Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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LE TENTAZIONI CONTRO LA PREGHIERA

GIORNO I.

ISTRUZIONE II.


SACRA SCRITTURA

Avendo Giuditta sentito dire come Ozia avesse promesso la resa della città passati cinque giorni, mandò a chiamare gli anziani Cabri e Carmi. Andati che furono da lei, disse loro: «Che parola è quella con la quale Ozia ha consentito di consegnare la città agli Assiri, se dentro cinque giorni non vi viene soccorso? Chi siete voi da tentare Dio? Questa non è una parola che ecciti la misericordia: provoca piuttosto l'ira ed accende il furore: voi avete fissato un termine alla misericordia del Signore, a vostro arbitrio le avete fissato un giorno. Ma ora, giacché il Signore è paziente, facciamo penitenza anche di questo, e imploriamo con abbondanza di lacrime la sua indulgenza; ché Dio non minaccia come l'uomo e non si accende di sdegno come il figlio dell'uomo. Or dunque umiliamo dinanzi a Dio le nostre anime e, servendo a lui collo spirito umiliato, diciamo colle lacrime al Signore che ci usi misericordia in quel modo che gli piace, in modo che, come abbiamo agitato il cuore per l'orgoglio degli Assiri, così possiamo gloriarci della nostra umiliazione.
Allora Ozia e gli anziani le dissero: «Tutto quello che hai detto è vero, e non c'è che ridire nelle tue parole. Or dunque prega per noi; ché sei una santa e temi Dio».

(Giuditta VIII, 9-17; 28-29).

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Una pratica molto salutare e sapiente viene suggerita da S. Alfonso nei suoi libri ai confessori, ed è questa: Quando i confessori sentono per la prima volta un'anima, ed ancora non hanno potuto farsi un concetto alquanto sicuro dello stato in cui si trova, la interroghino subito sull'orazione. Questa è la via facile, breve ed abbastanza sicura per scoprire se quell'anima ha buona volontà o non l'ha; se quell'anima, quando si accusa, esagera i suoi difetti, o scusa i suoi peccati; se si trova nel peccato, nel fervore, nei pericoli, nella tiepidezza. Conoscere se si prega o non si prega è come tastare il polso per conoscere come stia la salute del corpo. Il medico quando viene a visitare un malato si fa mostrare la lingua. Dalla lingua, che è un piccolo membro, si giudica dello stato di tutto il corpo. Così pure dalla preghiera conosciamo lo stato di un'anima. Se prega, certamente è di buona volontà, e, ancorché possa aver qualche peccato, noi possiamo sempre sperarne bene. Ma se ha abbandonato il gran mezzo della preghiera, a quale altro mezzo così efficace si appiglierà? Perciò lo Scaramelli, che è grande maestro di spirito, impiega, si può dire, metà la sua opera «Direttorio Ascetico» per parlarci
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della preghiera, dell'aiuto che viene da essa e del modo onde pregare bene.
In questa istruzione ci fermeremo sopra le tentazioni contro la preghiera.
Vedremo che: 1) alcune vengono dal demonio; 2) altre dal mondo; 3) altre da noi stessi.

I. - Le tentazioni contro la preghiera da parte del demonio.
Udiamo gli avvisi che diede il Maestro Divino ai suoi Apostoli sopra la preghiera, e scopriremo tutto quello che il diavolo sa opporre all'orazione. Gesù Maestro diceva: «Vigilate et orate, ut non intretis in tentationem. Spiritus quidem promptus est, caro autem infirma»1; «Videte, vigilate, et orate: nescitis enim quando tempus sit»2; «Vigilate ergo, (nescitis enim quando dominus domus veniat: sero, an media nocte, an galli cantu, an mane) ne cum venerit repente, inveniat vos dormientes. Quod autem vobis dico, omnibus dico: Vigilate»3, e altri avvisi simili. Ma nell'orto del Getsemani che accadde? Il diavolo tentò gli Apostoli; ed eccoli a dormire: «Cum... venisset ad discipulos suos, invenit eos dormientes»4. Né solo alcuni, ma anche
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quelli che erano prediletti: «Et dicit Petro: Sic non potuistis una hora vigilare mecum?»5. Il demonio stava ordendo una doppia congiura: contro Gesù Cristo, istigando i Giudei a preparargli la morte; contro gli Apostoli, perché abbandonassero il Maestro nella Passione. Ma Gesù pregò, e con la sua morte redense il mondo. Gli Apostoli lasciarono la preghiera, perciò abbandonarono il Maestro.
Il diavolo tenta contro l'orazione, perché l'armatura della preghiera è potente e invincibile. Il demonio, certo, è per natura più forte dell'uomo; e l'uomo potrà vincere? Sicuramente con l'onnipotenza divina; solo con la divina grazia che si ottiene con la preghiera.
Vestitevi dell'armatura di Dio, suggeriva San Paolo agli Efesini, affinché possiate stare fermi e saldi contro le insidie del demonio: «Induite vos armaturam Dei, ut possitis stare adversus insidias diaboli»6. A commento di queste parole, S. Bernardo scrive: Fiere certamente sono le tentazioni che ci vengono dal nemico; ma ben più tremenda è per lui la nostra preghiera, che non per noi i suoi assalti: «Gravis quidem nobis est inimici tentatio, sed longe gravior illi oratio nostra»7.
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Infatti, non così presto, dice S. Giovanni Crisostomo, il ruggito del leone mette in fuga le belve, come la preghiera del giusto sbaraglia i demoni: «Non enim leonis rugitus sic bestias fugat, ut justi oratio daemones»8. Essa è tale saetta, dice S. Ambrogio, che va a colpire il nemico, ancorché lontanissimo: «Oratio etiam longius positum inimicum vulnerat»9. La preghiera caccia i demoni dal corpo e dall'anima; li costringe all'obbedienza ed alla fuga. Assennatissimo quindi il consiglio che dava ai suoi amici l'abate Giovanni: Che cosa fa un uomo, egli dice, quando vede qualche fiera venirgli incontro? O fugge o si arrampica sopra di un albero; così fate voi, quando il demonio vi tenta: fuggite verso Dio per mezzo della preghiera, montate a lui e sarete salvi; poiché la preghiera atterra le tentazioni e il tentatore, come l'acqua smorza il fuoco: «Sicut vir prudens feras fugit, scanditque in arborem; ita cum veniunt pravae cogitationes, fuge per orationem ad Dominum, et salvaberis: nam sicut aqua exstinguit ignem, ita oratio exstinguit tentationem»10.
Vi è una grazia che si chiama santificante. La grazia santificante è quella che rende santa, bella, cara a Dio la nostra anima; è la grazia
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stabile, abituale del nostro cuore; ed è quella santa amicizia, quella santa figliuolanza, con cui stiamo stretti a Dio, nostro amico e nostro Padre.
Ma, oltre la grazia santificante, vi è la grazia attuale, che comprende gli aiuti divini per vincere le tentazioni, per operare il bene, per santificarci e per lavorare per la salvezza delle anime.
Se il diavolo riesce ad impedirci la preghiera, senz'altro ci ha già vinti, ché ci priva della nostra arma. Quando un armato potente viene spogliato delle sue armi, non è più temuto. L'uomo che prega è un fortissimo armato, e il demonio non lo può vincere. Ma se il diavolo riesce a privarlo dell'arma della preghiera, allora ne farà quello che vorrà. Lo farà cadere e ricadere, come vuole, quando e quanto vuole.
Fa vedere la preghiera impossibile, noiosa, pesante. Mostra che non vi è bisogno urgente, porta ragioni anche ammantate di speciosità, persino di zelo; fa vedere la maggior necessità di studiare, la maggior necessità di attendere alla salvezza del prossimo.
Infatti tre insinuazioni mette il demonio nel cuore contro la preghiera:
a) La preghiera è difficile! No: la preghiera è facile, anzi facilissima.
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La preghiera è facilissima a tutti, ricchi e poveri, dotti e ignoranti, vecchi e giovani: tutti possono facilmente pregare. La preghiera, mentre è il più efficace, anzi indispensabile mezzo di salute, è nello stesso tempo il più facile. Si può pregare in ogni tempo e luogo... Chiunque ha cuore, possiede tutto quello che occorre per pregare. Dare il cuore a Dio, questo basta: Dio non domanda altra cosa...
La preghiera è facile, perché si può pregare in ogni ora, di notte e di giorno.
La preghiera è facile, perché Dio, che è sempre presente, è sempre disposto ad esaudirci, a soccorrerci, ad ascoltarci.
La preghiera è facile, perché Dio è di facile accesso, benché infinitamente grande, e vuole che ci rivolgiamo a lui con libertà grandissima.
Facile riesce la preghiera, per le consolazioni che vi si gustano ed il sollievo che vi si trova in tutti i mali.
b) Ma, tu non sai pregare! insiste il demonio. Alcuno alle volte si lamenta che non sa pregare. Come! Non sapete pregare! Questo proviene dal fatto che voi non pregate; pregate, e voi saprete pregare; e quanto più pregherete, tanto più saprete pregare; nessuno diventa sapiente nella preghiera, se non a misura
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che prega: pregando spesso, s'impara a pregare.
Ma che cosa dirai tu al Signore? Che parole userai? insinua ancora il demonio. Che dirai? Griderai, gemerai, «clamabit ad me»11, guarderai il tabernacolo con occhio supplichevole.
Il Pater, che è la più ricca, la più perfetta di tutte le preghiere; il Pater, che racchiude in sé tutte le altre preghiere, è una preghiera non lunga e da tutti conosciuta... Qual fu la preghiera del cieco? Signore, fate che io vegga! «Domine, ut videam!»12. Qual fu la preghiera del pubblicano? Signore, siatemi propizio, perché io sono un peccatore: «Deus, propitius esto mihi peccatori»13. Qual fu la preghiera degli Apostoli in pericolo di naufragare? Signore, salvaci, perché andiamo perduti! «Domine, salva nos, perimus!»14. Qual fu la preghiera del centurione? Signore, io non son degno che voi entriate in casa mia, ma dite una sola parola, ed il mio servo sarà salvo: «Domine, non sum dignus ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanabitur puer meus»15. Qual fu la preghiera del buon ladrone sulla croce? Signore, ricordatevi
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di me quando sarete giunto nel vostro regno: «Domine, memento mei cum veneris in regnum tuum»16. Tutte queste preghiere sono brevi, facilissime e furono tutte esaudite immediatamente.
c) Tanto Dio non mi esaudisce! Pensa melanconicamente quell'anima.
No: la preghiera è onnipotente, anzi: 1) La preghiera calma la collera di Dio; ma che dico? lo trae ad obbedire all'uomo... Prega Giosuè ed il sole si arresta nel suo corso. 2) Gli Angeli assistono quelli che pregano, offrono essi medesimi a Dio le orazioni di chi prega e gli riportano il frutto della preghiera esaudita, è detto in Tobia. 3) La preghiera libera l'uomo da mille mali; ottiene la grazia e la salvezza presente e futura. 4) Domina tutti gli elementi e le creature tutte; ferma il corso degli astri; fa piovere fuoco dal cielo; divide il mare ed i fiumi; risuscita i morti; libera le anime dal purgatorio; ammansa le belve feroci; guarisce la lebbra, la febbre; tiene lontana la peste ed i malori; calma gli uragani; spegne gl'incendi; ferma i terremoti; impedisce i naufragi; prende dal cielo tutte le virtù e le grazie e le porta sulla terra: trionfa di Dio onnipotente ed in certo qual
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modo lo incatena a sé. 5) Ha formato e forma ogni dì santi.

II. - Le tentazioni contro l'orazione da parte del mondo.
Il mondo non ama la preghiera; il mondo è tutto malignità: «Mundus totus in maligno positus est»17. «In maligno» vuol dire: nello spirito del demonio; e lo spirito del demonio non è certamente spirito di orazione; ma è spirito di ribellione a Dio, è spirito di dissipazione, di divagazione: è sete di piacere.
Di conseguenza, il mondo ritrae dalla preghiera:
a) Cogli esempi. Eh! sì, bisogna dirlo: persino noi siamo sorpresi dal rispetto umano nel pregare, allorché ci troviamo con mondani ed anche con persone trascurate in questo principale dovere. Il sacerdote è inteso spesso come l'uomo che lavora per gli altri; ma come l'uomo che attende alla perfezione, l'uomo che si sacrifica per Iddio non lo si capisce. Il mondo in generale comprende il sacerdozio come una posizione dove si sta meglio, dove si hanno quei determinati uffici; non comprende il
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sacerdote che precede nella preghiera, che adora, che ringrazia, che supplica Iddio per tutti. Anzi, sovente l'uomo di preghiera è designato come un fannullone, come un parassita della società, come chi sta recitando dei Pater per sottrarsi a fatiche e a lavoro. Come se la preghiera non fosse più pesante del lavoro intellettuale; e questo, più pesante ancora del lavoro materiale.
Si vuole la preghiera più corta; e se il sacerdote desse retta, precipiterebbe anche nella celebrazione della Messa e nei divini uffizi.
Ed ecco che può succedere di incontrare quello che non dovrebbe mai vedersi, e cioè, sacerdoti che hanno preso lo spirito del mondo e arrivano alla sera con le preghiere da fare, perché ebbero troppo lavoro: quasi che la nostra prima e principale occupazione non sia la preghiera!
Vi è molto da fare? Prima la preghiera, Dio, l'anima; poi verrà tutto il resto. La madre nutrendo se stessa prepara il cibo al suo bimbo.
Non dobbiamo nutrire prima gli altri e poi noi; ma prima noi e poi gli altri. È dovere di carità e di giustizia; è un diritto inviolabile che abbiamo. Chi ha può dare, mentre chi non ha non può dare.
Le nostre opere saranno fruttuose, se saranno precedute dalla preghiera. Non basta
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seminare, occorre dar la vita: «Neque qui plantat... neque qui rigat: sed, qui incrementum dat, Deus»18. Che potrebbero pensare i chierici e i giovani sacerdoti? Essi hanno bisogno dell'esempio dei sacerdoti anziani. Hanno bisogno di sentir ripetere dai maggiori: vado a fare la lettura spirituale, vado alla visita al SS.mo Sacramento, devo ritirarmi perché ho da recitare il Breviario, voglio esser raccolto, ho fatto la meditazione, ho già recitato il mio Rosario, mi sono confessato... Quando non si sentisse mai parlare di queste pratiche, ma soltanto di cose terrene ed umane, quale esempio verrebbe da questi sacerdoti ai sacerdoti giovani, ai chierici?
Sì, nell'abito e nella posizione non sono del mondo. È vero. Ma lo spirito com'è? Non è esso terreno, umano? Non è mondano? Il cuore di che cosa s'interessa? di Dio o di bagatelle inutili? Se ami la terra sei terreno, se ami il cielo sei celeste. Quando vediamo dei mondani che pregano male, proviamo compassione e ci sentiamo portati a pregare per essi; ma quando vediamo un confratello nel sacerdozio che non prega, allora l'esempio opera in senso contrario, ed è più dannoso che non l'esempio dei mondani. Non
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prendiamo il cattivo esempio né diamolo ad altri, quia verba movent, exempla trahunt.
b) Con le parole e le massime. La preghiera viene raccomandata nelle prediche; ma quando, fuori di esse, si sente parlare di preghiera? Quasi mai: anzi, spesso vien messa in ridicolo. Solo questa mattina, una persona faceva questa confidenza: che in famiglia la si metteva in ridicolo perché al mattino si levava per tempo e andava alla Messa, perché alla domenica sentiva anche, oltre alla Messa, la predica del Parroco e andava alla benedizione. E questa persona doveva sostenersi contro queste parole e vincere!
Ah! l'esempio di chi non prega è molto deleterio, mentre che l'esempio di chi prega fa tanto bene. Ma anche le parole sono molto deleterie; e quando sentiamo dare certi giudizi sopra la preghiera, giudizi suggeriti dalla leggerezza, dobbiamo dire che allora o non si riflette o non si ha luce per comprendere. Quando si parla con superficialità di vite di Santi e di divozioni, allora vi è un gran pericolo di aver danno noi stessi ed anche di causarne agli altri.
Il valore, la necessità, la dolcezza dell'orazione si illanguidiscono innanzi a noi: la preghiera ci appare ancor cosa buona a raccomandarsi,
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ma per noi... vi sono impegni, occupazioni, impedimenti ragionevoli, ecc. ecc.
Ed ecco che non si è ancora incominciata l'orazione, e già pare che tutte le distrazioni vengano a trovarci; pare che tutti i pensieri e le preoccupazioni, che magari prima non si ricordavano, si diano l'appuntamento e si trovino lì, in quell'ora, in quel luogo.
Sembra talvolta che la lancetta dell'orologio non cammini più, che non passi più il tempo; persino per la posizione, persino per il luogo nascono delle difficoltà. In realtà, tutto questo non è altro che una tentazione, una suggestione del nemico infernale; ma quanti lasciano la preghiera scoraggiati, sfiduciati, sebbene forse col proposito di riprenderla presto!
E, riassumendo, tre conseguenze deleterie:
a) Tramandare la preghiera, di modo che prima della preghiera si trova il tempo per tutto il resto, mentre si finisce col cacciare l'orazione all'ultimo tempo, all'ultimo posto, quando si è stanchi ed affaticati! E così si viene a chiedere l'aiuto divino quando già son passate le necessità, già siamo caduti nelle nostre debolezze, già sono passati i doveri.
Se troviamo il tempo per lunghe conversazioni, ma poi, arrivata l'ora della preghiera, si
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precipita come per liberarci da un molesto peso, mostriamo di non conoscerne il valore.
b) La convinzione che non è poi tanto necessaria la preghiera. La necessità dell'azione è facilmente capita; ma la necessità dell'orazione, in generale, assai meno. Dio si sente meno che l'uomo; l'anima si sente meno che il corpo. Se il cuore è arido, allora il diavolo soffiando nelle cose scoraggia; se il cuore è pieno di sensibilità e dolcezza, esalta e guasta la preghiera con la vanità e la compiacenza superba di noi stessi. In qualunque maniera: o nel dire le parole, o nel pronunciarle o nel rendere il cuore inquieto, il demonio si studia di guastare la preghiera.
c) Tendenza ad abbreviare sempre più la preghiera: perché il demonio cerca di farla troncare più presto, perché altre occupazioni ci attendono, perché si è stanchi, perché per oggi ce ne deve essere abbastanza, perché è stata una giornata di straordinaria fatica, non si sta bene, non si hanno libri, non si è preparati, non si hanno i sentimenti di devozione. Il demonio è il grande nemico dell'orazione. Può essere che vi siano molte cose da fare; ma deve mancare il tempo per mangiare? No. Non vi è cosa più urgente che la preghiera:
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perciò togliano altre occupazioni, piuttosto; lasciamo pure qualche opera di zelo. Il primo zelo, la prima carità devono cominciare da noi stessi. «Amare il prossimo come noi stessi», ma non più di noi stessi.

III. - Le tentazioni contro la preghiera da parte di noi stessi.
a) Il peccato. S. Isidoro nota come due ostacoli insuperabili al buon esito della preghiera: l'ostinarsi nel peccato e il negare il perdono di una ingiuria ricevuta. «Duobus modis oratio impeditur ne valeat impetrare postulata: si, aut orans adhuc mala committit, aut si, delinquenti in se, debita non dimittit»19.
La preghiera è zoppa, dice il Crisostomo, quando l'azione non cammina di pari passo con l'orazione; perché la preghiera e le opere sono i due piedi che reggono l'anima. «Claudicat oratio cum ex aequo non respondet operatio; oratio enim et operatio sunt velut duo pedes»20.
Il peccato, e principalmente l'abito del peccato, sono un ostacolo immenso all'efficacia della preghiera. I vostri delitti alzarono un muro di divisione tra voi e il vostro Dio, leggiamo
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in Isaia: e i vostri peccati vi nascosero la sua faccia, sicché egli più non vi ode: «Iniquitates vestrae diviserunt inter vos et Deum vestrum, et peccata vestra absconderunt faciem ejus a vobis, ne exaudiret»21.
Cambiamo i nostri cuori, secondo l'avviso di S. Agostino: perché il giudice supremo si fa subito propizio per mezzo della preghiera, se chi prega si corregge delle sue cattive inclinazioni. «Mutamus corda: citius ad precem judex flectitur, si a pravitate sua petitor corrigatur»22.
b) La superbia. Persuasi di essere qualche cosa, non sentiamo il bisogno dell'aiuto di Dio. Si intraprendono opere fidando di noi: di quel che si è letto, di quel che si è studiato, della memoria, della intelligenza e abilità. Si va incontro ai pericoli del giorno, fidando sui propositi e sulla vita passata buona. Per questa stessa superbia la preghiera, anche quando è fatta, manca delle dovute disposizioni. La preghiera deve partire da un'anima umile, ed è il gemito del povero, del bisognoso che invoca Dio e che fa salire le sue voci fino al cielo, al Padre delle misericordie, al Dio della bontà, da cui viene ogni dono perfetto e ogni dato
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ottimo. Ma il superbo, invece, guasta la sua preghiera. «Deus, gratias ago tibi, quia non sum sicut ceteri hominum: raptores, injusti, adulteri... jejuno bis in sabbato, decimas do omnium quae possideo»23, pregava il fariseo: Signore, io non sono come tutti gli altri uomini: io digiuno due volte la settimana; io pago le decime; io scrupolosamente soddisfo a tutti gli obblighi imposti dalla legge... E che cosa ottenne? Se ne andò più miserabile e più povero di prima, perché non è questa la preghiera che Iddio ascolta. La preghiera che Iddio ascolta, è il gemito dell'anima umile, è il grido dell'anima bisognosa, è il sentimento della propria incapacità: «Esurientes implevit bonis, et divites dimisit inanes»24. Ecco il ricordo che ci dà la nostra Madre Maria, modello e maestra di santa orazione.
c) I nostri sensi, perché nella preghiera devono essere tutti mortificati e messi in azione per il servizio del Signore.
Nella preghiera devonsi mettere in moto tutte le potenze dell'anima: la mente, che deve elevarsi a Dio; la volontà, che deve resistere e fermarsi nel Signore: il cuore, il quale deve sentire ed essere ripieno dei sentimenti più amorosi; il nostro corpo, che deve rimanere
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inginocchiato e deve sostenere la fatica più grave, specialmente perché è inclinato alle cose materiali. Il corpo quando andiamo a pregare, trova un nemico nella pigrizia, la quale ci inclina a risparmiarci la fatica.
d) Altri impedimenti alla preghiera sono: l'agitazione, l'affanno, gli scrupoli. Come nell'acqua torbida non si vede nulla, così l'anima agitata, commossa, troppo scrupolosa, non può vedere Iddio nella preghiera, né sapere quello che manca, né domandare come bisogna...
e) Pregare senza preparazione, forma un altro ostacolo al buon esito della preghiera. Di questo ci avverte lo Spirito Santo con quella sentenza: Prima di pregare, prepara l'anima tua; e non essere come uomo che tenta Dio: «Ante orationem praepara animam tuam: et noli esse quasi homo qui tentat Deum»25.
f) Altro ostacolo al felice esito della preghiera, è domandare cose ingiuste, inutili, vane, nocive. Dio, dice S. Cipriano, promette di essere presente e di esaudire le orazioni di coloro i quali rompono i legami dell'ingiustizia e fanno quello che egli comanda: questi meritano di essere esauditi dal Signore. Non bisogna pretendere di accostarci a Dio con preghiere disadorne, infruttuose, sterili; una preghiera
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nuda non ha efficacia presso Dio, perché, come ogni albero che non produce frutti è reciso e gettato nel fuoco, così un'orazione senza opere buone, senza fecondità di virtù, non è capace di placare Dio e non merita di essere esaudita.
g) La mancanza di fede: si crede poco e si sente poco Iddio. La mancanza di fede ci fa compiere una preghiera a metà, perché la preghiera non è soltanto chiedere grazie a Dio, ma è lode, adorazione, soddisfazione a Dio. Sono questi i primi doveri: lodare il Signore, ringraziarlo, soddisfarlo. Invece, la mancanza di fede ha per effetto di ridurci a chiedere quanto ci torna conto, e bada solo al proprio vantaggio. E tutto il dovere che c'è di onorare e riverire Iddio? e tutto il compito che ha il sacerdote di glorificare il Signore? Non è il sacerdote eletto per elevare a Dio un canto perenne di lode, per occuparsi giorno e notte «in his quae Patris mei sunt?»26 La mancanza di fede ci fa vedere solo il bisogno e non più il dovere...; vedessimo almeno tutte le necessità dell'anima nostra e del nostro spirito! Ma si finisce poi anche col vedere e sentire meglio le temporali che le spirituali.
La deficienza di fede è un grande pericolo.
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E mentre che chi ha fede profonda, radicata, speranza ferma e carità ardente tende sempre ad elevarsi a Dio con una preghiera più alta; chi ha poca fede, debole speranza e languida carità discende, si allontana gradatamente dalla fonte suprema d'ogni bene.
Costoro fuori del tempo della preghiera sono superficiali, usano metà le energie; e allora che frutto volete che si ricavi da una preghiera di tal fatta? «Populus iste ore suo, et labiis suis glorificat me, cor autem ejus longe est a me»27, lamentava già Iddio nell'Antico Testamento.
Invece, chi ha fede viva, si può dire che è unito tutto il giorno al Signore: quando prega, non si occupa certamente di altro; e quando poi non prega col suo labbro, prega col suo spirito, cioè con parte di forze ed energie che non cessano di essere occupate, in quanto è possibile, di Dio. Mentre con una mano attende a raccogliere frutti nell'esercitare le virtù, con l'altra sta attaccato al Signore; sempre un occhio al lavoro ed un altro a Dio.
Perciò la preghiera va soggetta a molte tentazioni. Il grande segno che andiamo verso il peccato è la tiepidezza, che ha la prima manifestazione nell'abbreviare l'orazione: «Ad ruinam vadit qui ad orationem non vadit».
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Conclusione. La preghiera ha molti nemici, i quali si possono ridurre a tre: il demonio, il mondo, noi stessi. Gli assalti che vengono da questi nemici sono numerosissimi. E noi abbiamo dato vittoria al demonio? Se quando viene la tentazione noi non siamo forti, e forse, disgraziatamente, cadiamo in colpa, quale la causa? Se vogliamo avere virtù, a che cosa bisogna ricorrere? Alla preghiera.
Esaminiamo su questo punto l'anno che, per grazia di Dio, abbiamo passato; se troviamo che c'è stato progresso, dobbiamo certamente attribuirlo alla preghiera: «Non ego autem, sed gratia Dei mecum»28; «Cooperatores enim Dei sumus». E se vi furono dei regressi, non lo si deve forse attribuire alla mancanza di pietà? Purtroppo! Come è stata la nostra preghiera, così è stata la nostra vita; «Recte novit vivere, qui recte novit orare», dice S. Agostino. Ha saputo farsi santo chi ha saputo pregare bene.

Sia lodato Gesù Cristo.
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1 Matth. XXVI, 41.

2 Marc. XIII, 33.

3 Marc. XIII, 35-37.

4 Luc. XXII, 45.

5 Matth. XXVI, 40.

6 Eph. VI, 11.

7 Serm. V, in Dedic.

8 In Eccles. c. XVIII.

9 Serm. LXXX, IV.

10 De Orat.

11 Ps. XC, 15.

12 Luc. XVIII, 41

13 Luc. XVIII, 13.

14 Matth. VIII, 25

15 Matth. VIII, 8.

16 Luc. XXIII, 42.

17 I Jo. V, 19.

18 I Cor. III, 7.

19 De Serm. Bono l. III, c. VIII.

20 De Orat. Dom. 1. II.

21 Is. LIX, 2.

22 Serm. XV, De Verb. Domini.

23 Luc. XVIII, 11-12.

24 Luc. I, 53.

25 Eccli. XVIII, 23.

26 Luc. II, 49.

27 Is. XXIX, 13.

28 I Cor. XV, 10.