Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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11. FEDE - SPERANZA - CARITÀ*

[1. La fede]

Pregare Maria perché ci ottenga dal Signore aumento di fede, di speranza e di carità. Parliamo infatti della fede, della speranza e [della] carità in questo ritiro. Se c'è una grazia importante da chiedere, e che il Signore concede volentieri, è proprio l'aumento di queste virtù.
Consideriamo tre applicazioni, tre fini a cui mirare: 1) credere sempre più; 2) scrivere, stampare e diffondere bene le verità della fede; 3) chiedere al Signore l'aumento di fede.

[1.] La fede ci fa credere le cose che non si vedono: l'anima, la redenzione, il paradiso, Gesù nell'Ostia; tutto il bene della vita religiosa che consiste nel lasciare tutto e seguire Gesù, stare con lui, nell'osservanza dei voti e della vita comune. Alla vita religiosa ben vissuta è promesso il centuplo dei beni lasciati e la vita eterna. Che valgono i beni di questa terra? Chi possiede Dio, vivendo nella sua grazia, possiede un bene infinitamente maggiore di tutti i beni di questa terra. Uno che sa solo maneggiare la scopa, se lo fa per amore di Dio, è più grande di un grande pittore che non lavora per Dio. Credere a queste cose che non si vedono, a queste verità. Le verità che si vedono, che si dimostrano, appartengono alla scienza. Il Signore poi ha rivelato tante verità: c'è stata la rivelazione e la fede ci fa credere a tutte le verità rivelate.
Chi ha fede viva, un giorno vedrà in Dio tutto ciò a cui ora crede. Altro che le visioni che anime privilegiate, come S. Bernardetta1, possono avere [per] alcuni istanti su questa terra!
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La fede è la radice di tutto il merito, di tutta la santità.
Due sorelle vengono invitate a farsi suore: una risponde di sì e l'altra di no, una ha fede e il lume dello Spirito Santo che le fa comprendere il valore della vita religiosa e l'altra no. Lo Spirito Santo come interviene nella fondazione di ogni Congregazione, così interviene nella vocazione di ogni membro. Chi non ha fede vede tutto duro nella vita religiosa, chi invece ha fede stima tutto vanità in confronto all'amore di Gesù Cristo, come faceva S. Paolo2.
La fede dà i supremi beni; per la fede si ha la pazienza, si è attenti a non lasciarsi sfuggire le occasioni di merito. Per la fede si vede l'apostolato nel suo spirito, secondo il Vangelo, come mezzo per salvare le anime; per la fede si ubbidisce e si sa di ubbidire a Dio, non ad una creatura: E ci hanno mandato quella superiora!. Vi hanno mandato Dio, ascoltate Dio, servite a lui! Certo, oggi è nuvolo e ieri era sereno; oggi abbiamo una tentazione e domani ne avremo un'altra; ma amiamo il Signore, abbiamo fede e tutto sarà superato.
La fede deve essere nutrita da belle Comunioni, da confessioni ben fatte. La confessione fatta con semplicità è un canale con cui la fede viene nutrita. Mezzo per nutrire la fede è pure lo studio del catechismo, è la meditazione ben fatta, ricordata spesso durante il giorno. La fede poi deve diventare operosa, perché la fede senza le opere è morta3. Se credi che quella Maestra rappresenta il Signore, devi ubbidire e non solo a lei, ma anche ai capireparto, come dicono le Costituzioni4.

2. Scrivere, stampare e diffondere sempre più le verità di fede. C'è una certa mania di andare ai margini, quasi che le verità della fede si debbano nascondere: «Su ciò ti ascolteremo un'altra volta»5 dicevano già gli areopagiti a S. Paolo.
È vero che noi dobbiamo essere prudenti, presentare le cose con una certa gradazione, ma intanto dobbiamo dirle con semplicità, come faceva Gesù, come faceva S. Paolo, far conoscere
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ciò che è di vantaggio ai lettori: la salvezza dell'anima, il paradiso. Stare attente a non assecondare la tendenza che c'è adesso di andare ai margini, sia nei libri, come nei periodici, come nelle pellicole, stare nel centro, al Vangelo. Certo, bisogna conoscere il contenuto dei libri, ma non occorre per questo leggere tutti i libri. Non si può essere suore, essere tutte di Dio e poi tenere un piede nel mondo. Avete tante buone regole, si son date tante buone norme perché non abbiate del male, ma solo del bene: stare a queste norme.

3. C'è un'altra tendenza contro cui bisogna guardarsi, edè il ragionare superficialmente. Noi dobbiamo ragionare invece soprannaturalmente. Non avere per regola il mi piace o non mi piace. Dobbiamo piacere a noi o a Dio? Gesù faceva sempre ciò che piaceva a Dio: «Quae placita sunt ei facio semper»6.
Poi riguardo alla fede bisogna ancora dire questo: si preferiscano decisamente i discorsi buoni, i discorsi di quelle che sono sagge ai discorsi vani, leggeri, la Bibbia al romanzo, si lascino le preoccupazioni per le cose di famiglia, le preoccupazioni mondane, ecc. Dimorate col vostro cuore nell'Istituto; amate le persone, le occupazioni dell'Istituto, non lasciate andare tanto facilmente il cuore a passeggio, fategli una cinta intorno.
La fede è come un granello che viene seminato: se è sano porterà molto frutto, se non è sano, non fruttificherà. Se la fede in voi sarà profonda, viva, porterà molto frutto per la vostra santificazione e per il vostro apostolato. Chiedere al Signore aumento di fede: «Adauge nobis fidem»7.

II. La speranza

S. Paolo dice di rinnovare l'uomo interiore, cioè la vita spirituale, «affine di stabilire la dimora di Gesù Cristo in noi per mezzo della fede»8.
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La fede è un atto dell'intelletto; vi è chi la confonde con la speranza. Questa è più larga, ogni mattina dobbiamo svegliarci disposti a camminare nella giornata «in spem vivam»9, fare un atto di diffidenza di noi e di confidenza in Dio. Egli provvederà a tutto: al pane quotidiano, alle necessità economiche, all'infusione della grazia, allo spirito religioso, a liberarci dalle tentazioni, ecc. Avere una speranza viva. Spesso manca la fede, più spesso ancora manca la speranza. Talora uno crede di essere umile e invece manca di una virtù teologale. Speranza viva ci vuole! Diffidenza di noi, ma fiducia illimitata in Dio: «Omnia possum in eo qui me confortat»10. «Sine me nihil potestis facere»11. Chi non è in grazia di Dio non acquista alcun merito per il paradiso, mentre chi è in grazia e opera con retta intenzione, in spirito di obbedienza, alla sera avrà più merito che al mattino. Il merito, il paradiso è il primo oggetto della speranza, il secondo oggetto sono le grazie, gli aiuti necessari che si ricevono attraverso le pratiche di pietà, l'intercessione della Madonna, dei santi, ecc.
La speranza deve essere fondata su Dio: fare il nostro dovere, la parte nostra, non fare debiti spregiudicatamente, ma contare che Dio ci aiuterà a pagare le tratte, cosa doverosa secondo giustizia «quae magis urget»12. Contare su Dio. Noi non lavoriamo per far soldi, ma per farci dei meriti. Certo bisogna ricevere il giusto compenso del libro, del periodico, se no l'apostolato finisce, ma questo non è un accumulare danaro per conto nostro.
Quando si manca di speranza, di fiducia dobbiamo confessarcene. Ma dobbiamo avere una speranza, una confidenza giusta. Noi non siamo come gli ebrei dell'Antico Testamento che chiedevano sempre grazie materiali. La nostra speranza deve mirare al paradiso, alla santità, ma questa santità si capisce che richiede sforzo, suppone prove, tribolazioni, ecc., cose che Gesù ebbe pure per sé.
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Avere fiducia nella Congregazione, nelle Costituzioni dove c'è tutto quello che ci occorre per farci sante. Nella vita paolina c'è tutto: la pietà da cui deve venire la pratica delle virtù, e da queste l'apostolato, il paradiso. Lo studio delle Costituzioni non è come quello dell'astronomia che lascia il sole e le stelle là dove sono, lo studio delle Costituzioni deve cambiare qualcosa in noi, la nostra mentalità, deve trasformarci da semplici fedeli in buone religiose.
Talvolta noi vorremmo correggere ciò che ha fatto il Signore e non pensiamo che dobbiamo correggere noi stessi, le nostre idee, i nostri molti sbagli.
La speranza è incerta da parte nostra e certa da parte di Dio, ossia: 1) Dio è onnipotente e può farci tutte le grazie di cui abbiamo bisogno; 2) inoltre egli ha promesso di darci queste grazie; 3) Dio è buono e ci vuole con sé in paradiso.
Ma la speranza è incerta da parte nostra. Pensiamo a Giuda. Egli aveva sentito Gesù dire: «Beati i poveri»13, ma non praticava questa beatitudine, non c'era in lui la speranza buona, pensava a se stesso, forse ad un campicello. Certe religiose possono anche far così, ma di loro si potrà forse dire un giorno ciò che si disse di Giuda: «Melius erat si natus non fuisset homo ille!»14. La prima parte della Visita si chiude con un Atto di fede o con il Credo o Te Deum, ecc.; la seconda parte si chiude con le Beatitudini che sono le nostre otto speranze. Dunque, la speranza può essere incerta quando noi non corrispondiamo alle grazie del Signore e non abbiamo buona volontà.
Quando una entra nell'Istituto non si pretende che sia già santa, l'Istituto non è irragionevole, non ha di queste pretese, ma si richiede che sia buona cristiana, che abbia buona volontà, questo sì!
Alla sera piangere i nostri peccati, il male commesso, qualche volta conviene proprio bagnare un po' il cuscino, ma poi guardare il Crocifisso, avere in lui una speranza estrema; dobbiamo sperare nell'intercessione della Madonna, dei santi nostri protettori,
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delle nostre sorelle e dei nostri cari già volati in paradiso. «La speranza giusta non si confonde: Spes non confunditur»15.
Diffidenza di noi. Pensiamo che possiamo sempre diventare come Giuda, Giuda si attaccò ai soldi, ma lo sbaglio suo più grave fu quello di non attaccarsi a Gesù che effondeva tutto il suo cuore nei suoi ultimi discorsi quando diceva: «Manete in dilectione mea»16. Amatevi! «E la carità copre la moltitudine dei peccati»17. Gesù ebbe per Giuda molti richiami, ma egli non li udì. Quando noi sentiamo dei richiami, delle ispirazioni a far meglio, a cercare la santità, l'amor di Dio, non disprezziamoli: «Hodie, si vocem eius audieritis, nolite obdurare corda vestra»18.
Avere speranza, molta speranza: nella Messa, nella Comunione, nelle grazie che il Signore ci ha preparate secondo i nostri bisogni; fiducia grande nella intercessione della Madonna.

III. La carità

La fede, la speranza e la carità sono dono di Dio. Queste virtù sono state infuse nel Battesimo, ma allora il bambino riceve queste virtù inconsapevolmente e il bambino se muore avrà il paradiso solo per eredità. Per noi non è solo eredità il paradiso, è anche conquista. Tutti i giorni si guadagna un po' di merito e si sale un gradino più in su. Il premio l'avremo dopo morte, il merito però si guadagna in vita: «Chi mangia la mia carne ha la vita eterna»19.
Avete il Vangelo. Leggete S. Giovanni, specialmente i capitoli dove riporta il discorso di Gesù prima di incominciare la passione e dove parla della carità. Qualche volta per andare avanti nella perfezione bisogna spingere, spingere. Alcune persone incominciano a leggere il Vangelo, ma poi trovano un libro di una certa suora, di certe rivelazioni e leggono quello. Invece delle rivelazioni leggete la Rivelazione. Se volete leggere
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un bel libro di rivelazione, prendete il Vangelo e poi le Epistole di S. Paolo. Ma non rotolate più giù. Vi ho dato il divin Maestro e voi non dovete fermarvi al sacro Cuore. La vera santificazione per voi sta qui: divozione al divin Maestro e alla Regina degli Apostoli e a S. Paolo.
Gesù ci dice: «Amatevi», ma quanto? Vedete che ci ha messo un punto che non possiamo raggiungere: «Tanto quanto io amo il Padre celeste»20. Tuttavia dobbiamo mirare lì, amare il Signore quanto l'ha amato il cuore di Gesù.
Fede speranza e carità sono doni di Dio, nel bambino sono totalmente dono di Dio, nell'adulto dono di Dio e conquista personale. Bisogna che noi ci esercitiamo nell'amore di Dio che da una parte è infuso, ma dall'altra è conquista nostra. Perché si dice l'Atto di carità al mattino? Per esercitarci nell'amore di Dio e quindi crescere in esso. Mettete che ci sia una persona che operi sempre per il paradiso con retta intenzione: fare per il paradiso e fare per il Signore è la stessa cosa, desiderare il paradiso e avere l'amor di Dio è la stessa cosa, [quindi] questa persona aumenta molto nell'amore a Dio.
Vi sono due difficoltà all'amore di Dio: la lontananza, la disuguaglianza.

1) Per aiutarci però a superare queste difficoltà, cosa ha fatto il Signore? Si è incarnato, si è fatto vivo e vero e vicino a noi; nella Comunione il suo cuore palpita vicino al nostro.
Si può amare una persona che non si vede? Se un bambino avesse il papà in America e non l'avesse mai visto, ma sa che vive, lo potrebbe amare? Sì, ma certamente amerà di più la mamma con la quale è sempre vissuto. Il Figlio di Dio si è fatto uomo perché lo amassimo, si è incarnato, è morto per noi proprio per questo.

2) Disuguaglianza. È difficile che un re faccia amicizia con dei pastori di greggi per la disuguaglianza che esiste tra di loro: generalmente si amano i vicini, le persone della stessa condizione sociale. Gesù si è fatto uomo in tutto simile a noi, fuorché
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nel peccato21: mangiava come noi, riposava come noi e gli apostoli gli portavano da mangiare e lo svegliavano nella barca quando dormiva. Si è fatto poverello e bambino nel presepio, perché i bambini si amano di più. Poi, cresciuto, è diventato il grande Apostolo del Padre e si è fatto amare dagli uomini di qualunque condizione. Com'è detto nel prefazio del Natale, si è fatto visibile, perché noi siamo attratti dall'amabilità di Gesù ad amare il Signore. E chi non amerà il Signore quando prende il Crocifisso tra le mani e guarda le piaghe dei suoi piedi, del suo costato, delle sue mani? Esercitarsi nell'amore di Dio. In pratica questo si fa con la retta intenzione, con la fortezza nel compiere ciò che ci costa. L'amore dato dall'infusione si riceve specialmente nella Visita, nella Messa, nella Comunione. Domandiamo l'aumento dell'amore di Dio; ci sono delle circostanze in cui l'amore aumenta di più: tempo di Natale, Pasqua, Pentecoste, Corpus Domini e altre circostanze; questo in generale, ma ogni anima ha delle circostanze particolari in cui cresce in lei l'amor di Dio, può essere dopo la Comunione, dopo la confessione, dopo la meditazione. Esercitarsi nell'amore al Signore. Ama il Signore colui che opera per il Signore.
L'amore di Dio deve essere senza limiti. Dobbiamo amare il Signore con tutto il cuore, con tutte le forze, con tutta l'anima, con tutta la mente e con tutto il nostro essere. Amarlo il Signore! Pensare a Dio è amore di Dio. Conformarci alla volontà di Dio è amore di Dio. Aspirare alla vita eterna e all'amore di Dio aumenta i meriti, desiderare di entrare nell'intimità di Gesù è tutto amore di Dio.
Il prossimo si ha da amare come noi stessi, ma sempre per amore di Dio. Perché amo il prossimo? Perché è immagine di Dio, perché siamo tutti fratelli, tutti figli dello stesso Padre celeste. Amare tutte le persone che sono o unite o che possono unirsi a Dio per la grazia e possono andare in paradiso, tutti i vivi, tutti quelli che sono in purgatorio e tutti quelli che sono in cielo. Si possono amare i dannati? No, perché non vi è più possibilità
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per loro di arrivare a Dio. E i vivi si debbono amare tutti nello stesso [modo]? Dovete amare di più la vostra mamma o la vostra sorella? Le Paoline o le Carmelitane? L'amore deve essere ordinato.
Amare l'Istituto e le persone dell'Istituto. La carità verso il prossimo è il precetto di Gesù: «Amatevi l'un l'altro: questo è il mio comandamento»22, inoltre è il distintivo dei cristiani: «In questo vi riconosceranno che siete miei discepoli, se vi amerete l'un l'altro»23. Le Figlie di San Paolo bisogna che si distinguano per un amore speciale: più compatirsi, più aiutarsi, ecc. Ma per la pratica chiedere quattro grazie: avere verso il prossimo un amore di benevolenza, beneficenza, concupiscenza, convivenza.

1) Benevolenza. Volere il bene: che le sorelle si facciano buone e sante, che abbiano salute, che imparino bene a scuola, che ascoltino bene le Messe, che vivano la vita regolare, ecc.

2) Beneficenza. Farsi del bene, pregare l'una per l'altra, darsi buon esempio, essere il «buon odore di Cristo»24. Che tutte abbiano il sufficiente, che siano liete e istruite, che sappiano tener conto della salute, essere ordinate. Specialmente che si facciano sante.

3) Concupiscenza. Significa stare volentieri con le sorelle, in casa, nell'Istituto. Attente alle relazioni con estranei: Io andrei in propaganda e non verrei più a casa. Brutta cosa! Desiderare la compagnia delle sorelle e non essere di quelle che sono spesso col muso lungo, che fanno le misantrope, camminano strisciando le ciabatte, lamentandosi a destra e a sinistra.
Amate le sorelle defunte e le sorelle viventi, desiderate che l'Istituto sia sempre più numeroso, sempre più santo.

4) Convivenza buona, essere socievoli. Ma io sono fatta così. Gliene dico quattro e basta, tutto passa. Intanto tu ti agiti e la carità viene offesa.
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Presto sarà beato Pio X: che buona convivenza aveva quell'uomo con tutti! Eppure mai accondiscese al male. Era mite e forte, forte contro il male. Non dico che un gruppo debba troppo mescolarsi con l'altro, ma essere socievoli, saper vivere bene insieme. Questo però non vuol dire che ci debbano essere amicizie particolari. Le amicizie particolari sono dannose alla buona convivenza come le antipatie.
Teniamo presenti e pratichiamo queste due buone norme: «Fare agli altri quello che vorremmo fosse fatto a noi e non fare agli altri quello che non vorremmo fosse fatto a noi»25.
Preghiamo la Madonna che ci ottenga l'amor di Dio e l'amore del prossimo.
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* Ritiro mensile, tenuto dal Primo Maestro a [Roma] il 28.4.1951, stampato in sedicesimo, pp.1-11, insieme ad altre meditazioni del 1951 dal titolo “Meditazioni”; “Fede, speranza e carità nei riguardi di Maria Regina degli Apostoli”.

1 Bernardetta Soubirous (1844-1879), francese, di povera famiglia, fragile di salute, e quasi analfabeta. Nel 1858 a Lourdes riceve le apparizioni dell'Immacolata. Il dogma dell'Immacolata Concezione era stato appena definito l'8 dicembre del 1854 dal beato Pio IX.

2 Cf 1Cor 3, 20.

3 Cf Gc 2, 17.

4 Cf Costituzioni della Pia Società Figlie di San Paolo, ed. 1944, art. 102.

5 Cf At 17, 32.

6 Cf Gv 8, 29: «Io faccio sempre le cose che gli sono gradite».

7 Cf Lc 17, 5: «Aumenta la nostra fede».

8 Cf Ef 2, 22.

9 Cf 1Pt 1, 3: «[Ci ha generati] per una speranza viva».

10 Cf Fil 4, 13: «Tutto posso in colui che mi dà la forza».

11 Cf Gv 15, 5: «Senza di me non potete far nulla».

12 Cf 2Cor 5, 14: «Ci sospinge grandemente».

13 Cf Mt 5, 3.

14 Cf Mt 26, 24: «Sarebbe meglio per quell'uomo se non fosse mai nato!».

15 Cf Rm 9, 33.

16 Cf Gv 15, 9: «Rimanete nel mio amore».

17 Cf 1Pt 4, 8.

18 Cf Sal 95, 8: «Ascoltate oggi la sua voce, non indurite i vostri cuori».

19 Cf Gv 6, 51.

20 Cf Gv 15, 10.12.

21 Cf Eb 9, 28.

22 Cf 1Gv 3, 23.

23 Cf Gv 13, 35.

24 Cf 2Cor 2, 15.

25 Cf Lc 6, 31.