XIX. IL ROSARIO - MISTERI DOLOROSI (*)
Sia lodato Gesù Cristo.
Il mese che consacriamo a Maria, nell'anno, è in primo luogo quello di maggio, poi in secondo luogo il mese di ottobre.
Del resto tutto l'anno è seminato di festività, di novene, di tridui ad onore della nostra Madre celeste perché tutte le grazie passano da lei come è passato da lei il Figliuolo di Dio incarnandosi. Lei, la divina Pastora; il suo Figliuolo, il divin Pastore.
E allora, per la religiosa, è molto bene che nel rosario si abbia sempre l'intenzione di chiedere di rassomigliare e di imitare al massimo Maria e nei misteri gaudiosi imitare la povertà di Maria, la povertà di Gesù, e nei misteri dolorosi considerare e pregare per la virtù della purezza.
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Ecco, i misteri dolorosi sono il gran segno di amore che Gesù e Maria hanno dato al Padre celeste, a Dio, e sono il gran segno delle virtù, della mortificazione del nostro corpo.
E sono nello stesso tempo, i misteri dolorosi, l'occasione di considerare lo spirito di pazienza di Maria e di Gesù e [di] domandare al Signore la grazia di morire per Dio, per Gesù, come egli è morto per noi.
Morire al mondo, morire a noi stessi per vivere di Gesù.
D'altra parte sempre nel lavoro per le virtù abbiamo da cercare più la parte positiva che non la parte negativa e cioè, in primo luogo, amare Gesù e poi mortificarsi in quello che spegnerebbe in noi l'amore per Gesù per metterci un altro amore che non sarebbe Gesù.
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Il primo mistero doloroso ci ricorda l'orazione, l'agonia, il sudore di sangue di Gesù nell'orto del Getsemani.
Così Gesù dà principio alla sua passione con la pena interna e c'insegna a mortificare il nostro cuore perché il peccato contro la purezza parte sempre, in primo luogo, dalla mente e dal cuore. Sorgente dei peccati è la mente e altra sorgente è il cuore: le cose esterne sono conseguenza dell'interno.
Ecco, Gesù che va nel Getsemani a pregare, a pregare perché è venuta l'ora, Pater, venit hora [Gv 17,1], l'ora di mostrare un perfetto amore al Padre celeste.
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Nessuno ama di più di chi, [di] colui che si immola per l'amato; e il Figliuolo di Dio incarnato, Gesù, Figliuolo diletto, amò il suo Padre celeste così, da immolarsi in amore a lui.
Ecco Gesù che prega e accetta nel suo spirito e nella sua parola tutto quel complesso di pene che costituiscono la sua passione, pene interne e pene esterne.
Guardare Gesù!
Egli già preveniva con la sua mente tutto quel che sarebbe seguito: la flagellazione, la coronazione di spine, la condanna a morte, il viaggio al calvario, la crocifissione, l'agonia e la morte. Ma egli capiva che tutto questo era in pena dei peccati ed egli se li addossava, si addossava i peccati degli uomini per scontarli tutti davanti al Padre celeste.
Là, nel Getsemani, Gesù non sparge ancora il suo sangue perché è flagellato, perché incoronato di spine, perché è inchiodato sulla croce, ma sparge il suo sangue goccia a goccia, gocce che venivano fuori dalla sua persona per l'intimo dolore, il cuore [era] come schiacciato alla vista dei grandi peccati che egli si addossava per pagarne la pena davanti a Dio, suo Padre, l'orrore al peccato.
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Tre pene nel suo intimo, nel suo cuore: prima considerando la gravità del peccato, secondo considerando la gravità delle sue pene che doveva accettare e che accettò, e terzo il pensiero che, nonostante la sua passione e morte, ancora molte anime non avrebbero approfittato del suo sangue e quante, forse, si sarebbero perdute e fra esse, in primo luogo, Giuda che era un suo intimo che aveva amato tanto il traditore.
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Occorre che noi santifichiamo il cuore, che diamo a Dio tutto il cuore e tutto il nostro amore.
La castità è una virtù che ha la sua parte positiva e la sua parte negativa, chiamiamola così. La parte positiva è il grande amore a Dio: l'anima s'è innamorata di Gesù crocifisso, di Gesù eucaristico; si è innamorata del paradiso e allora non sente più amore per altre cose, per altri sulla terra fuorché quell'amore soprannaturale che è retto e cioè ama sol più in Dio.
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Oh, santificare in primo luogo il cuore. «Mi amerai con tutto il tuo cuore» [cf. Dt 6,5] ha detto Iddio e, ricordando questo precetto, nel santo vangelo Gesù ci fa notare che lì sta il primo precetto: amare Dio, amare il Signore, vedere che cosa vi è nel nostro cuore, a che cosa tende il nostro cuore.
Amiamo sinceramente il Signore?
Santificare il cuore, guardare spesso al cuore di Gesù, guardare spesso al cuore di Maria: ecco i due cuori che tanto hanno amato e non hanno nulla risparmiato per noi.
Amare, crescere nell'amore!
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Il secondo mistero doloroso ci ricorda la flagellazione di Gesù legato alla colonna.
E contemplarlo, Gesù, che sta curvo verso la colonna; e contemplare i carnefici che, con crudeltà inaudita, scaricano sopra le sue spalle e su tutta la sua persona adorabile i flagelli, che sono formati di cordicelle le quali portano spine e portano punte di piombo.
Ed ecco la persona del Salvatore, il suo corpo diventare livido, ecco aprirsi in tante piaghe: dalla punta dei piedi fino al vertice del capo non vi era parte sana in lui.
Le soddisfazioni del tatto, sì. Il tatto è quello che più frequentemente porta al peccato esterno e la causa è soddisfare, la soddisfazione che si dà al corpo per cui il corpo prende come il sopravvento sopra lo spirito. Pigrizia, golosità, sensualità, libertà di occhi, libertà di lingua, libertà di udito, ecc. Allora, ecco il Salvatore ridotto a una piaga ***.
La Scrittura dice che prima del diluvio Omnis caro corruperat viam suam [Gn 6,12], ogni uomo era diventato corrotto. E non è la passione che tante volte sottrae le anime a Dio, a Gesù? Il peccato!
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Offrire allora il sangue che schizzò fuori dalle vene della persona adorabile del Salvatore perché noi possiamo sempre mortificarci, non in penitenze straordinarie ma mortificarci costantemente, mortificarci in quello che la natura vorrebbe: la natura vorrebbe schivare la fatica, sì, vorrebbe sempre [il] più comodo, vorrebbe sempre quello che accarezza di più il senso.
Abituarsi ad una fortezza, resistere, a una disciplina di noi medesimi e questo assicurerà che il cuore, il cuore rimanga di Dio, sì, perché i sensi sono la porta del peccato, sì. La mortificazione del corpo ci porterà tanti beni, specialmente toglierà, impedirà tante tentazioni e porterà di conseguenza una catena ininterrotta di meriti.
Poiché la vita religiosa è tutta una vita disciplinata, disciplinarsi nella vita religiosa. Allora l'amore verso Dio sarà nutrito e sarà difeso.
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Il terzo mistero doloroso ci ricorda la incoronazione di spine, la quale, coronazione di spine, seguì la flagellazione poiché, dopo che Gesù fu slegato dalla colonna, i soldati aggiunsero pena a pena e inventarono un nuovo supplizio che non era considerato nella legge e, mettendo insieme una corona di spine e facendo sedere Gesù sopra uno scanno, ecco, gli coprirono il capo con quella corona e poi percossero quella corona perché le spine penetrassero profondamente nel capo stesso.
E, se una spina qualsiasi, specialmente se è lunga e dura, penetra nella nostra testa, cagiona un brivido, una pena indicibile, cosa sarà stato di quel fascio di spine posto sul capo di Gesù? Eh, hanno costato tanto a Gesù i pensieri cattivi, le fantasie cattive, le immaginazioni cattive, le letture, le curiosità cattive, sì, i ricordi cattivi o i desideri cattivi.
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D'altra parte è come una regola questa, una regola che non è scritta ma che viene dall'esperienza e cioè, quando noi ci inorgogliamo nello spirito il Signore ci lascia umiliati nella carne. Chi ha la superbia, chi ha la testa dura, chi ha l'ambizione, chi ha certe pretese, certe posizioni, ecco, viene umiliato in quello che è più basso, in quello che è più vergognoso e che si cerca di nascondere, si cerca di coprire, si cerca di dissimulare.
Voglia il Signore che non succeda di approfittare della solitudine o dell'oscurità; e tanto meno succeda di tacere in confessione per vergogna.
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Ecco, domandare a Gesù buon Pastore, per le pene intime della sua incoronazione di spine, la grazia di vigilare sulla nostra mente e di vigilare sulla nostra curiosità, sopra la fantasia, sulla immaginativa; vigilare sopra gli occhi stessi, ma particolarmente essere umili: umiltà che suona docilità, obbedienza; umiltà che suona in noi ricordo di tutto quello che da Dio si è ricevuto e quindi porta a considerare che nulla è nostro e che di noi c'è solamente il peccato; l'umiltà nel trattare con le persone affinché Dio ci liberi dalla disgrazia della caduta nel fango e in quello che è più umiliante. D'altra parte, se vi è qualche cosa che significhi tentazione, subito ricorrere a Dio e ricorrere anche al confessore, e ricorrere alle persone che ci possono aiutare affinché non si abbia da cadere nel peccato.
In modo speciale questo: umiltà e docilità, e allora non si peccherà, quell'umiltà che ci fa pregare, ricorrere a Dio specialmente nelle tentazioni.
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Il quarto mistero poi ci ricorda la condanna a morte di Gesù e come Gesù accettò sulle sue spalle la croce e come egli la portò sul calvario... Ecco, noi dobbiamo pensare a questo: che la vita è tutta una prova, o noi amiamo il Signore o noi amiamo le cose che sono fuori del Signore; la vita è una prova di amore oltre che una prova di fede; una prova di fedeltà e l'amore si prova con il sacrificio, e l'amore è nutrito dal sacrificio e il sacrificio accresce in noi l'amore.
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Gesù accettò la sua croce: quella morte che egli accettò per sentenza di Pilato l'avevamo meritata noi, l'abbiamo meritata noi; non è egli il colpevole ma il colpevole è l'uomo, colpevoli siamo tutti. L'innocente Gesù buon Pastore che va a morire per le sue pecorelle, «ed io do la mia vita per esse» [cf. Gv 10,15]... «la mia vita per esse».
Allora noi chiediamo la grazia di accettare le croci come sono, come vengono; e una ha più difficoltà in una cosa e l'altra ha più difficoltà in una altra; e chi ha un male fisico e chi ha un male morale; chi prova duro il sottomettersi e chi trova difficile la convivenza nella comunità; chi trova difficile l'apostolato e chi trova dura la vita, la lotta interiore. Accettare la nostra croce.
La croce poi dobbiamo portarla come? /Chi/ (a) vuol venir dietro /di/ (b) me rinneghi se stesso prenda la sua croce e mi segua» [Mt 8,34]. Ecco l'immolazione della religiosa quando segue Gesù al calvario.
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Anche Gesù è caduto sotto la croce per sfinimento. Può essere che qualche volta qualche atto di impazienza succeda; può essere che qualche momento siamo sfiduciati, siamo scoraggiati; può essere che in certi momenti l'anima si trovi avvolta nelle tenebre, nello sconforto... non rifiutiamo mai la nostra croce. E, quando baciamo il crocifisso intendiamo di offrirgli le nostre croci e di non lasciarlo andare a morire solo, Gesù, ma voler anche noi morire un po' ogni giorno con lui, morire a noi stessi, ai nostri gusti, alle nostre tendenze, alle nostre voglie. Ecco.
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Accettare le croci e accettare anche la morte. L'accettazione della morte è un atto che piace molto a Dio; d'altra parte è proprio il segno di amare Dio questo perché «nessuno ama di più di colui che dà la vita per l'amato» [cf. Gv 15,13]. Sì.
Avere la devozione al crocefisso e che quei baci non siano cose esteriori, segni esteriori, ma siano caldi, ma siano in conformità al volere di Dio, sempre, l'accettazione della croce e della morte nostra, quella che al Signore piacerà di mandarci, in quel tempo, in quelle circostanze, con quelle pene che l'accompagneranno.
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E finalmente si arriva alla crocifissione e morte di Gesù Cristo in croce, sì.
Perché si conservi la purezza ci vuole qualche cosa di esterno; Gesù fu spogliato degli abiti: non ci sia ambizione nella persona e non ci siano ambizioni per quello che può essere la casa, il vestito, il modo di comportarsi.
E Gesù fu abbeverato di fiele e mirra: e non ci dispiaccia cibarci di quelle cose che forse non piacciono tanto al nostro gusto ma che servono per noi, a meritare la grazia di conservare vergine il corpo e lo spirito.
E Gesù è inchiodato: nessun passo fuori di strada [per]ché andare in certi posti è pericoloso, e voi, aver rivolti i vostri passi al santuario, al convento, per allontanarvi da quei luoghi di mondo dove regna il peccato.
E Gesù fu inchiodato nelle mani: le mani, sempre, costantemente, a posto o giorno o notte; le mani devono servire secondo l'uso e i bisogni dell'uomo, dei santi.
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E Gesù venne sollevato sulla croce alla vista di tutti, e quante bestemmie, e quanti insulti, salirono dalla plebaglia e dagli avversari di Gesù verso la croce, verso il Salvatore.
E allora, anche se vi criticheranno che siete suore, se alcuni non vorrebbero che le loro figlie si consecrassero a Dio, non guardiamo al mondo e ai suoi giudizi mai, mai!
Guardiamo a Dio, quello che piace a Dio e teniamoci fortunati di dar tutto a Dio, intieramente a Gesù.
Nello stesso tempo poi che i nemici di Gesù lo insultavano, sulla croce egli pregava per i crocefissori, per tutti gli uomini offriva il suo sangue e perdonava al ladrone pentito e gli assicurava il cielo.
Grande fiducia, grande fiducia nel Signore! Se il Signore amò così i crocifissori e amò così quel ladrone che aveva continuato nella sua vita a commettere furti e peccati, quanto più ascolterà l'anima umile che lo supplica, che gli domanda la purezza, la verginità.
Le lotte alle volte sono dure, ostinate: fiducia in Gesù!
Sentire addosso il crocefisso, sentirlo e, mentre si sente la presenza del crocefisso sulla persona, rinnovare i nostri atti di confidenza con Gesù. Sì.
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Gesù ha sofferto non per sé ma ha sofferto per noi, per dare a noi la grazia. Confidenza! E poi guardare anche Maria addolorata ai piedi della croce: ecco che cosa ella ha fatto per le anime, per il mondo, nell'intimità delle intenzioni sue, intenzioni tutte conformi a quelle del Figlio.
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Saper compiere l'apostolato, portare le anime ad amare Gesù e portargli molte vocazioni, molte vocazioni; non solamente conservare intatto e candido il giglio ma portarle a Gesù, molti gigli, vocazioni, e lavorare perché Gesù non sia più offeso e riparare le offese che intanto egli in continuità ha ricevuto e riceve dagli uomini.
Pensare all'apostolato, ecco.
L'ultimo apostolato di Gesù è quello della sofferenza, se possiamo dire così, è la sua morte in croce; ma è l'apostolato più efficace perché l'apostolato può essere di buon esempio, può essere di preghiera, può essere di opere, ma il più prezioso è quello della sofferenza e Gesù ci ha salvati con la sua morte in croce.
Allora sappiamo soffrire per le anime.
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Saper offrire anche la nostra morte al Signore perché in quel giorno si risparmi almeno un peccato grave, un'offesa grave a Gesù, al Signore. E inoltre questo frutto: saper ascoltare bene la s. messa perché nella santa messa si rinnova la passione e morte di Gesù e noi chiediamo - per questa messa, per questa rinnovazione della passione e morte di Gesù Cristo - chiediamo la grazia della verginità di mente, di cuore, di opere, verginità di pensiero, di fantasia e di sensi…
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Il sacrificio fatto da Gesù piacque al Padre celeste ed egli si placò per lo sdegno che gli uomini, coi loro peccati, avevano in lui suscitato.
Si placò, ma era l'offerta di un vergine, un corpo vergine, un cuore vergine, un'anima vergine, un sangue vergine. E piacque al Signore, a Dio, l'offerta di Maria, le sue pene... Maria, che era trapassata dalla spada di dolore, perché quest'offerta era offerta di un'anima vergine, una mente vergine, ecco.
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Offrirsi al Signore. Quanto è gradito al Signore la preghiera di una anima vergine, il sacrificio di un'anima vergine e il lavoro, l'apostolato di una persona vergine.
E quando arriva in una parrocchia un'anima vergine oh, allora, insensibilmente, si diffonde attorno un profumo di gigli.
Se le suore sono sempre esemplari, eh, attraverso i muri della casa passa questo profumo e in primo luogo forse arriva a farsi sentire da qualche giovinetta che non ha ancora scelto la sua via, arriva ai bambini, alle bambine e in sostanza la parrocchia resta profumata da qualche cosa che è come inspiegabile, ma che tuttavia è certo, sicuro, ed opera a frutto di tutte le anime, di tutta la parrocchia.
Mettere in una parrocchia un bel mazzo di gigli è grande cosa. Anche se questi nulla facessero, e cioè non compissero quell'apostolato che pure compiranno, è la presenza stessa, è l'amore verginale stesso che esse portano a Gesù.
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Dunque, nei misteri dolorosi chiediamo particolarmente l'osservanza del voto di castità e della virtù della castità, estendendo anche alla purezza totale, cioè la purezza da ogni peccato, l'immacolatezza della vita.
Leggete poi il capitolo del voto e della virtù della castità.
Albano Laziale (Roma)
2 ottobre 1957
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(*) Intera meditazione presa da T.
469 (a) V: Se qualcuno.
(b) V: a.