20. LA PASSIONE PREDOMINANTE*
| [148] [I. I sette vizi capitali]
<Dobbiamo fare il ritiro sotto la protezione dei santi e sotto la protezione delle anime del purgatorio. I santi ci fanno coraggio e ci incitano a combattere dicendo: «Abbiamo lottato e vinto; coraggio, coraggio!». Le anime purganti ci dicono: «Vincete, vincete, purgate, purgate i difetti con la volontà e con l'amor di Dio perché è difficile e penoso il purgarli tra queste fiamme. Guai se non vincete! Quei difetti poi saranno paglia e legna per il purgatorio».>1
Ma sopratutto dobbiamo combattere un difetto in particolare ed è il difetto predominante.
Ed io stasera vi darò una cognizione dei sette vizi capitali, perché fra i sette troverete anche il vostro.
Si chiamano capitali non perché siano i più | [149] grossi (i [peccati] più grossi sono tre: 1° l'odio formale contro Dio; 2° contro le virtù teologali; 3° contro lo Spirito Santo); ma si chiamano capitali perché hanno influsso sugli altri vizi di cui sono causa e origine.
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Perché sono causa e origine degli altri peccati? Per tre motivi: perché accrescono l'ignoranza della mente; perché portano la concupiscenza nel cuore; perché portano la malizia e la falsità nella volontà.
Sono sette i vizi capitali: superbia, avarizia, lussuria, ira, gola, invidia e accidia.
Consideriamoli e guardiamoli con coraggio: guardiamoli per trovare il più grosso. Un giorno si presentò da una suora del Cottolengo un visitatore il quale chiese di poter parlare col Santo. La suora gli fece intendere che non si poteva disturbarlo in quell'ora, ma il poco cortese visitatore, malgrado fosse vestito molto bene e lasciasse intendere che era ben educato, infilò la scala, picchiò la porta ed entrò. La suora attese lungamente l'uscita dell'ospite poco gradito, per riprenderlo, ma la sua attesa fu vana.
Dopo diverso tempo vide uscire il Santo, solo e con aria stanca. La suora chiese dove fosse andato quel tale, ma il Beato le fece capire che al visitatore non occorreva la porta per uscire.
«Dovevi guardare meglio, disse, osservando sotto il cappello avresti scorto certamente due lunghe corna».
Guardiamoli bene anche noi questi sette | [150] diavoli, guardiamoli bene in faccia, perché sanno anche mascherarsi per non farsi riconoscere. Ci vuol coraggio per considerare i difetti; è qui l'occasione per esercitare l'umiltà. Non essere sempre pronte a scusarsi e dire: «Non sono stata io», altrimenti ci succede come quel fanciullo che aveva l'abitudine di scusarsi sempre. Un giorno interrogato dal maestro in geografia ed essendo il fanciullo distratto, sentendosi domandare: «Dimmi: chi ha fatto il mondo?» rispose: «Non l'ho fatto io».
Siete capaci dunque di esercitare l'umiltà questa sera? Avete coraggio di esaminarvi e di guardare in faccia a tutti e sette i vizi capitali per conoscere quale sia la vostra passione predominante? Pregate la Vergine santa, affinché vi aiuti.
1. La superbia è un disordinato desiderio di lode. Che significa disordinato? Il disordine sta nel voler la lode degli uomini. E che fa? Vuol essere superiore agli altri; disprezza gli inferiori; si ribella e critica i superiori.
La superbia è compiuta, ossia grave, quando porta a ribellarsi a Dio e alla sua volontà, ribellandosi ai consigli dei superiori e
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del confessore; è incompiuta, ossia veniale, quando si stima troppo, e va a cercare la lode altrui.
La superbia è come un'erbaccia che mette le radici dappertutto, è come quella pianta che nasce anche fra i crepacci dei più vecchi campanili. | [151]
La superbia è peccato? Se è compiuta è peccato mortale. Ma è difficilissimo che sia compiuta: può avvenire nel caso di Faraone che scrolla le spalle dicendo: «Chi è questo Dio?»2. Oppure quando si dice: «Chi è quella superiora cui io debbo obbedire? Oh, quella è venuta dalla campagna, era un'inserviente!».
La superbia imperfetta è peccato veniale, ma può diventare grave quando uno per sgravarsi di responsabilità, incolpa altri.
Quali sono le figlie della superbia? La presunzione, col credersi di saper tutto; l'ambizione, col voler sempre apparire; la vanagloria, sempre con l'io maiuscolo.
2. L'avarizia è il disordinato desiderio alla comodità e ai beni temporali. Fa meno male della superbia, perché l'avarizia è amore a un po' di terra, a un po' di rame o a un po' di carta sporca. L'avaro non fa altro che mettere in prigione, nel portafoglio quel povero denaro, fino alla morte.
Per sua natura l'avarizia è peccato veniale e può diventare mortale quando ad esempio si lavora di festa o si commettono ingiustizie.
Le figlie dell'avarizia sono: la preoccupazione della mente, il timore del domani, la poca confidenza nel Signore. Bisogna sì, operare con prudenza e zelo, ma confidare sempre nella Provvidenza.
3. La gola: è un disordinato desiderio di cibo e di bevanda. Ma il disordine, il male, sta | [152] nel contentare la gola per il gusto e per il piacere. L'avere sete e fame è cosa naturale ed è segno di salute, ma non si deve mangiare solo per soddisfare il gusto.
Si pecca di gola in cinque maniere: a) mangiar prima di tempo; b) mangiare troppo; c) cercare le cose che più piacciono; d) gustare molto e pensarci prima e dopo; e) mangiare voracemente. La gola di suo genere è peccato veniale, ma può diventar mortale quando si prevedono certi disturbi e si può diventare inetti a certi uffici.
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Sono figlie della gola: la mente ottusa; i discorsi folli e sciocchi; la letizia smodata; la scurrilità.
4. La lussuria è una tendenza alle cose contro la bella virtù. Per sé è sempre grave e non ammette venialità.
Le figlie della lussuria sono: cecità della mente; incostanza nei propositi; decisioni precipitate; freddezza; amor proprio; desiderio di vivere molto; timore del giudizio di Dio; leggerezza e piacere.
Questo si manifesta specialmente nelle simpatie ed antipatie, sensibilità, difficoltà nel vincersi, ecc.
5. L'invidia consiste nel rattristarsi del bene altrui e nel godere dell'altrui male. Per sé è grave, ma non sempre, anzi nel maggior numero di volte non lo è. S. Paolo dice: «L'invidioso non entra in cielo»3, sempre però quando questo difetto è grave. | [153]
Talvolta si ha invidia perché gli altri si distinguono, perché hanno grazie, perché sono stimati, ecc. Alle volte poi si confonde con l'odio. Se si dicesse ad esempio: Quel tale si è ammalato, finalmente! Era ben ora, dopo tante che ne ha fatte... Questo è odio.
Certe volte l'invidia è indignazione giusta, talvolta zelo fuori posto. Le figlie dell'invidia sono: l'odio, la mormorazione, la gioia del male altrui, il sussurrare sospetti.
6. L'ira è un disordinato desiderio di vendetta. Se questo desiderio è ordinato, è virtù, per esempio rimproverare certi difetti quando sono persistenti e vi è ostinazione. Così come Gesù scacciò i venditori del Tempio, come il padre castiga il figlio, e il padrone il servo; è virtù quando si fa con giustizia.
Molti peccano perché non vengono rimproverati e castigati. È ira quando si fa per amor proprio e non perché si deve fare.
Può essere peccato grave quando si oppone direttamente alla carità e anche alla giustizia: per esempio il giudice irato contro S. Agnese romana. È peccato veniale quando è solamente eccesso nel modo.
Le figlie dell'ira sono lo sdegno, il turbamento, le parole offensive, le risse.
7. L'accidia è un certo qual torpore nell'esercizio della virtù, è la freddezza nel fare il bene. È peccato veniale, ma prepara al
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mortale, perché ha gravi conseguenze e la Scrittura dice: | [154] «Perché sei tiepido incomincio a rigettarti dalla mia bocca»4 .
Le figlie dell'accidia sono: la malizia, il timore di farsi santi, rancore contro quelli che scuotono, torpore, divagazione, pusillanimità.
Bisogna dunque che fra questi sette vizi capitali troviamo il nostro, esso ci accompagna sempre. Facciamo presto a scoprirlo questo nostro male, così ci possiamo curare per guarire.
Si dica tutto al medico che è il confessore, si parli con confidenza a Gesù che è il medico dell'anima; più chiare saranno le cose più presto ci cureremo.
Dunque facciamoci coraggio, guardiamo in faccia la nostra passione predominante ed abbassando la testa diciamo: Questa è la mia miseria, qui l'oggetto della lotta, qui le preghiere e confessioni, qui le Visite e gli esami di coscienza, qui le sante Messe e Comunioni, qui i rosari.
Voglio temerlo questo mio difetto principale perché può portarmi alla rovina eterna, perché sebbene non sia grave può avere gravi conseguenze. Se lo vinco invece, potrò andare molto, molto in alto in paradiso. Nella lotta è il campo dei maggiori meriti, è lì che si prepara la miglior corona per il paradiso. Combattere e vincere, quale gloria!
| | [155] [II. Necessità della lotta]
Ieri sera abbiamo guardato in faccia il nostro difetto predominante. Dite, l'avete conosciuto? Avete conosciuto il nemico fra i sette? Avendo conosciuto il nemico bisogna ammazzarlo, stendere il laccio e prenderlo.
Vediamo dunque quanto sia necessario il combatterlo, prendendolo proprio per il collo, come dice S. Francesco di Sales, e strangolarlo: «Per diciotto anni ho preso la mia collera per il collo» diceva questo grande santo.
Vediamo intanto, la necessità della lotta. È necessario combattere il difetto principale? È necessarissimo e molti sono i motivi, ma specialmente tre: motivi umani, motivi cristiani, motivi
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religiosi. Dobbiamo cioè combattere come uomini, come cristiani, come religiosi.
1. Come uomini: cioè come persone del mondo; ancorché non fossimo cristiani, ma pagani, turchi o ebrei, bisogna combattere i difetti.
Aristotile5, Seneca6, Socrate7, Cicerone8, le dottrine e gli insegnamenti degli egiziani, cinesi e turchi, dicono che dobbiamo vincere certe passioni, perché se esse prendono il sopravvento, rovinano l'uomo; ad esempio la superbia ci rende ridicoli e non più amati; l'invidia rode e fa morir | [156] lo stesso invidioso; l'avarizia fa morir di fame; l'impurità genera rimorsi e pene; il pigro stesso soffre della sua pigrizia; il goloso muore per la sua golosità.
La passione assecondata ci castiga già in questa vita; o vinciamo questa nostra passione, oppure ne saremo vinti.
I nostri progenitori per la loro superbia mangiarono il frutto proibito e, saggi com'erano, divennero ignoranti: non simili a Dio, ma simili ai bruti. Che caterva di pene dopo il peccato!
Caino uccise per invidia il fratello Abele, ma dopo il delitto non ebbe un giorno di pace: ovunque vedeva il sangue del fratello.
Il superbo può essere temuto, ma non amato; tutti lo fuggono; il superbo non troverà buoni amici, l'invidioso troverà che tutti l'invidiano. Il lussurioso dentro è pieno di rimorsi, fuori è abbandonato da tutti, specie dagli innocenti che lo fuggiranno addirittura. E così sarà del pigro e dell'iracondo.
Invece chi vince la superbia è amato da tutti, tranquillo e sereno. Chi vince l'impurità diventerà un angelo e attirerà tutti a sé. Chi vince l'avarizia sarà beato perché «Beati i poveri di spirito perché di essi è il regno dei Cieli»9. Chi vince l'invidia sarà attorniato di venerazione. Chi vince la gola si attirerà tutte le benedizioni. [157]
Guai dunque a una passione non vinta, guai! Chi lotta sarà benedetto e lieto. O vincere o morire. Non vi è via di mezzo. O
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noi uccideremo le passioni o esse uccideranno la nostra pace, la nostra felicità, la nostra fortuna sulla terra. Vediamo Nerone10, Lutero11! Che esempi terribili!
2. Vincere come cristiani, perché abbiamo un cielo da guadagnare e la passione allontana dal cielo, anzi lo chiude; quindi: o vincere o morire, significa: o paradiso o inferno!
Il ricco Epulone dov'è? «Et sepultus est in infernum»12. Così Caino, così Giuda.
Anche se la passione non è subito peccato grave, assecondandola lo diventa perché può portare a cose gravi.
La Sacra Scrittura è piena di esempi di gente che per non aver saputo combattere e vincere le proprie passioni è stata inghiottita dall'inferno.
Tutte le passioni sono capaci di condurci all'inferno. Se non si domina un po' la gola, la pigrizia in cose piccole, si diventa poi schiavi della passione e si può perdere la vocazione ed essere eternamente rovinati.
O vincere o morire. Se non si vince da bambine la superbietta, l'invidiuzza, la pigrizietta, ecc., queste passioni crescono e non si vinceranno più.
I difetti sono poco visibili alle volte, ma bisogna partire da principio e togliere il primo | [158] germe, altrimenti ci portano lontani quanto il paradiso è lontano dall'inferno.
Giuda si faceva sempre ragione perché metteva da parte qualcosa per lui, ma dove è andato a finire?
Noi non cresciamo più dopo i 20 - 22 anni, ma le passioni crescono e le Scritture dicono così: «Le sue ossa saran piene dei vizi della sua giovinezza, i quali andranno a dormire con lui nella polvere»13.
Oh, siamo sapienti! I maggiori meriti stanno nella lotta e il combattere la passione predominante è grandemente meritorio. Il merito, ripeto, è nel combattere, non nel non aver passioni o tentazioni.
«Sono piena d'invidia, di fantasiacce; mi sembra d'avere un
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gran disordine nel cuore e nella mente…». Va bene! e combatti? Se è così va benissimo ed allora: Optime! I soldati guadagnano la medaglia quando combattono: è nella lotta il merito, non nel pacifico possesso della virtù.
La superbia poi, bisogna pestarla, distruggerla bene perché è come i gatti che non vogliono mai morire. Un tale, un giorno, aveva preso un gatto e dopo averlo legato in un sacco, pestato ben bene se lo vide poco dopo sulla soglia di casa sua.
Al mattino fate buoni propositi, ma prima | [159] che siate ritornate dalla chiesa, la superbia vi attenderà sulla porta della casa.
Tante però confondono la tentazione col peccato e si affannano perché sono tentate e non capiscono che il merito è nella lotta. Bisogna che a questo riguardo domandiamo più grazie: le passioni sono come la gramigna: si zappa, si estirpa, si butta via, ma cresce di nuovo e rinvigorisce.
Qual è la nostra passione principale? Fra le sette, di solito, prevalgono tre: superbia, avarizia e sensibilità. Tutto ciò che è nel mondo è superbia, avarizia, piacere. Guardiamo un po' in faccia la nostra passione predominante e diciamole: Preferisco far morire te, che morire io.
3. Vincere come religiosi. La superbia, l'avarizia, il piacere, sono le tre passioni che recano danno più di tutte le altre. La superbia non lascia più comprendere i consigli evangelici, mentre se la vinceremo, ameremo l'umiltà e ubbidiremo pure agli inferiori, intendendosi per inferiori coloro che riconosciamo inferiori a noi, ma che hanno l'autorità di comandarci. Forse sbagliavano anche la Madonna e S. Giuseppe nel dare certi ordini a Gesù, ma Gesù ubbidiva.
Se vinceremo la sensibilità si potrà fare il voto di castità. Se vinceremo la comodità procurando di avere | [160] il distacco da tutte le cose, si potrà fare il voto di povertà.
Se volete proprio essere religiose, dovete diventare umili come disse Gesù: «Imparate da me che sono mansueto ed umile di cuore»14.
La sposa deve seguire lo sposo. Se volete essere intime con Gesù, dovete amare la povertà come l'amava lui, che a Nazaret dava ogni risparmio a Giuseppe, mangiava un tozzo di pane e beveva alla fonte.
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Se vogliamo davvero amare Gesù, essere religiose, dobbiamo lottare, perché i voti portano molti obblighi a cui si è strettamente tenuti.
Chi ama la terra non amerà mai il Signore, mentre chi ha il cuore acceso di amore a Gesù non guarda la terra.
Se non si lotta si è vinti e si perde la vocazione e tutto il merito particolare. Piuttosto che non osservare i voti e le Regole è meglio rimanere nello stato secolare, insegna S. Paolo15, poiché in tal caso se si manca si commette un solo peccato.
Chi combatte con forza la passione predominante avrà la vocazione e la seguirà, avrà sempre più grazie, una morte più tranquilla, un paradiso più bello.
Gesù vuole spose che l'amino davvero e sappiano seguirlo come la sua Madre santissima al Presepio e al Calvario.
O vincere o morire, dunque non vi è via di | [161] mezzo. Prendiamo di fronte la nostra passione e combattiamola a sangue senza darci pace, proprio come S. Francesco di Sales per diciotto, per venti, per trenta anni.
[III. Mezzi per vincere la passione predominante]
Conosciuta la passione principale è necessario combatterla seriamente, perché sulla terra questa è la nostra sorte: combattere. Non vi è che una lotta tra l'io e Dio!
L'io che si manifesta in tutto e cerca il piacere, le comodità, la soddisfazione, e Dio che vuole regnare con l'amore e con la grazia nel nostro cuore.
Questa è la natura della Chiesa militante. Dobbiamo sempre combattere l'io, quel nemico che è in casa nostra. Non fa bisogno che andiamo in trincea e che vestiamo la divisa di soldato. La nostra divisa è il carattere ricevuto nella Cresima e dobbiamo convincerci che dobbiamo combattere come ha combattuto Gesù Cristo, perché siamo nella lotta.
Pietro credeva dover combatterle con le armi e, sfoderata la spada, tagliò un orecchio a Malco, ma Gesù lo rimproverò dicendo:
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«Credi forse che io non possa pregare il Padre, che mi darebbe subito più di dodici legioni di angeli?»16. | [162]
La vittoria di Gesù fu di vincere se stesso e compiere la volontà del Padre.
Vincere se stesso vuol dire vincere la più grande battaglia. È nella natura, nello spirito della Chiesa il combattere, e tanto più se si è religiosi, perché il religioso è uno che vince più degli altri la superbia, l'avarizia e la lussuria, di modo che non solo deve vincere i difetti, ma guidare al bene le passioni.
L'arma alla mano, sempre, sempre, perché siamo ovunque inseguiti dal nemico. La nostra vita è una battaglia e sono in errore quelle anime che credono di vincere standosene pacifiche. Anche nel letto, anche nel riposo dobbiamo essere armati.
Come faremo a vincere la passione predominante che si sfoga nell'io? 1) Con l'esame di coscienza; 2) con la preghiera; 3) con lo sforzo continuo; 4) con la vita comune.
Diciamo alla nostra passione: Guardiamoci bene di fronte: uno di noi due deve morire.
La medaglia al valore del cielo è la corona della vittoria. Non un vinto ha la medaglia, ma un vittorioso. Il vinto è sempre disapprovato perché debole, e al giudizio sarà coronato solo colui che avrà combattuto come si deve. I santi si sono fatti tali, vincendo le proprie passioni, che d'ordinario erano molto violente. Ecco il merito. | [163] Credete che si faccia grandi meriti una persona indifferente, che non sa neppure darsi ragione se la rimproverano? Chi è che si fa grandi meriti? Chi sente tutta la ribellione, chi è pieno di grandi passioni che non lo lasciano dormire, ma combatte, costui si fa gran santo.
«Castigo il mio corpo e lo costringo a servire»17, diceva S. Paolo; «Vedo nelle mie membra un'altra legge che si oppone alla legge della mia mente e mi fa schiavo della legge del peccato che è nelle mie membra»18. Ma in fin di vita poteva però dire: «Ho combattuto la buona battaglia, sono giunto al termine della mia corsa, ho conservato la fede e non mi resta che ricevere la
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corona di giustizia che mi darà in quel giorno il Signore giusto giudice»19.
Perseguitava Dio, ma richiamato si piega, cede e dice: «Ti adoro»20. Molti non si convertono perché accecati dall'amor proprio. Bisogna combattere con S. Paolo che diceva: «Rendo il mio corpo soggetto». Dichiarare dunque guerra alla nostra passione predominante e prendere le armi.
1. Esame. Proporre negli Esercizi, nel ritiro, nelle confessioni, nell'esame della sera e vedere le sconfitte e le vittorie. Ecco il piano. | [164]
Proporre e riproporre per tanti anni, è qui il punto dei maggiori meriti: vincere noi stessi. Se avessimo vinto anche tutto il mondo e non avessimo vinto noi stessi, non avremmo fatto nulla. Il merito più grande sta nel vincere noi stessi, non vincere gli altri, perché vincendo noi stessi andremo in paradiso, attirando poi anche gli altri.
Il fine per cui siamo qui in questa casa religiosa, è farci sante sottomettendo: la superbia con l'obbedienza; lo spirito di comodità con la povertà; la sensualità con la castità.
Quando queste passioni durano anche trenta, quaranta anni, si potrà prendere diversi mezzi e metodi per combatterle, ma bisogna convincersi della necessità di lottare anche tutta la vita.
Non facciamoci un piano diverso e parliamo chiaro sempre. Il pane è nutrimento, non leccornia. Diciamo le cose come sono, perché Gesù parlerà chiaro. Certe parlano di amor di Dio e hanno il cuore molto attaccato alle cose di questa terra. Non bisogna dire: Il mio meraviglioso cavallo, quando è un asinello.
Veniamo un po' al positivo. Quando diverrete suore eleganti nello spirito, sarete perdute. Quando diventerete anime rare, bisognerà lasciarvi prendere il volo e non tenervi più.
Siamo sulla terra, siamo per combattere, siamo nella Chiesa militante, quindi stiamo «sode»; siamo coi piedi sulla terra.
«Qui vult post me venire, abneget semetipsum, ossia: chi vuol venire dietro di me, rinneghi se | [165] stesso, prenda la croce e mi segua»21, cioè combatta l'io.
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I propositi dunque siano tutti qui: cannoni e fucili contro il nemico!
2. La preghiera. Tutte le preghiere devono essere rivolte ad ottenere la vittoria sulla passione predominante, perché questo è il lavoro principale che si deve compiere.
Dunque, tutte le Messe, tutte le Comunioni, tutte le Visite, i rosari: tutto dev'essere diretto a questo fine. Voi dite: E l'acquisto delle virtù? Le virtù vengono da sé. Chi combatte la superbia diventerà umile e quindi osserverà l'obbedienza. Chi combatte la comodità, diventerà povero. Ecco le virtù. Parliamo chiaro al Signore, non perdiamoci in tante cose secondarie e vane.
3. Lo sforzo. Durante il giorno vigilate, vigilate: in ricreazione, in studio, in apostolato.
Quante intenzioni storte si hanno talora! Quante! Ecco la superbia, ecco la vanità! Bisogna combatterle con forza, e subito, non appena si presentano. Ma, ma... dirà l'io. L'io avrà sempre i suoi «ma». Noi però allegramente, ma inesorabilmente lo domineremo, altrimenti, una sola volta lasciato, si rinforzerà e morderà di più. Ma bisogna lasciarlo gridare; il nostro io è tanto sensibile, ma non dobbiamo lasciarci impressionare dalle sue pretese.
4. Vita comune. La vita religiosa è la | [166] perfezione della lotta e nella comunità troveremo più mezzi per vincerci e farci santi.
La Chiesa nell'approvare le Regole di un istituto dice che sono atte a condurre alla santificazione con l'osservanza dei tre voti e della vita comune. Quindi:
a) Star sempre nell'obbedienza a tutti i consigli. La superbia strillerà e diventerà furibonda, ma non importa. Attenersi proprio all'obbedienza comune, questo è il gran mezzo che ci fornisce la Casa ed è l'esercizio pratico dell'umiltà.
b) Star sempre nell'osservanza della povertà, cioè della vita comune, con l'orario; laboriosità esterna ed interna nel modo di riuscire presto e bene.
Vita comune nella povertà del vitto, nel vestito, non un filo, non una orlatura di più, nell'abitazione, nel letto, ecc.
Qui vi è un gran mezzo di vittoria; chi va più avanti, trovandosi nell'estrema povertà, supera ogni difficoltà; l'anima diventa un fecondo virgulto, quando è attaccatissima allo spirito della
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Casa. Pronta ad ogni rinunzia, ad ogni obbedienza, anche ad inferiori.
c) Anche per vincere la sensibilità, è mezzo preziosissimo la vita comune. Non simpatie o antipatie, ma sopportare tutti, tenere le regole date sul decoro, sulle avvertenze e specialmente eccitare il cuore a gran fervore: vinceremo così la concupiscenza della carne.
Abbracciando interamente la vita religiosa, | [167] vinceremo l'io; perché abbracciando i voti, vinciamo la superbia, l'avarizia e la lussuria.
Pensiamo: la vita è lotta continua, fino alla morte. «Prendete la vostra croce e seguitemi»22, predicava chiaro Gesù Cristo. «Siate perfetti, come è perfetto il Padre vostro celeste»23. «Così pure chi di voi non rinunzia a tutto quel che possiede, non può essere mio discepolo»24. «E chi non prende la sua croce e non mi segue non è degno di me»25.
Dobbiamo combattere fino alla morte, perché la superbia morirà tre ore dopo di noi. In tutto affidiamoci alla comunità, anche per i suffragi. Ringraziamo ed affidiamoci a quel Gesù al quale non abbiamo chiesto il Battesimo e ce l'ha dato, a quel Gesù che ci ha chiamate a sé senza che lo domandassimo, a quel Gesù che nella Comunione viene sempre a noi e si dà a noi interamente.
Il piano è la lotta, lotta continua! Solo in paradiso ci sarà pacifico possesso. Se si cade, avanti; se si rimane feriti, avanti ancora; sempre!
Chi segue la vita comune ripara tutta la vita passata, anche se avesse commesso molte mancanze.
Con coraggio, dunque, avanti sempre fino alla morte.
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* Ritiro mensile, tre meditazioni, in ciclostilato, fogli 7 (23,5x35), tenuto ad Alba il 27-28 ottobre 1931 dal Primo Maestro. Il ciclostilato porta come titolo «La passione predominante». Data l'importanza che il Primo Maestro vi attribuiva, l'argomento è stato trattato più volte e il testo fu fatto circolare tra i membri della FP attraverso ciclostilati e stampe. Sono giunte perciò a noi varie versioni. Risulta che il 27.11.1931, è stato tenuto da Don Alberione un altro ritiro trasmesso in ciclostilato, fogli 5 (23,5x35), con il titolo: La passione predominante. Per il Natale 1931 fu stampato un opuscolo con il titolo: La passione predominante - conoscerla - guidarla - vincerla - Istruzioni del Primo Maestro, Alba Pia Società San Paolo, Natale 1931, pp. 47. Nel 1940 venne stampato in HM I, 2, Roma 1940, pp. 148-167. Inoltre, con data di stampa 1953, fu diffuso un opuscolo La passione predominante - divenga forza e virtù principale, Edizioni Paoline, Roma 1953, pp. 62. Nelle varie edizioni ciclostilate e di stampa ci sono alcune varianti riguardanti lo schema. Nella presente raccolta si è assunto come originale lo stampato di HM I, 2, perché conforme al ciclostilato del 27-28 ottobre 1931 e perché quasi certamente Don Alberione ha rivisto le bozze e approvato la stampa di HM I, 2.
1 Il testo del primo capoverso tra < > è ripreso dal ciclostilato del 27.10.1931, perché originariamente il ritiro è stato tenuto a fine ottobre, e sostituisce quello di HM I, 2, dove è posto come ritiro per il mese di settembre.
2 Cf Es 5,2.
3 Cf Gal 5,21.
4 Cf Ap 3,16.
5 Aristotele, filosofo greco (384-322 a. C.).
6 Seneca filosofo latino (5 a. C.-65 d. C.).
7 Socrate filosofo greco (469-399 a. C.).
8 Cicerone oratore e uomo politico romano (106-43 a. C.).
9 Cf Mt 5,3.
10 Nerone imperatore romano (37-68).
11 Martin Lutero (1483-1546), teologo tedesco, monaco agostiniano. Diede origine al Luteranesimo e al movimento della Riforma.
12 Cf Lc 16,22.
13 Cf Gb 20,11.
14 Cf Mt 11,29.
15 Cf 1Cor 7,9.
16 Cf Mt 26,53.
17 Cf 1Cor 9,27 (Volgata).
18 Cf Rm 7,23.
19 Cf 2Tm 4,7-8.
20 Cf At 9,5: «Chi sei, o Signore?».
21 Cf Mt 16,24.
22 Cf Lc 9,23.
23 Cf Mt 5,48.
24 Cf Lc 14,33.
25 Cf Mt 10,38.