolato, al lavoro; diciamo al nostro lavoro apostolico, perché siamo più precisi e, nello stesso tempo, il Maestro Divino ha pure dovuto amministrare. Quando san Giuseppe era già andato al riposo eterno, egli era diventato il capo famiglia. Poi, quando egli iniziò il suo ministero pubblico, riceveva pure offerte e, in qualche maniera, provvedeva al suo collegio apostolico, ai suoi Apostoli. Aveva poi dato le cose in custodia a Giuda, il quale non fu certo un modello di amministratore. Ma in varie parti del Vangelo noi abbiamo occasione di considerare la prudenza amministrativa, ad esempio, quando Gesù sfama 5.000 persone con pochi pani e pochi pesci, dopo ordina che siano raccolti i frammenti perché non vadano sprecati. E se ne fanno dodici canestri coi frammenti avanzati1. Gesù porta l'esempio di un cattivo amministratore con una parabola, quando quello si appropriava ciò che non doveva appropriarsi e, dimesso dall'amministrazione, ha trovato un altro modo di ingannare ancora il padrone, non soltanto in passato, ma anche di ingannarlo per l'avvenire accordandosi con quelli che erano debitori verso il padrone2.
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La povertà vera deve produrre. Ognuno di noi deve sentire che ha una responsabilità davanti alla Congregazione, una responsabilità economica e dare quel contributo alla Congregazione, quel contributo che è possibile, cioè secondo l'istruzione, secondo la salute, secondo il tempo, secondo l'ufficio che viene assegnato. Sentire di dover produrre, perché se da una parte il lavoro è come una penitenza imposta da Dio all'umanità, i religiosi e le religiose non son dispensati da questa penitenza, anzi devono, questa penitenza, compierla meglio, appunto perché sono religiosi; non solo i semplici uomini o i semplici cristiani, ma noi religiosi dobbiamo lavorare.
Il lavoro, certo, non è tutto e soltanto quello corporale, il lavoro è anche intellettuale, il lavoro è anche morale. Quando noi mettiamo in attività le nostre energie, lavoriamo. E una persona che faccia bene le sue cose di pietà: l'esame di coscienza, la Visita al Santissimo Sacramento, la meditazione, lavori a correggere i suoi difetti, ad acquistare le virtù, quella compie un grande lavoro. Però, oltre al lavoro spirituale per la santificazione in ognuna, si ha ancora da aggiungere il lavoro esteriore di contributo per la Congregazione, secondo le mansioni e gli uffici assegnati. Occupare bene il tempo. Lavorare. E nel lavoro, metterci l'intelligenza, metterci il cuore, metterci la volontà, perché applicarsi al lavoro e perfezionare sempre di più quel che si produce, è fervore, fervore di spirito che libera da tante tentazioni e ci unisce sempre di più a Dio e, d'altra parte, questo produce per il bene della comunità, sì. L'ozio o il dedicare le forze soltanto a metà alle cose che dobbiamo compiere, permette, o meglio, apre la via ad un numero di tentazioni molto maggiori... Chi non attende alle sue cose, guarda gli altri e giudica e allora resta povero di merito.
Accettare l'ufficio, accettare gli uffici e i lavori come vengono assegnati. Sì, produrre, perché i doveri naturali che hanno tutte le persone, tutti gli uomini, tutte le donne, questi doveri naturali, entrando in religione restano elevati, ma non tolti, compiuti in altra maniera, ma non tolti.
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In secondo luogo, si ha da tener cura di quanto si possiede e si ha in uso. Cura di tutto quello che è nella Congregazione: le costruzioni, i macchinari, i mobili, gli abiti e tutto quel che serve, quel che serve per la Congregazione o per la persona, per la religiosa individualmente. Vigilare su questo affinché noi non sprechiamo nulla. I beni della Congregazione divengono sacri. Perché sacri? Perché sono a servizio della Congregazione, a servizio di Dio. Tutto è offerto a Dio attraverso la Congregazione, tutto diviene sacro nella Congregazione e non si può in alcuna maniera né trascurare né sciupare, sì, neppure della salute, né trascurare, né sciupare. E non cadere, nello stesso tempo, in quella mania di farci perpetuamente malati o senza forze. Noi dobbiamo dare alla Congregazione per rendere a Dio. Notando che, se prima c'era un dovere naturale sotto una forma, dopo diviene un dovere anche religioso. Aver cura di tutto.
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Inoltre occorre una saggia amministrazione, una saggia amministrazione di quello che si ha, si applica a tutta la vita materiale, diciamo, fisica, esteriore della Congregazione. Se si ha da lavorare nel Centro liturgico bisogna far bene i conti e cioè, nell'acquistare: prudenza; nel diffondere: prudenza. Ognuna che lavora ha diritto al suo introito, non esagerarlo, ma giusto e ognuna deve pensare che con questo deve contribuire alla Congregazione perché si deve produrre per le persone che sono in formazione che, quindi, sono a carico dell'Istituto e si deve produrre per quelle che saranno o anziane o inferme. Perciò, non soltanto la persona può ragionare: "Io mi mantengo". No! Almeno deve pensare per tre, per tre. E tu quand'eri piccola hai ben mangiato e quando sarai vecchia e anziana, avrai da mangiare. E ci saranno anche le spese dei funerali per noi, no? E sicuro! Pensare sempre per tre: per te, per chi è in formazione, per chi è inabilitato. Responsabilità di coscienza.
E farsi i conti bene perché alle volte non si arriva alla saggezza amministrativa che aveva san Giuseppe. Ad esempio: nell'acquistare, nel diffondere, nell'esigere i pagamenti, nel farli, c'è anche la giustizia in mezzo, la quale è virtù cardinale. Giustizia con gli esterni e anche giustizia con l'Istituto. E poi quella saggezza che sa bene provvedere e sa bene amministrare. Secondo le Costituzioni, ognuna non può far da sé, bisogna che ci siano sempre, almeno, due occhi, ma a questi due occhi: saggezza e prudenza, due altri e cioè, un'altra persona con la quale ci si consiglia. L'amministrazione non è amministrazione di beni propri che qualcheduno, magari, osa dire: "Eh, se perdo non dò danno a nessuno". Alla Congregazione si reca danno, invece. Non si amministra quel che è proprio, ma si amministra quello che è della Congregazione.
Oh, poi occorre farsi bene i conti. E c'è la spesa di affitto, ci son le spese di personale, ci sono anche le eventualità di danni che provengono dall'esterno, né una deve indursi in inganno, né si possono dare, così senza una vera discriminazione, le cose per pagamento in futuro. Occorre qui una saggezza, occhi aperti e, d'altra parte, un grande amore alla Congregazione, sì. E non lasciarsi così facilmente ingannare. Il presidente della Repubblica che c'era prima, Einaudi, ha scritto su una rivista sua, un articolo intitolato: Consigli inutili. E parla di quelli che sembrano più buoni, ma si lasciano gabbare. Persone che, alle volte, non hanno mai conosciuto un po' le cose del mondo e persone che son tutte, magari, assorbite nelle cose spirituali, sono le candidate agli inganni. Allora, la vigilanza nei Centri. Ma tre quarti degli sbagli si toglierebbero se si fa in due, almeno, in casa. E nelle Case principali si deve aspettare il parere della direzione generale.
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Oh, altra applicazione: quando si inizia un lavoro anche in casa, supponiamo un lavoro che riguarda le paramenta, paramentali, occorre farsi bene i conti: i costi della materia prima, il tempo che occorre per confezionare. E poi l'offerta che si deve esigere, e vedere se è tale che quel paramentale venga poi acquistato e quindi prevedere. Farsi un preventivo non vuol dire soltanto calcolare la spesa, calcolare il tempo e calcolare il prezzo che si segnerebbe, l'offerta che si richiederebbe, ma anche quello che riguarda gli interessi che intanto si pagano perché la materia è pagata e dell'entrata non è ancora venuta. Poi gli eventuali sbagli, ne succedono sempre; oppure eventuali pagamenti che vanno fallire male e poi il tempo che si richiede perché entri il denaro affinché la spesa degli interessi non aumenti troppo, non faccia pesare troppo sopra l'offerta che si deve richiedere; e ancora, se quello sarà acquistato, se sarà conforme alla liturgia e conforme al gusto artistico e quindi potrà arrivare a buon fine. L'iniziativa.
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Altra applicazione riguarda la cucina e tutte le spese che son necessarie in casa: e quello che si compera per la cucina, quello che si compera per il vestire e poi quello che si compera per altre cose che riguarderanno macchinari, riguarderanno le case, costruzioni ed altro. Sempre si ha da camminare con prudenza e saggezza. Vi è gran diversità fra persona e persona nello spendere, vi è tanta diversità. E così nella saggezza dell'amministrazione, poi, sì, vi è grande differenza. Vi sono persone che hanno un intuito lì sopra; persone, invece, che ne hanno poco intuito. E almeno sempre si domandasse, in un caso e nell'altro, la luce di Dio e ci rivolgessimo alle persone che possono darci il consiglio buono. Sì, sempre tutto va trattato con giusto equilibrio.
Riguardo all'amministrazione le Costituzioni parlano tanto dell'economa. Giusto. Parlano tanto dell'economa e questa presiede, diciamo così, sotto la direzione della Superiora Generale, alla amministrazione: sub ductu et dipendentia superioris1: sotto la guida e in dipendenza della Superiora. Certamente. Tuttavia, quando ci si impegna, allora la luce di Dio è più abbondante e poi molte cose si vengono a comprendere e si trovano molti mezzi per giungere ad un miglior risultato, sì. Oh, a questo riguardo bisogna dire che la saggezza di amministrazione, la prudenza amministrativa sono un dono di Dio, sì, e dobbiamo chiederlo al Signore, questo dono di Dio.
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Oh, quarta applicazione: occorre provvedere. Occorre provvedere per la salute; occorre provvedere per tutto il necessario della giornata; occorre provvedere anche tutto quel che sono le materie prime, diciamo, per compiere il proprio apostolato, l'apostolato della Congregazione. Poi, pensando all'età più avanzata, e ci saranno anche le Assicurazioni per suore che hanno determinati uffici. Questo secondo l'indirizzo che abbiamo dalle autorità civili e anche, in parte, dalle autorità ecclesiastiche, dalle autorità religiose, sì. Provvedere. E provvedere alla Congregazione, non soltanto che abbia il vitto e le case, ma provvedere che si possa anche avere quella parte giusta di persone che studiano e che devono addestrarsi nei vari apostolati. Ci vogliono i mezzi, mezzi materiali e ci vogliono i mezzi, anche, diciamo così, di tempo. Tuttavia anche in questo è necessario sempre esser guidati dalla prudenza e, nello stesso tempo, dalla carità. Provvedere. E tante volte bisogna anche dare, sì. Dare perché vi sono ragioni, ragioni sociali, ragioni che provengono da un complesso di circostanze, come religiosi, come religiose. Occorre dare.
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Ultima cosa: saper chiedere la beneficienza. Vi sono i Cooperatori. I Cooperatori devono cooperare: primo, con la preghiera; secondo, con l'attività, l'azione; e terzo, con offerte, sì. Vedo che è un po' meno coltivata questa parte. Sarà bene rimetterla in maggiore efficienza di nuovo, affinché noi siamo aiutati; d'altra parte, viene questo che, noi ci associamo gente per far di più e intanto a queste persone benefattrici diamo l'occasione di merito. Vi sono persone le quali possono dare agli Istituti religiosi e dare aiuto agli apostolati degli Istituti religiosi ed è una carità maggiore verso di loro che non il beneficio che riceviamo noi, perché col loro denaro si acquistano tesori per la vita eterna. Quindi il vantaggio è soprattutto di loro ed è una grande carità. Vedo che meno si fa, anche da questo: che le adesioni all' Unione Cooperatori sono molto minori adesso, di una volta, in generale, eccettuata qualche nazione, forse due nazioni. Oh, e invece pensiamo un poco a quelle migliaia di persone che venivano a partecipare al frutto delle 2.400 Messe ogni anno. Ai Cooperatori, la Famiglia Paolina, cioè la Società San Paolo, poi, dà molto di più di quanto riceve, dà molto di più. E sono grazie e benedizioni sulla terra per quei benefattori e specialmente è un grande premio eterno. Non restringiamoci lì, a contare solo sopra di noi. Facciamo questa carità di formare attorno a noi un cerchio di persone, una quantità di persone cooperatrici. Queste ci ringrazieranno tutti nel giudizio di Dio, di aver dato loro occasione di bene e aver loro indicato delle vie. Solo questo, che queste 2.400 Messe vanno anche ai defunti, quelle anime che attendono da quelle pene del purgatorio, e se hanno già questa assicurazione... Molti passano all'eternità, non lasciano chi prega. Ma le Messe sono l'orazione. Ogni Messa è l'orazione e orazione che si ripete 2.400 volte in un anno a loro suffragio. Sentiamo di nuovo questo spirito di estendere il bene e di impegnare più anime, più persone a lavorare con noi. Non restringerci, ma allargare, piuttosto.
Dunque, in conclusione: chiediamo, per mezzo di san Giuseppe, la sapienza amministrativa. Chiediamo a Gesù, Maestro anche di amministrazione, chiediamo la grazia di operare sempre in prudenza e in zelo, nello stesso tempo. Allora avremo più benedizioni e faremo un bene più largo, un bene che si estenderà anche là, al purgatorio, sì.
Il Signore vi benedica. E questi Esercizi si conchiudono con frutti di consolazione a voi e di gloria a Dio.
Sia lodato Gesù Cristo.
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1 * Nastro 25/c (= cassetta 59/a). - Per la datazione, cf PM: “E questi Esercizi si conchiudono con frutti di consolazione a voi e di gloria a Dio”. - dAS, 22/3/'59 (Domenica delle Palme): “Dopo Messa va [il PM] all'Istituto "Regina Apostolorum"; al ritorno va in via Portuense a predicare alle PD (Esercizi Spirituali)”.
2 DON GIUSEPPE TIMOTEO GIACCARDO, nato il 13 giugno 1896 a Narzole (Cuneo) e morto il 24 gennaio 1948 a Roma, è stato il primo sacerdote della Società S. Paolo e il primo discepolo e collaboratore di don Alberione. E stato proclamato “Servo di Dio” ed è avanzata la sua causa di beatificazione. Il libro cui fa riferimento d. Alberione è: Dai tetti in su (1956) curato da d. Lamera. Il capitolo della povertà si trova nelle pp. 227ss.
3 2Cor 6,10.
1 Cf Mt 14,13-21.
2 Cf Lc 16,1-8.
1 Cf Codex Iuris Canonici, can. 516,2. Più esattamente: sub directione Superioris.