Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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4. LA CARITÀ
Domenica di Quinquagesima, Meditazione, Castel Gandolfo, 16 febbraio 19581

Quest’oggi è la domenica della carità, ed essa è la virtù della persona religiosa. E anche perché nella domenica presente noi leggiamo, sia nell’Epistola e sia nel Vangelo2, quello che ci istruisce e quello che ci porta alla carità.
Poi nella Quaresima la divozione speciale è la divozione al Crocifisso: Gesù che si immola per noi sulla croce, noi che ci offriamo a lui. La consecrazione a Gesù, il donar la vita a Gesù, risponde all’amore di Gesù. Gesù si è donato tutto a noi e ha offerto tutto, tutta la sua vita per noi; noi rispondiamo: Tu sei mio, io sono tuo. E poi tutta la Quaresima deve ispirarsi a mortificazione: così ci amò Gesù da immolarsi per me [cf Gal 2,20], dice san Paolo; e allora noi così amiamo Gesù da donarci tutte a lui, da immolarci intieramente a lui. L’immolazione che cosa comprende? L’immolazione comprende particolarmente la obbedienza, e poi la carità; con l’obbedienza offriamo la volontà, con cui immoliamo la volontà nostra, e con la carità immoliamo l’egoismo. La carità è un servizio verso il prossimo, un donarsi, un beneficarsi, un voler il bene del prossimo; e l’egoismo, invece, è piuttosto sfruttare gli altri per noi, per
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il nostro amor proprio e vedere negli altri il bene se ci sono di aiuto soltanto, quando cioè si cerca non il bene degli altri ma il bene nostro. Adesso l’esercizio della Quaresima: immolazione della volontà e immolazione dell’egoismo, sì. La nostra natura ricalcitra tante volte, ma quando ricalcitra la natura bisogna andar da Gesù, e Gesù ci darà la forza… sì, ci darà la forza sulla natura.
Prendiamo, dunque, il Vangelo della domenica. «In quel tempo: Gesù presi in disparte i Dodici, disse loro: Ecco, noi andiamo a Gerusalemme e si adempiranno le cose predette dai profeti riguardo al Figlio dell’uomo; – e cioè – egli sarà dato nelle mani dei Gentili – e fu dato in mano a Pilato –, sarà schernito e flagellato e coperto di sputi. E, dopo averlo flagellato, lo uccideranno; ma risorgerà il terzo giorno». Qui Gesù parla della sua passione e morte che è l’atto, che è – meglio –, la dimostrazione più viva del suo amore per noi: Nessuno ama di più di colui che dà la vita per l’amato [cf Gv 15,13].
«E quelli – i Dodici – nulla compresero di tutte queste cose, ed il senso di esse era loro nascosto e non afferravano quanto veniva loro detto». A loro non sembrava che potesse, Gesù, essere condannato a morte e poi essere crocifisso.
«Or avvenne – la seconda parte del Vangelo –, or avvenne che mentre egli si avvicinava a Gerico, un cieco stava seduto lungo la strada a mendicare; e sentendo passare la folla, domandò che cosa mai fosse. Gli dissero che passava Gesù Nazareno. Allora egli gridò: Gesù, figlio di David, abbi pietà di me. E quelli che precedevano gli gridavano di tacere. Ma lui a gridar più forte: Figlio di David, abbi pietà di me. Allora Gesù, fermatosi, comandò che gli fosse condotto. E quando gli fu vicino, gli domandò: Che vuoi che io ti faccia? E colui: Signore, esclamò, che ci veda. E Gesù gli disse: Guarda, la tua fede ti ha fatto salvo. E subito ci vide e gli andava dietro glorificando Iddio. E tutto il popolo, visto questo, lodò il Signore». Ecco, è Gesù che per amore di questo cieco compie un miracolo, gli ridona la vista: è sempre la carità, che è fatta di opere soprattutto!
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Ora, l’Epistola della Messa è tratta da san Paolo, nella Lettera ai Corinti, ed è tutta sulla carità. «Fratelli: Quand’io parlassi le lingue degli uomini e degli Angeli, se non ho la carità, sono come un bronzo che suona e un cembalo che squilla. E quando avessi la profezia, e conoscessi tutti i misteri ed ogni scienza, e quando avessi tutta la fede, fino a trasportare i monti, ma non avessi la carità, sarei un niente. E quando distribuissi tutto il mio per nutrire i poveri, e sacrificassi il mio corpo ad essere bruciato, se non ho la carità, nulla mi giova». Che cosa vuol dire? Vuol dire che è nulla anche subire il martirio? Vuol dire che se non c’è la carità, non disporrò di nulla rispetto alla vita eterna. Può ottenersi, però, la grazia di convertirsi. Ma cosa vuol dire precisamente? Vuol dire che chi non vive in grazia di Dio, le sue opere non servono per la vita eterna. Gente che va, per esempio, alla Messa alla domenica ma è in peccato grave, non fa un merito per il paradiso; tuttavia ci deve andar lo stesso per non fare un nuovo peccato, perché se mancasse anche alla Messa farebbe un nuovo peccato. Quindi bisogna sempre che ci sia la carità, l’unione con Dio: allora tutte le opere valgono davanti a Dio per l’eternità.
E dice: E se dessi anche tutto il mio, cioè tutte le mie sostanze ai poveri e non avessi la carità, cosa varrebbe? Non varrebbe niente. Ma se uno invece è in grazia di Dio, anche far la pulizia, anche far da mangiare, anche far una gentilezza, un atto di bontà, tutto serve. Lo stesso prendere il cibo e riposare, se è offerto a Dio, vale per la vita eterna. Sì, poi ci vuole sempre la carità. Una vite che sia ben concimata, ben tenuta, produce frutto; ma se vi è un ramo che è distaccato dalla vite, quel ramo lì non fa frutto, non fa frutto: così, se noi siamo distaccati da Dio col peccato. Se invece viviamo uniti a Dio per la grazia di Dio, allora la nostra vita produce frutti di vita eterna… anche le minime opere.
Lì s’intende dell’amore verso Dio, ma poi dopo parla dell’amore che dobbiam portare al prossimo e che è amare il prossimo per amore di Dio: ama il prossimo tuo come te stesso [cf Lv 19,18; Mt 22,39]. Oh! Allora in seguito parla della carità
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verso il prossimo: «La carità è paziente, è benefica; la carità non è invidiosa, non è insolente, non si gonfia, non è ambiziosa, non cerca il proprio interesse, non s’irrita, non pensa male, non gode dell’ingiustizia, ma si rallegra della verità». La carità «tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta. La carità non verrà mai meno».
Oh! «Le profezie passeranno, e cesseranno le lingue e la scienza avrà fine: perché imperfettamente conosciamo e imperfettamente profetiamo; e quando sarà venuta la perfezione ciò che è imperfetto dovrà sparire», quando cioè saremo in paradiso. «Quando ero bambino parlavo da bambino, avevo gusti da bambino, e pensavo da bambino; ma fatto uomo ho smesse le cose che eran da bambino. Ora noi vediamo come in uno specchio, in modo enigmatico; ma allora vedremo faccia a faccia; ora conosco parzialmente, ma allora conoscerò come io sono conosciuto. Rimangono per ora tutte e tre: fede, speranza e carità: ma la maggiore di queste tre virtù è la carità». Vuol dire che quando si sarà in paradiso non ci saranno più le profezie, non ci sarà più una scienza umana, ma ci sarà una scienza divina e vedremo Dio direttamente. Adesso siamo come bambini, ragioniamo delle cose all’umana, ma quando saremo in paradiso la nostra conoscenza sarà compiuta, perfetta, e vedremo in Dio tutto. Cesserà la fede in paradiso perché la fede è credere ciò che non si vede, ma quando si è in paradiso si vede Dio! Così cesserà la speranza perché la speranza significa sperare il paradiso, cioè confidare di andar in paradiso: ma se si è già arrivati, non si confida più, ci si è già! Però l’unione con Dio, l’amore a Dio rimane in eterno: quindi la carità rimane in eterno. E perciò è la virtù più grande perché ci unisce a Dio, e d’altra parte ci tiene a lui uniti per tutta l’eternità; mentre che cesseranno la fede e la speranza.
Oh!, allora è l’Inno della carità questo complesso di cose lette, neh?, proprio l’inno che san Paolo eleva alla carità: paziente, benefica, sopporta, crede, non è invidiosa, non è ambiziosa, eccetera... Eh sì, la carità!
Eccoci, dunque: a questo punto noi chiediamo la carità quotidiana. Quando dice quelle cose, cioè quando descrive i
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dodici caratteri della carità, si riferisce alla vita di tutti quelli [cioè i Corinti]: «La carità è paziente, è benefica, la carità non è invidiosa, non è insolente, non si gonfia, non è ambiziosa, non cerca il proprio interesse, non si irrita, non pensa male, non gode dell’ingiustizia, ma si rallegra della verità. E tutto scusa e tutto crede e tutto spera e tutto sopporta». Quella è la descrizione della carità quotidiana: volersi bene. I primi cristiani in Roma si distinguevano perché si volevano bene tra di loro. I pagani non amavano i bambini, non amavano i poveri, non amavano gli schiavi, eccetera… ma i cristiani si volevano tra di loro tanto bene: Ecco come si amano!. Si distinguevano dagli altri contemporanei3. Ecco, noi dobbiamo distinguerci per la carità, e specialmente nella vita quotidiana, eh! Uno può dire: Ma ho ragione io, ma questo non doveva avvenire. No! Facciamo un sacrificio di tutto, lo offriamo al Signore il piccolo sacrificio… e anche se ci tocca scomodarci, anche se quello che dicono non piace a noi, anche se noi vorremmo delle cose diversamente: bontà, bontà! Il cuore impastato di amore, il cuore.
Carità, la quale carità non è un sentimento oppure un solo complesso di gentilezze; è di voler bene interiormente, stimare, giudicare in bene, non dare mai giudizi contrari, parlando in bene, desiderando il bene, quando, se possiamo, far del bene… sì, allora viene anche la bontà, la gentilezza, ma nasce dall’amore di Dio, sì. Se uno ama, supponiamo quell’uomo vuol bene […], e vorrà bene anche ai figli; e se fa dispiacere ai figli, fa anche dispiacere al padre. Così, se noi vogliamo bene al Padre nostro che è nei cieli, dobbiamo voler bene anche ai figli: son tutti figli di Dio, tutti figli di Dio. Li amiamo come
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figli di Dio, cioè per amor di Dio. Sì. E se facciamo dispiacere a quei figli di quell’uomo, quel signore, quel dispiacere va al padre. Così se facciamo dispiacere a qualcheduno sulla terra, facciamo dispiacere a Dio, che è Padre, il quale vuole che i suoi figli siano tutti amati e rispettati, giudicati così. Quindi le nostre offese al prossimo finiscono con l’essere offese fatte a Dio; e i nostri servizi e gli atti di bontà al prossimo finiscono con l’essere atti di bontà e servizio di Dio. Quanto dobbiamo star attenti! Gesù vive nei fratelli, vive nelle sorelle: Tutto quel che avete fatto per uno dei miei, fosse anche il minimo, l’avete fatto a me [cf Mt 25,40].
Non c’è ancor tempo…4 Dunque Quaresima della carità: è benigna, paziente, benefica; la carità tutto sopporta e non è né ambiziosa né invidiosa, ma è tutta premurosa per gli altri.
Quindi adesso la seconda Messa5… e tutta la giornata è indirizzata a chiedere la carità.
Sia lodato Gesù Cristo.
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1 Nastro originale 17/58 (Nastro archivio 21b. Cassetta 21, lato 2. File audio AP 021b). Titolo Cassetta: “La carità”.

2 È la terza domenica del Tempo di Settuagesima: vedi nota 3, p. 30. Epistola: 1Cor 13,1–13. Vangelo: Lc 18,31–43. Nella meditazione il PM, mano a mano che legge i brani, li commenta e li cita liberamente.

3 Cf TERTULLIANO, Apologetico 39, 6-7: «[I contributi della cassa comune] non vengono certo spesi per banchetti, né in bevute o in sgradevoli gozzoviglie, ma per nutrire i poveri e dar loro sepoltura, per soccorrere i fanciulli e le fanciulle privi di mezzi e di genitori, [come pure] i servi ormai vecchi e inattivi, i naufraghi, e quelli che, solo per aver aderito alla setta di Dio, si trovano nelle miniere, nelle isole o nelle prigioni, affidati alle cure della fede che hanno confessata. Ma è soprattutto questa pratica di amore che ci bolla d’infamia presso alcuni di loro. “Guarda – dicono – come vicendevolmente si amano”; loro, infatti, si odiano a vicenda. “E come sono pronti a morire uno per l’altro”; loro infatti sono più pronti ad uccidersi a vicenda».

4 Espressione incerta.

5 Le Costituzioni degli Istituti della Famiglia Paolina prescrivevano due Messe domenicali.