Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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L'ETERNITÀ

GIORNO IV

MEDITAZIONE I.


SACRA SCRITTURA
DIVERSI PRECETTI DEL MAESTRO DIVINO

Entrate per la porta stretta, perché larga è la porta e spaziosa la via che mena alla perdizione e molti sono quelli che entrano per essa. Quanto angusta è la porta e stretta la via che mena alla vita e quanto son pochi quelli che la trovano
Guardatevi dai falsi profeti, che vengono a voi travestiti da pecore; ma dentro sono lupi rapaci. Dai loro frutti li conoscerete. Si coglie forse dell'uva dalle spine, o dei fichi dai triboli? Così ogni albero buono dà buoni frutti, ed ogni albero cattivo dà frutti cattivi. Non può l'albero buono dar frutti cattivi, né l'albero cattivo dar frutti buoni. Ogni pianta che non porti buon frutto vien tagliata e gettata nel fuoco.

(Matt. 7,13-19).


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Noi siamo riconoscenti alla divina bontà per tutti i doni che ci ha elargiti e anche del dono di questi santi Esercizi, che devono portare a noi abbondanti frutti di vita eterna. Questi
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Esercizi devono segnare il passo che vogliamo tenere per la nostra vita spirituale. Ogni anno si può dire che si sviluppa un programma, si dà come un giro ciclico nello spirito per trovarsi nell'anno seguente allo stesso punto degli Esercizi, ma più in su come in un corso e ricorso della nostra vita spirituale; ogni anno sempre più in su, girando intorno al monte della perfezione, finché possiamo salire su al vertice, e spiccare il volo verso il cielo. Tante volte abbiamo conosciuto la strada della perfezione, l'abbiamo imparata; ci furono anche messi a disposizione i mezzi per seguirla, ma questa volta accenderemo davvero il motore; e via! avanti, ardimentosi.
Il Signore conceda di compiere ciò che egli ha voluto incominciare. Egli dà il velle, il volere, e noi abbiamo accettato; dà pure il compiere, cioè il perficere, secondo la nostra buona volontà. Sia dunque santa la nostra volontà, perché solo per quelli di buona volontà sta la promessa divina: «In terra pax hominibus»1; pace in vita, pace in morte, pace nell'eternità. Ed è all'eternità che miriamo con tutte le forze.
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Consideriamo ora: 1) che cosa sia l'eternità; 2) i suoi effetti; 3) la santa Comunione, mezzo che produce frutti di vita eterna.

I. - Che cosa sia l'eternità.
Boezio la definì: «Interminabilis vitae tota simul et perfecta possessio». Si dice eternità in opposizione al tempo. Ed è perciò anche più facile a capirsi l'altra definizione di molti Teologi: «Duratio tota simul, sine initio et sine fine et sine successione». Infatti dall'eternità si esclude la successione.
Vi è diversità fra l'eternità di Dio e quella dell'anima e degli angeli. Dio non ebbe principio, né avrà fine; l'anima umana ebbe principio, ma non avrà più fine.
L'eternità di Dio non ebbe, né avrà mai successione; l'eternità per l'uomo ha successione fino al giudizio universale, quando il corpo avrà con l'anima il suo destino; ma dal giudizio universale, non avrà più successione. «Aeternitas non est aliud quam Deus», dice S. Tommaso; e S. Agostino: «Anni Dei aeternitas est». L'uomo è eterno a parte post: l'anima, perché di natura spirituale; il corpo,
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perché per divina volontà destinato a compagno dell'anima ed a formare con essa l'uomo. L'eternità è la durazione: duratio.
L'eternità è il vero nostro destino. Sulla terra siamo in prova. Gli Angeli ebbero una breve prova nel paradiso, e quelli che rimasero fedeli, sono eternamente felici. La vita presente dicesi «status viae» o «status probationis» e tutta la grande sapienza sta nel superare la prova. «Beatus vir, qui suffert tentationem: quoniam cum probatus fuerit, accipiet coronam vitae, quam repromisit Deus diligentibus se»2.
Verrà lo status termini, il dies retributionis, quando ognuno avrà quanto ha meritato, la mercede secondo la fatica; anzi, la durazione tota simul, intera l'eternità. In ogni istante, per dir così, essa vi è tutta, senza principio, senza successione, senza fine. Là non si contano anni, né secoli; non occorrono orologi, né mai si dice: quello che fu, o quel che sarà; non esiste né passato, né futuro, ma il solo presente. Si ricorre a vari paragoni, ma tutti sono insufficienti; il finito non ci può mai dare l'idea dell'infinito. L'eternità supera ogni numero, ogni calcolo, ogni vera comprensione, perché non ha fine.
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Tuttavia si fa qualche supposizione per aiutare la mente a considerarla alquanto. Immaginate una palla di ferro grande almeno quanto la terra; supponete che ogni anno una formica venga a passeggiarvi sopra per un'ora. Quanti anni si richiederanno perché la palla sia consumata? Si dirà: non è possibile un calcolo d'anni... Ebbene, se passassero pure tanti anni quanti ne occorrerebbero, sarebbe finita l'eternità? No, sarebbe come da principio.
Immaginate una bobina di carta, larga due metri, e lunga un miliardo; pensate che venga riempita da principio alla fine da numeri fittissimi che rappresentino tanti secoli; quale cifra immensa! non basterebbe la vita di un uomo a leggerla. Ebbene: quando fossero passati tutti quei secoli, sarebbe finita l'eternità? No, sarebbe come da principio. Che se quei secoli passassero anche mille, un milione di volte, l'eternità sarebbe proprio come da principio.
Eternità! mare senza spiaggia, fiume senza foce, abisso senza fondo, spazio senza confine, chi ti comprenderà?
Il B. Tommaso Moro, di cui ormai si sta svolgendo celermente il processo di canonizzazione, si trovava in carcere per la fede, per il dogma del primato di Pietro. La moglie, che
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era di cuore leggero, che aveva provato la gioia di essere sposa del primo ministro, lo sollecitava a fare un giuramento che inchiudeva il distacco dal Papa. Tommaso Moro rispose: - E quanti anni pensi che tu ed io potremmo ancora godere questi beni? E la sposa: - Credo che per altri venti o trent'anni... - Ah, sciocca mercantessa, rispose il Beato, e vuoi che per venti o trent'anni che sfuggono, rinunzi ad un'eternità felice?
Chiunque pensa all'eternità e non provvede, è pazzo: o ha perduto la fede, o ha perduto la ragione. Mentre che a riguardo delle cose temporali ci preoccupiamo tanto e a tutto cerchiamo di provvedere, quando poi si tratta dell'anima, facciamo sempre fidanza di poter provvedere più tardi, in punto di morte. Ah, se venissero fuori un momento dall'inferno i dannati, essi ci direbbero: Per un piacere, per una soddisfazione di cinque minuti, per uno sfogo di rabbia, per un capriccio che avevo, mi sono condannato ad una eternità infelice, ad un'eternità di dolore. Fu breve la vita, il sacrificio durò ben poco ed ora mi resta da soffrire per sempre: «Gustans gustavi... paululum mellis, et ecce ego morior»3; per togliere
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l'arsura della mia lingua, mi sono condannato a morire, a perire per sempre.
Apriamo con la nostra mente le porte eternali del cielo e contempliamo Angeli, Apostoli, Patriarchi, Profeti, Martiri, Confessori, Vergini, fratelli e sorelle, cristiani d'ogni età e di ogni condizione: «Vidi turbam magnam, quam dinumerare nemo poterat, ex omnibus gentibus, et tribubus, et populis, et linguis, stantes ante thronum, et in conspectu Agni»4.
Ebbene? Sono lassù felici, non volgeranno più l'occhio indietro, non avranno più timore di nulla; e non vi sarà più morte, né lutto, né grida, né dolore. «Et mors ultra non erit, neque luctus, neque clamor, neque dolor erit ultra, quia prima abierunt»5; ma vi sarà un giorno sempre illuminato, un'eternità interminabile a godere la beatitudine di Dio stesso. Oh, come l'anima si bea e come il cuore sospira! quanto la volontà e il cuore sono tesi verso Dio!

II. - Effetti dell'eternità.
a) Nel dannato. Il dannato soffre e soffrirà sempre. I suoi occhi sono pieni di fuoco, i suoi
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orecchi rintronati di urla e di bestemmie, la sua gola avrà una fame canina, la sua lingua è rosa da vermi, il suo cuore lacerato dal verme del rimorso, il suo corpo tutto un dolore... Ma fino a quando? per sempre! E non verrà mai a mutarsi, a mitigarsi quel complesso di supplizi? Vi sarà un qualche momento di sollievo almeno? Mai, mai!
Anzi, l'eternità gli pesa addosso tutta assieme, in ogni istante. Dice il B. Cafasso: Se vi fosse una gran palla di ferro, perfettamente sferica, poggiata sopra un piano perfettamente levigato, essa premerebbe col suo peso totale tutta su un solo punto. Così è dell'eternità: pesa tutta, sempre, sopra il cuore dell'infelice dannato: egli è come schiacciato sotto la pressione penosa.
Il cielo è chiuso, il fuoco acceso, il suo patire senza merito.
b) Nel beato. I Santi sono lassù, in paradiso, tutti fissi in Dio. Passano dalla considerazione di un mistero ad un altro; tutto si chiarisce, tutto si svela davanti alla loro mente. Posseggono Iddio, Bene Infinito; Dio è tutto loro. I Beati amano il Signore e il loro cuore è ricolmo, penetrato da dolci consolazioni. Pensiamo al momento in cui nella nostra vita abbiamo avuto la più grande consolazione. Ricordiamo
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di aver forse pianto e di aver detto come S. Pietro: quanto dolce è stare col Signore! «Domine, bonum est nos hic esse: si vis faciamus hic tria tabernacula, tibi unum, Moysi unum, et Heliae unum»6. Ed è il paradiso tutto questo? Pietro voleva prolungare senza fine questo dolcissimo momento... Ma Gesù Cristo lo ammonì: quello era un saggio di paradiso! solo, però, il paradiso è eterno.
Il beato sarà in mezzo agli Angeli, in mezzo ai Santi, in compagnia degli Apostoli, dei martiri, dei vergini, con S. Giuseppe, la Santa Madonna, Gesù, la SS. Trinità... E fino a quando? Per sempre!
Lassù non più dolori, non più sofferenze, non più tentazioni, non più prove, non più malattie, non più morte, non più varietà di climi e di stagioni, non più invidiosi, superbi, iracondi, pieni di delitti, non più peccati, non più bestemmie, ma soltanto gloria a Dio e pace ai suoi figli che ebbero buona volontà. «Et absterget Deus omnem lacrymam ab oculis eorum, et mors ultra non erit, neque luctus, neque clamor, neque dolor erit ultra»7. Gran gioia questa, ma specialmente eterna gioia.
Gli Apostoli hanno zelato per pochi anni,
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i martiri hanno dato la vita, i vergini hanno mortificato se stessi, i santi hanno faticato per poco tempo: ma il paradiso è eterno! Tutte le pene furono cambiate in gemme e perle. «Gaudete et exultate quoniam merces vestra copiosa est in coelis»8; «Mensuram bonam, et confertam, et coagitatam, et supereffluentem dabunt in sinum vestrum»9; vi sarà versato in seno una misura buona, pigiata, scossa e straboccante, tanto sarà piena la nostra anima, e traboccherà così che la propria gioia, la propria beatitudine si comunicherà agli altri. Oh, come si benediranno allora le fatiche sopportate, le opere buone compiute, i santi affetti di amor di Dio, le preghiere, i Breviari, le Messe, i Rosarii, le Visite al SS. Sacramento! Tu mi hai amato e il nostro amore sarà indissolubile, dirà Gesù.
Tanti mistici ci parlano dello sposalizio spirituale dell'anima con Dio. Questo sposalizio si compirà in cielo. «Veni de Libano, sponsa mea, veni de Libano, veni: coronaberis»10, dice lo Sposo alla sacra Sposa. Notiamo: questa eternità felice ed interminabile si gusterà tutta intiera in ogni momento. Ecco, perché
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sarà strabocchevole! Abbiamo fede: i Santi erano un giorno qui come noi, provati e tentati! Siamo fedeli; come ora sono essi, così presto saremo anche noi!
c) In noi. Una delle due eternità mi attende: quella che io scelgo, sarà la mia. Ho messo innanzi a te la vita e la morte; scegli adunque la vita. Ma è necessario che faccia presto, perché gli anni passano e l'eternità s'avvicina. Se oso fare il conto degli anni che mi restano, quanto posso ripromettermi di vita? Dieci, venti, trenta, cinquanta, cent'anni? E che cosa sono di fronte all'eternità? «Quoniam mille anni ante oculos tuos, tanquam dies hesterna quae praeteriit»11. Sono morti i nostri antenati, i nostri nonni, forse i nostri genitori e fratelli... e quanti giornalmente passano all'eternità ancora in buona età! Se volessimo tener conto degli avvisi di Dio, l'esperienza non ci parlerebbe con molta chiarezza ed eloquenza? Gli avvisi di Gesù sono: «Estote parati: quia qua hora non putatis, Filius hominis veniet»12; «Vigilate ergo, quia nescitis qua hora Dominus vester venturus sit»13; «Vigilate itaque, quia nescitis diem, neque horam»14; e verrà come
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un ladro di notte, quando meno l'aspetteremo: «Diligenter scitis, quia dies Domini, sicut fur in nocte, ita veniet»15.
Quando il ricco stolto del Vangelo aveva potuto riempire i suoi granai, raccogliere molto bestiame nelle sue stalle, molto denaro nel suo scrigno, disse: «O anima, tu hai messo da parte i beni per molti anni; riposati, mangia e bevi e godi»16. Ma nella notte, mentre egli si beava di questi suoi beni e godeva della sua salute prospera, fu scosso da un sogno terribile: vide un'ombra e da quell'ombra sentì una voce: «Stolto, questa notte stessa ti si chiederà l'anima tua»17.
Il ricco epulone vestiva bisso e porpora e pranzava lautamente; abitava un ricco palazzo fornito di tutte le comodità, era servito e corteggiato da tanti servi. Lazzaro, mendico, stava alla porta tutto coperto di infermità e di dolori, sospirando di mangiare almeno le bricciole che cadevano dalla mensa del ricco, ma nessuno gliene dava. Morì il ricco e fu sepolto nell'inferno; morì Lazzaro e gli Angeli lo presero e lo portarono nel seno di Abramo. Ed ecco il ricco che dal profondo dell'inferno, in mezzo al fuoco dei suoi tormenti, grida: «Pater
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Abraham..., mitte Lazarum ut intingat extremum digiti sui in aquam, ut refrigeret linguam meam, quia crucior in hac flamma»18. Vi è un abisso fra l'inferno e il cielo. Niuno dei dannati può ascendere e nessuno dei salvi può discendere.
Quale eternità vogliamo noi? quale ci attende? quella del ricco Epulone o quella di Lazzaro? La nostra vita ci dà la risposta; più che indagare e pretendere di indovinare il futuro che Dio riserva a sé, esaminiamo il passato: esso ci risponde.
Non possiamo vantarci di aver fatto buoni gli altri, come non possiamo temere se gli altri non si son fatti buoni. Ognuno si salva o si perde per sé: «Perditio tua, Israel»19, la tua rovina (dipende da te), o Israele.

III. - La S. Comunione è un gran mezzo che produce frutti di vita eterna.
L'uomo, creato da Dio, retto, per il peccato di Adamo ora nasce ignorante, inclinato al male, soggetto alla morte. Solo in Gesù Cristo si dà riparazione, risurrezione e vita. Egli
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infatti ha detto: «Ego sum resurrectio, et vita»20.
L'uomo è indebolito; egli facilmente inclina al senso: la volontà soggiace allora al desiderio della carne, e la legge delle membra domina la legge della mente; anzi, la mente rimane spesso avvolta in una nebbia di errori. L'eterna felicità è il solo e vero bene; ma la mente in tanti momenti non capisce più che il bene presente, passeggiero. Allora preferisce il temporale all'eterno: «Infelix ego homo, quis me liberabit de corpore mortis hujus? Gratia Dei per Jesum Christum Dominum nostrum»21.
Gesù Cristo per la sua grazia medicinale ripara alle malattie dell'intelligenza.
Le infermità della mente sono: l'ignoranza, la irriflessione, la dimenticanza, la difficoltà a capire, l'errore, il pregiudizio, la perversione.
L'ignoranza non solo nelle cose di fede, ma ancora in tanti precetti della legge naturale; l'irriflessione è ostacolo tanto al penetrare le verità; mentre la dimenticanza spiega la frequenza con cui la parola di Dio cade per terra e la durezza di mente per cui stentiamo a capire. Gli errori, i pregiudizi, gli sconvolgimenti
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della mente in ogni tempo, circa le verità e circa i precetti, ed in ogni luogo, sono cose ben note dalla filosofia e dalla teologia.
Gesù Cristo per la grazia medicinale ripara in secondo luogo alle malattie del cuore, cioè del sentimento. Queste malattie sono: l'indifferenza verso le cose sante; la diffidenza di conseguire i beni eterni; la instabilità del cuore; le inclinazioni cattive, o tendenze al male; le passioni che sono la concupiscenza della carne contro lo spirito e la sorgente dei sentimenti ed affetti disordinati: «Caro concupiscit adversus spiritum»22; «Omne, quod est in mundo, concupiscentia carnis est, et concupiscentia oculorum, et superbia vitae»23.
Gesù Cristo è medicina ancora per le malattie della volontà. Esse sono: l'abulia o incapacità a risoluzioni forti e durature; la leggerezza che è un decidere senza ragioni vere; la incostanza, che è mancanza di perseveranza; l'accidia che è orrore della fatica; la malizia che è acconsentire deliberatamente al male; la ostinazione che è perseverare nel male volontariamente; l'abitudine cattiva che è una disposizione perversa per cui si inclina sempre al male.
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Ora ognuno comprende quanta sia la facilità per l'uomo di volgersi verso i beni presenti e dimenticare ciò che è eterno; scambiare Dio per le creature; il finito con l'infinito.
Che cosa occorre? Occorre la S. Comunione; meglio, la Comunione frequente; e, ottima, la Comunione quotidiana.
Per la Comunione l'uomo si unisce a Gesù Cristo e rimane in Lui: «Io sono il pane vivo disceso dal cielo; chi mangia di questo pane vive in eterno... In verità in verità vi dico: se non mangerete la carne del Figlio dell'uomo, e non berrete il suo Sangue, non avrete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue, ha la vita eterna»24.
L'uomo è come un'oliva selvatica: la comunione è un divino innesto da mettersi in noi. Si porterà quindi frutto migliore e più abbondante; frutto anzi di vita eterna.
La Comunione deve essere preceduta da buona preparazione e seguita da conveniente ringraziamento. Occorre pregare Gesù che ci guarisca le malattie della mente, Egli che è la verità; che ci guarisca dalle malattie del cuore, Egli che è la vita; che ci guarisca dalle malattie della volontà, Egli che è la via.
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La Comunione completa è un'unione della nostra mente con la mente di Gesù Cristo nella fede: in modo di pensare, giudicare, ragionare della vita e dell'eternità come pensa, giudica e ragiona N. S. Gesù Cristo. È inoltre unione del nostro cuore col Cuore di Gesù Cristo in una incorporazione mistica. È ancora unione della volontà nostra con la volontà di Gesù Cristo, per la pratica delle medesime sue virtù.
«Finis autem praecepti est charitas de corde puro, et conscientia bona, et fide non ficta»25.

Sia lodato Gesù Cristo.
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1 Luc. II, 4.

2 Jac. I, 12.

3 I Reg. XIV, 43

4 Apoc. VII, 9.

5 Apoc. XXI, 4.

6 Mat XVII, 4.

7 Apoc. XXI, 4.

8 Matth. V, 12.

9 Luc. VI, 38.

10 Cant. IV, 8.

11 Ps. LXXXIX, 4.

12 Luc. XII, 40.

13 Matth. XXIV, 42.

14 Matth. XXV, 13.

15 I Thess. V, 2.

16 Luc. XII, 19.

17 Luc. XII, 20.

18 Luc. XVI, 24.

19 Os. XIII, 9.

20 Jo. XI, 25.

21 Rom. VII, 24-25.

22 Gal. V, 17.

23 I Jo. II, 16.

24 Jo. VI, 51, 52, 54-55.

25 I Tim. I, 5.