Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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17.COMMENTO A GV 16,28 (Introduzione)

Esercizi Spirituali (11-19 agosto) alle Pie Discepole del Divin Maestro addette al servizio sacerdotale.
Ariccia, Casa Divin Maestro, 11 agosto 19601

Il Divino Maestro disse queste parole che dobbiamo stasera considerare. E cioè: Veni in mundum. Exivi a Patre, iterum relinquo mundum et vado ad Patrem2. Con questo, il Maestro Divino descrive tutta la sua vita e la sua gloria eterna. E questo serve per noi, per l'applicazione alla nostra stessa vita.
Exivi a Patre. Siamo usciti dalle mani creatrici di Dio. Veni in mundum. Sto percorrendo la mia strada nel mondo: la vocazione, la strada segnata da Dio.
Iterum relinquo mundum. Poi lascio il mondo, ritorno al Padre, ritorno a quel Dio dalle cui mani sono uscito, ecco.
E il Figlio di Dio: Exivi a Patre. Venne sulla terra, compì la sua missione e poi lasciò il mondo e ritornò al Padre, in gloria. Sulla terra aveva egli compito la volontà del Padre, aveva adempita la missione di redimere l'umanità dall'errore e dal vizio e dalla morte, dal peccato.
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[Primo:] siamo usciti dalle mani di Dio. Riconoscenza al Signore il quale ci ha tolto dal nulla, ci ha creati. Poteva creare altri esseri che l'avrebbero servito meglio di noi. Ha creato noi. «Vi ringrazio di avermi creato, fatto cristiano», poi; creato e fatto cristiano, cioè, oltre la vita naturale, anche la vita soprannaturale.
Vengo da Dio. Tutto quel che ho è di Dio, niente è mio. Perché ti insuperbisci tu mentre che quel che hai non è tuo?1. Qualche volta la vanità riesce a penetrare nelle anime nostre e attribuiamo a noi qualche buona cosa e magari ci compiacciamo e magari anche ne cerchiamo la lode perché c'è stato un buon successo, perché gli altri hanno veduto. Rubare al Signore la gloria che è tutta sua e solo sua. Egli ha creato il mondo per la sua gloria, non facciamo questo furto a Dio, rubargli quello che è unicamente suo. Quando noi ci compiacciamo, ci gloriamo di qualche cosa che abbiamo, ci rendiamo immeritevoli delle grazie. E allora tu hai un bel pregare, ma la tua preghiera dice una cosa, ma la tua vita dice un'altra, tu hai la vanità nel cuore. «Di avermi creato, fatto cristiano». Siamo usciti dalle mani di Dio: l'intelligenza, la memoria, la volontà, i buoni sentimenti, il carattere, tutto è di Dio; posseder la grazia, posseder la fede, aver la speranza, vivere in carità, avere una vocazione, tutto è di Dio.
La vocazione il Signore l'ha data quando ci ha creati indicando a ognuno di noi che strada doveva percorrere, sì. Se poi siamo venuti a conoscenza della vocazione e vi abbiamo corrisposto è «grazia sopra grazia»2. Tutto è di Dio. Ognuno di noi è un miracolo dell'onnipotenza, della sapienza e della bontà di Dio. E se siete chiamate a questa bella vostra vocazione, se siete Pie Discepole, l'avete inventato voi? Chi è che ha fatto l'Istituto se non Dio? Chi è che vi ha dato uno spirito così bello? uno spirito che si può dire è proprio al centro, al centro dello spirito del Vangelo, sì; lo spirito che vi porta a comunicare ogni giorno e più volte al giorno e diverse ore, varie ore al giorno con Gesù eucaristico, l'hai fatto tu? E se ci son Costituzioni così belle e sono state approvate dalla Chiesa con tutto l'Istituto, non gloriarti mai, è tutto dono di Dio. Piuttosto pensa: Io ho usato bene delle grazie di Dio? ho corrisposto a tutte le grazie di Dio? Io, quando sarò in punto di morte, che cosa penserò della vita che ho fatto? quando metterò da una parte del libro, metterò l'elenco delle grazie ricevute e, dall'altra parte, metterò le mie opere, quel che ho fatto e quel che non ho fatto, io potrò dire di avere corrisposto alla grazia del Signore, a tutta la grazia del Signore, perseverantemente alla grazia del Signore? Oh, vengo da Dio. Tutto è di Dio.
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Secondo: «Veni in mundum». Siamo nel mondo; siamo nel mondo adesso, e torneremo a Dio; ma siamo entrati nel mondo, non per merito nostro, e siamo entrati nel mondo solo per bontà di Dio. Tutto abbiamo ricevuto. Però: Qui creavit te sine te, non salvabit te sine te1. Colui che ti ha creato senza che tu ne dessi il consenso, non ti salva se tu non collabori, e cioè, non corrispondi alla grazia. Perché, usciti dalle mani di Dio, per pura bontà; ma il premio, la mercede richiede che noi portiamo qualche cosa a Dio perché sia pagato, sia premiato, sia rimunerato. Perciò, se siam venuti con le mani vuote al mondo, dobbiam tornare a Dio con le mani piene; dobbiamo tornare a Dio portando la nostra corrispondenza, la nostra fedeltà.
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La vita è una prova e chi subisce bene la prova e la supera: paradiso eterno; chi non la subisce e si ostina: inferno eterno; e chi la subisce, sì, sostanzialmente bene, ma non propriamente bene, ma con tiepidezza, con molte mancanze e debolezze acconsentite e imperfezioni volute, ecc., come si troverà? La vita è una prova, bisogna che la superiamo.
[1.] Prova di fede: «Chi crede sarà salvo, chi non crede è già condannato»1 perché ha rifiutato di piegarsi alla Parola di Dio. La fede. E quanto è profonda la nostra fede? Persone che recitano il Credo e forse anche recitano il catechismo. Ma sentono quelle verità, le sentono nell'anima? E quelle verità vengono a essere la luce che li guida, vengono a essere il pensiero abituale della mente, vengono ad essere il principio di ogni ragionamento che si fa? di ogni progetto che si prepara? che Dio ci vede, che Dio premia, che Dio castiga, che in Gesù Cristo c'è la salvezza, che la vita eterna è in noi quando noi lo riceviamo degnamente? Come è la nostra fede? è profonda? Lo studio della religione, il catechismo è continuato? E si ama la Parola di Dio? E si legge volentieri la Bibbia? C'è la fede? «Credo, o Signore, ma aumenta la mia fede»2. Fate che io creda sempre di più. Domandare in questi giorni lo spirito di fede, la fede profonda.
La vita religiosa non è un meccanismo, no! La vita religiosa è una vera vita e cioè, c'è in colui che è religioso, buono e santo, c'è un pensiero, c'è una sentimentalità, c'è una volontà conformata a Dio, tutto conformato a Dio. La vita religiosa non è altro che essere un po' più osservanti della virtù della religione, virtù della religione che devono posseder tutti, e virtù che il religioso deve possedere in grado sommo perché si chiama appunto religioso, cioè che specialmente è dominato e pratica questa virtù della religione, quando si vive di fede, quando si ama Iddio, quando si ha in ogni luogo e in ogni tempo il sentimento della dipendenza da Dio, il sentimento della responsabilità della nostra vita e delle grazie. Fede!
[2.] Poi ci vuol la prova di fedeltà, cioè l'osservanza dei comandamenti e l'osservanza dei consigli evangelici, per chi ha avuto la grazia di seguirli, abbracciarli, sì. E perciò, il primo comandamento e il secondo comandamento e la santificazione dei tempi che sono prescritti dalla Chiesa; e l'obbedienza e la carità e la purezza e il rispetto alle sostanze, ai beni altrui, alle persone altrui e la santità nelle parole e la santità dei sentimenti, dei desideri; e lo spirito di povertà e la castità e la docilità dell'obbedienza. Esame. Fedeltà. «Non chi dice: Signore, Signore, entra nel regno dei cieli, ma chi fa la volontà del Padre mio che è nei cieli, questo si salva»3. E se osserviamo i comandamenti e osserviamo i consigli evangelici professati, ecco la salvezza.
3. C'è la prova di amore, cioè di vivere di grazia di Dio e aumentar la grazia di Dio. Perché uno può anche credere le verità e avere il pensiero del paradiso e intanto non essere unito a Dio, lasciandosi cadere con facilità nel peccato. La vita soprannaturale della grazia, che è l'amor di Dio: «Vi amo con tutto il cuore sopra ogni cosa»; «amo il prossimo come me stesso». Vi è in noi l'amore di Dio e aumentiamo ogni giorno la grazia di Dio in noi? cioè la vita soprannaturale in noi?
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Ecco, siamo quaggiù. Quaggiù il Signore ci ha tracciato una strada. La strada per ciascheduno di quelli che son chiamati a vita più perfetta, è la vocazione.
Si è veramente Pie Discepole di Gesù Maestro?
Pie: la pietà.
Discepole: imitatrici di Gesù, il nostro amico, lo sposo dell'anima.
Maestro, cioè colui che ci ha insegnato la strada della perfezione e con le parole e con gli esempi.
Siamo veramente tali e possiamo dire di aver corrisposto e di corrispondere alla nostra vocazione? La vocazione che cosa è in fondo? È la chiamata alla perfezione. Sei cresciuta in perfezione dall'anno scorso? Cioè, dagli ultimi Esercizi ad oggi? L'Estote perfecti, sicut Pater meus perfectus est1, questo è un ideale santissimo. Ma se non possiamo raggiungerlo, almeno vi tendiamo e togliamo ogni giorno un po' di quello che dispiace a Dio? E mettiamo ogni giorno un po' di quello che vuole Iddio? Si è veramente sulla strada della perfezione.
E qui veniamo al problema e alla necessità e al dovere essenziale. Qual è il dovere essenziale senza di cui uno non fa la vita da religioso? Tendere con tutte le forze alla perfezione. Altrimenti si può firmare cento volte con la parola "religioso", ma in realtà non lo sarebbe. Se uno si contenta soltanto di vivacchiare e dopo un anno, dopo dieci, non ha progredito, anzi qualche volta è ancora retrocesso nella virtù, era, forse, più buono, più fervoroso da novizio, allora non si è corrisposto alla vocazione. Pensiamo proprio, facciamo quello che è la vocazione? E cioè, noi siamo veramente religiosi? Crescono le virtù o crescono i difetti? Crescono le pretese e, quello che possiamo dire, la indifferenza, la tiepidezza? Oppure cresce il fervore e cresce il bisogno di donarci, non di pretendere? Come cresciamo? Punto principale di esame di coscienza, questo, insieme agli altri tre fondamentali: come subiamo la prova della fede, la prova di fedeltà a Dio e la prova di amore a Dio, ecco.
Veni in mundum. E siamo nel mondo. Gesù era vicino, alla conclusione della sua vita terrena quando disse quelle parole: Exivi a Patre, veni in mundum et iterum relinquo mundum. Vado verso la morte.
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[Terzo:] andiamo verso la morte. Ma la morte è una porta, è la porta dell'eternità, al di là c'è Dio, c'incontriamo con Dio, sì, ci incontriamo con Gesù Maestro. Iterum relinquo mundum et vado ad Patrem. Ce lo siamo meritato il paradiso? Pensiamo alla nostra fine, non soltanto alla morte in generale e neppure stiamo a parlare tanto facilmente della morte di una persona, di un'altra: morto per incidente, morto per la tal malattia, morto giovane, morto anziano; c'è la Messa per un defunto, c'è la sepoltura per la tal persona. Oh, vediamo un poco, invece di pensare soltanto alla morte degli altri, pensiamo alla nostra morte? L'elenco delle defunte vostre si allunga già abbastanza, non è vero? Relinquo mundum. Lascio il mondo. E l'han lasciato il mondo e sono già entrate nel loro luogo, sì.
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Ma affacciandoci all'eternità, cosa troviamo al di là, quale è lo spettacolo che ci si presenta? Ci sono tre posti: paradiso, purgatorio, inferno. Relinquo mundum. Si chiude la scena di questo mondo. E vado a Dio e ricevo la sentenza, sì.
Colui che avrà pienamente adempito ciò che il Signore voleva, avrà corrisposto totalmente alla sua vocazione. E avrà anche pagato ogni debito con Dio? Ecco, a colui si apre immediatamente il cielo: Veni sponsa Christi1. E si incontrano le persone più care e s'incontrano gli angeli e i santi e si incontra la Santissima Trinità. Intra in gaudium Domini tui2.
C'è il purgatorio. E se morissimo adesso, noi avremmo pagato tutti i debiti contratti con Dio? Perché, per non fare purgatorio occorre: aver soddisfatto con penitenze e con acquisto di indulgenze, soddisfatto intieramente al nostro debito verso la giustizia di Dio; occorre, per evitare il purgatorio, di vivere in perfetto amor di Dio e di accettare la morte con perfetta rassegnazione, abbracciando perfettamente, cioè, il volere di Dio; e occorre anche avere eliminato, quanto ci era possibile, di difetti. Non passare all'eternità ancora con delle affezioni, dei desideri, delle volontà proprie, delle preferenze, dei capriccetti, sì. Diversamente vi è quel luogo di attesa e quel luogo di pene che è luogo anche creato dall'amore di Dio perché ci prepariamo, se ne abbiamo ancor bisogno, all'ingresso in cielo.
E in ultimo vi è quel luogo desolante: inferno: locus tormentorum3, il posto dei tormenti, dove si son raccolti i tormenti. Dio, la sua giustizia, sì. E vi è Giuda, il quale pure aveva vocazione e una vocazione bella ed era fra i Dodici privilegiati, i più privilegiati di tutto il mondo: Apostoli, se eccettuiamo Maria e Giuseppe. Infelice! Eppure è caduto là per una passione: l'avarizia. E basta una passione un po' assecondata perché si venga anche a dei disordini gravi e, quindi, anche alla perdizione, se uno si ostina, si capisce, poiché è sempre aperta la via al perdono per chi si arrende all'invito di Dio, sì. A penis inferni, libera nos, Domine4 - diciamo - sì.
Oh, contemplando, allora, ciò che c'è di là da quella porta che è la morte, che voci sentiamo dell'aldilà, e che cosa sentiamo nella nostra coscienza in questo momento? Immaginiamo che ci giungano i canti di letizia dei santi, delle vergini, dei martiri, degli angioli del cielo, i canti gioiosi. Fra quei canti, anche qualche voce di persona che è convissuta con noi e che ebbe la stessa vocazione vostra.
Sentir anche i gemiti che vengono da quel luogo che chiamiamo purgatorio, dove fra gli spasimi, sebben rassegnati, vivono e attendono la liberazione, anime purganti. Vi sarà, forse, qualche persona cara? Vi sarà, forse, qualche persona con cui si è convissuto? e di cui, forse, si sono ammirati gli esempi, oppure si sono compatiti i difetti e si è steso un velo di bontà sopra certe mancanze?
Può arrivare fino al nostro orecchio il grido, anzi, le grida disperate delle anime dannate? Crucior in hac flamma5: sono arso in questo fuoco, gridava il ricco Epulone che aveva negato le briciole di pane che cadevano dalla mensa, le aveva negato al povero Lazzaro, vecchio, affamato e infermo, piagato. Chiedeva qualche goccia d'acqua, lui che aveva negato le briciole di pane sulla terra.
Tre pensieri, dunque: sono uscito da Dio. Exivi a Patre, veni in mundum. Siamo nel mondo, siam venuti e ci siamo e dobbiamo ogni anno perfezionarci un poco. E lasciamo di nuovo il mondo6. Attendiamo che la vita si chiuda e che con la morte si apra la porta dell'eternità. E sentiamo in questi giorni e i canti gioiosi dei beati e i gemiti delle anime purganti e le grida orrende e disperate dell'inferno .
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Esercizi in silenzio, in molta preghiera, in raccoglimento, in umiltà, in atti di fede, di amore. E poi, mortificazioni per saldare i nostri conti con Dio, indulgenze plenarie. E poi saranno i propositi e saranno ancora più le preghiere perché possiamo avere un anno, se a Dio piacerà di darcelo, un anno santo.
È tempo che ci facciamo davvero santi; troppe parole abbiam detto e, forse, non abbastanza fatti. Persone che non osano parlare e usar la parola "santità", ma che davvero operano con slancio e con generosità per raggiungerla; persone umili, le quali san dir poco, ma sentono tanto e operano tanto nel loro interno.
Siano veramente Esercizi che chiamiamo "spirituali", davvero spirituali. Questo nostro io, questo nostro orgoglio che spesso c'inganna, in questi... facciamolo tacere. L'egoismo è proprio l'inganno delle anime, impedisce un esame serio e impedisce un po' di giudicarci secondo la verità. Taccia una volta questo egoismo che è nemico della santità e dell'amor di Dio. Taccia. E ci parli lo Spirito Santo.
Ricorriamo tanto a Maria. Soprattutto guardiamo tanto il tabernacolo.
Sia lodato Gesù Cristo.
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1 Nastro 31/a (= cassetta 75/b). - Per la datazione, Cf PM: «Il Divin Maestro disse queste parole che dobbiamo stasera considerare: "Veni in mundum..." [Gv 16,28]. «Esercizi in silenzio, in molta preghiera...». - dAS, 11/8/1960: «...Va [il PM] ad Ariccia per predicare l'Introduzione degli Esercizi alle PD». - VV: «PM. Ariccia, Esercizi 11-19 agosto 1960 per le suore del servizio sacerdotale».

2 Gv 16,28.

1 Cf 1Cor 4,7.

2 Cf Gv 1,16.

1 S. AGOSTINO, Sermone 169,11,13: ML 38,923.

1 Cf Mc 16,16.

2 Cf Mc 9,24. .

3 Cf Mt 7,21.

1 Mt 5,48.

1 Liber Usualis, commune Virginum, ant. in I et II Vesperis.

2 Mt 25,21.23.

3 Cf Lc 16,28.

4 Litanie dei Santi.

5 Lc 16,24.

6 Gv 16,28.