Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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V. L'INFERNO - Novissimi (1)
Questi sono giorni per voi di santa letizia e sono nello stesso tempo una grazia perché possiamo esaminare noi medesimi, apprendere ciò che il Signore vuole ancora comunicarci per /una/ (a) maggiore perfezione e per un migliore apostolato.
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Questi giorni di ritiro sono preziosi anche sotto un altro aspetto e cioè: negli altri tempi chi è nella posizione di superiore, di superiora è facile che entri un po' nell'orgoglio, e se vengono degli inconvenienti si trovi sempre la scusa per noi, e si distribuisca la colpa, lo sbaglio agli altri. Ma quante volte noi dovremmo picchiarci il petto a recitare il Confiteor! Mea culpa, mea culpa, mea maxima culpa...
Son giorni quindi di luce, giorni in cui scopriamo l'intimo di noi medesimi.
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La posizione di una superiora costituisce un certo pericolo: un pericolo di insuperbirsi e di perder dei meriti. E magari poi nell'eternità si vedranno [del]le persone che son state in posizione umile, che tuttavia in quella posizione hanno amato e servito bene il Signore con fervore, e il pericolo che noi stiamo poi in giù e gli altri siano in su.
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Oh, allora esaminare noi medesimi. E tante volte le cose non sono andate così perché non abbiam saputo disporre bene, o perché non abbiam preparato le persone come bisognava prepararle, o perché la nostra disposizione che abbiamo data non è stata una disposizione saggia o non fu data bene.
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Allora vi è anche pericolo che noi possiamo perderci e andare all'inferno? Certo! Avere il carattere del battesimo, il carattere della cresima, anche il carattere dell'ordine, la consecrazione a Dio, la professione, tutto questo ci assicura la salvezza eterna? No! Tutto questo è un complesso di grazie che noi abbiamo da utilizzare e se lo utilizziamo bene: santità. E se le sprechiamo? Pericolo anche di perdizione? Certo!
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Non erano più belli gli angeli di noi, quegli angeli che erano in cielo più sapienti, più potenti di noi? Eppure una parte degli angioli è gloriosa in cielo, e una parte di quegli angeli son demoni in inferno. Son demoni di inferno!
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Sempre camminare in una santa umiltà, in una diffidenza abituale di noi stessi, dei nostri pensieri e di quello che facciamo. Una certa diffidenza di noi stessi, ma confidenza in Dio però! Quello che diceva san Filippo: "Son disperato, son disperato di me! Confido però tutto in Dio". Ecco, non soltanto perché abbiamo avuto dalla misericordia di Dio certi talenti, ma dalla misericordia di Dio sperare la grazia di usarli e spenderli bene questi talenti. Sì!
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Due specie di persone possono andare all'inferno. Primo: chi non usa bene i suoi talenti, non li fa fruttare. E' intelligente, ha salute, ha tempo e non bada a farsi santa, e non bada a far bene l'apostolato, è piena di se stessa quella persona, si fida, si mette nei pericoli.
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Oh! "Quel padrone partendo, aveva distribuito i talenti ai suoi servi: a uno diede cinque, all'altro diede due e a un terzo diede un talento. Ma i due primi han fruttificato i loro talenti. L'ultimo, che ha ricevuto un solo talento, non lo ha fatto fruttificare. E allora pensava: "Il padrone è rigoroso, vorrebbe anche raccogliere dove non ha seminato". Perciò andò a seppellire il talento. E quando venne il padrone a raccogliere i frutti: "E io sapevo che tu sei un padrone rigoroso, che vuoi mietere dove non hai seminato, e allora ho sepolto il talento che mi hai dato. Eccolo qui". E il padrone rispose: O servo inutile! E perché non hai trafficato il talento, non l'hai messo anche all'interesse, e <che> venendo, io avrei ricavato e l'interesse e il capitale? Servo inutile! Prendetelo, legatelo, gettatelo nelle tenebre esteriori, dove vi è fuoco e vi è verme che non muore, cioè il rimorso" [cf. Mt 25,14-30].
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Talenti che si devono far rendere: salute, tempo, lingua, intelligenza. Persone che perdono tempo! Oh, allora abbiamo sempre da camminare con una certa <u> diffidenza di noi, camminare nell'umiltà e cioè nella verità.
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Inoltre si può andare all'inferno perché i talenti si spendono male!
C'è la mente: e pensano a cose brutte.
C'è il cuore: e non è regolato.
C'è la volontà: e acconsente al male.
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Oh, ha ricevuto dei doni da Dio. Sì, ma quegli occhi a cosa servono? Quell'udito a che cosa serve? Quella lingua a che cosa ha servito? Quel tatto, quel tempo, quella salute a che cosa han servito? Pensiamo che abbiano servito al male. E allora? Non stiamo così gonfi: persuasi di noi stessi! Ma sempre: diffidare di noi, confidare in Dio. Confidare in Dio! Sì! Oh.
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E Giuda era un apostolo! E si è perduto miseramente. Il Signore lo ha avvertito, richiamato tante volte e anche nell'ultima cena: cinque volte. Ma egli: duro, ostinato. E a un certo punto il Signore conchiuse rivolto a lui: "Quel che /vuoi fare/ (a) fallo presto" [Gv 13,27], e cioè il tradimento che vuoi consumare, va.
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E qualche volta può essere che si debba mandare via una persona dall'istituto, perché? E perché guasta le altre! E danneggia anche l'istituto stesso. Si fa questo lacrimando, ma diviene allora una necessità.
Tuttavia anche in quei casi abbiam sempre da esaminar noi stessi, se non abbiamo fatto bene la nostra parte. Ah!: aiutare quella persona, preservarla dai pericoli, adoperare i mezzi che ci sono in mano per trasferimenti o per precauzioni o cambiamenti di ufficio, ecc. Se non abbiamo vigilato abbastanza: se si è messa nei pericoli, o perché non si è osservato l'orario della sera, ecc.
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Sempre pensiamo a salvare le anime. Sì! Ma <prima i nostri> prima le nostre! Poi le anime a cui siamo mandati, nella parrocchia a cui siete mandate. Per quel che è possibile: salvare i fanciulli dal peccato, salvare i peccatori perché facciano Pasqua, salvare i malati perché siano assistiti.
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E oggi c'è tanto da salvare, da consolare, da incoraggiare, da avvertire, da richiamare. Tanto! Anche se abbiam fatto il catechismo, bisogna che noi pensiamo: e l'ho fatto bene? mi son preparato bene? ho avuto coraggio? ho vinto la mia ritrosìa? la difficoltà a espormi, a parlare?
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Certo che il non fare è più facile che lavorare, eh? Questo sì! Ma una falsa umiltà, è falsa. E quindi l'umiltà deve esser la vera. Dev'esser la vera! Oh! E allora l'umiltà ci porta anche a far brutta figura e [a] farla con coraggio, anche se sappiamo che facendo quello, la cosa non riuscirà del tutto bene e avremo delle osservazioni; ma abbiam fatto ciò che dovevamo fare.
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Oh, il ricco epulone passò una vita ben cattiva e trattava male Lazzaro vecchio, infermo, che chiedeva appena le briciole che cadevano dalla mensa del ricco epulone. E non gliele davano! E intanto il ricco continuava a mangiar bene, vestir bene e farsi servire a puntino. Ma poi cosa avvenne? Lazzaro morì e fu salvo; il ricco epulone fu sepolto nell'inferno [cf. Lc 16,19ss.]. Ecco.
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Bisogna distinguere bene. Vi è una persona che un giorno ha una debolezza: forse avrà pregato meno, forse si sarà messa in qualche pericolo, forse si è trovata in una circostanza, ecc., e forse ha commesso uno sbaglio. Ma è uno sbaglio di una giornata, è uno sbaglio di un'ora forse, o di cinque minuti: son cinque minuti in cui non si è fatto quel che voleva il Signore, anzi si è fatto quello che è contrario al Signore.
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Ma quando si mettono fuori della strada, cioè della vocazione per tutta la vita, per tutta la vita sono fuori della volontà di Dio! E quando uno va poi al giudizio, che cosa deve premiare il Signore se sempre, tutta la vita si è fatto ciò che non voleva il Signore? E non si è fatto ciò che voleva il Signore!
Allora: sempre distinguere bene fra uno sbaglio occasionale e la vita spesa fuori del volere di Dio, tutta. Perciò aiutare queste anime.
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Il Signore ha dato quei due avvisi; e cioè: Vigilate, et orate [Mt 26,41; Mc 14,38]. Vigilare su di noi: sulla testa: i pensieri; sul cuore: i desideri, i sentimenti; sulla volontà: sulle opere, sulle parole che si dicono. Vigilare! Vigilare: non perché uno è superiore, oh, si creda superiore di forze e possa anche mettersi in qualche pericolo, ecc. No! Diffidenza: temere. Non disperare, ma un giusto timore, una giusta diffidenza per sottrarsi dai pericoli e pregare. E pregare.
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Vigilare dunque! Vorrebbe spinger la suora alle volte a delle cose e... a opere oppure impegni che non sono convenienti. Ma la suora deve pensare che in primo luogo ha da salvar se stessa. E perciò!... In secondo luogo dovrà pensare a salvar gli altri, ma in primo luogo se stessa, perché quando non salvi se stessa non salva anche gli altri.
Vigilanza quindi.
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Poi: pregare. Non crediamoci molto forti, che non lo siamo. Non crediamoci molto virtuosi, che non lo siamo. Non crediamo di esser molto sapienti, non lo siamo.
Il diavolo ha tentato Eva che era pure ricca di doni; l'ha fatta cadere. L'ha fatta cadere. E l'infelice poi ha fatto cadere anche Adamo! E così la donna crea i pericoli agli uomini.
Oh, <vigi> pregare, diffidando di noi.
Pregare!
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Siccome il cuore della donna è più sensibile, e essere sensibile vuol dire che c'è anche un dono di Dio, quindi, ad esempio, il cuore <volto> vostro aperto ai bisogni dei fanciulli, degli ammalati, dei poveri. Dio! Dio! Il cuore a Dio! Amarlo tanto, veramente con tutto il cuore e sopra ogni cosa! Sì. E' un dono di Dio: l'ha fatto Iddio quel cuore!
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Tuttavia temere che questo cuore si rivolga ad altra strada, ad altra via. Oh! E avere anche la prudenza e la luce di Dio da conoscere i pericoli in cui possono trovarsi altre persone.
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Pregare! La preghiera della superiora sia più abbondante, in generale. Perché ha da pensare a sé e pensare alle sorelle. Pensare a sé e pensare a cosa dispone per gli altri. Sì! Pregare di più: comunioni più fervorose, esami di coscienza più diligenti, e poi belle adorazioni.
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Fra queste grazie ve n'è una che è tanto importante ed è questa: noi, superiori, dobbiamo andare da Dio, il nostro superiore, e chiedere a lui la luce, perché possiamo /guidare/ (a) bene, e farci guidar bene. Farci guidar bene da coloro che stanno sopra di noi.
La congregazione progredisce in quanto che: tutte sono unite, tutte sono unite alla madre che è nella casa, e tutte le superiore unite alla madre che è nella casa generalizia. E la superiora, che è nella casa generalizia, unita strettamente a Dio, e poi unita anche a chi la guida, affinché tutto venga in dipendenza da Gesù buon Pastore. E ognuna sia /pastorella/ (b) e nello stesso tempo sia anche docile agnellino.
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L'unità dell'istituto è sommamente necessaria <e si> e progredisce in quanto c'è buon accordo, c'è l'unione. E cioè: quando si accettano gli uffici bene, s'interpreta bene quello che vuole il Signore, quello che ci ha comunicato il Signore, e poi dopo /si compie/ (a) nella santa umiltà e in santa perseveranza. Sì! L'unità!
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Ricordar sempre la terza parte della preghiera del buon Pastore Gesù, prima d'iniziar la sua passione. Là quattro volte ripete: "Che siano uniti! che siano uniti!" [cf. Gv 17,21]. Ecco! Sempre chieder questa grazia: che tutte le persone siano unite, in un cuor solo, in una mente sola, in un indirizzo solo, quale è segnato dalle costituzioni, che sappiamo che è sicuro l'indirizzo che piace a Dio, perché <le, le> le costituzioni hanno il sigillo della santa Sede. Il sigillo della santa Sede!
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Non abbiam bisogno di farci tanti programmi personali. Legger le costituzioni! E in questa dipendenza dalle costituzioni, e in questa docilità di spirito, si conserva l'unione: Ut unum sint. Ut unum sint [Gv 17,21].

Albano Laziale (Roma)
6 aprile 1962

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155 (a) R: la.
(1) Albano Laziale (Roma), 6 aprile 1962

167) (a) V: fai.

181 (a) R: guidarsi.
(b) R: la pastorella.

182 (a) R: compiere.