3. FINE E SPIRITO DELLA CONGREGAZIONEArticoli 3-9 (conclusione) II Istruzione, Castel Gandolfo, 15 agosto 19581
Vi sono nella Chiesa Istituzioni per le vocazioni ma nessuna Istituzione è quale si prospetta la vostra, e cioè: per tutte le vocazioni, e con tutti i mezzi, con tutte le forze e per tutti gli apostolati. Vi sono, per esempio, Istituzioni per le vocazioni sacerdotali, in modo particolare per cercarle e per aiutarle materialmente. Ma la vostra ha un carattere generale che corrisponde all’intenzione del Maestro Divino, e cioè: tutte le vocazioni, per tutti gli apostolati, per tutti gli Istituti, per il clero secolare, per i religiosi, le religiose e gli Istituti Secolari, adoperando tutti i mezzi che sono a disposizione, particolarmente il sacrificio della vita propria, la vita interiore di santificazione, e poi tutta l’attività.
«L’Istituto dovrà molto diligentemente2 seguire quanto è contenuto nelle direttive e nei documenti della Santa Sede a riguardo delle vocazioni religiose e sacerdotali. Curerà le aggregazioni delle3 due Opere Pontificie per le vocazioni che sono erette l’una4 presso la Sacra Congregazione dei Religiosi5,
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l’altra6 presso la Sacra Congregazione dei Seminari7». Sì, lì è espresso il pensiero della Chiesa e la sollecitudine della Chiesa: presso la Congregazione dei Religiosi si promuovono particolarmente le vocazioni religiose e presso la Congregazione dei Seminari particolarmente le vocazioni ecclesiastiche, cioè per il clero secolare. Questi due programmi, o questi due statuti delle due Opere Pontificie, sono da leggersi perché servono di indirizzo; ma, siccome si rivolgono a tutti, naturalmente non hanno quelle particolarità che riguardano la vostra attività in modo speciale.
E la Congregazione vostra «si interesserà pure dei laici che si dedicano alle opere caritative e sociali; all’istruzione religiosa, ed al culto nelle sue varie e molteplici manifestazioni8».
Dalle domande che mi avete fatto, da un’espressione che ho sentito, ho veduto che bisogna chiarire alcuni punti: perciò qua e là introduco qualche variazione.
Quando un Istituto nasce con un fine particolare deve sempre tenere quel fine. Quindi il numero 5 dice: «Senza l’autorizzazione della Santa Sede non si può mutare il fine speciale della Congregazione, né aggiungervi in modo permanente opere che non siano in esso comprese».
Se si volesse cambiare l’Istituto in un altro, e cioè dando all’Istituto un’altra finalità, occorrerebbe il permesso della Congregazione dei Religiosi, cioè della Santa Sede. Chi volesse - supponiamo - dedicarsi totalmente a qualche genere nuovo di opere… Per esempio, pensasse: Nelle scuole si raccolgono vocazioni; perciò decide: Ci dedichiamo alla scuola dei fanciulli, delle fanciulle. Non è questo il mezzo ordinario vostro. Qualche volta [l’Istituto] potrà anche arrivare a questo, ma non è il mezzo ordinario: né si possono aggiungere «in modo permanente opere che non siano in esso comprese».
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Se le suore si dedicassero ai servizi nei Seminari - come sono molte suore nei servizi domestici e, cioè, la cucina, il bucato, la rammendatura, eccetera -, certo anche quello è per le vocazioni, ma da voi è escluso: non si possono aggiungere «in modo permanente opere che non siano in esso comprese».
Sesto: «I membri dell’Istituto vivono del loro apostolato e di beneficenza. Ricordino che per il loro fine stesso e lo spirito della loro Congregazione, debbono condurre una vita semplice, così che il popolo veda in esse persone esemplari e le avvicini con fiducia. Perciò anche le loro abitazioni siano decorose, convenienti per suore, ma nulla abbiano di ricercato, lussuoso e superfluo».
Qui vi è un articolo di grande importanza. Bisogna che l’Istituto viva; e l’Istituto vive se si curano le quattro parti insieme e cioè: spirito, studio, apostolato e povertà, cioè economia. Perciò bisogna che l’Istituto viva e si mantenga da sé, altrimenti è sempre bambino: non arriva a quella formazione piena.
Oh! Non si è un Istituto che va cercando di casa in casa l’elemosina… no; ma la beneficenza sì… in altre forme, in altre maniere: distinguere. «Vivono del loro apostolato»: quindi nelle opere di apostolato, mentre che si vanno pensando e studiando, occorre sempre che vi sia pure quello che è necessario per la vita. E quel che è necessario per la vita riguarda la salute, riguarda l’abitazione, riguarda il vitto, riguarda il vestito, riguarda il tempo in cui si è in salute e riguarda il tempo in cui si è infermi, si è in età avanzata. Sempre notare questa parte: l’apostolato deve dare anche il sufficiente per la vita ordinaria; per le opere invece straordinarie, nuove, di più la beneficenza.
Quindi, per incominciare qui la Famiglia avete avuto in beneficenza la casa e il terreno e le prime spese: quindi è stata una cosa straordinaria9. Ma per vivere poi abitualmente, bisogna contare sopra di sé. Il Papa vuole che le suore
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producano, operino, lavorino tutte, o clausura o non clausura10. Quelle che si danno alla scuola ricavano il vitto dalla loro scuola e quelle che si danno al servizio degli ospedali ricavano il vitto dal loro servizio - sono appunto retribuite -, perché ognuno deve vivere del suo apostolato: «De altari vivere debet»11… anche il prete deve avere l’offerta nella Messa e il parroco ha le sue entrate per dedicarsi alle opere spirituali del suo ministero. E così tutti nella Chiesa di Dio.
Oh! Arrivare alla maggiore età anche in questo: l’Istituto nel suo complesso che divenga maggiorenne; e ciascheduna in se stessa e per se stessa, diventar maggiorenne. Sì. Se voi guardate nelle famiglie, il padre, la madre sono quelli che sostengono i loro figlioli finché non siano arrivati a uno sviluppo sufficiente. Poi ciascheduno deve vivere del proprio lavoro.
E quanto alla beneficenza, vi sono varie maniere. San Francesco d’Assisi voleva che i suoi mendicassero il pane quotidiano12 e questo, più o meno, è ancora praticato in qualche forma dai suoi religiosi. Però bisogna tener presente come sono i tempi moderni, i tempi attuali: lo stimano il religioso che lavora, e aiutano il religioso che lavora, eh!
E poi, in secondo luogo, occorre che la beneficenza prenda un aspetto diverso, e cioè: curare il modo di avere quegli aiuti in una forma più moderna, corrispondente alla società attuale. Per esempio l’opera dei Cooperatori, i quali sono istituiti anche per questo fine - oltre che per avere l’aiuto delle preghiere e la collaborazione -, anche per questo fine delle offerte. Ad esempio,
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chi si iscrive ai Cooperatori dando l’offerta che è prescritta così, 1.000 lire, partecipa alle 2.400 sante Messe che vengono celebrate ogni anno dai religiosi della Società San Paolo.
La vita poi deve essere semplice, cosicché non veda il popolo minuto13 delle persone le quali hanno o abitazione o un arredamento o un modo di vivere comodo, ricercato, magari con qualche cosa che è superfluo, se non lussuoso. Bisogna imitare la vita di Maria, la vita di Gesù. Lavoravano? Maria tesseva la tunica di Gesù e faceva le faccende di casa, ed essa vedeva il suo Figliolo fino al banco del lavoro dietro l’esempio di san Giuseppe. Ed è bello considerare la Sacra Famiglia rappresentata: Giuseppe in piedi con la pialla che lavora al banco e Gesù che, al fondo del banco da una parte, comincia a fare qualche cosa… per esempio pianta dei chiodi; e dall’altra parte Maria che assiste ed ha in mano il suo lavoro, o rammendatura o sta filando14: è quello che deve fare e doveva fare a quei tempi una donna di casa, una madre di famiglia. Sempre laboriosità. Non c’era nulla di superfluo in quella casa ma era tutto pulito e ordinato, decoroso. Ecco. E non tanto si facevano servire, quanto servire altri. Gesù disse: Non son venuto per farmi servire, ma sono venuto per servire [cf Mc 10,45; Mt 20,28].
Quella tendenza che vi è in qualche nazione che le suore sdegnano i lavori un po’ faticosi - come il lavare, fare il bucato e poi quello che è più pesante in cucina -, quella tendenza porta fuori della vita religiosa. La donna non è principalmente la donna di casa? E quando si fa suora perde la sua destinazione? Non perde la sua destinazione la donna in niente. In primo luogo, essa è sempre la donna di casa e non solo è sempre la donna di casa, ma essa compie questo suo lavoro in casa con dedizione, in servizio della comunità; e nello stesso tempo pensa che l’Istituto tutto assieme fa un apostolato, un apostolato così santo, così alto, così prezioso, così meritorio. E non importa che nella casa ci sia chi fa un lavoro, chi fa
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un altro: chi può fare una conferenza e chi può preparare la minestra! Ma è l’Istituto che fa, non la singola persona! E allora i meriti son di tutti, di tutte, ecco, perché è l’Istituto che fa quell’apostolato determinato. E nell’apostolato i mezzi sono vari: chi deve parlare e chi deve preparare il cibo perché [l’altra] possa parlare e perché l’Istituto viva. Sì.
Gesù poi, nel ministero pubblico, visse di carità: la beneficenza. Ed era accolto spesso nelle case dei buoni fedeli, dei suoi buoni fedeli, quelli che l’assecondavano, lo seguivano; e qualche volta, invece, doveva egli con i suoi apostoli elemosinare, e poi il vitto veniva preso all’aperto. E la notte, nel tempo in cui si poteva, il riposo, il sonno veniva preso sotto una pianta, chinati15, sì. Diceva Gesù: Non ho neppure un sasso su cui posar la testa [cf Mt 8,20], sì, perché nulla era di suo. Oh!, sopra questo punto raggiungere la maturità; e studiarvela e tenerla presente questa necessità di raggiungere la maturità personale e la maturità collettiva nell’Istituto.
Oh!, poi a questo punto: «7. Nella fedeltà alla loro missione e allo spirito16 della Congregazione i membri dell’Istituto Regina Apostolorum esercitano la loro fede nella Divina Provvidenza, che è sempre largamente paterna verso chi si fida di essa». Però la Provvidenza non dà il superfluo o il lussuoso, dà il necessario. Il Padre Celeste, che è la stessa Provvidenza, vedete: ha assoggettato il suo Figlio al lavoro - per quanti anni? Fino a trent’anni - e poi a questa umiliazione di vivere di offerte. E certamente Gesù nella sua vita non ebbe nulla di ricercato, di lussuoso, superfluo. Si ha da considerarlo nel presepio, quando tutto si riduceva a una greppia e a un’abitazione di animali; e si ha da considerarlo nudo sulla croce e sepolto in un sepolcro non suo. La Divina Provvidenza provvede quando si lavora e quando si esercita la povertà religiosa. Il Signore ci ha già forniti i mezzi di vita, tanti mezzi, e aggiunge per la sua grazia, per la sua misericordia, quello che è necessario specialmente in ordine alle opere nuove, all’apostolato.
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Vi è poi un avviso molto importante. Numero 8: «Nel compiere il loro delicato apostolato i membri siano sempre soffusi di soavità e di fortezza. Imitino il Divin Maestro, che è la loro luce, il conforto e il premio». Il che vuol dire: sempre si ha da trattare con mansuetudine, con umiltà e anche con soavità, particolarmente quando si tratta delle vocazioni più giovani, sì, dei bambini, dei fanciulli, delle bambine, delle fanciulle, delle giovani… soavità. Perché è stato questo un grande mezzo per Gesù nell’attirare a sé gli apostoli, i discepoli e il popolo: guadagnava con la sua bontà tutti. Tutti guadagnava con la sua bontà. Mai atteggiamenti di superiorità. Quando prendiamo atteggiamenti di superiorità diventiamo inferiori in virtù e in efficacia del ministero. Tuttavia questa bontà non è bonomìa. Tutt’altro! È una bontà illuminata, è tutta soffusa della carità di Gesù Maestro.
E - secondo - di fortezza: che non bisogna scoraggiarsi. La fortezza ci insegna due cose: a intraprendere cose difficili e a soffrire, sopportare quello che si incontra di penoso nella vita. Quindi, fortezza. E certamente che il compimento della vocazione vostra richiede una dedizione generosa. Si tratta di andare, di lavorare; e quante volte la stanchezza e qualche volta anche il ritardo sia nel prendere il cibo sia nel prendere il riposo… fortezza. E fortezza davanti agli insuccessi, al fine di non lasciarsi scoraggiare. Venire fin qui: se anche ottenessi nulla, lavorerò fino alla morte, perché intanto il merito che faccio è mio. Se [le vocazioni] non corrispondessero, io farò sempre l’esame di coscienza: prima, se ho fatto bene; secondo, se io compio da mia parte tutto quel che devo compiere, e cioè, primo, pregare, poi edificare con l’esempio, poi illuminare con la parola e poi insistere con la sollecitudine con cui Gesù insisteva quando si trattava di anime che non volevano arrendersi ai suoi inviti, per esempio la Samaritana [cf Gv 4,7-26]. Sempre avanti senza mai scoraggiarsi! Ma se non otteniamo nulla, abbiamo ottenuto il paradiso: e questo è tutto!
Alle volte poi il Signore permette questo: che una semina - e a fatica! - e frutto visibile non lo vede, ma quel frutto lo raccoglieranno altri. Altri - dice il Vangelo - raccoglieranno
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ciò che voi avete seminato [cf Gv 4,37]. E continuare a seminare - fortezza - imitando il Divino Maestro che è la luce, il conforto e il premio. È la luce con i suoi esempi: leggere bene il Vangelo, come [Gesù] ha operato per le vocazioni. Ed è conforto perché dà la sua grazia; e poi sarà il premio - paradiso -: Voi che mi avete seguito, riceverete il centuplo, possiederete la vita eterna [cf Mt 19,29].
Il numero 9 dice: «I Membri dell’Istituto Regina Apostolorum professano una devozione speciale a Gesù Maestro, alla Regina degli Apostoli [e] a San Paolo Apostolo». Sì, a Gesù Maestro da cui viene a noi la luce, il conforto e il premio. Alla Regina degli Apostoli perché ella è la Madre e, diciamo, la formatrice del primo apostolo, Gesù Cristo. E a san Paolo che si presenta a noi come l’apostolo che ha lavorato di più, più abbondantemente di tutti. Allora, con queste divozioni, che frutti verranno a noi? Primo: la santificazione nostra. Secondo: l’efficacia del nostro apostolato. Terzo: la fedeltà ad esso fino alla morte, sapendo che il nostro lavoro non è mai inutile, mai inutile. E il frutto può essere visibile e può essere in consolazione; e il frutto può essere non visibile, ma il risultato nostro, quel risultato delle nostre fatiche non si vide... non si vede. E Gesù Cristo che è il grande formatore delle vocazioni fu messo sulla croce, e sembrava che la sua opera fosse allora distrutta, mancando lui - come in un esercito se manca il comando, il capitano -, e invece prendeva proprio allora il vigore e cominciava, dopo la sua morte, cominciava la Chiesa ad espandersi nel mondo e, per mezzo dell’opera degli apostoli, raggiungeva i confini allora conosciuti della terra.
Oh! Allora durante questi Esercizi copierete tutte le Costituzioni notando che, avendo in qualche luogo messo qualche spiegazione per chiarire, potrete aggiungerla poi anche a penna, se credete17. Io ve la lascio qui.
Sia lodato Gesù Cristo.
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1 Nastro originale 29/58 (Nastro archivio 31b. Cassetta 31bis, lati 1/2. File audio AP 031b). Titolo Cassetta: “Artt. IV-VIII. L’istituto è per tutte le vocazioni”.
2 Il PM sostituisce di sua mano nel Ds le parole: «farsi scrupolo di», con l’espressione: «molto diligentemente».
3 Il Ds porta: alle.
4 Parola aggiunta dal PM di sua mano.
5 Denominata poi Congregazione per i Religiosi e gli Istituti Secolari nel 1967, e quindi Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica (CIVCSVA) nel 1988. Il PM la cita diverse volte in queste Istruzioni.
6 Parola aggiunta dal PM di sua mano.
7 Il nome completo era Congregazione dei Seminari e delle Università degli Studi. Il PM non legge e cancella dal testo la seconda denominazione. Il nome odierno, stabilito nel 1988, è Congregazione per l’Educazione Cattolica (dei Seminari e degli Istituti di Studi).
8 Nel Ds, il PM scrive di sua mano: «nelle sue molte manifestazioni». Il testo sembra corretto più volte.
9 Don Alberione si riferisce a quanto ricevuto dal padre Domenico Turco (Monastero Vasco/CN 1911 – Roma 1992), Abate della Abbazia dei Monaci Trappisti (Ordine Cistercense della Stretta Osservanza) delle Tre Fontane in Roma, generoso benefattore dell’Istituto.
10 Cf per esempio la Costituzione Apostolica Sponsa Christi [AAS 48(1951), 5-24] di PIO XII (21 novembre 1950) in Enchiridion della Vita Consacrata, Bologna 2001, 2243: «Al lavoro, manuale o intellettuale, sono obbligati tutti, non esclusi gli uomini e le donne che si dedicano alla vita contemplativa, non solo per legge naturale ma anche per un dovere di penitenza e di soddisfazione. Il lavoro inoltre è il mezzo comune con cui l’anima è preservata dai pericoli e si eleva a cose più alte; il mezzo con cui noi, come è nostro dovere, prestiamo la nostra opera alla divina provvidenza, tanto nell’ordine naturale che nell’ordine soprannaturale; il mezzo con cui si esercitano le opere di carità. Il lavoro infine è norma e legge fondamentale della vita religiosa fin dalle sue origini, secondo il motto “prega e lavora”».
11 «[Chi serve all’altare,] deve vivere dell’altare». Massima desunta dal testo paolino della 1Cor 9,13-14.
12 Cf Regola non bollata (1221), VII, 8; IX, 3-9 in Fonti Francescane (FF), Padova 2004, 24, 31; Vita seconda di Tommaso da Celano, XLI-XLVI, 71-76 in FF 659-664.
13 Sta per: umile, modesto, meno abbiente.
14 Questa “rappresentazione”, così come il PM la presenta, corrisponde ad una delle scene mariane illustrate nella Cupola (1951-1954) del Santuario Regina degli Apostoli in Roma.
15 Parola incerta. In ogni modo, sta per: distesi.
16 Il PM dice: e al loro spirito.
17 In effetti, tutti gli interventi sul Ds del PM sono stati riportati nelle prime copie successive, come testo delle Costituzioni stesse.