Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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XXI. FESTA DEI SANTI
[I giorni] seguenti sono giorni di raccoglimento: domani la festa di Gesù Cristo Re, poi nella settimana, la festa di tutti i santi, quindi la commemorazione di tutti i fedeli defunti. Poi novembre è un mese che invita al raccoglimento, ai pensieri seri, ai pensieri spirituali, ai pensieri di eternità. E' un tempo prezioso per il progresso spirituale novembre. Allora sta bene una buona preparazione a questo mese, preparazione che poi è ottima se fatta col ritiro mensile, la buona confessione, buon esame di coscienza.
Fortificare la volontà, stabilirsi nell'umiltà e desideri di cielo e dare importanza alle cose piccole, pensando alle conseguenze delle piccole virtù e alle conseguenze dei piccoli difetti.
E' incoraggiamento, considerando il grande beneficio di essere chiamate all'apostolato, cioè di aggiungere i vostri meriti coi meriti degli altri, e cioè ai vostri meriti aggiungere anche tutto quel bene che farete alle anime e che quel bene, che le anime poi faranno, sarà in parte vostro.
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Dunque il primo pensiero ai santi, a tutti i santi.
Che cosa indica questa festa Sanctorum omnium? Indica che noi siamo invitati a considerare la popolazione del cielo.
Vi è la popolazione della terra che è sparsa sui vari continenti e vi è tutta una popolazione in cielo, una popolazione bellissima, ricchissima, santa, beata. Vi sono i cherubini, i serafini, i troni, le virtù, le potestà, le dominazioni; vi sono gli arcangeli, vi sono gli angioli: la popolazione di spiriti, dei puri spiriti.
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E poi vi sono le anime dei giusti di cui Maria è regina, Regina sanctorum omnium. Vi sono i profeti, i patriarchi e gli apostoli e i confessori, i martiri, i vergini e una grande turba, quella che forma la maggior parte dei beati in cielo: Vidi turbam magnam, quam dinumerare nemo poterat ex omnibus gentibus, et tri[bu]bus [et populis] et linguis [Ap 7,9].
Una gran turba!
Vi sono soldati, i capitani gloriosi, i quali han combattuto e han riportato vittorie, e vi è il "milite ignoto", cioè il milite, il soldato comune, senza nome, il quale ha dato la sua vita per la patria.
Così vi è una gran turba lassù di anime le quali sulla terra non furono quasi notate, che non compirono niente di eccezionale, di straordinario; persone le quali vivevano nel silenzio, nell'esercizio dei loro doveri quotidiani, nella santa umiltà, nella pazienza in tutte le croci e sempre tendendo verso Dio, verso Dio.
La gran turba! Potremo dire: "Il milite ignoto" quelli che occultamente, serenamente nel loro interiore, hanno combattuto il male, Bonus miles Christi
[2Tm 2,3], come buoni soldati di Gesù Cristo.
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Alzare allora la nostra mente e contemplare il cielo. Alla notte lo vediamo popolato di stelle, ma vi è un firmamento dietro a quello - diciamo così - un firmamento assai più bello: è il firmamento costituito dai santi, dalla varietà dei santi: Stella [enim] a stella differt in claritate [1Cor 15,41], una stella più splendida dell'altra; e lo splendore dipende dai meriti che si sono radunati sulla terra.
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Ora, la vita che cos'è? La vita è tutta una preparazione al cielo. Sì, si dice: preparazione alla morte e, chiaro, a una buona morte, preparazione; ma non alla morte come tale, ma a quello che seguirà la morte, e cioè morir bene per avere un eterno godere lassù in cielo, per veder Dio, contemplarlo come egli è.
Una visione sulla terra beatifica un'anima, la rende contenta, oh, di un gaudio che sanno e provano soltanto anime privilegiate: è il possesso di Dio e il gaudio in Dio. Lassù l'augusta Trinità, Gesù Cristo risorto con le doti del corpo glorioso e accanto a lui la vergine benedetta, sua madre, Maria.
Quindi tutti gli altri santi del cielo.
Ecco, la vita è una preparazione al cielo.
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Sempre è utile la parabola che ha messo sotto la nostra considerazione Gesù: un uomo, il quale scoperse in un campo un gran tesoro, un ricco tesoro. E allora lo scoprì perché nessuno potesse prenderselo e andò a casa, vendette quanto aveva, anche i mobili di casa, tutto, e mise insieme il denaro sufficiente, la somma necessaria per acquistare il campo, e il campo divenne suo e così fu padrone del tesoro che là era sepolto [cf. Mt 13,44].
Ecco le anime belle, che hanno scoperto il gran tesoro che è il cielo, le persone che hanno fede nell'eternità, nel paradiso, nel premio che il Signore, nella sua bontà e nella sua giustizia, darà a chi avrà operato il bene, secondo le sue stesse promesse.
Queste anime hanno scoperto il gran tesoro e allora tutto sacrificano, tutto offrono per acquistare il campo, cioè il paradiso, e nel paradiso il grande gaudio. Thesaurizate [autem] vobis thesauros in coelo [Mt 6,20]: tesoro del cielo. Ecco il cielo!
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Noi dobbiamo dire che è necessaria una continua riconoscenza al Signore per averci creati per lui: Fecisti nos Domine ad Te; inquietum est cor nostrum donec requiescat in Te (a).
La nostra natura non richiederebbe quel gaudio eterno, quella felicità eterna soprannaturale, richiederebbe solo un premio naturale, ma per i meriti di Gesù Cristo noi siamo fatti eredi del cielo e quindi coeredi di Gesù Cristo stesso.
Egli, Figlio di Dio; noi, figli di Dio; e allora come fratelli condivideremo la felicità del cielo con Gesù Cristo.
La riconoscenza nostra continua: «Signore, ci hai fatto per te».
Perché il Signore ti ha creato? [Per] conoscerlo, amarlo, servirlo su questa terra e goderlo eternamente in cielo.
La riconoscenza! Goderlo eternamente in cielo. La gioia: laetantes ibimus [cf. Sal 1,21].
Camminiamo lieti perché ogni passo che diamo, cioè ogni momento che passa, noi ci avviciniamo al cielo. Riconoscenza perché ci ha creati per lui.
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Secondo, riconoscenza perché ci ha dato la luce soprannaturale, la fede, e quella illustrazione, quella luce interna per cui abbiam capito che il paradiso è tale bene che merita bene, che merita sicuramente che noi diamo tutto per conquistare il tutto... diamo tutto per conquistare il tutto! E la vita religiosa è proprio dare il tutto per conquistare il tutto, che è Dio.
Diceva santa Teresa del Bambino Gesù: «Non voglio essere una santa a metà»; una santa veramente in tutto il senso della parola.
Ringraziamento quindi per questa luce interiore, e voi, avendo conosciuto questo gran tesoro, ecco, tutto avete dato per tutto conquistare, conquistare Dio che è il sommo bene e l'eterna felicità.
Riconoscenza perché, tutti i cristiani possono salvarsi, ma la religiosa ha già come una firma del Signore in riguardo alla sua salvezza: «Voi che avete lasciato tutto e mi avete seguito riceverete il centuplo, possederete la vita eterna» [cf. Mt 19,28-29].
C'è già la firma di Dio, se noi lasciam davvero tutto, eh?; specialmente se noi sappiamo sacrificar la volontà nell'obbedienza, noi possederemo il tutto che è Dio.
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Dicono i santi: «Dio mi basta», eh, sì: è il tutto! Cosa si potrebbe desiderare di più? Quindi grande riconoscenza per la vocazione e grande stima per la vocazione.
Ecco, ho proprio scoperto il paradiso, scoperto il tesoro eterno, e allora io, con generosità, mi consacro a Dio, intieramente al servizio di Dio, mente, cuore, volontà.
Non sante a metà.
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Ed ecco che qui viene subito una delle conseguenze: per dare il tutto bisogna dar la volontà la quale, volontà, si dà nell'obbedienza; perché buona è la povertà, migliore la castità, ottima, perfetta, l'obbedienza.
L'obbedienza è l'ossequio più prezioso che noi possiamo presentare a Dio; la nostra libertà e il nostro giudizio, il nostro giudizio, ecco, l'ossequio più prezioso.
E i meriti più grandi si ricavano nell'obbedienza. Oh!
Noi l'abbiam già meditato altre volte ma questo punto merita di essere sempre tenuto presente.
E' difficile lasciar la propria volontà; non [è] tanto difficile lasciare le cose esterne ma lasciare la propria volontà.
L'obbedienza è superiore agli altri due voti, cioè alle altre due virtù, povertà e castità. Sì.
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Il Cuore di Gesù manifestandosi a santa Margherita Maria Alacoque le disse cose che a prima vista ci fanno un po' meravigliare.
Dice, il Cuore di Gesù, che le persone religiose che stanno in opposizione con le loro superiore, sono sopra una via di riprovazione e andranno da un inferno all'altro - l'espressione - e cioè: subiranno tormenti, pene e angustie sulla terra per andare anche alla rovina.
L'opposizione ai superiori, il contrasto con loro, eh... che cosa produce? Eh! Produce la disapprovazione di Dio, disapprovazione di Dio.
E dice il Cuore di Gesù: è poi inutile che queste persone si sforzino a far delle comunioni e delle preghiere e delle suppliche perché sono in abominio a me, davanti ai miei occhi; e non valgono le loro domande se prima esse non hanno ascoltato, obbedito alle loro superiore.
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In un'altra apparizione il Cuore di Gesù aveva già detto: «So bene che tu - si riferiva a s. Margherita Maria Alacoque - hai delle opposizioni, ma non far mai nulla contro le superiore e se anche io ti ordino una cosa e le superiore invece ti dicono di no, tu bisogna che ascolti loro e che obbedisca e non che ascolti e che faccia quello che ho ordinato io e io sarò contento, tanto è preziosa l'obbedienza», e aggiunse: per l'obbedienza io ho dato la vita quando ho accettato di patire e morire sulla croce e quando mi sono lasciato crocifiggere: «Oboediens usque ad mortem» [Fil 2,8].
L'obbedienza trova tanti nemici e vi son dei nemici interni e vi son dei nemici esterni.
Ai nostri giorni l'obbedienza è più provata perché, supponiamo, anche soltanto un secolo fa, vi erano i governi assoluti e si era abituati a obbedire ai governi, e si era abituati quindi a piegar la testa e perciò non si trovava tanta difficoltà a obbedire anche in famiglia e a obbedire in religione.
Oggi, con questo tempo di democrazia, ecco, è più difficile l'obbedienza e diviene più meritoria, di conseguenza; diviene più meritoria.
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L'obbedienza trova dei nemici interni: prima l'orgoglio... quasi che... «Sappiamo anche noi che cosa bisogna fare! E perché uno è superiore non vuol mica dire che abbia il monopolio della verità» - qualche volta si pensa. Oppure si trova difficoltà in questo: nel dover obbedire a una persona più giovane.
Avevano eletto superiore di un istituto un religioso il quale aveva fra i suoi sudditi cinque religiosi che erano stati anche loro superiori come lui, prima, e allora la suora che faceva le congratulazioni a questo nuovo eletto disse: «Io pregherò tanto per lei, so con chi si troverà a governare». E bisogna che abbia pregato bene perché quel superiore giovane ha trovato quei superiori antecedenti, più anziani di lui, docili a tutte le disposizioni, a tutte le disposizioni.
D'altra parte chi ha fatto questo ufficio di superiore, di superiora, sa quante sofferenze vi sono e quindi quando può esser liberato dal peso ne sente un sollievo, e perciò non troverà difficoltà, come si pensa, a sottomettersi a... fine che i superiori governino con pace: Ut cum gaudio hoc faciant, et non gementes - dice san Paolo - obedite praepositis vestris, et subiacete eis... ut cum gaudio hoc faciant [Eb 13,17]. Sì, e obbedite a chi è sopra di voi e state sottomesse affinché il loro ufficio di guidare sia compiuto in pace, non gemendo, non sopportando, non dovendo mettere troppe lacrime nell'occulto per rispetto a chi resiste e, resistendo ai superiori, si resiste a Dio. Quindi ognuno che resiste ai superiori resiste a Dio: «Non est [enim] potestas nisi a Deo: quae autem sunt, a Deo [ordinatae] sunt... qui resistit (autoritati) potestati, /Deo resistit/ (a) [Rm 13,1-2], e se si resiste a Dio, resiste poi anche Iddio a noi, e cioè quando noi lo pregheremo, egli non ci ascolterà.
Se vogliamo essere esauditi sappiamo essere obbedienti.
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Oh, poi un'altra applicazione dal pensiero del paradiso è questa: abbiamo nella nostra Famiglia Paolina l'uso di recitare alla sera la coroncina: «Fateci santi», che è la coroncina composta dal Cottolengo, san Giuseppe Benedetto Cottolengo di Torino, colui che ha istituita la cosidetta «Piccola casa» e cioè una casa aperta a tutte le infermità umane. Ecco. Oh, che cosa intendeva di chiedere il Cottolengo con questa preghiera, cosa intendeva di chiedere? Intendeva di chiedere al Signore, per intercessione di Maria, la grazia che nessuno che entrava nelle sue case come ricoverato morisse senza sacramenti, morisse in disgrazia di Dio. E chi è in grazia di Dio ha la più essenziale santità, cioè quello stato di grazia necessario per entrare in paradiso.
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Poi vi è la santità di chi aumenta i suoi meriti e pratica le virtù, ama il Signore, vive uniformato alla volontà di Dio, compie quello che Iddio vuole da lui sulla terra... allora è poi la grande santità; ma almeno la minima!
E dopo molti anni anche dalla sua morte [del Cottolengo] - non so bene adesso - nessuno era morto senza riconciliarsi con Dio; eppure là erano ricoverati infelici di ogni qualità: uomini, donne che ricorrevano a lui per ricovero dopo una vita di sciupìi, di disordini, dopo una vita cattiva; e anche dei protestanti, degli ebrei: «Fateci santi».
Quindi al mattino si svegliano con questa coroncina, a mezzodì la ripetono, alla sera prima di addormentarsi la si sente risuonare in tutte le corsie e in tutti i reparti. Mi sembra che adesso siano tredicimila in quella casa, ma oltre che quella casa centrale vi son le case filiali e ovunque...
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Oh, recitare bene la coroncina: «Fateci santi», ecco, [con] questa applicazione: noi sappiamo che Maria è la distributrice della grazia, la mediatrice universale della grazia perché così l'ha fatta il Signore Gesù. Oh.
La grazia, altra è attuale, e altra è abituale.
La grazia attuale, per esempio, per vincere una tentazione, per imparar la lezione, per compiere un atto virtuoso; e la grazia invece abituale è quella veste preziosa, veste nuziale, di cui parla il vangelo, cioè è lo stato di amicizia con Dio. La grazia è quel dono per cui diventiamo figli di Dio e cari a Dio e quindi eredi di Dio, in un modo tale che, chi vive in grazia, cioè non porta con sé la colpa mortale, costui è erede di Dio; qualunque istante in cui partisse dalla terra è salvo, è salvo. E quindi, per entrare in cielo questo stato di grazia è essenziale, assolutamente necessario.
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Quanto poi al crescere in grazia, oh, questo dipende poi da noi, dipende dalla vita che facciamo. Sì.
In questo chiediamo particolarmente di saper veramente fare i meriti, saper utilizzar tutto per aumentare i meriti; voglio dire saper fare i nostri uffici, i nostri doveri in silenziosità, sempre nello spirito di unione con Gesù, sempre offrendo tutto al Signore, particolarmente con quella preghiera del «Cuore divino di Gesù, vi offro», ecc., quella preghiera in cui mettiamo le stesse intenzioni che Gesù ha nell'immolarsi sugli altari.
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Sempre vivere come se nessuno ci guardasse, nessuno ci osservasse, solo il pensiero: Dio mi vede, Dio mi aiuta in ogni passo e Dio mi premia di ogni piccolo atto di amore, di ogni piccola diligenza, di ogni osservanza delle costituzioni, delle disposizioni che sono date...
Fare serenamente, umilmente, le proprie cose bene e per amor di Dio, con intenzione retta.
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Pensate alla Vergine benedetta nella sua casa di Nazaret: come era umile e semplice la sua vita sebbene arrivata alla altissima dignità di madre di Dio! Ecco. Eppure le sue giornate si riempivano di meriti preziosissimi.
Persone che fanno le loro cose senza destare alcun rumore, solo con l'intento di piacere a Dio! «Fateci santi!». Mirare a ottenere queste grazie di operare, diciamo, silenziosamente.
Silenziosamente non vuol dire fare il muso, silenziosamente vuol dire: non vantandosi mai, non mettendosi in mostra, non pretendendo di essere notati, non esigendo che gli altri riconoscano il bene fatto o che ci interpretino sempre in bene o ce lo lodino.
Niente! Per Dio. Dio solo mi basta!
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Ecco, allora è una continua aspirazione a Dio, che vuol dire continua aspirazione al paradiso, alla santità. Si cresce in virtù.
Tra la giornata di chi sa operare così e la giornata di chi è divagato, di chi è un po' tormentato dall'amor proprio e ha mire troppo umane, ha mire ambiziose, ecc. gran diversità alla sera! Grande diversità tra giornata e giornata!
Eppure alle volte si è proprio vicini a operare, ma quel cuore che ama Dio e che tutto opera per Dio quanti tesori accumula!
E quando il cuore è vuoto, quando si è superficiali, quando l'amor proprio ancora ci lavora, allora anche facendo il bene si guadagna poco; qualche volta anche soffrendo, facendo molta fatica.
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Quindi: «Fateci santi», domandare queste grazie: far nell'umiltà, nella serenità le nostre cose sempre per amor di Dio e nel miglior modo che ci è possibile, pensando che Iddio è con noi e pensando che aspetta che noi compiamo la nostra corona per il cielo operando silenziosamente e quotidianamente, sempre in vista del cielo, sempre sotto lo sguardo paterno, amoroso.

Albano Laziale (Roma)
Ottobre 1957

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503 (a) S. AGOSTINO, Le confessioni, Libro I, cap. 1.

509 (a) V: Dei ordinationi resistit.