Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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II. IL PECCATO
Il profeta aveva detto, annunziando il Salvatore, che sarebbe venuto a distruggere il peccato: Ut... deleatur iniquitas; e a stabilire la santità: et adducatur justitia sempiterna [Dn 9,24].
Così il ministro di Dio, così la suora pastorella, sono destinati a distruggere il peccato e a stabilire la giustizia, il che vuol dire la santità della vita, la vita cristiana, veramente cristiana, nel mondo.
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Ora, se questo è il fine del sacerdote ed è il fine della pastorella che collabora alla sua opera, che cosa bisogna concludere? Che in primo luogo abbiamo da distruggere il peccato in noi: non possiamo distruggerlo negli altri se prima non l'abbiano distrutto, tolto in noi; e dobbiamo tendere alla santità se poi dobbiamo indurre le anime a camminare sulla via del cielo, della giustizia, il che vuol dire sulla via veramente cristiana.
Allora, in primo luogo combattere il peccato: parte negativa.
E' una gran cosa quando già togliamo il peccato, quando combattiamo costantemente i difetti, pur non riuscendo mai a toglierli tutti, ma combatterli, combatterli, costantemente, e detestarli.
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Quale peccato distruggere? Vi è il peccato originale e fu distrutto dal battesimo; non furono tolte però tutte le conseguenze del peccato originale, è rimasta ad esempio la concupiscenza in noi, cioè quella tendenza al male, quella che chiama s. Paolo aliam legem [Rm 7,23], una tendenza cattiva.
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Ma vi è il peccato attuale quello che è nostro, non fu ereditato, ma è nostro, il peccato che possiamo commettere noi. Questo peccato può essere grave, ossia mortale, e può essere veniale e cioè venia dignus.
Il peccato grave ci distacca da Dio, ci mette sulla via della perdizione - ma di questo si parlerà altra volta - parliamo adesso, stamattina, del peccato veniale.
Perché in primo luogo del peccato veniale?
Perché fra di noi non si dovrebbe mai parlare di peccato grave; d'altra parte, se si combatte il veniale non si arriva al mortale.
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Il peccato veniale ci fa camminare sul margine della strada, vicino al precipizio; ma se uno detesta il veniale e quindi cammina sul centro della strada, non si mette in pericolo di cadere nel precipizio, che indica il peccato grave.
Perciò diremo: odiare in primo luogo il veniale.
Si può applicare anche al veniale quello che c'è nella scrittura: /Tamquam/ (a) a facie colubri fuge peccata [Sir 21,2]. Fuggi il peccato come da una serpe che si avvicina fuggiresti. E se un serpe grosso e con la bocca aperta venisse verso di noi, eh!, subito si grida, si fugge, si chiede aiuto.
Subito fuggire dal peccato e gridare a Dio: Deus, in adiutorium meum intende [Sal 69,2], Signore, corri in mio aiuto! E poi mettersi al sicuro, al sicuro dal peccato grave, mettendoci al sicuro dal peccato veniale.
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Che cos'è il peccato veniale?
Il peccato veniale è un'offesa fatta a Dio; non è, il peccato veniale, che ci distacchi totalmente da Dio, no, ma diminuisce l'unione con Dio.
E' ancora un'anima, una figlia, che non fugge di casa, dal padre; ma in casa sta male, porta nessun rispetto al papà, risponde sgarbatamente, dice parole insolenti, lo disubbidisce in tante cose... e allora, ci può essere veramente tra la figlia e il padre quella intimità, quella cordialità che dovrebbe regnare?
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Il peccato mortale merita l'inferno, il peccato veniale invece merita il purgatorio soltanto, ma noi pensiamo forse che il purgatorio sia una pena così leggera da poter dire: «Eh ben!, se vado in purgatorio tanto esco ancora?».
Quale ragionamento stolto sarebbe questo!
Indicherebbe poca fede, e anche proprio poco amore verso di noi perché, se amiamo noi stessi, non evitiamo solamente di ucciderci, ma evitiamo anche le piccole ferite, le bastonate; evitiamo anche le cadute che ci farebbero forse slogare un braccio, rompere una gamba.
«Ma non è la morte!». E tu, non eviti queste cose, queste disgrazie, perché non sono la morte?
Quanto si ragiona diversamente nelle cose spirituali dal modo con cui si ragiona nelle cose materiali che riguardan la salute!
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Il peccato veniale non proibisce di accostarsi alla comunione, quindi un'anima anche che abbia commesse imperfezioni, peccati deliberati, può andare alla comunione. Naturalmente se vuol fare una comunione fruttuosa, prima dovrà piangere la sua stoltezza, allora la comunione resterà ancor fruttuosa, ma le venialità non sono certamente una preparazione a ricever domani Gesù nel cuore.
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Preparare a Gesù un letto di spine?
E le spine indicano le venialità; un letto di spine nel cuore!
Maria, quando ha deposto il Bambino nella mangiatoia, ha procurato di rendergli più facile, più comodo che poteva, quelle paglie e poi quei lini che aveva con sé; e così quando consecriamo l'ostia cerchiamo di toccare l'ostia con quel rispetto con cui Maria toccava il suo bambino; e, mettere Gesù nel cuore, e metterlo sopra un letto di spine, che cosa è questo? Che audacia indica questo!
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Il peccato veniale non ci condanna all'inferno, quindi se alla sera si va a riposare e prima del riposo si sente che nel giorno vi sono state offese a Gesù, domandarne perdono e, se mai la morte venisse durante la notte, certo, non si cadrebbe nell'inferno, ma quanti rimproveri farebbe Gesù quando l'anima si incontra con lui giudice, nel giudizio cioè particolare: «Tu mi hai amata poco!».
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Il peccato mortale è la crocifissione e causa della morte di Gesù in croce, ma [se] il peccato veniale non è la causa della morte, è però la causa dell'incoronazione di spine e delle battiture che sono cadute, si sono scatenate sulla persona adorabile di Gesù buon Pastore. E crediamo che quelle spine non abbiano recato pena a Gesù?
Una spina lunga, dura, come son quelle spine orientali, le siepi orientali fatte di spine, lunghe quattro, cinque, fino a sei centimetri, durissime, che penetrano in tutto il capo fin sulla fronte, sul collo... e noi vorremmo aggiungere ancora qualche spina a Gesù?
Oh, odiare dunque il peccato veniale, per quello che è.
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[In] primo luogo si può dire che è una ingiuria a Dio.
E' un'ingiuria fatta a Gesù buon Pastore perché abbiamo ricevuto innumerevoli grazie da Gesù, anche il segno che portate con voi [è segno] di amore di Gesù per voi.
Questo segno che basta vedervi, toccarvi, perché è sensibile: la vocazione! Questo segno di speciale amore!
E allora come si corrisponde all'amore di Gesù, con la più nera ingratitudine?
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Le indelicatezze! Gesù è sensibilissimo, ha un cuore sensibilissimo, e noi con indifferenza e quasi ridendo andremmo a mostrare a lui la nostra ingratitudine? La nostra impertinenza, o almeno la nostra indifferenza al suo amore?
Il peccato veniale sarebbe tutto questo: ingiuria, ingratitudine, indifferenza al suo amore!
Il peccato veniale è causa della tiepidezza dell'anima ed è causa per cui l'anima avrà nella sua vita mille angustie, ed è causa per cui il ministero parrocchiale sarebbe assai meno fruttuoso.
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In primo luogo chi si abitua a peccati veniali non corrisponde bene alla sua vocazione.
Cos'è la vocazione? E' due cose.
In primo luogo è la tendenza e il desiderio di perfezione, cioè di santificazione, e come ci starebbe l'abitudine al veniale con la santificazione, con la perfezione?
Allora, ecco, non si corrisponde alla vocazione, che è il primo articolo delle costituzioni.
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Chi aspira alla vita religiosa dice: «Io voglio farmi santo».
E Gesù chiamando il giovane gli ha detto: «Se vuoi essere perfetto» [Mt 19,21] perché la vocazione è chiamata alla perfezione, cioè "esser perfetti".
Ma il peccato veniale, l'abitudine al veniale, la facilità al veniale, permettono che l'anima salga, su, sul monte della perfezione?
Quis ascendet in montem /sanctum Domini/ (a)? [Sal 23,3). Come si sale? Si resta giù, sempre a basso, sempre per terra; e quindi la tiepidezza... la tiepidezza, la freddezza, la noia, lo scontento della vita, la insoddisfazione della stessa vocazione, lo scoraggiamento che penetra poi nell'anima e accompagna la vita, accompagna la vita!
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Noi dobbiamo sentire nella nostra vocazione la gioia, dobbiam sentire che noi abbiam lasciato il mondo ma per Gesù, abbiam lasciato la famiglia ma per un'altra famiglia più numerosa, una parrocchia; abbiamo lasciato qualche cosa ma per conquistare il paradiso, e ci troviamo in quella via felice, fortunata di lavorare per le anime e di acquistare ricchezze per il cielo.
Sentire questa gioia!
Ma se ci son le venialità di mezzo quell'anima ha qualche momento di fervore ma poi ha tanta tiepidezza, indifferenza, e continua [ad] arrivare alle venialità, le beve alle volte come si berrebbe un bicchier d'acqua. Quell'anima non può procedere né nella via della perfezione, né essere /contenta/ (a): non sente Gesù con sé. Sente che Gesù la vuole santa, vuole prenderle tutti i sentimenti, vuole guadagnarsi tutto il suo essere; ma lei rimane lontana, indifferente al suo amore.
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Tante imperfezioni poi nell'apostolato si spiegano con le venialità: si lascia una cosa, se ne lascia un'altra, si lascia di osservare quello che è stato stabilito nelle costituzioni - e che è salute e mezzo di santità - si trascura una regola, si trascura un avviso, e dopo? Ministero infecondo!
Sembra che si semini un campo tutto sabbia, ghiaia, e che niente nasca. «Eppure vorrei fare, eppure opero e mi dò attorno!». E, bisogna prima darsi attorno alla nostra anima! Perché, non chi semina e neppure chi innaffia conta, ma la grazia di Dio: incrementum dat, Deus [1Cor 3,6].
Ah, la santità, come assicura il frutto della vita apostolica, del ministero, del servizio parrocchiale!
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Il peccato veniale poi avvicina al grave ed è la strada per arrivare al peccato grave; e qui è la più tremenda conseguenza, perché il peccato veniale apre la via. Vedete, alle volte c'è un piccolo lago d'acqua: l'acqua è trattenuta lì perché attorno vi sta del terreno più alto dell'acqua, ma quell'acqua stando lì, poca poca, alle volte si forma un'uscita nel terreno e poi se ne va tutta.
Così quando vi è il peccato veniale. Il peccato veniale toglie le barriere, quello che ferma l'anima, che quindi le impedisce di andare al precipizio.
E allora che cosa si può prevedere? Si può prevedere che con facilità si arriverà là dove si finisce col dire: «Non credevo! Non me l'aspettavo! Non volevo!»
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Ecco, perché entra nel cuore qualche cosa di tendenza, entra facilità a togliere quelle barriere che son messe dalle costituzioni, entra nell'anima quel minor timore o quasi indifferenza al peccato, perché quando l'anima si abitua al veniale non ha più paura del mortale come ha paura l'anima fervorosa che combatte il veniale.
Non l'ha più il gran timore per cui l'anima scopre i pericoli, scopre le occasioni, e ci si mette in guardia. Allora da una parte son tolte le barriere, dall'altra parte l'anima, essendo così indifferente con Dio, non ha più tutta l'abbondanza delle grazie che ha un'anima fervorosa; il diavolo perciò si fa strada in quell'anima, e le passioni si rafforzano e un bel giorno, o un brutto giorno meglio, quando tutto è preparato, il demonio sta in agguato, dà una spinta più forte, la tentazione della carne è più violenta, cosa succede?
Può succedere quello che già si poteva prevedere; e si può anche andare ad una cecità tale di abbandonar la vocazione, che è poi la rovina maggiore per una chiamata, che si mette fuori del volere di Dio per tutta la vita. Odiare il veniale!
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Ma chi è mai quella persona prudente che camminando per la strada voglia proprio mettere il suo piede sull'orlo e voglia camminare sul ciglio della strada, sul ciglio, e dopo si apre l'abisso; e se un momento la terra non regge, oppure capita che si dà del piede in un sasso, cosa ci vuole allora per fare il capitombolo? Temere il veniale! Temere il veniale come la strada al mortale!
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Il demonio sa tutte le arti per tentare e non propone certo alle anime delicate subito un peccato grave, un delitto, no! Oh, il diavolo in primo luogo fa lasciare un po' la preghiera, poi eccita la fantasia, poi il diavolo fa vedere - come faceva vedere a Eva - che il peccato porta vantaggio, che è una soddisfazione: «Sarete come dei» [Gn 3,5] dice ad Eva, e quindi il diavolo prepara la strada alle maggiori tentazioni, ai più forti assalti.
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Temere il veniale! Questo è il gran timore che dobbiamo avere noi. Temere di disgustar Dio, che è padre; temere [di] disgustar Gesù che è l'amico, lo sposo dell'anima; temere che per il veniale perdiamo le grazie, le consolazioni di Dio, i meriti per la vita eterna; temere il purgatorio - almeno questo timore! - temere la diminuzione delle grazie e quindi la incorrispondenza alla vocazione.
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Oh. Allora come evitare il peccato veniale?
Per evitare il peccato veniale occorrono gli stessi mezzi che bisogna adoperare per evitare il mortale. Gesù disse: «/Pregate e vigilate/» (a) [Mt 26,41], pregare e vigilare.
Pregare e cioè domandar sempre al Signore di non offenderlo né in cose gravi, né in cose che diciamo piccole. Le diciamo piccole in relazione a ciò che è grave: la terra è piccola di fronte al sole ma, e se la terra ci casca addosso basterebbe una montagna per schiacciarci tutti, e una montagna sarebbe un piccolo pezzo della terra.
Quindi è un male in se stesso grave, ma lo chiamiamo piccolo, leggero in relazione al più grave, che è il peccato mortale.
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Pregare assiduamente.
Una legge facciamo a noi stessi: io non acconsentirò mai a una bugia, a una disobbedienza, a una parola di mormorazione, a una trasgressione di quelle regole che stabiliscono quello che è prudenza nel trattare, nell'operare, nel dire...; non perderò mai il tempo, non asseconderò la gola, la pigrizia; non mi lascerò andare a imprudenze, a immodestie; soprattutto combatterò l'invidia, combatterò l'orgoglio che è causa di tanti mali.
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Domandare al Signore queste grazie e particolarmente questo nella comunione, nella visita al santissimo Sacramento, nella messa.
Pregare in modo particolare la nostra Madre celeste, immacolata, cioè senza macchia. Non commise venialità deliberate mai nella sua vita!
E pregare il nostro angelo custode, i nostri santi protettori, san Pietro e san Paolo.
Oh! Pregare!
E sempre temere anche quando l'anima pensa di trovarsi già in istato di fervore.
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E fra le preghiere per evitare il veniale, la più efficace poi è il sacramento della confessione ben ricevuto. Perché la confessione è per distruggere il peccato, non solamente il peccato passato di cui nella confessione ben fatta si riceve il perdono, ma per impedire il peccato per il futuro.
Quando ci confessiamo bene allora con più fervore, con più facilità, combattiamo il veniale; ma intendo di dire quelle confessioni che son precedute da buona preparazione, e da buon ringraziamento, e sono accompagnate da buon dolore, da buon proposito.
Non è molto quel che ci dirà il confessore; le parole del confessore sono buone in quanto siam ben preparati a riceverle e a praticarle; ma noi, la nostra volontà, le nostre disposizioni abbiam da curare.
Pregare!
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Inoltre vigilare.
La vigilanza indica in generale mortificazione, quindi fuggire le occasioni prossime del peccato questo è obbligo (a) certamente - ma le occasioni sono altre esterne e altre interne.
La mente coi pensieri che possono essere contro la carità, contro l'obbedienza, contro l'umiltà, ecc.; le occasioni possono essere i sentimenti, le tendenze; reprimere i moti di ira e combattere le tendenze alla invidia, alle gelosie.
Vigilare sul cuore, /sì, su tutto il nostro essere prendere il riposo necessario, non eccedere/ (b), non farci una vita comoda, nel senso più largo di questa parola, no, ma una vita retta, disciplinata, amante del lavoro, dell'apostolato, della preghiera.
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Una vita disciplinata, occorre che abbiamo e che imponiamo a noi stessi.
Il lavoro è già un grande mezzo e sovente ci toglie [per] metà le occasioni del male.
Vigilare sopra di noi!
Poi vigilare sulle relazioni, non solamente le relazioni esterne, ma anche sopra quello che succede nella casa: i discorsi e l'osservanza religiosa come si trova.
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Oh. Ecco, i due mezzi e cioè: Orate et vigilate, pregare e vigilare! Vigilate, et orate [Mt 26,41]. Allora saremo salvi e, se siamo salvi dal veniale, certamente non arriveremo al mortale perché: Nemo repente quid peximus et nemo repente quid optimus, cioè non si arriva ad un tratto alla santità e non si arriva ad un tratto al peccato mortale; prima vi son passi per cui al mortale la persona si avvicina.
E supplichiamo l'Immacolata nostra madre, mater purissima che preghi per noi.

Albano Laziale (Roma)
2 agosto 1957

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31 (a) V: Quasi.

41 (a) V: Domini.

42 (a) Sembra che Don Alberione pronunci «scontenta».

49 (a) V: «Vegliate e pregate».

53 (a) R: obbliga.
(b) Così T. Omette R.