Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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PRIMA CONDIZIONE
DELLA PREGHIERA: UMILTÀ

GIORNO III.

ISTRUZIONE II.


SACRA SCRITTURA
IL FARISEO E IL PUBBLICANO

Gesù disse questa parabola, per certuni, che confidavano in sé stessi, come giusti e disprezzavano gli altri.
- Due uomini ascesero al tempio a pregare; uno era Fariseo, l'altro Pubblicano.
Il Fariseo, stando in piedi così dentro di sé pregava: - O Dio, ti ringrazio di non essere io come gli altri: rapaci, ingiusti, adulteri, come anche questo pubblicano. Io digiuno due volte la settimana, pago le decime di quanto possiedo.
Il Pubblicano, stando invece da lungi, non ardiva nemmeno alzare gli occhi al cielo; ma si batteva il petto, dicendo: - O Dio, abbi pietà di me peccatore.

(Luc. XVIII, 9-14).


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L'orazione è onnipotente presso il Signore, e da essa viene ogni sorta di beni. Alcuno potrà perciò fare la domanda: Perché vi sono orazioni
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che non sono esaudite? S. Bonaventura risponde: «L'orazione impetra da Dio ogni bene, ottiene la liberazione da ogni male»; però occorre che essa sia fornita delle dovute disposizioni. S. Giacomo dice: «Petitis, et non accipitis, eo quod male petatis»1. Sant'Agostino afferma che talora non si viene ascoltati nelle preghiere, perché chi prega: o è cattivo, o perché prega malamente, o perché chiede cose non convenienti all'eterna salute: «Quia mali, male, mala petimus». S. Basilio scrive: «Ideo quandoque petis et non accipis, quia perperam postulasti; vel infideliter, vel leviter, vel non conferentia tibi, vel destitisti».
Occorre dunque che chi prega sia in grazia di Dio, che preghi bene, che chieda cose buone. Per fermarci soltanto sul chiedere bene, si richiedono tre disposizioni: umiltà, fiducia, perseveranza.

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Ci fermeremo sopra l'umiltà nel pregare. Vedremo: 1) che cosa sia l'umiltà; 2) se sia necessaria nella preghiera.
Il Signore è Padre e ci invita a pregare: «Petite». Sta a noi il farlo e farlo bene. Egli,
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con quel suo gran Cuore che ha, tanto desidera di esaudirci.

I. - Che cosa sia l'umiltà.
L'umiltà è: «Virtus qua homo, verissima sui cognitione, sibi ipsi vilescit»; è virtù per cui l'uomo conosce se stesso e si vede tanto povero. L'umiltà è: «Sui ipsius vera cognitio et despectio»2. È la conoscenza piena di noi stessi, e quindi, come conclusione, una vergogna di noi stessi.
L'umiltà richiede che l'anima conosca i suoi peccati; richiede che l'uomo comprenda quanto è inclinato al male; che capisca il bisogno grande e totale che ha dell'aiuto divino; il niente che egli è innanzi a Dio Creatore. L'umiltà deve portare, specie noi sacerdoti e religiosi, a comprendere che siamo poveri infelici e che, pur avendo ricevuto dal Signore grazie speciali, forse abbiamo abusato tanto della sua misericordia. Non è colui che ha ricevuto poco che può abusare di più; invece chi può abusare di più è colui cui molto fu dato. L'umile vede in Dio tutto, in se stesso il povero peccatore; sa che quello che ha di bene gli viene dal Signore, da se stesso soltanto il peccato; va a
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Dio come il povero dinanzi al ricco, il bambino innanzi al padre buono, il suddito innanzi al suo re.
Ognuno sa le parole del Maestro: «Sine me nihil potestis facere»: senza di me nulla potete fare.
Ognuno può meditare le parole di S. Paolo: Noi non siamo sufficienti a pensare qualcosa di bene da noi medesimi; la nostra sufficienza è dalla grazia di Dio; poiché è Dio che compie, cioè suscita in noi la buona volontà e dà la grazia di tradurla in opere: «Non quod sufficientes simus cogitare aliquid a nobis, quasi ex nobis: sed sufficientia nostra ex Deo est»3.
Ognuno può riflettere sulle parole del Concilio di Trento: «Si quis dixerit sine praeveniente Spiritus Sancti inspiratione atque eius adjutorio, hominem credere, sperare, diligere, aut poenitere posse sicut oportet, ut ei iustificationis gratia conferatur; anathema sit»4.

II. - Necessità dell'umiltà nella preghiera.
L'umiltà è necessaria. «Oratio humiliantis se, nubes penetrabit: et donec propinquet non consolabitur; et non discedet donec Altissimus aspiciat. Et Dominus non elongabit»5. Dice
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il Signore: «A chi volgerò lo sguardo, se non al poverello, al contrito di cuore che trema alle mie parole?»6; «Il Signore sta vicino a quelli che hanno il cuore afflitto, e salva gli umili di spirito»7; «Cor contritum, et humiliatum, Deus, non despicies»8.
A chi vien dato? A chi ha bisogno. Qual'è il povero che viene ricoverato facilmente nell'ospedale? Quello che è privo di tutto. Anzi a quale infermo si dà la preferenza? A chi ha maggiori acciacchi. I titoli, le tessere, per ottenere misericordia, sono i mali, la povertà, gli acciacchi, l'urgenza di cure. S. Giuseppe Benedetto Cottolengo, che possedeva il vero spirito del Maestro Gesù, preferiva sempre i più infelici ed abbandonati dagli uomini; e la Piccola Casa della Divina Provvidenza è piena di questi scarti del mondo.
Ricordiamo quanto erano colpevoli i Niniviti. Iddio ne aveva deciso lo sterminio; ma alle parole di Giona: «Ancora quaranta giorni, e Ninive sarà distrutta, i Niniviti credettero a Dio, e ordinarono il digiuno, e si vestirono di sacco, dal più grande al più piccolo»9. Anche il re «si alzò dal suo trono, depose le sue vesti, indossò il sacco, e si gettò sulla cenere»10.
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E «Dio, visto quanto facevano, e come s'erano convertiti dalla loro cattiva vita, ne ebbe compassione, e il male che aveva detto di far loro non lo fece»11.
Quando Giuditta vide la sua città assediata da Oloferne, entrò nel suo oratorio, e, prostratasi dinanzi al Signore, si umiliò, pregò, confessò la propria impotenza. I soldati erano assai pochi; il coraggio era quasi perduto; le munizioni, scarsissime; l'acqua mancava; i nemici, che assediavano, erano tanto numerosi. Giuditta pianse ed esortò tutti a piangere e a pregare: «Non si faccia altro che pregare per me il Signor Dio nostro»12. E il Signore, che ha sempre pietà dell'umile, ascoltò; e sappiamo con quale prodigio liberò la città di Betulia.
I bambini sono potenti: non per ingegno, ma per la semplicità; non per forze, ma per umiltà.
Nel Nuovo Testamento abbiamo numerosissime attestazioni. La Santa Madonna nel Magnificat disse: «Quia respexit humilitatem ancillae suae: ecce enim ex hoc beatam me dicent omnes generationes... dispersit superbos mente cordis sui. Deposuit potentes de sede, et exaltavit humiles. Esurientes implevit
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bonis: et divites dimisit inanes»13. Queste parole significano che il Signore all'umile ed al povero inchina il suo sguardo benevolo e allarga la sua mano.
L'aveva già detto il profeta Isaia e lo predicò di nuovo il Battista: «Omnis vallis implebitur; et omnis mons, et collis humiliabitur»14. Verrà il Signore e le valli saranno riempite, e le montagne e le colline saranno abbassate. Maria, Giuseppe, i pastori, i Magi, il popolo, che ascoltarono umilmente la predicazione di Gesù, furon riempiti di grazia: «Pauperes evangelizantur»15, di sapienza divina. E i superbi Farisei «evanuerunt in cogitationibus suis»16, e hanno crocifisso la Sapienza di Dio: «Commutaverunt veritatem Dei in mendacium»17. Nel pieno meriggio, sfolgorante di luce, attendono il levare del sole. Gesù era risorto, ed essi ai soldati offrirono, come già a Giuda, denaro, dicendo: «Dicite quia discipuli ejus nocte venerunt, et furati sunt eum, vobis dormientibus»18, e aggiunsero: «E se ciò giunge all'orecchio del preside, lo persuaderemo noi, e vi libereremo da molestie»19. O stolta sapienza! Perché scavarvi la fossa
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per cadervi dentro, servendovi di testimoni addormentati? Avete solo mostrata la vostra ostinazione!
La Cananea con alta voce pregava Gesù; ma poiché sembrava che Egli non la volesse ascoltare, gli Apostoli dissero a Gesù: «Dimitte eam: quia clamat post nos». E il Maestro Gesù rispose: «Non sono mandato che alle pecore perdute della casa d'Israele». Ma quella venne e l'adorò dicendo: Domine adjuva me! Ed Egli le rispose: «Non est bonum sumere panem filiorum, et mittere canibus»20. La umiliò per bene quella povera donna! Qualche pusillo può farne le meraviglie. Ma essa, in verità, si mise nella condizione dei cani, ed esclamò: «Dici bene, Signore, ma anche i cagnolini mangiano delle briciole che cadono dalla mensa dei loro padroni»21. E il Signore l'ascoltò e il miracolo fu compiuto.
Quando il centurione pregò Gesù a guarire l'infermo suo servo, Gesù rispose: «Ego veniam, et curabo eum»22. Ma subito l'altro soggiunse: «Signore, io non son degno che tu entri sotto il mio tetto, ma di' soltanto una parola e il mio servo sarà salvo»23. La preghiera di costui commosse Gesù, e fu subito esaudita.
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Gesù ascoltò Pietro, ascoltò Matteo, ascoltò Zaccheo, la Maddalena, tutti quelli che vennero a lui umiliati, piangendo e confessando i loro peccati. È chiaro nella Sacra Scrittura: «Deus superbis resistit, humilibus autem dat gratiam»24.

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L'umiltà ci è necessaria, sia che la consideriamo da parte di Dio, sia che la consideriamo da parte dell'orazione e sia ancora che la consideriamo da parte nostra.
a) Da parte di Dio. Il Signore deve e può soltanto ascoltare le preghiere degli umili. Né crediamo che lo faccia per gelosia, perché noi gli rubiamo la gloria. Il Signore non può ascoltare la preghiera del superbo, perché tutto quello che fa, lo fa per la sua gloria; ripugnerebbe alla sua natura, se non fosse così: «Universa propter semetipsum operatus est Dominus»25. Anche le grazie che dà, hanno lo stesso stile, le dà nelle stesse condizioni che ha messo. Ha creato il mondo, l'ha creato tutto per la gloria sua; tutto quello che fa e concede è per la sua gloria. Dunque Dio deve esigere che l'anima sia così disposta che vada attribuita
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la gloria a Dio solo: «Soli Deo honor et gloria in saecula saeculorum. Amen»26.
Quanto bisogno vi è di domandare lo stesso dono dell'umiltà! Solamente la preghiera dell'umile può essere ascoltata; come soltanto ai luoghi bassi può scorrere l'acqua.
b) Da parte dell'orazione. Pregare è chiedere. Quindi di sua natura richiede umiltà. Il pregare non è recitare molte preghiere: «Orantes autem nolite multum loqui»27. L'orazione è un complesso di domande che noi facciamo a Dio: «Petitio decentium a Deo». Ora, essendo domanda, suppone che noi siamo persuasi di aver bisogno. Non può chiedere chi non sa di mancare di una cosa; perciò il superbo non prega, nemmeno quando recitasse delle formole.
c) Da parte nostra. Siamo sulla terra, nel regno della misericordia e della grazia. Tutta l'azione della redenzione e della santificazione è una grande, larghissima misericordia. Nel regno della misericordia i sudditi sono i miseri: a questi è data. Nulla abbiamo da noi: tanto avremo quanto riceveremo. Non è dunque da togliersi ogni fiducia da noi per riporla unicamente in Dio? «Son disperato di me, spero
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unicamente più in Dio», esclamava S. Filippo Neri. L'umile è un gran furbacchione, dunque. Poiché a lui Dio dà volentieri. Non è forse vero che molti poveri esagerano persino nel descrivere i loro mali e miserie, per ricevere più facilmente? Ci vuole poco a capire che Iddio è felicità somma, che è bene sommo e che tutti noi in tanto abbiamo di doni di natura e di grazia in quanto si ricevono da Dio. Tutte queste cose sono di senso naturale. Ma senza l'umiliazione non ci mettiamo nella posizione di ricevere: abbassiamoci e sarà possibile l'affluire dell'acqua; e più ci abbasseremo e più ne verrà.
Umiliamoci specialmente della nostra superbia che portiamo sino innanzi l'altare. Quale differenza tra anima e anima! Alcune hanno il lume e scoprono sé, altre non si conoscono. Tutto sta nel conoscersi o non conoscersi: cioè nell'essere sapienti od essere ciechi. Per misericordia, il Signore non ci lasci mancare la sua luce. Chi prega con gli occhi bassi, col capo umiliato, e picchiandosi il petto, otterrà: «Respexit in orationem humilium: et non sprevit precem eorum»28.
Tre umiliazioni si richiedono: una innanzi a Dio Padre, Creatore; una seconda innanzi a
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Dio Figlio, Riparatore; una terza innanzi a Dio Spirito Santo, Datore della grazia.
L'umiltà deve portare in noi:
a) Una profonda persuasione che noi siamo creati, cioè, cavati dal nulla; che non vi è in noi, di nostro, neppure un capello del capo: «Quid autem habes quod non accepisti? Si autem accepisti, quid gloriaris quasi non acceperis?»29.
b) Una profonda persuasione di essere tanto peccatori e meritare i massimi castighi; stimandoci indegni del perdono, indegni della grazia. «Exi a me, quia homo peccator sum, Domine»30.
c) Una profonda persuasione della nostra ignoranza, debolezza nel bene, incapacità a pregare, assoluta impotenza a meritare qualcosa per il cielo. «Come il tralcio non può far alcun frutto, se non è attaccato alla vite, così nemmeno voi se non rimanete in me»31, dice Gesù.
L'umiliazione però è grazia, anzi grazia che costituisce il fondamento negativo. Occorre chiederla tutta la vita: e l'edificio della santificazione si innalzerà tanto, quanto sarà solido questo fondamento.
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Né può bastare un'umiliazione interna: occorre anche che sia esterna. Si devono umiliare non solo i grandi peccatori, i semplici contadini, i fanciulletti; tutti devono umiliarsi! E vi è veramente pericolo che il ricco, il sapiente, il forte tornino a casa, dal tempio, a mani vuote. Stare inginocchiati, confessarci a vista di popolo, temere sempre per noi: «Beatus homo, qui semper est pavidus»32: il maestro, il confessore, il celebrante pensino che forse innanzi a Dio sono dappiù il discepolo, il penitente, l'umile fedele. Gli Apostoli ebbero infatti una lezione molto istruttiva quando Gesù mise loro innanzi a modello un semplice fanciulletto: «Quicumque ergo humiliaverit se sicut parvus iste, hic est major in regno coelorum»33.
Ricordiamo l'esempio di Salomone: «Ed ecco apparirgli Dio e dire a lui: Chiedi ciò che desideri da me. Salomone disse a Dio: Tu facesti grandi misericordie a David, mio padre, e mi hai stabilito re in suo luogo. Or dunque, o Signore Dio, sia compita la parola che hai promessa a David, mio padre, e giacché m'hai fatto re sopra il tuo gran popolo, innumerabile come la polvere della terra, dammi la sapienza e l'intelligenza, affinché entri ed esca
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davanti al tuo popolo. Chi può infatti giudicare degnamente questo popolo che è così grande? Dio disse a Salomone: Giacché hai avuto soprattutto a cuore questo, e non hai domandato né ricchezze, né beni, né gloria, né la vita di quei che ti odiano, e neppure una lunga vita; ma hai chiesto la sapienza e la scienza per poter giudicare il mio popolo, sul quale ti ho costituito re, la sapienza e la scienza ti son concesse; di ricchezze, di beni, di gloria te ne darò in modo che nessuno, né prima né dopo di te, ti sarà simile»34.

Sia lodato Gesù Cristo.
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1 Jac. IV, 3.

2 De Im. Chr. Lib. I. cap. II, 4.

3 II Cor. III, 5.

4 Sess. VI, can. III.

5 Eccli. XXXV, 21-22.

6 Is. LXVI, 2.

7 Sal. XXXIII, 19.

8 Ps. L, 19.

9 Giona III, 4-5.

10 Giona III, 6.

11 Giona III, 10.

12 Giuditt. VIII, 33.

13 Luc. I, 48, 51-53.

14 Luc. III, 5.

15 Matth. XI, 5.

16 Rom. I, 21.

17 Rom. I, 25.

18 Matth. XXVIII, 13.

19 Matt. XXVIII, 14.

20 Matth. XV, 23-26.

21 Matt. XV, 27.

22 Matth. VIII, 7.

23 Matt. VIII, 8.

24 I Petr. V, 5.

25 Prov. XVI, 4.

26 I Tim. I, 15.

27 Matth. VI, 7.

28 Ps. CI, 18.

29 I Cor. IV, 7.

30 Luc. V, 8

31 Giov. XV, 4.

32 Pr. XXVIII, 14.

33 Matth. XVIII, 4.

34 II Par. I, 7-12.