Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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15. IL GIUDIZIO DI DIO1

Esercizi Spirituali (6-15 agosto) alle Superiore e Suore con voti perpetui delle Pie Discepole del Divin Maestro.
Ariccia, Casa Divin Maestro, 8 agosto 1959*

Vi sono Esercizi che hanno fine generale, Esercizi che hanno qualche fine particolare come sarebbero gli Esercizi per la scelta della vocazione.
Vi sono Esercizi che hanno fine generale e cioè: migliorare la vita, la vita nostra; parlando di noi, la vita religiosa.
Vi sono Esercizi che hanno anche qualche scopo determinato e cioè: di conoscere e amare e vivere meglio qualche punto, come sarebbe: lo spirito di fede, la carità verso Dio, verso il prossimo; oppure, l'osservanza delle Costituzioni o altro scopo simile.
Vi sono anche gli Esercizi di conversione, quando una persona crede di non essere ancora sopra la via del cammino giusto, magari anche della salvezza stessa. Esercizi di conversione. E la conversione si ha quando si cambiano pensieri, si cambiano i sentimenti, si cambia l'attività, il modo di vivere, in sostanza. Comunque siano gli Esercizi Spirituali e a qualunque fine siano indirizzati, sempre giova meditare le verità eterne, perché sono, in sostanza, la meditazione del fine: Dove vado? Come vado? Cammino verso il cielo? Cammino bene?.
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Allora, questa mattina, il Giudizio di Dio: il giudizio particolare e il giudizio universale.
Noi abbiamo da guardarci bene da giudizi soggettivi: "Oh, a me pare di camminare [ab]bastanza bene". Non qui seipsum commendat ille probatus est, sed quem Deus commendat1: non colui che loda se stesso e giudica se stesso sulla via buona, ma colui che è lodato da Dio. I giudizi di Dio son tanto diversi dai giudizi degli uomini. Le mie... Meae cogitationes, cioè i miei pensieri non sono i vostri pensieri - dice Dio - e le mie vie non son le vostre vie2. Allora giudicare noi stessi, non con il proprio sentimento, ma considerando le cose in Dio: come mi giudica il Signore. Vi è un giudizio che è soggettivo e ingannevole. È delle anime un po' accecate. E vi è un giudizio che uno fa di se stesso, un giudizio illuminato, illuminato dalla grazia del Signore, dalla sua luce. Un giudizio che noi facciamo negli esami di coscienza. Quanto più negli esami di coscienza noi ci avviciniamo al giudizio che Dio stesso ha di noi, tanto più, allora, noi viviamo nella realtà, nella verità e viviamo nel cammino giusto, sì.
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L'esame di coscienza è sempre un giudizio che facciamo di noi. Persone che sfuggono l'esame di coscienza o lo fanno superficialmente, ecco. È, questo, un grave errore, perché, eh, si finisce con l'esser ciechi, non si sa cosa si fa e non si sa, se quel che si fa è santo oppure non è santo. E qualche volta può essere anche che un cieco conduca un altro cieco, nelle sue parole, nel suo comportamento, magari nel suo modo di governare, conduca un altro cieco o dei ciechi.
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Vi è un giudizio che il Signore fa di noi continuamente. Entriamo in chiesa, Gesù dà uno sguardo all'anima nostra: "Tu mi piaci, vieni, stabiliamo un'unione più intima di relazione fra me e te". E vi può essere un altro caso in cui Gesù debba dire: "Finora non mi piaci, ma vieni, considera te stesso, esaminati, vieni e io ti illuminerò, io ti darò altre ispirazioni, in sostanza, vieni per convertirti". E può anche essere che il Signore trovi qualche anima, la quale è un po' ostinata. Gesù sempre fa il giudizio sopra di noi. Egli, Dio, ha sempre il giudizio, sopra di noi, fatto: "Quest'anima si trova con tanti meriti, con tante virtù, con tanto sforzo di lavoro spirituale, vive bene". E, ecco il giudizio, perché il Signore conosce tutto e sa precisamente cosa passa in un'anima. E può essere che il Signore giudichi, di un'altra anima, le cose molto diversamente: "Quest'anima non si arrende ai miei inviti; quest'anima si ostina in quei pensieri, in quei sentimenti che non son conformi ai miei pensieri, ai miei sentimenti e, per quante ispirazioni, per quanta luce già abbia avuto, finora nulla è stato sufficiente". Ecco, il Signore ci guarda adesso, ci conosce fino al fondo, c'è nessuno che possa conoscer se stesso così come il Signore conosce ognuno di noi. E nessun uomo, degli altri, può giudicarci così, con verità, quanto ci giudica il Signore. Il giudizio di Dio.
E quando poi l'anima esce dal corpo, il giudizio è fatto; è sempre fatto il giudizio di Dio, in quanto che l'anima è giudicata nell'istante in cui lascia, si separa dal corpo. Quindi, il giudizio è un istante; anzi, non si può neppur dire un istante, è la comunicazione all'anima di quello che egli, il Signore, giudica di quest'anima in maniera che l'anima può esser che si trovi davanti a sorprese innumerevoli: "avevo dimenticato, non conoscevo me stessa, ecco, e il giudizio di Dio sopra di me era così diverso"! E può essere che abbia delle altre sorprese consolantissime: "Avevo dimenticato il bene fatto nella mia vita, neppure conoscevo che quelle cose che facevo piacevano così al Signore; io cercavo di vivere nell'unione con lui, ma poi non giudicavo me stessa e che la mia vita fosse così piacevole - cioè voglio dire - che piacesse così al Signore".
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Oh, cerchiamo, allora, di fare in maniera di sempre chiedere al Signore che il giudizio che facciamo di noi stessi, gli esami di coscienza che ci servono a giudicarci, le confessioni nelle quali noi cerchiamo ancor più sinceramente di conoscere noi medesimi, cerchiamo che il nostro giudizio sia sempre più conforme al giudizio che Dio ha di noi. Dio tutto vede, tutto sente, tutto considera, tutto ricorda. Nessuna parola, pronunziata dall'uso di ragione ad oggi, è da lui dimenticata; nessun sentimento del cuore, veramente acconsentito, è dimenticato da Dio, nessun movimento, nessun atteggiamento; egli vede nell'occulto, anche i nostri pensieri e non importa che ci sia la luce del giorno o che ci siano le tenebre della notte; e non importa che gli altri ci giudichino in un senso: "quella è una persona santa"; oppure ci giudichino: "quella è una persona perversa"; ognuno tanto è, quanto è davanti a Dio. Non illudiamoci, ma neppure scrupolosità. Il peccato lo fa sol la volontà, non è la fantasia, non è il sentimento e neppure è il pensiero, per sé; vi possono essere dei pensieri acconsentiti, ma perché interviene, allora, la volontà.
Quindi, né scrupoli, né indelicatezze, ma delicatezza di coscienza, sì. Possono esserci degli scrupoli e può esserci anche una coscienza così larga, così fatta a maglie e così elastica per cui tutto passa, tutto va bene. Giudichiamoci prima di esser giudicati dal Signore, lassù. Chi si giudica non sarà giudicato1. Grande consolazione. Chi si condanna non sarà condannato. E vuol dire: se noi scopriamo il nostro male, ecco, lo detestiamo, perché facciamo l'esame di coscienza appunto per scoprirlo e toglierlo. E allora: chi si giudica non sarà più giudicato. È già tolto. Sì, chi si condanna, non sarà più condannato. Ma se uno si ostina e non si condanna mai, non si riconosce e c'è nessuna persona che possa portare un po' di luce in quell'anima, allora c'è tanto da domandare al Signore, per lo Spirito Santo, il timore di Dio.
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Allora, vi sono come due giudizi al di là. Vi è: iudicium ultionis et iudicium retributionis. Il giudizio della vendetta di Dio, che fa vendetta [di] quell'anima ostinata e proporziona la pena alle sue mancanze. La pena può esser molto terribile: melius erat si non fuisset natus homo ille1: era meglio che Giuda non fosse nato, nella parola, nell'espressione del Signore. E' vero che anche quello era stato così che il Signore cavò il bene dal male e così si compì la redenzione. E Gesù andò a patire e morire per la nostra salvezza, sì.
Può essere un iudicium ultionis, ma misurato, cioè quando ci sono ancora venialità, non vi sono ancora state le soddisfazioni giuste per i peccati commessi; non vi è stato ancora il cuore tutto liberato da certi sentimenti e desideri che non erano conformi al cuore di Gesù. Vi possono essere state delle venialità e imperfezioni commesse ad occhi aperti. Allora, il purgatorio. E un giudizio di premio per tutto il bene, ma commisurato allo stato con cui e in cui l'anima si presenta a Dio. Vi sono ancora debiti, ad esempio. Anche la tiepidezza ci deve dar paura. Perché? Perché tiepidezza vuol dire noia della preghiera; vuol dire facilità alle venialità, alle imperfezioni; vuol dire avere una coscienza un po' larga sicché se la passa sopra i piccoli difetti, leggermente se la passa. E può essere che questa coscienza si sia andata formando così imperfetta per una lunga serie di fatti, di piccole cose, cioè, di piccoli difetti e di piccole trascuranze.
Vi è poi il iudicium retributionis. E cioè quando il Signore commisura il premio ai meriti, considerando tutta la vita. Considerando tutta la vita il Signore dà il premio che l'anima ha meritato, sì.
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Commisurare la gloria e il premio, anche fu per Maria, perché il Signore commisurò la sua gloria, la sua felicità eterna, il suo potere d'intercessione presso Dio con i meriti che ella aveva raccolto durante il cammino, il pellegrinaggio terrestre. E quale gloria! La prima dei santi, la massima gloria fra le creature, poiché lei è per natura e per grazia e per gloria, il capolavoro di Dio, Maria.
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Oh, il giudizio che noi meriteremmo adesso, che esito avrebbe? Ecco la domanda che ci riguarda. Sì, il giudizio si fa in un istante; anche in quello che noi chiamiamo istante, neppure è del tutto giusto perché è soltanto una effusione di luce di Dio in quell'anima per cui ella vede che cos'è e cosa è stata e cosa merita per l'eternità, in quella luce che il Signore effonderà nell'anima, in quel giudizio che Dio ha di quell'anima che viene comunicato all'anima stessa.
Tuttavia, noi uomini, per farci un'idea più giusta siamo abituati a considerare il giudizio per parte. Sono contenute queste parti, ma sono poi queste parti cosi brevi: statutum est hominibus semel mori et post mortem iudicium1 è stabilito che ogni uomo muoia e che dopo la morte si compia di lui il giudizio. E s'intende qui, del giudizio particolare che fissa la sorte eterna di un'anima. E in quel luogo, in quella camera dove la persona è spirata, già si compie un giudizio, già si entra nell'eternità propria. Lì comincia il paradiso, lì può cominciare la pena, mentre che, forse, chi assiste sta ancora in forse se quella persona già è spirata o ancora sta lottando con la morte.
Oh, noi considerandolo per parte, il giudizio, siamo soliti a distinguere: la comparsa al tribunale di Dio, davanti al Giudice; poi, secondo, l'esame che Dio fa dell'anima; terzo, le scuse che porterà, che vorrebbe, meglio, portare il peccatore e colui che non ha corrisposto alla grazia e, nello stesso tempo, quali ringraziamenti, quali consolazioni all'anima che ha corrisposto alle grazie e si trova ora in una posizione di felicità eterna. Poi noi possiamo anche dire come si sviluppano il pensiero... (molti libri di meditazioni) quali accuse al tribunale di Dio. E, infine, la sentenza definitiva.
Tutte queste cose ci sono, così come possono venire le cose di Dio rispetto a noi. Primo, la comparsa davanti a Dio, sì. E non è più il Gesù della Via Crucis. È ancora lui, ma in altro atteggiamento. Il tempo della misericordia finisce con l'ultima apertura di bocca. E non è più il Gesù del tabernacolo. Allora Gesù prende l'atteggiamento di Giudice, è pronto a rimunerare le anime buone più di quanto esse abbiano avuto di merito, secondo molti teologi. Non eccede nel castigare, ma può eccedere nella misericordia2. Comparir davanti a Gesù che conosce tutto, che ci ha visti sempre, quindi nulla è nascosto a lui, Gesù che è onnipotente. E quindi se pronuncia la sentenza e una sentenza di pena, subito la persona entra, l'anima entra in quelle pene che ha meritato. E se pronuncia la sentenza di felicità, ecco subito l'anima è investita dalla gloria di Dio, penetra, con la visione, in Dio; è la carità nuova, la carità che rimane in eterno, ma che è nuova perché è carità dell'altra vita. E'in questo la felicità. E poi l'esame. E cioè, il Signore tiene tutto presente. Siede il Giudice e apre il libro, apre i libri. Il primo libro che egli apre è quello delle grazie che sono elencate, delle grazie che ci ha fatto e dei doveri che avevamo e delle possibilità che ci ha presentate durante il corso della vita, di santificarci.
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Per noi religiosi, se fatta la professione bene, preceduta da un esame di coscienza buono e con una confessione generale e l'indulgenza plenaria, dovrebbe essere stato saldato il conto con Dio, di quel che ci fosse stato di passivo, di negativo e solamente scancellato il cattivo, il negativo, rimarrebbero le linee, le righe in cui sono elencate le opere, i meriti passati che non si perdono e anche se, per disgrazia, si fosse commesso qualche peccato, e si perderebbero, per sé, se non si risorge, ma con la confessione ritornano vive quelle opere buone e sono poi contate per il premio.
Per noi vi è il libro delle Costituzioni. Se abbiamo vissuto le Costituzioni, la vita nostra, propria, la vita con i mezzi che abbiamo, di santificazione e con i doveri che abbiam da compiere, i santi voti, la vita comune, lo spirito di unione con la Congregazione, la carità, e quindi si effonderà la luce su quell'anima che vedrà come è stata l'osservanza religiosa e come è stato l'apostolato che essa aveva da compiere, quell'anima che si era consacrata, a suo tempo, a Dio.
Certo, in chi è un po' cieco sopra di sé verranno fuori tante cose dimenticate; in chi, invece, è diligente, quelle cose anche che fossero state imperfezioni volontarie o peccati, ormai sono distrutte, scancellate. L'anima può muovere delle scuse: "Ma anche altri facevano così". E poi, quante volte noi troviamo delle scuse che non valgono davanti a Dio, solo sono un po' ispirate dall'amor proprio e anche un po' si fanno, si dicono per cecità, oppure perché si è fatto una coscienza poco sensibile.
Vi sono persone che hanno una sensibilità spirituale molto viva. E per loro un'imperfezione, come conta! come la fuggono! E vi sono altre persone che sono un po' sorde. Le scuse nostre, se son vere ragioni, per esempio, una non poteva andare a Messa perché era malata, ci scusa prima il Signore, non la scrive a peccato, anzi può essere che una debba stare proprio per dovere a letto e guadagna ancora più merito perché fa, si uniforma al volere di Dio. Il Signore non ci condanna dove non siamo condannabili, è sempre misericordioso. E approfittare adesso della misericordia. E poi sant'Agostino descrive come ci accuserebbero anche i muri che ci han visto mancare, se fosse così, le persone le quali furono, forse, testimoni, ecc.
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La sentenza: Veni, sponsa Christi, accipe coronam1, [a] quest'anima che ha stabilito la propria vita in Gesù Maestro; il che significa: la sua mentalità, la sua sentimentalità, la sua volontà in Gesù, che è vissuta in Gesù, nella quale vive Gesù. E Gesù non condanna se stesso, perché è lui che ha operato in quell'anima e quell'anima fu docile strumento di meriti nelle mani di Gesù e l'anima ha pensato sempre più conformemente al Vangelo e più conformemente alle Costituzioni. Voi sapete poi che essere Discepole di Gesù Maestro, vuol dire proprio pensare come Gesù, avere i sentimenti di Gesù. Ci metterà davanti il Vangelo suo: È così che hai pensato? come me? come ho predicato? così come ho vissuto? così com'era il mio cuore? Ecco il premio: Veni sponsa Christi.
E non pensiamo adesso, alla sentenza di condanna perché ognuno di noi è abbastanza atterrito, per poco che abbia di luce in questo momento. Piuttosto pensiamo che qui è il tempo della misericordia. Tutto il tempo della misericordia che noi abbiamo in questo momento e in questo corso di Esercizi. Tempo della misericordia. E approfittiamo, sì. Allora il giudizio sarà il giudizio retributionis, il giudizio della ricompensa.
Sia lodato Gesù Cristo.
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1 * Nastro 27/d ( = cassetta 62/b). - Per la datazione, cf PM: “Allora, questa mattina, il Giudizio di Dio”. - dAS, 8/8/'59: “Celebra [il PM] verso le ore 5. Tiene due meditazioni alle suore esercitanti PD. Verso le ore 10 torna a Roma. Ritorna alla Casa "Divino Maestro" verso le ore 18”. (La seconda meditazione non ci è pervenuta). VV (cf c82).

1 2Cor 10,18.

2 Cf Is 55,8.

1 Cf 1Cor 11,31.

1 Mt 26,24.

1 Eb 9,27.

2 Cf Dt 5,9.

1 Liber Usualis, Dominica I Passionis Hymnus ad Vesperas.