Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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2. FINE E SPIRITO DELLA CONGREGAZIONE

Articoli 1-2 (continuazione)


I Istruzione, Castel Gandolfo, 15 agosto 19581




Ieri sera abbiamo considerato i due primi articoli delle Costituzioni. E fermiamoci ancora, questa mattina, sopra il medesimo argomento. I due primi articoli delle Costituzioni sono la base di tutto e danno lo spirito alla Congregazione, l’indirizzo. E, allora, le altre cose che susseguono sono applicazioni, spiegazioni e insegnamenti pratici per corrispondere ai due fini principali che sono contenuti nelle Costituzioni, nei due primi articoli.

Il primo articolo è quello che segna il fine generale. Fine generale: la santificazione dell’anima, dei membri. Si associano, si uniscono, le figliole chiamate a questo Istituto, per darsi aiuto nella santificazione. E la santificazione perseguìta con i mezzi segnati nel primo articolo e cioè: povertà, castità, obbedienza praticate per voto; e uniformità della vita, uniformazione della vita ai canoni della Chiesa, cioè alle leggi del Diritto Canonico e alle presenti Costituzioni.
Santificazione: mediante i tre voti. Noi siamo inclinati a tre concupiscenze, le quali concupiscenze impediscono, alle volte, di abbracciare il cristianesimo, perché il cristianesimo impone delle mortificazioni; impone, il cristianesimo, che noi teniamo a freno le concupiscenze, le passioni… che si riducono
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particolarmente a tre. Che se poi un’anima si vuol fare santa, converte queste tendenze dell’animo, queste passioni in altre passioni: passioni che sono opposte alle tendenze cattive della nostra natura guasta. Le tre tendenze cattive che noi abbiamo ereditato dai progenitori sono: l’amore alle ricchezze, ai beni della terra, l’attaccamento; e l’attaccamento ai piaceri della carne, le inclinazioni a questi piaceri; e le inclinazioni alla libertà, all’orgoglio, all’indipendenza. Ora, queste tre concupiscenze, nel cristianesimo, si tengono a freno dai cristiani in modo di non peccare, ma la religiosa le converte in tanti atti di amore.
[Primo.] La povertà, cioè il desiderio dei beni della terra, si converte in un desiderio dei beni celesti. Come dice l’Oremus2 che abbiamo letto stamattina nella Messa: Sempre intenti e desiderosi e protesi verso i beni celesti… e, quindi, arrivare là ad essere tra coloro che sono santi e che attorniano già la santa Vergine, gloriosamente assunta in corpo ed anima al paradiso. Quindi, l’amore e l’attaccamento alle cose della terra si converte in un amore ai beni celesti, ai beni spirituali, alla santità, alla sapienza divina, al santo timor di Dio, alla pietà, all’amore a Gesù Cristo. Si converte, quindi, in quello che dice il Vangelo: «Thesaurizate vobis thesaurum in caelis»3 [Mt 6,20]; diventate ricchi ma dei beni che non periscono, perché questi beni non sono consumati dalla ruggine e non vi sono altri che ce li possano rubare. I ladri possono rubare la borsa e possono rubare altre cose, ma non possono rubare i meriti a un’anima, non possono rubare i meriti. E quando spogliano i religiosi dei loro beni, essi non sanno, i nemici della Chiesa, che i religiosi, le religiose sopportano anche la povertà per amore di Gesù Cristo, anche le privazioni; e questi
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nemici contribuiscono indirettamente, involontariamente, ad aumentare la fiducia in Dio, a cercare più puramente quello che non perisce, cioè i beni, i meriti del cielo.
Secondo. La religiosa converte la passione dell’amore cattivo, delle tendenze cattive, in una passione di amore a Gesù Cristo, al Signore; e offre tutta quella sua tendenza alle cose, ai piaceri della carne… la offre, la consacra, ne fa un sacrificio a Dio e la converte in castità perfetta. E allora l’anima religiosa vive in unione con Dio. Non è che non si ami perché si è religiosi; si ama di più e si ama uno Sposo Celeste, perché la vita religiosa impone il celibato e impone che ognuno si astenga da ogni peccato, interno o esterno, contro la bella virtù. Ma non è soltanto la parte negativa che si ha da compiere, ma la parte positiva. Gesù dice: «Chi vuol seguirmi, rinneghi se stesso…»; ma mette la parte positiva: «Et sequatur me», «e mi segua» [Mc 8,34], cioè si unisca a me. Un amore sconfinato a Dio! Qualche anima chiede qualche volta: Posso fare la mia consecrazione all’Infinito Amore? (o, come si esprimono ordinariamente, all’Amore Infinito). E questo è certamente un desiderio, un’aspirazione santissima, e lo comprendono; e però la religiosa la fa questa dedizione totale a Dio, aspira a onorare sempre l’amore infinito che Dio ha per noi e l’amore infinito che vi è tra le tre Divine Persone. Ecco, sì! Ma se Maria è vergine, il suo cuore fu tutto di Dio: la parte positiva. E oltre che amare Iddio, l’anima consecrata al Signore ama tutte le anime e, quindi, ha una famiglia di anime che non sa numerare. E come Maria si occupa di ogni uomo che è sulla terra, così l’anima consecrata a Dio porta con sé i bisogni di tutte le anime, di tutte le persone che vivono sulla terra e, ancora, di tutte le anime che soffrono in purgatorio. Quest’anima fa suoi i desideri della Chiesa, che sono i desideri di Gesù Cristo stesso.
In terzo luogo, l’uomo tende per sé, per la natura corrotta, all’orgoglio, alla superbia, alla vanità: e vi sono figliole che spendono ore della loro giornata ad adornarsi - eh, l’ambizione! -; e vi sono uomini che spendono tutta la loro vita a salire i vari gradi e ad arrivare ai primi posti; persone le quali
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sono piene di orgoglio, disprezzano gli altri… magari vi è l’antipatia, vi è l’odio, vi è l’invidia che è figlia della superbia. Ecco. Invece la religiosa cambia questa passione, questa tendenza - che è venuta in noi dal peccato originale -, la cambia in una umiliazione continuata: mortifica l’orgoglio con una umiliazione continuata. In che modo? Con l’obbedienza, la sottomissione. La persona religiosa si mette nelle mani di Dio: Fa’ di me ciò che vuoi. Dammi salute o dammi malattia, dammi letizia o dammi tristezza, dammi onore o dammi disprezzi, ecco sì, io sono nelle tue mani… fa’ di me quello che vuoi. Puoi anche umiliarmi come è stato umiliato Gesù sotto i colpi della flagellazione o come fu crocifisso là sul Calvario. Voglio accompagnarti fino a morire a me stessa, al mio orgoglio. E allora questa passione dell’orgoglio si cambia in una passione nuova, di nuovo genere: Voglio i primi posti in paradiso.
Ora, siccome i primi posti in paradiso sono riservati a chi maggiormente ha mortificato le passioni sulla terra e le ha cambiate, queste passioni, queste concupiscenze, in concupiscenze di altri beni, ecco che l’anima avrà in paradiso particolare gloria. Quando i santi dicevano4: Voglio farmi santo, presto santo e gran santo5, miravano ai primi posti in paradiso. Oh! Ecco, allora, la vita religiosa cambia queste concupiscenze ereditate dai nostri progenitori in tante virtù e in tante concupiscenze nuove, di nuovo genere, in Gesù Cristo; e cioè, invece di attaccamenti ai beni della terra - per esempio a vestiti o a una casa di lusso o a una mensa molto piacevole, soddisfacente -, la cambia, [questa concupiscenza], in desideri di meriti, di santità. E così cambia la tendenza alle soddisfazioni della carne in un amore sconfinato con Gesù, senza limiti, quanto le è possibile, e sconfinato verso le anime per cui si spende. E così cambia l’orgoglio in un desiderio
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profondo di quello che è veramente gloria, che è veramente gloria… e cioè ricchezze eterne, primi posti in paradiso: la prima creatura in cielo, Maria, e l’anima tende ad avvicinarsi a lei. Il Postcommunio che avete letto dice appunto: «Tu gloria Jerúsalem»6, Maria! La gloria del cielo, celeste Gerusalemme, letizia del paradiso, Maria! E quindi una gara di anime vergini sono gli Istituti Religiosi, rappresentano una gara di anime, le quali vogliono correre nella via della santità ed avvicinarsi a Maria nella imitazione e nella gloria lassù in cielo: vicine, quanto è possibile, alla Regina dei Santi.
Oh! La vita religiosa è allora tutta una vita consecrata alla santificazione. Quando si comprende bene la vita religiosa, allora la persona ha altri pensieri, altri desideri, altre parole sulla bocca e altre opere. Il mondo si stupisce che figliole, magari ricche, figliole di buona famiglia, figliole di buona salute, figliole che possono avere un avvenire buono, invidiabile sulla terra… e lasciano tutto! E [le persone del mondo] non capiscono che lasciano il poco per il molto, lasciano quel che passa per quel che è eterno. Oh, la sapienza di un’anima religiosa! Può essere che ci sia una suora che non sappia né leggere né scrivere, né fare il suo nome, ma è sapientissima quanto alle cose che veramente sono degne di essere conosciute (e tutti devono conoscere!), e sono le più utili: quelle che portano frutti eterni. Vedevo in una casa di religiose, otto o dieci… una delle suore sembrava lo straccio della casa. Tutto ciò che c’era di più umiliante nei servizi, nel lavoro, nel posto, anche nell’abito - ciò che era meno, diciamo, nuovo e gli abiti tutti rattoppati finivano a lei, dopo che li avevano portati nuovi le altre -. Di lì a un poco di tempo, giacché doveva girare anche per la città, tutti la dicevano7: Ecco la santa; perché, se c’era stato qualche sbaglio, sempre veniva attribuito a lei, tutto sembrava che si addossasse su di lei… ma lei si faceva santa!
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E ho visto qualcheduna delle suore che nella sua ambizione, anche perché fornita di particolari doni, quasi se ne stava in una posizione di disprezzo di quella, come [se] ella avesse saputo mai far le sue ragioni, come avesse sempre dovuto accettare i lavori più pesanti, come di lei si potesse8 disporre in ogni momento, anche quando era stanca e sfinita per un lavoro, per un altro. Ma quando son passate all’eternità, l’una e l’altra, le une e le altre, solo di quella si è veduto una sepoltura, un accompagnamento funebre così solenne, così numeroso di gente che non si sapevano neppur loro spiegare come si trovassero lì, tutti: chiamati da un’interna voce e da una interna estimazione di quella suora che chiamavano la santa. E più che un accompagnamento funebre sembrava un accompagnamento trionfale, una dimostrazione della stima universale che c’era in quella città… Oh, perché era anche la commissioniera e doveva trovarsi in tanti ambienti.
Il fine è la santificazione, [che si realizza] mortificando le tre concupiscenze e cambiandole in concupiscenze, cioè in desideri, in tendenze, in passioni dei beni celesti, dei meriti e dell’amore a Dio e alle anime e del desiderio della superbia vera, santa: i primi posti in cielo. E quanto più uno si abbassa sulla terra, tanto più sarà glorificato in cielo: Chi si umilia, è esaltato [cf Lc 14,11]. Ecco, dunque, il primo fine generale.
Quale grazia il Signore vi concede nel mettervi in questo lavoro, che è il lavoro più degno dell’uomo: di santificazione mediante la mortificazione delle tre concupiscenze e la loro conversione, la loro trasformazione in concupiscenze di beni spirituali, di desideri e passioni opposte9.

Secondo [articolo]: «Il fine speciale [della Congregazione] è vocazionario; e10 consiste nel compiere, con i mezzi tradizionali - per esempio, la preghiera - e [con] quelli moderni
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- per esempio, la stampa11 - tre specie di opere in ordine alle vocazioni, cioè ricerca, formazione ed assistenza» ai chiamati. Mediante, che cosa? Con queste tre specie di opere, sì… cioè: ricercare e formare ed assistere le vocazioni. Primo: istruzione; secondo: azione; e terzo: preghiera.
La conclusione [dell’articolo 2] è questa: «Perciò: nel loro amore a Gesù Cristo12, alla Chiesa ed alle anime i membri dell’Istituto Regina Apostolorum per le vocazioni traducono tutta la loro vita in apostolato vocazionario»13, in amore a Gesù Cristo, alla Chiesa, alle anime.

Oh! Adesso qualche ragione brevemente esposta che merita di essere considerata poi, più avanti ancora, più profondamente sull’argomento. Questo è il più grande servizio che potete dare alla Chiesa: vocazioni. Il problema vocazionario è il problema più fondamentale, è il problema che ci ha sottoposto Gesù Cristo stesso perché lo considerassimo: Pregate il padrone della messe che mandi buoni operai alla mietitura [cf Mt 9,38; Lc 10,2]. Vedete per quale missione il Signore vi ha eletto! Questo fine, questa occupazione vostra - in questa occupazione in cui deve tradursi tutta la vita interna ed esterna -, questa occupazione è la più grande carità che si faccia alle anime, le quali possono essere chiamate e quindi indirizzate alla vita perfetta, alla vita perfetta.
Che cosa si può dare a una persona di meglio che questo: indirizzarla alla santità, che significa non solo al paradiso, ma ad un bel paradiso, che è riservato alle religiose. Cosa si può fare di meglio? Non vale e non può esser confrontato il dare il pane ai poveri, il dare il vestito ai bambini ignudi, e il dare da bere agli assetati, e visitare gli infermi…14 non può essere paragonato ad una missione tale e ad una carità così sublime come questa: inviare anime nella via della santità. Quale carità!
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E Gesù Cristo lavorò più di tre anni per le vocazioni: prima ha chiamato i Dodici, poi i Settantadue; e poi la maggior parte del tempo di quei tre anni e mezzo circa l’impiegò nel formarli. E buona parte dei discorsi erano indirizzati insieme al popolo ed agli apostoli e ai Settantadue, ma poi la parte più intima veniva riservata ai Dodici e ai Settantadue. La missione che compì Gesù Cristo.
E poi, la grande carità. Considerare: se un giovane arriva al sacerdozio, quante Messe celebrerà, quante assoluzioni darà, quante prediche farà, quanti ammalati assisterà, quante anime aiuterà alla salvezza! Indirettamente, una parte del merito viene a chi lo ha portato sino all’altare e, cioè, chi ha scoperto in quel ragazzo la vocazione e chi lo ha aiutato, quel ragazzo, ad entrare negli Istituti, nei Seminari; e poi lo ha accompagnato con le preghiere e, se fu possibile, anche con aiuti materiali. Oh! Il bene che si fa allora! Quindi, una parte del merito della sua vita sacerdotale ricade su chi ha scoperto la vocazione e lo ha indirizzato. Ecco, oh! E poi il bene che viene a tutte quelle anime: quindi indirettamente si fa anche un bene a tutte quelle anime che saranno assistite dal sacerdote, o che saranno assistite da una suora, la quale si adopererà o negli asili o nell’azione cattolica o nell’azione missionaria o nell’azione scolastica o nell’azione sociale… frutti!
E poi occorre ancora dire che questo [apostolato] è un’imitazione di Maria. Vedete, la Vergine Maria è la creatura più bella, più santa che sia uscita dalle mani di Dio. La sua vita è eccelsa, la sua gloria eterna. Ma Maria ricevette tutto - quel che ebbe di doni, di privilegi - per formare il primo chiamato. Il primo chiamato, la prima vocazione è Gesù Cristo. Imitate Maria nella sua missione! Ella l’accettò quando disse: «Fiat» [Lc 1,38], e ordinò e tradusse tutta la sua vita in questo lavoro di formazione di Gesù, di accompagnamento di Gesù, fino al Calvario. Tradusse tutta la vita in un’azione vocazionaria, in un’azione vocazionaria. E perciò la vita di ogni membro dell’Istituto Regina Apostolorum viene ad essere un accompagnamento in una imitazione della vocazione e della corrispondenza alla vocazione e del lavoro vocazionario che
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compì Maria durante la sua esistenza terrena; e che continua ora dal cielo, dove continua a pregare per le vocazioni e per tante anime che il Signore destinerebbe alla vita più perfetta… e che hanno bisogno di chi porga loro aiuto, di chi porga loro aiuto.
Ci vuole tanta delicatezza, bisogna essere molto silenziose per comprendere certe cose. Bisogna essere molto intime con Dio e con Maria per stimare la vocazione vostra.
Adesso sentirete la Messa con questa intenzione. Bene.

Sia lodato Gesù Cristo.
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1 Nastro originale 28/58 (Nastro archivio 31a. Cassetta 31, lati 1/2. File audio AP 031a). Titolo Cassetta: “Art. 1-2. Voti e virtù”.

2 Cf Missale Romanum, Die 15 Augusti, In Assumptione B. Mariae Virg., Oratio: «Omnipotens sempiterne Deus, qui Immaculatam Virginem Mariam, Filii tui genitricem, corpore et anima ad caelestem gloriam assumpsisti: concede, quaesumus; ut, ad superna semper intenti, ipsius gloriae mereamur esse consortes», «Dio onnipotente ed eterno, che hai assunto in anima e corpo alla gloria del cielo la Immacolata Vergine Maria, Madre del tuo Unigenito: concedici, te ne preghiamo, che intenti sempre alle cose celesti, siamo resi partecipi della sua gloria».

3 «Accumulatevi tesori nel cielo». Il testo della Vulgata: «Thesaurizate autem vobis thesauros in caelo».

4 Usa l’indicativo presente: dicono.

5 Tra i santi che utilizzarono questa massima, ne ricordiamo alcuni abitualmente nominati dal PM: san Giuseppe Benedetto Cottolengo (1786-1842), santa Bartolomea Capitanio (1807-1833), san Domenico Savio (1842-1857), il beato Giuseppe Allamano (1851-1926), il venerabile Maggiorino Vigolungo (1904-1918).

6 Cf Breviarium Romanum, In Assumptione B. Mariae Virginis, Ad Nonam, Capitulum: «Tu gloria Jerusalem, tu laetitia Israel, tu honorificentia populi nostri», «Tu gloria di Gerusalemme, tu letizia di Israele, tu onore del nostro popolo». Cf il canto: Tota pulchra es, Maria.

7 Sta per: la indicavano.

8 Usa l’indicativo imperfetto: poteva.

9 Parola incerta.

10 Il testo: «è vocazionario; e» è aggiunto nel Ds di sua mano ma non letto nella Istruzione precedente: vedi p. 21, nota 11.

11 Il PM non rilegge di nuovo l’elenco dei mezzi moderni. Vedi p. 21.

12 Sul Ds, il PM ha siglato le parole: G.C.

13 Il testo in corsivo è quello che è aggiunto di sua mano nel Ds. Anche questo testo non era stato letto nella Istruzione del giorno prima: vedi p. 24, nota 24.

14 Sta richiamando alcune delle opere di misericordia corporale.