Anno XXXI
SAN PAOLO
Novembre 1956
Casa Generalizia, Roma
AVE MARIA, LIBER INCOMPREHENSUS, QUAE VERBUM ET FILIUM PATRIS MUNDO LEGENDUM EXHIBUISTI (S. EPIPHANIUS EP.).
In morte di D. Agostino Damonte
Il 29 ottobre, di prima mattina, giungeva a Casa Generalizia un telegramma di Don Bernardo Borgogno da Canfield, Ohio, Stati Uniti, che annunziava il repentino decesso di Don Agostino Damonte, appena arrivato negli Stati Uniti. Ne veniva informato per telefono il Primo Maestro, a Torino per i suoi Esercizi Spirituali annuali, e poi tutte le Case del mondo.
Qualche giorno dopo giungeva da Staten Island, New York, il racconto dettagliato che trasmettiamo, scritto da Don Mario Gandolfi, indirizzato al Primo Maestro:
... ho pensato di descriverLe, anche nei più piccoli particolari, le trentadue ore di vita di Don Agostino negli Stati Uniti.
Don Agostino arrivò al porto di New York sabato mattina, 27 ottobre, alle ore otto, e scese dal piroscafo alle ore dieci. Don Bernardo ed io eravamo ad attenderlo. Quando scese dal piroscafo ci abbracciò tutti sorridente, dimostrando quanto fosse contento di essere finalmente giunto negli Stati Uniti, anzi più volte ripeté la frase: - Mi sembra ancora un sogno... di trovarmi a New York. - Prima di svincolare tutto il bagaglio, (dato che aveva con sé molte casse affidategli), passarono tre ore. All'una pomeridiana fummo liberi e si parti in macchina per Staten Island, dove arrivammo esattamente alle due pomeridiane. Dopo aver pranzato, Don Bernardo ripartì per Canfield dove aveva impegni per il giorno dopo, e Don Agostino rimase con noi a Staten Island con l'intenzione di riposarsi un poco e dopo qualche giorno proseguire per Canfield, Ohio, alla quale comunità era stato assegnato.
Dopo la partenza di Don Bernardo, Don Agostino rimase con me per circa un'ora. Gli feci vedere i diversi reparti d'apostolato, specialmente la tipografia e il magazzino delle nostre edizioni. Fu sorpreso di vedere le diverse edizioni che avevamo stampato negli ultimi due anni e mi disse: Non credevo che aveste già tante edizioni. In Italia non si conoscono queste vostre edizioni, non si sa che avete già stampato tanti titoli. Si parlò molto del nostro Apostolato e delle possibilità che ci sono negli Stati Uniti di fare un lavoro simile a quello di Don Gabriele. Don Agostino dimostrò l'entusiasmo di un Sacerdote appena ordinato. Disse che si sarebbe messo a studiare bene l'Inglese; che avrebbe cercato di comprendere l'ambiente e la mentalità americana; che aveva portato con sé diversi libri francesi, e che eventualmente avrebbe potuto suggerire quali titoli sarebbe stato bene tradurre e pubblicare negli Stati Uniti. Io ricevetti un'ottima impressione dell'entusiasmo che Don Agostino dimostrò fin dalle prime ore che si trovò in mezzo a noi; tanto più che prima mi ero fatto l'idea che forse qui si sarebbe scoraggiato, data la sua età, la difficoltà della lingua e l'ambiente così diverso.
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Verso le tre pomeridiane Don Agostino andò a riposarsi e dormì bene fino alle sei e trenta, quando lo svegliai perché venisse a cena. Durante il pasto non mangiò molto, dato che aveva mangiato solo quattro ore prima, ed anche perché si sentiva lo stomaco un po' pesante, dato il lungo viaggio di quindici giorni. Rispose molto affabilmente a tutte le nostre domande, dimostrò di essere molto gioviale e allegro. Soltanto quando gli si facevano certe domande rispondeva: "A dire il vero, io non ne so nulla; ho sempre preferito non immischiarmi nei pettegolezzi altrui".
La domenica mattina Don Agostino celebrò la S. Messa alle Pie Discepole e dopo la Messa tenne loro la Meditazione. Una frase, che rimase impressa in tutte le Suore, fu questa, che disse loro nel lasciarle: Pregate per me, recitate per me il De Profundis; ma alla fine dite il Gloria invece del Requiem; quando poi sarò morto, direte il Requiem. Alle otto fece colazione e si fermò a parlare a lungo con Don Domenico Lunghi. A mezzogiorno fece pranzo con i Discepoli, dato che i Sacerdoti erano tutti assenti per il servizio domenicale; si intrattenne con loro durante la ricreazione; visitò Fra Giovanni che era a letto indisposto; poi andò a riposarsi. Alle tre e venti andai a bussare alla porta della sua camera e gli dissi: Devo andare dalle Figlie di San Paolo per confessarle e dar loro la Benedizione del Santissimo; se vuoi venire a fare una passeggiata in macchina, puoi dare loro la Benedizione mentre io confesso, e così vedrai anche il posto dove abitano. Accettò, si preparò e si partì. Arrivati dalle Figlie, egli diede la Benedizione ed io confessai; poi si parlò con M. Paola, che ci offrì il caffè; si combinò che Don Agostino avrebbe predicato il Ritiro Mensile alle Figlie il giorno di tutti i Santi e alle Discepole il giorno dei Morti; e al sabato l'avrei condotto a Boston per vedere la nuova casa delle Figlie; presentò i saluti della Prima Maestra a tutte le Suore; e ritornammo a casa.
Nell'andare e ritornare dalle Suore parlammo quasi sempre di Apostolato e della lingua inglese; Don Agostino cercava di leggere i segnali del traffico o le iscrizioni sopra i negozi, poi mi chiedeva se aveva letto bene, e che gli traducessi quello che non riusciva a capire. In tutto questo tempo non diede il minimo segno di sentirsi poco bene, e nemmeno di essere stanco.
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Arrivati a casa mi disse: Ora vado in Cappella a pregare un poco; oggi sono stato tutto il giorno coi Discepoli e devo ancora finire il Breviario. Andò in camera a prendersi il Breviario e poi andò in Cappella; io andai nella mia camera e incominciai a recitare l'Ufficio del giorno dopo. Avevo appena finito il primo notturno, quando Don Omarini bussò alla porta tutto eccitato e mi disse: Don Agostino è svenuto in cappella, vieni giù subito. Quando arrivai in cappella era già spirato. Gli diedi l'assoluzione e l'Olio Santo sotto condizione. La morte fu veramente fulminea. Un altro Sacerdote era inginocchiato nello stesso suo banco: accorgersi che non poteva più respirare e vederlo cadere a terra morto fu la stessa cosa. Telefonammo al medico della Casa, che venne subito; ma solo per dichiarare che Don Agostino era morto di collasso cardiaco.
È difficile esprimere quale dolore abbia causato questo fatto alla nostra Comunità e alle due Comunità delle Figlie e delle Discepole. Don Agostino non ci ha predicato il Ritiro Mensile con la sua parola; ma con la sua morte. E quale Ritiro! Non ce lo dimenticheremo così facilmente».
La salma venne esposta nella Cappella della Comunità, e la mattina del 31 ottobre, nella Parrocchia di Santa Rita, venne celebrato il funerale dal Provinciale degli Stati Uniti Don Borrano, alla presenza dei Sacerdoti e Discepoli arrivati da Canfield, Derby, Detroit, e da Montreal. Era giunto pure dal Messico Don Zanoni, avvisato per telefono.
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Don Agostino Damonte era nato a Canale (Cuneo), nella Parrocchia di San Vittore, il 25 aprile 1904. Nel 1919, 3 agosto, era entrato nella nostra Casa, allora Scuola Tipografica, proveniente dal Seminario di Alba, dove aveva frequentato con onore la IV ginnasiale e goduto della Direzione Spirituale del nostro Fondatore. Nel 1921 aveva fatto la sua prima professione religiosa, che per necessità di cose fu privata. Venne ordinato sacerdote il 18 dicembre 1926, insieme a Don Bernardo Borgogno e a Don Saverio Boano.
Fece la sua professione perpetua colla costituzione della Pia Società San Paolo il 16 marzo 1927. Esiste un documento del tempo, in cui sono elencati i nomi dei Sacerdoti che costituirono la nostra Società: un elenco A, formato dal Fondatore e da dodici Sacerdoti, ed un elenco B, formato dai nomi di Don Boano, Borgogno e Damonte.
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Si era licenziato in S. Teologia alla Facoltà Teologica di Torino.
Nel 1935 era stato inviato a Colonia in Germania, insieme a Don Michele Cazzullo, per tentarvi la fondazione d'una Casa; dopo una settimana di infruttuosi tentativi aveva ripiegato su Bruxelles, dove rimase provvisoriamente come cappellano nella Parrocchia di Sant'Agostino; intanto, preso in affitto prima un appartamentino e poi una casetta, aveva iniziato un'edizione dei Santi Evangeli, sempre attendendo un nulla osta che non veniva. Nel 1939 dovette rinunziare e ritirarsi nella Casa di Parigi. Intanto scoppiava la guerra mondiale. Rimase come collaboratore apprezzato a Parigi fino al 1949. Richiamato a Roma insegnò Teologia per due anni. Nel 1951 venne mandato come Superiore a Parigi, fino al 1954. Esercitò le sue funzioni di Superiore con grande soddisfazione di tutti. Da due anni aveva espresso il desiderio di recarsi negli Stati Uniti. Finalmente fu destinato alla casa di Canfield negli Stati Uniti, dove sembrava dovesse fiorire per lui una seconda giovinezza, e dove il suo bell'ingegno e la sua cultura, dopo l'ambientamento necessario, avrebbe dato un grande contributo allo sviluppo delle Edizioni Paoline di lingua inglese. Invece il Signore lo volle con sé dopo soltanto trentadue ore dall'arrivo in terra americana.
La sua figura morale è forse molto più bella di quanto pensassero alcuni confratelli che non l'avevano conosciuto se non superficialmente; perché era piuttosto schivo dal parlar di sé, prender posizione o assumere iniziative vistose. Grande, indefesso lavoratore: per molti anni, da giovane, da chierico e anche da sacerdote, stava attaccato, quasi con accanimento alla Linotype. Si era formato una bella cultura, specialmente sacra e letteraria; era una mente aperta ai movimenti intellettuali e ai problemi del nostro tempo, sacerdotalmente. Portava un amore veramente appassionato alla nostra Società, cui s'era donato anima e corpo. La sua spiritualità si è rivelata, a sprazzi, dato il suo carattere schivo, molto profonda e illuminata e solidamente fondata: fatta d'amor di Dio, di abbandono filiale ed anche d'una serenità quasi ingenua, di letizia interiore. Poteva sembrare inclinato alquanto al pessimismo; ma soltanto per le cose contingenti, pratiche, quasi per difendersi, per misura prudenziale, dagli eventuali scacchi. Non era affatto un pessimista per le cose superiori, soprannaturali, dello spirito. Anzi mostrava una facoltà di ricupero ed entusiasmi giovanili, come risulta dalla relazione delle sue ultime ore. D'una fedeltà a tutta prova nei riguardi del Primo Maestro, accettava con semplicità tutte le disposizioni, anche di molto sacrificio, mettendovi tutto il suo impegno.
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Buon compagno, sapeva stare allo scherzo, non era capace di rancore; sensibilissimo, sempre pronto a render servizio e a compatire. Dei propri difetti si rendeva conto chiaramente e non s'impermaliva quando alcuno glieli faceva presenti; cercava di correggersi seriamente, ne soffriva e sapeva pure scherzarci sopra. Sincerità e lealtà gli erano care sopra ogni cosa.
È un altro degli operai della prima ora che il Signore chiama a sé, fra i membri della nostra Società. Che il Divin Maestro ne susciti molti altri di questa tempra al posto suo.
La Prima Maestra scrive: Don Agostino ha fatto tanto del bene alle Figlie di San Paolo, specialmente col suo fervore nella predicazione e nella confessione.
D. Gilli Paolino riferisce: «Eravamo in udienza presso il Vescovo degli Italiani a Parigi. Si parlava di libri, tanti libri. Sopra ciascuno di quelli che venivano citati, Don Agostino dava un giudizio sicuro. Ad un certo momento il Vescovo gli chiese: - Ma voi avete letti tutti i libri di questo mondo?».
D. Paolo Marcellino
Ovunque si vede sempre più necessaria la cura dei bollettini parrocchiali, del settimanale diocesano ecc. Come nel principio, l'opera del Paolino deve accompagnare, aiutare, completare, rafforzare, difendere la predicazione orale. Non sono due ministeri, ma uno solo esercitati con diversi mezzi.
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