Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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XV. SANTITA' TOTALE (1)
Ho /sentito/ (a) una predica del Papa Giovanni XXIII. Il titolo della predica era: «La testa, il cuore, la lingua».
E allora tener la testa a posto: i pensieri; tenere il cuore a posto: i desideri, i sentimenti di umiltà, di bontà, fervore. E tenere la lingua a posto perché la lingua è un dono di Dio. Ecco, la lingua è un complesso di beni grandi ed è anche un complesso di mali, secondo l'uso che ne facciamo.
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Noi possiamo usare tutti i nostri sensi in bene o in male. Gli occhi se guardano il crocifisso, se li adoperiamo a leggere, li usiamo nelle relazioni sociali: buon uso! Ma si possono anche dare sguardi pericolosi. Custodire gli occhi. Così dell'udito: si possono sentir le prediche, gli avvisi del confessore, le lezioni nella scuola; e si possono ascoltare trasmissioni di radio o di televisione non sante, discorsi non santi, frivoli, non adatti alla vita religiosa. Custodire anche il gusto, custodire l'odorato, custodire il tatto, ma fra i sensi, la lingua.
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La lingua può essere adoperata in bene: se cantate delle belle lodi, cantate la messa, se recitate delle belle preghiere, dei rosari - finora avete fatto la via crucis -, se adoperate la lingua a fare scuola, a tenere i bambini all'asilo, a fare conferenze: ottimo uso. Se dite delle belle cose, buone cose in famiglia, cioè quando siete tra voi, anche a tavola, anche per ricreazione, cose liete che sollevano: ecco un buon uso della lingua.
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Quando si danno consigli, quando si richiamano coloro che mancano, i fanciulli che mancano, quando si esortano le persone a ricevere i sacramenti ad esempio, a evitare il peccato, a tenersi lontani dai pericoli: santo uso della lingua. <Oh, ma> Se Davide cantava tanto bene i salmi, se gli angeli del paradiso cantano tanto bene le lodi del Signore, se noi sappiamo suggerire molte cose nei catechismi ad esempio: un santo uso della lingua.
Invece si può abusare della lingua, usarne cioè in male. Chi fa mormorazioni, ne usa in male. Chi giudica in male le persone e pronuncia anche questi giudizi, ne fa un cattivo uso, eccetto che uno debba ricordare e avvertire la superiora perché non vi sia un cattivo esempio.
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Se usiamo la lingua a confessarci e confessarci bene, ne facciamo un santo uso. Ecco.
Ma... e gli abusi? Le bugie! Bugie qualche volta con i fatti, qualche volta con le parole, sì. Cattivo uso della lingua quando si pronunciano parole sconvenienti, quando non la si usa la lingua a suo tempo.
Se è tempo di accusarsi di peccati in confessione, bisogna usarla la lingua. Sì, farla parlare. Come altra volta si può far tacere: tacere quando c'è il tempo di silenzio, si è a studio, o <si tro> ci si trova in quelle ore in cui si deve fare questa mortificazione del silenzio.
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Non abusar della lingua. Vedete: quanti discorsi inutili, vani si van facendo nel mondo! Quante conferenze contrarie al buon costume e contrarie alla religione, contrarie alla carità, contrarie alla purezza, contrarie alla fede: cattivo uso della lingua! Perché ce l'ha data il Signore?
Sempre abbiam da ringraziare il Signore che non siamo nati muti. Ci fan pena i muti. Qualche volta vedendo come devono esprimersi coi gesti, anche quelle suore che devono pregare coi gesti della mano in chiesa, ci fan pena.
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Il Signore ci ha dato il dono della lingua, e quale peccato è abusare della lingua, del dono di Dio! E quanto merito è adoperare la lingua a suo tempo: nelle varie circostanze, a dir sempre la verità, a dir sempre cose che fanno del bene, almeno che portano letizia sana. Sì.
Vi è il tempo che si deve usar la lingua: sforzarsi di far bene il catechismo e sforzarsi di parlare in maniera da spiegare bene nelle lezioni il catechismo e quelle altre materie che si devono insegnare.
Santo uso della lingua!
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Allora: santificare la lingua. Quando si amministra l'olio santo e si fa l'unzione sulle labbra, si dice: Per istam sanctam unctionem et suam piissimam misericordiam indulgeat tibi Dominus quidquid per gustum et locutionem deliquisti e cioè: Signore, per questa santa unzione e per la tua misericordia, perdona, scancella ogni mancanza che è stata commessa col gusto e con la parola. Con la parola! Oh, ecco allora: santificare la lingua.
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Ora entriamo in qualche particolare. In confessionale. In confessionale bisogna dire tutto, quello che sentiamo che dev'esser detto. Propriamente si hanno da confessare come obbligo stretto solo i peccati gravi e che non siano mai stati confessati e dei quali non si sia certamente ottenuto il perdono. Oh.
Le altre cose non sono strettamente necessarie, anche se fossero peccati veniali. Tuttavia è bene confessare anche i peccati veniali e alle volte anche le imperfezioni, le trascuranze che ci sono state. Sì.
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Però al confessionale non abbondare in lungaggini. Il confessionale è per confessare i peccati. Ecco: i peccati! Ma abbondare in discorsi che non sono necessari e particolarmente quando si tende a entrare in troppi particolari riguardo alla purezza, non conviene, non è da farsi. Sì.
Perciò sapere dire il necessario e <quello che è ne> quello che è utile per il nostro progresso spirituale. Ma moderarsi sempre: sapere parlare e saper tacere.
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Nella preghiera vi sono persone che dicono: io prego col cuore. Ma, se è possibile, pregate anche con le labbra. Pregate anche con la lingua. Sì. E nella comunità non si devono soltanto sentire alcune a pregare; ma, senza che venga un gridare, <ma> che si arrivi ad una moderata modulazione della voce, questo sì! Questo sì! Bisogna allora saper pregare così, sottovoce, ma intanto adoperare proprio la lingua: è un merito di più.
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E' vero c'è anche la preghiera mentale, ma quella va fatta a suo tempo, quando c'è la meditazione, quando c'è la lettura spirituale. Allorché invece si canta, allorché invece si prega in comune, ecco, adoperare anche la lingua.
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E se si può fare un progresso anche nel canto e poi a suo tempo insegnare il canto, supponiamo delle messe, il canto dei vespri, il canto delle lodi, allora ecco, chi ha imparato avrà una dote, un mezzo di più per far del bene. Più abbiamo grazie, <più abbiamo> più abbiamo doni di Dio e più possiamo moltiplicare il nostro bene.
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Usare bene della lingua: nelle ricreazioni, la <taciur - ta tur> /taciturnità/ (a) non è buona, non è buona cosa esser taciturni. E se il carattere è piuttosto inclinato a essere taciturni, saper anche vincersi, perché la ricreazione deve portare un sollievo, deve portare una certa letizia. l'atmosfera che aggrava, <che diviene pe> che appesantisce l'andamento quotidiano della vita, certamente non costruisce; piuttosto porta a un certo pessimismo, a un certo scoraggiamento. Vi sono persone che vogliono parlar solamente loro, e parlerebbero sempre. Parlerebbero anche di notte!
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Sapere ascoltare è gran cosa. Diceva il predicatore: vedete che il Signore ci ha dato due orecchie e una sola lingua. Perciò bisogna ascoltare due volte e parlare una sola volta. Oh, questo è un modo di esprimersi per dire: sappiamo pesare le parole degli altri? Sappiamo ascoltare? E, anzi, sappiamo anche suscitare un po' i discorsi?! Se la suora che ha da stare in mezzo alle giovani e si mantiene taciturna, muta, le allontana. Se invece sa parlare e parlare a posto, allora le attira, le giovani, e potrà anche allora dalle parole di letizia, potrà anche insinuare qualche buon pensiero.
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Così nelle ricreazioni: saper chiedere scusa se si è sbagliato, adoperar bene la lingua. E saper tacere quando si è ricevuto un torto; parlare di altre cose, quasi non ci fossimo neppure accorte di quello che si è detto, si è parlato, dell'offesa che abbiam ricevuta. Perdonare le offese ricevute. Anzi cercare di fare il bene a chi ci ha offeso e dissimulando il disgusto che abbiamo ricevuto, allora si ha un doppio merito.
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Sapere adoperare la lingua e saper tacere: quando si è in viaggio, quando si è in visita a qualche famiglia, quando si tratta con i sacerdoti, con i parroci specialmente; quando si tratta con le donne, madri di famiglia; quando vogliono raccontarci tante cose e entrano in particolarità che è bene che la suora non entri, e tanto più se è una suora giovane. Sì. Troncare in qualche forma con qualche pretesto. O almeno dire: pregheremo per voi, per le vostre necessità. Così abbiamo da dire in tante altre occasioni: la santificazione della lingua.
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Ma il Papa aggiungeva: santificare la testa. Vigilate sulle fantasie. E' difficile cacciare certe fantasie. Vigilate sopra i pensieri: è difficile dominare i pensieri. Dominate e cacciate via ogni dubbio: contro la fede, contro la speranza, contro la carità, contro la povertà, contro l'obbedienza, contro l'umiltà. Dominare i pensieri. Sì.
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Dominare anche l'immaginativa: immaginarsi una cosa o l'altra: può riprodursi nella memoria /il ricordo di/ (a) cose che son state pericolose e che bisognerebbe dimenticare. Anzi, riguardo alla purezza, quando già si è fatto una confessione sufficiente, non tornarci più sopra, perché è il gioco del demonio. Se la fantasia riproduce, se la memoria di nuovo ricorda i particolari che ci sono stati, è un'altra tentazione che si suscita. Dominare la testa quindi.
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Bisogna studiare con raccoglimento. Bisogna stare attente alle spiegazioni della maestra; stare attente ai consigli e prestare attenzione anche alle predicazioni, alle conferenze. Sì.
400
Dominare la testa nostra. Dominarla anche in un altro senso: che sia pieghevole alle disposizioni, che sia pronta la testa a dire il sì. Il sì sempre detto e detto per amor di Dio, quanto santifica! Quanto santifica! E dei sì, nella giornata o almeno nel corso di una settimana occorrerà di doverne dire più volte dei sì. Come Maria: «Ecco l'ancella del Signore; sia fatto come tu hai detto» [cf. Lc 1,38].
Dominare la testa.
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Quarto, il Papa diceva: e dominare il cuore. Questo cuore è difficile a dominarsi. Orientiamolo sempre più verso il Signore, in un'intimità sempre più serena, dolce col Signore. Questo esercizio di intimità particolarmente nelle visite al santissimo Sacramento, dove gli parliamo delle cose nostre e lo sentiamo, e sentiamo cioè come ci risponde, le esortazioni che ci fa, i richiami che egli muove a noi. Richiami sulla nostra vita passata, oppure sulla giornata stessa: sulle cose che si son dette e sulle cose che si son tralasciate e che si dovevano fare. Il cuore.
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Le invidie nascon dal cuore; l'orgoglio del cuore, l'attaccamento a questo o quell'oggetto, questa o quella persona, i rancori per i dispiaceri ricevuti, veri o immaginari. Poi il cuore. Il cuore, e può tanto amare il Signore! La divozione al cuore di Gesù, la divozione al cuore di Maria per ottenere un cuore puro e un cuore tutto amante di Gesù, tutto amante di Maria, tutto amante delle anime, tutto amante dell'apostolato, sì.
Allora è molto più difficile che nascano sentimenti contrari alle varie virtù.
403
Il cuore. E' un piccolo membro il cuore, ma Gesù ha voluto che il suo cuore fosse trafitto dalla lancia, e da quella ferita uscì sangue ed acqua. Allora, ecco, noi abbiamo da ricordarci che Gesù ha avuto quella tremenda lanciata <affin> al fine di soddisfare per tanti sentimenti non buoni. Sì! Anche quando c'è lo spirito di vendetta, lo spirito di orgoglio contrario alla carità e all'obbedienza, sì. Egli ha voluto che il suo cuore fosse trafitto in penitenza dei nostri peccati: peccati di sentimenti, peccati commessi col cuore.
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Custodire il cuore: Fili, praebe mihi cor tuum, figliuola, offrimi il tuo cuore, dammi il tuo cuore. Ecco. Darglielo tutto questo cuore. «Ecco quel cuore che tanto ha amato gli uomini e nulla ha risparmiato per loro». La pastorella lo potrà dire: ecco quel cuore che tanto ha amato le anime e in nulla si è risparmiato. Ha fatto quanto ha potuto per amarle e salvarle. Le forze del cuore che si consumano in amare Dio e amare le anime quale cumulo di meriti acquista! E allora come si amerà il Signore per l'eternità! Sì!
405
Persone che non hanno <luato> amato altro sulla terra. Non hanno cercato altro. E come entrano con fiducia, serenità là nelle porte dell'eternità! Hanno amato e trovano ciò che han cercato: Gesù!

Ariccia (Roma)
27 luglio 1961

406

381 (a) R: sentita.
(1) Ariccia (Roma), 27 luglio 1961

394 (a) Il Primo Maestro ride con se stesso per la difficoltà a pronunciare il vocabolo.

399 (a) R: ricordare.